Il collezionismo favorisce, come noto, la conoscenza e passaggi delle opere d'arte che talora viaggiano da una raccolta ad un'altra, spesso verso mete lontane; e sovente fra le minute trame documentarie delle raccolte, pubbliche o private, è possibile ricostruire la storia dei singoli brani di una collezione.
Un esempio significativo è reso dal raffinato Museo della Binghamton University of State New York ove un nutrito nucleo di dipinti e sculture di artisti del Bel Paese ha dato vita ad una raccolta di pregio. Sfuggita all'attenzione critica di Federico Zeri durante i suoi trascorsi oltreoceano, ma la collezione di Binghamton nasceva proprio negli anni settanta e dunque dopo la redazione del Census, essa è meritevole di segnalazione e studio; già avviato da S.Sticca, docente dell'Ateneo e vera anima della sua valorizzazione. E proprio grazie alla sua formidabile ricerca che predilige l'interdisciplinarità fra i differenti specimini di settore, sono venuta a conoscenza del brano oggetto di queste riflessioni.
Il Sacrificio di Ifigenia: la provenienza
Come ho potuto apprendere dalla documentazione a me fornita da
S. Sticca, il dipinto proviene da una pregevole collezione della quale, nel corso degli anni novanta del Novecento, conobbi i proprietari,
Mr. Morton e
Mrs Mary Jane Harris, esperta d'Arte presso la
Corsini Art Gallery di New York City. Tempo dopo, mancato Morton, Mary Jane mi comunicava l'intento di donare ad alcuni Istituti Universitari statunitensi l'intera collezione.
Oggi 'ritrovo' con piacere questo
Sacrificio di Ifigenia1 nel museo della
Binghamton University: come noto, la provenienza delle opere nell'indagine storico-artistica è spesso garante della loro qualità.
L'iconografia
Il dipinto [
fig. 1] s'ispira al resoconto mitologico del sacrificio della figlia di
Agamennone, e l'artista sembra affidarsi alla narrazione svolta da
Ovidio;
2
[...] “
at non Thestorides: nec enim nescitve tacetve
sanguine virgineo placandam virginis iram
esse deae. postquam pietatem publica causa
rexque patrem vicit, castumque datura cruorem 30
flentibus ante aram stetit Iphigenia ministris,
victa dea est nubemque oculis obiecit et inter
officium turbamque sacri vocesque precantum
supposita fertur mutasse Mycenida cerva.
ergo ubi, qua decuit, lenita est caede Diana, 35
et pariter Phoebes, pariter maris ira recessit,
accipiunt ventos a tergo mille carinae
multaque perpessae Phrygia potiuntur harena.[...]”
(Ma non il figlio di Tèstore: egli non ignora e non tace
che bisogna placare l'ira della vergine Diana col sangue
di una vergine. Ma quando il comune interesse prevalse
sugli affetti e il re sul padre, quando tra gli officianti in lacrime
Ifigenia si accostò all'altare per offrire il suo casto sangue,
la dea si placò, stese una nube davanti agli occhi loro,
e al culmine del rito, tra la folla e le voci di chi pregava,
sostituì, si dice, la fanciulla micenea con una cerva.
Placata Diana con una vittima più consona a lei,
con l'ira della dea si spense anche quella del mare,
e col vento in poppa salparono le mille navi,
per approdare, dopo molti travagli, in terra di Frigia)
Il celebre racconto, già proposto da
Euripide,
3 ebbe larga fortuna nel quadro della civiltà latina. Nel nostro dipinto Ifigenia, mollemente seduta sulla sinistra, appare ancora viva, e tale epilogo sembrerebbe confermare l'ispirazione ovidiana, a lieto fine, per via dello scambio con il sacrificio della cerva, che fa la sua apparizione all'estremo limite della parete, alla testata del letto, per ben due volte, sul lato sinistro e su quello destro, come simulacro, mero elemento decorativo che allude alla cerva artemidea. Non escluderei tuttavia una contaminazione con il racconto di
Lucrezio4 che suggerisce invece questa tetra conclusione:
[...] “
Aulide quo pacto Triviai virginis aram
Iphianassai turparunt sanguine foede 85
ductores Danaum delecti, prima virorum.[...]”
