Venezia, Biennale di architettura, 2016,
“Reporting from the front”,
evento collaterale, “Senza Terra,
Whithout Land”.

Venezia: è giunta alla 15a edizione la Biennale di Architettura, articolata su varie tematiche dislocate sull'intero territorio lagunare, con eventi che riguardano l’Architettura e le arti visive, grafica, pittura e scultura. L'esposizione, dal titolo “Reporting from the front”, è affidata alla direzione dell’architetto cileno Alejandro Aravena, (Leone d’argento nel 2008) e si snoda dal Padiglione Centrale (Giardini) all’Arsenale, con altre aree collaterali decentrate. Degli 88 partecipanti 50 sono esordienti e 38 under 40, provenienti da 37 Paesi, i quali, come ha affermato il Presidente, Paolo Baratta, “Vogliono confrontarsi e dare delle risposte allo scollamento tra architettura moderna e società civile, tra barriere e vivibilità, tra fruizione degli spazi, valutando sia la bellezza e che la funzionalità”.

L’immagine che rappresenta l’intero evento Biennale è una donna anziana in cima ad una scala, in ricordo di un viaggio attraverso l’America del Sud, dove una anziana signora, appunto, fu vista attraversare il deserto portando con sè una scala di alluminio sulle spalle. Alla domanda quale fosse il motivo, quella signora, cioè l’archeologa tedesca Maria Reiche, rispose che stava studiando le linee Nazca: ”Viste in piedi sul terreno, le pietre non avevano alcun senso, ma dall’alto assumevano vari significati a seconda della forma che rappresentavano”. Allo stesso modo, questa biennale vuole rappresentare un diverso punto di vista, come quello percepito da Maria Reiche dalla scala, per dare risposte alla complessità e alla varietà delle sfide che l’architettura moderna impone. ”Siamo convinti – dice ancora Baratta- che l’avanzamento dell’architettura non sia un obiettivo in se, ma un miglioramento della vita delle persone”.

Come evento collaterale alla Biennale, la rassegna Senza Terra/ Whithout Land, si propone di rispettare in pieno il proposito della mostra, come ha dichiarato Boris Brollo, il curatore parlando dell’opera: «L’installazione “site specific” Senza Terra / Without Land è un’idea plastica della scultura sociale di Beuys prossima alla sua “Fermata del Tram” della Biennale Arte di Venezia del 1976, che sposa l’epopea migratoria di questi anni dove migliaia di umani si spostano da una nazione all’altra attraverso frontiere sempre più rigide, e, sempre più senza possibilità di sosta in quanto rifiutati da ogni paese. L’idea dell’installazione Senza Terra / Without Land è di dare un luogo, un punto di appoggio a tutti quelli che sono senza una terra, senza un paese, senza una nazione. Inoltre non c’è bisogno di nessuna nazione in quanto siamo un unico popolo con un’unica profonda cultura: apparteniamo al popolo degli umani. Perciò l’installazione è composta da una panchina per la sosta e da un pallone aerostatico a forma di mappamondo che segnala notte e giorno a chiunque la possibilità di sostare senza obbligo di presentare alcun documento e senza controllo da parte di qualsiasi Autorità. Anzi il fatto che tale installazione si trovi nell’Isola di San Servolo, ex manicomio della città di Venezia, accentua la “follia” del gesto di una terra di nessuno. In un recinto aperto, sì degli ultimi, ma ora “paradiso libero” di solidarietà umana».

La mostra sarà fruibile al pubblico sino al 30 giugno, così come l’installazione completa di aerostato e panchina; quest'ultima, che reca incisi i nomi dei promotori dell’iniziativa, resterà stabilmente a San Servolo a testimonianza e a ricordo della manifestazione. A questo evento si collega un'iniziativa culinaria promossa dal ristorante “La Cusina “ del prestigioso Hotel Europa & Regina affacciato sul Canal grande. Il titolare infatti ha voluto creare un menù particolare in tema con l'esposizione, che potrà essere degustato fino al 27 novembre 2016, composto da 4 portate realizzato da Alberto Fol.

Tra gli artisti che hanno aderito all’iniziativa e che espongono a San Servolo, figurano nomi importanti: Luca Alinari, Tullio Altan, Getulio Alviani, Simon Benetton, Cesare Berlingeri, Tommaso Cascella, Bruno Ceccobelli, Lucio del Pezzo, Gillo Dorfles, autore dell’opera grafico-pittorica che sintetizza l’evento, Ferruccio Gard, Ennio Finzi, Franco Fontana , Omar Galliani e Tino Stefanoni, Gianni Tarli, Valan (Antonio Valentini), Alvaro Caponi.

