La scelta di esporre la tela di Cozza proprio in
Castel Sant’Angelo non è casuale: come è noto, secondo la leggenda una delle apparizioni dell'arcangelo coinvolse papa
Gregorio Magno (590-604), al quale
Michele apparve in sogno sopra la
mole Adriana nell’atto di ringuainare la spada e di annunciare la notizia della conclusione di una drammatica epidemia pestilenziale che sconvolgeva la città. Il papa, in segno di venerazione, decise di cambiare il nome del mausoleo in Castel Sant’Angelo.
Il dipinto proviene dalla
chiesa romana di S. Maria del Carmine alle Tre Cannelle, sede dell’omonima Arciconfraternita. Il restauro condotto sulla tela, di cui non era all’epoca noto l’autore, ha fatto emergere non solo la sua eccellente qualità pittorica, ma anche – e soprattutto – la
firma “Franc.co Cozza F. C.”, visibile tra il piede sinistro del San Michele e la coda del diavolo.
La scoperta, pertanto, ha consentito di aggiungere un tassello importante alla produzione romana dell’artista.
L’opera, infatti, era del tutto sconosciuta, data l’assenza di citazioni sia nelle fonti concernenti il pittore che nella letteratura dedicata alla descrizione delle chiese di Roma. La sfortuna critica della pala, poi, è stata definitivamente sancita dal fatto che, sin dal 1934,
essa è rimasta occultata dietro ad un altro dipinto degli inizi del Novecento,
S. Teresa del Bambino Gesù, collocato sullo stesso altare sinistro della chiesa del Carmine. La scelta operata dai confratelli di celare il lavoro di Cozza allo sguardo dei fedeli fu presumibilmente motivata da una forma di censura nei confronti della impressionante, realistica e per questo forse sconveniente rappresentazione antropomorfica dell’ignudo Lucifero.

Francesco Cozza, artista di origini calabresi,
giunse a Roma intorno al 1631, ove ben presto conobbe
Domenichino,
di cui divenne discepolo e collaboratore assiduo nell’ambito della maggior parte delle imprese coordinate dal maestro bolognese. Il Cozza, infatti, fu al suo seguito anche a Frascati e a Napoli, dove approdò nel 1634, pur continuando a coltivare legami lavorativi costanti con Roma. Nella città partenopea egli ebbe modo di irrobustire la sua predilezione per lo stile classicista, già mutuata da Domenichino, avvicinandosi agli esempi di artisti come Massimo Stanzione e Francesco De Rosa e sperimentando il connubio di quelle forme con le tendenze del naturalismo.
La tela presentata in questa sede, riferibile alla maturità dell’artista, descrive il momento culminante della lotta tra il diavolo e l’Arcangelo, il quale è colto nell’atto di sferrare il colpo finale al suo nemico riverso a terra, sospeso sull’orlo dell’abisso.
La commissione potrebbe essere giunta al pittore intorno al 1656, anno in cui terminò una grave epidemia di peste. La
datazione trova sostegno nell’iconografia, particolarmente diffusa in occasione di pestilenze, e in virtù del confronto stilistico con opere coeve, come ad esempio la
Madonna del Riscatto (Pontificio collegio Nepomuceno), menzionata da Luigi Lanzi come uno dei raggiungimenti più alti della sua carriera (Lanzi 1809, p. 362), la
Pietà della Galleria Corsini di Roma, la
Madonna in Gloria tra i Santi Pietro e Paolo in S. Maria della Cima a Genzano ed infine la
Madonna col Bambino tra i Santi Gioacchino e Anna in S. Egidio a Montalcino.
L’opera, quindi, si inserisce cronologicamente in una fase di grande slancio nella carriera del nostro, che a partire da quel momento si avviò a raggiungere un certo successo. Dopo il conseguimento di alcuni titoli onorifici – divenne in poco tempo Virtuoso del Pantheon (1647) e Accademico di San Luca (1650) –, Cozza ottenne
numerose commesse prestigiose, come quelle provenienti dalla famiglia Pamphili, la cui predilezione per i pittori calabresi fu determinata dagli stretti rapporti politici intessuti con il feudo di Rossano. Per i Pamphili Cozza affrescò la
Sala del Fuoco nel palazzo di Valmontone (1658-1661) – dove ebbe l’opportunità di collaborare, tra gli altri, con Pierfrancesco Mola, Agostino Tassi e con il suo conterraneo Mattia Preti – e la volta della
biblioteca del collegio Innocenziano nel palazzo romano della famiglia (1667-1673).
In conclusione, vale la pena sottolineare che la presentazione del
San Michele Arcangelo in lotta con il demonio si inserisce in un clima di rinnovato interesse nei confronti del pittore calabrese, che ha contribuito a delinearne meglio il profilo artistico. Negli ultimi anni, infatti, il fervore degli studi è sfociato in
una mostra a lui dedicata, ospitata nel 2007 presso il Museo di palazzo Venezia a Roma (
Francesco Cozza. Un calabrese a Roma tra classicismo e barocco, a cura di Rossella Vodret, Giorgio Leone, Claudio Strinati), in un
convegno tenutosi a Valmontone (
Francesco Cozza e il suo tempo, Atti del Convegno 2-3 aprile 2008, a cura di Claudio Strinati, Soveria Mannelli 2009) e in una monografia dal titolo
Inquietudine e malinconia in Francesco Cozza calabrese a firma di Antonella Pampalone (Campisano Editore, 2008).
Al termine dell’esposizione nella sala delle Colonne di Castel Sant’Angelo, il
San Michele Arcangelo tornerà nella sua sede originale, dove potrà finalmente essere ammirato nel luogo per il quale fu ideato dal pittore.
Michela Corso, 16/8/2013
"Tra cielo e abisso". Presentazione del dipinto inedito e restaurato
San Michele Arcangelo in lotta col demonio di Francesco Cozza
Roma, Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo
Sala delle Colonne
20 maggio – 8 settembre 2013
Da martedì a domenica ore 9-19 - Lunedì chiuso
Biglietteria tel. 06 6896003 - Centralino tel. 06 6819111
Didascalie immagini
1. Francesco Cozza, San Michele Arcangelo in lotta con il demonio, S. Maria del Carmine alle Tre Cannelle, Roma.
2. Francesco Cozza, San Michele Arcangelo in lotta con il demonio, dopo e durante il restauro, S. Maria del Carmine alle Tre Cannelle, Roma.
3. Francesco Cozza, Madonna del Riscatto, Pontificio Collegio Nepomuceno, Roma.