(Come, ad esempio, in Aulide i capi scelti dei Danai,
fior fiore degli eroi, deturparono vergognosamente 85
col sangue di Ifigenia l’altare della vergine Trivia.
In Aulide, il porto della Beozia, sullo stretto dell’Eubea, la flotta greca, secondo il resoconto mitologico, veniva trattenuta da venti contrari suscitati da
Artemide-Diana, sdegnata con
Agamennone che aveva ucciso una cerva a lei sacra. Per placare l’ira della dea e lavare l'ingiuriosa ù
bris, era necessario che il re sacrificasse la primogenita, Ifigenia. Tuttavia, stante la complessità e il peso del mito in esame, diversamente ripreso da
Euripide a tutto il Novecento
5, si rivela lecito leggere nella scena in esame un antefatto che prelude immediatamente al sacrificio voluto dagli dei, come suggerisce
M. Fagiolo Dell'Arco6; l'artista sintetizza qui gli elementi del dramma, dalla presenza di
Artemide-cerva, a quella degli armigeri in attesa sulle navi, ad
Agamennone che, in qualità di 'orante' in adorazione della dea, giunge per portare con sé
Ifigenia priva di sensi al sacrificio. Risulta invece meno probabile che l'episodio raffigurato sia successivo al sacrificio che prevederebbe il ricovero di
Ifigenia stremata nella sua stanza da letto
7.
Considerata la rilevanza assegnata dal pensiero greco al peso etico e storico della
ùbris, della quale si era reso responsabile il re in persona, la presenza della cerva nel dipinto potrebbe assumere una valenza meramente simbolica, volta a testimoniare la presenza di
Artemide-Diana. Se non è possibile stabilire l'influenza del committente circa le scelte iconografiche, va detto che con buona probabilità l'artista, senza prendere posizione, intendesse forse affidare l'interpretazione e l'esito della storia al proprio pubblico. Al pittore non doveva poi sfuggire il peso della
Poetica di
Aristotele,
8 secondo la quale soltanto con la tragedia, (il filosofo indicava l'
Edipo re di
Sofocle), era possibile raggiungere la perfezione; [...] “Il fatto pauroso e compassionevole, ma anche dalla struttura della vicenda per se stessa , e questo è appunto preferibile, ed è segno del più abile poeta....Il racconto dev'essere strutturato in modo che, al solo ascoltare gli avvenimenti, si provino sentimenti di paura e di pietà per quello che sta succedendo. [...]”
Lo
Stagirita considera scontata l'esistenza di una scenografia a servizio della drammaticità dello spettacolo: capace dunque di stupire gli spettatori. Uno 'spettacolo', quello messo in scena nel dramma raffigurato nel nostro dipinto, non dimentico delle regole che stavano alla base della classificazione dei generi poetici, il cui primato veniva assegnato alla tragedia.
Se tanta versatilità ed erudizione presenti nel dipinto potevano derivare dai gusti e dalle oscillazioni del tempo, l'applicazione all''antico', nel senso più fedele del termine, si palesa come carattere dominante di questo artista, per il quale è possibile spendere l'appellativo di 'antiquario'. Corre spontaneo interrogarsi sull'autonomia di tale attitudine, passione innata, o derivata, invece, dalle sollecitazioni del clima culturale del tempo? Le scelte qui operate dal pittore denunciano un'approfondita conoscenza del mito, della mitografia e dell'architettura antica che va ben oltre l'identificazione delle storie mitologiche classiche, da lui trasposte
more antiquo in una redazione disinvolta.
Il dipinto e la destinazione
La lettura del dipinto suggerisce un'
ékphrasis delle tradizioni ricordate: le citazioni minute tratte dalle pagine dei testi greco-latini ne confermerebbero la prassi, di larga fortuna nel corso della civiltà rinascimentale.