Anche Massimo Bigioni, un noto artista del reatino, è ospite degli eventi collaterali della Biennale presso l’isola di San Servolo. Ha aderito al progetto “Senza Terra”, Whithout Land”, con grande entusiasmo e con l'idea di rappresentare quei problemi sociali della quotidianità che lo hanno sempre coinvolto, a cominciare da quelli inerenti la moltitudine di immigrati che quotidianamente approdano sul suolo italiano e la miriade di extracomunitari che vi sono presenti. L’adesione a questa mostra esprime dunque una volontà ben delineata dell’artista che pone l’arte al servizio della comunicazione e della denuncia. Bigioni è un artista che non si ferma mai, che è in continua evoluzione, in linea con il naturale scorrere del tempo, come se le stagioni che si susseguono donassero alla sua pittura sempre più naturalezza; partecipando alle varie manifestazioni significa per lui essere sempre vicino alle tradizioni e agli usi popolari che tanto ama ritrarre. Non a caso ogni personaggio semplice che desta il suo interesse diviene protagonista delle sue tele. Mai potrebbe essere lontano dalle sue origini, dalla sua terra; non mancano infatti riferimenti a quella energia che si respira tra le montagne reatine, la sua terra natale. Questo gli permette di esprimere al meglio la sua inquietudine, la sua frustrazione di fronte all’indifferenza, di fronte alla sofferenza.

Il suo essere partecipe dell’opera che realizza lo porta a dipingere a volte i personaggi in poco tempo e altre volte invece come se non riuscisse a farli uscire dal pennello. In entrambi i casi è questo il suo modo di integrarsi con l’opera che realizza ed ogni pezzo è una parte di sé che imprime sulla tela, ne è una chiara testimonianza l’opera con cui partecipa alla mostra di Venezia.

Possiamo dire che quest'opera fa parte della linea contadina che caratterizza il Ritorno della sera sulla via di casa, un tema che riguarda il ritorno alle cose semplici, alla felicità della sera domestica. Ed ecco il significato più profondo di Whithout Land : chi una casa l’ha persa, deve sperare, deve lottare affinché possa tornare alla sua terra. Di qui l’importanza dell’arte come strumento comunicativo, perché se è vero che e parole spesso generano confusione e malintesi, con l’arte non è così; l'artista ci mette di fronte alla realtà e ci permette di vedere attraverso il suo sguardo, trasmettendoci sentimenti ed emozioni.

Così è con l'opera di Massimo Bigioni; a Venezia, la sua tela ”Sulla Via del Ritorno”, con quello scorcio di paesaggio e di vita contadina ci catapulta tra i monti della sua terra, ma se guardiamo bene possiamo riconoscere tanti altri luoghi rupestri, dove l’austerità dei paesaggi montani si unisce con la bellezza dei colori della sera. Sembrano rivivere certi antichi valori, così distanti dalle nuove generazioni, eppure così veri, compagni di vita dei nostri padri.. quando c’era tanta più gioia e condivisione del poco che si aveva, la cui riproposizione sta quasi a voler rendere le cose terrene spirituali, a richiamare al rispetto e alla sacralità della vita, della bellezza e dei valori fondamentali dell’uomo. E ciò che ti lascia senza parole, in balia dell’osservazione più attenta al particolare è la brillantezza dei pigmenti, della preziosità del colore, nonostante l’immagine rappresenti un personaggio semplice, comune, di tutti i giorni, invisibile nella realtà quotidiana. Questa caratteristica ricorre molto spesso nelle tele del Bigioni, ed in ogni sua opera scopre sentimenti ed emozioni attraverso la luce degli sguardi. L’opera della Biennale raffigura un uomo ritratto da dietro, quindi senza luce dello sguardo, ma che prende vita grazie al colore che lo rende dinamico proiettandolo in una luce quasi magica, quasi sospeso nello spazio temporale, nel suo spazio virtuale, dove il tempo sembra essersi fermato.

Una bella testimonianza di vita, insomma, in una mostra che si prefigge lo scopo di raccogliere il grido di chi si sente “Senza Terra” e di vedere oltre l’orizzonte. In realtà, nessuno ha perso le proprie radici, perché non esistono distinzioni, siamo tutti esseri umani, tutti figli di un Dio e l’arte parla senza necessità di traduzioni o traduttori. Arriva dritta al cuore.

Stefania Montori

12 / 6 / 2016