La scenografia dell'assunto, svolto all'interno di un'ampia sala di palazzo dai caratteri aulici, sottolineati dalla raffinata decorazione ad affresco diffusa in tutte le pareti, si badi in particolare a quella di fondo al di sopra dello stipite della porta d'ingresso, e dagli elementi architettonici che dagli archi alle paraste ai capitelli sono distribuiti nello spazio dipinto, è abilmente orchestrata dall'autore per convogliare l'attenzione sulla scena che prelude al sacrificio, momento cruciale dell'episodio. Tutto è pronto nel centro ideale della scena, enfatizzato dal grande baldacchino soprastante che accoglie
.jpg)
al di sotto il fluire di una folla stipata, mista di dame, uomini di corte che fra emozione, commozione e concitazione, è risolta in un ritmo dinamico ad andamento circolare. Sul fondo, oltre il pertugio della porta, è possibile scorgere l'indistinto ma fitto assieparsi di navi, lance ed armigeri, essi pure in attesa degli eventi conseguenti al sacrificio che sta per consumarsi.
Ifigenìa, che sembra quasi scivolare dalla sedia sulla quale è semi-sdraiata, è attorniata dal compianto pietoso di una figura femminile,
Clitemnestra con buona probabilità, e dalla solerzia di alcuni astanti che la soccorrono, mentre dinnanzi a lei l'indovino
Calcante gesticolante, con uno strumento sacrificale impugnato nella mano sinistra, sopraggiunge a tenderle la mano; dietro di lui avanza a grandi passi una figura che per la posa a braccia spalancate e l'abito completo di copricapo a turbante non stenta a palesarsi come il re,
Agamennone, seguito dal sacerdote delegato all'imminente sacrificio.
Ifigenìa è dunque viva, come
Ovidio racconta nella sua storia? Oppure la sfortunata primogenita del re raffigurata nel nostro brano è ormai morta fra dolore e disperazione dei presenti, come vorrebbe
Lucrezio? Se diviene difficile optare per una delle due possibilità, la narrazione qui offerta vuole che la cerva sacra a Diana sia comunque lì, immobile indizio della presenza divina.
Appare lecito accogliere nell'assunto, come sembra suggerire l'autore, entrambe le versioni che, abilmente contaminate, rendono testimonianza della dotta formazione dell'artefice, ispirata ai testi 'antichi'.
La paternità del brano in esame e il probabile utilizzo per una decorazione ad affresco predisposta dalla committenza per una sontuosa dimora, come si vedrà, s'incrociano nel sostenersi a vicenda.
Chi è dunque l'autore del brano? Le ragioni stilistiche, coniugate alle fantasie iconografiche, offrono più di un indizio nel riferirne la paternità a
Baldassarre Peruzzi, nato probabilmente a Sovicille e battezzato a Siena nel 1481.
Su Peruzzi; “degli onoratissimi frutti di quella vera virtù che fu in lui infusa dal cielo”
L'attribuzione al
Peruzzi ( Ancaiano,
9 frazione di Sovicille, 7 marzo 1481 – Roma, 6 gennaio 1536), accolta nella documentazione del dipinto, trova conferma nel raffronto con le opere certe dell'artista; gli stilemi compositivi, volti alla valorizzazione degli elementi architettonici che il pittore mostra di padroneggiare con sapiente abilità, tanto da indulgerne nelle composizioni sino ad assegnare alle architetture un ruolo principe; ed ancora gli scorci scenografici che potenziano i racconti narrati, sono elementi che concorrono ad assegnare con certezza l'opera in esame al pittore senese. Circa la datazione è possibile indicare una cronologia immediatamente precedente la decorazione degli affreschi ad omonimo tema svolti sulla facciata di
villa Chigi, compiuti, con buona probabilità già entro la fine del primo decennio del '500, come si argomenterà nel corso della trattazione.
Siamo avvertiti, grazie al ritratto rifinito del
Vasari, delle attitudini dell'artista: egli pittore, architetto civile, religioso, militare, ma pure scenografo, esperto di ingegneria ed idraulica, amava la trattatistica , ma più di tutto predilesse lo studio dell’antichità.
Dal minuzioso ritratto dedicato a
Peruzzi sia nell'edizione torrentiniana che nella giuntina possiamo trarre spunti utili circa il dipinto in esame.
Il biografo racconta che nel 1503 l’artista si recava a Roma al seguito di un certo Pietro, pittore volterrano, attivo in
Vaticano “per Alessandro Sesto.”
10 Dopo la morte del
Borgia entrava nella bottega del padre di
Maturino, palesando tanta maestria, ricorda
Vasari, da guadagnarsi una commissione tutta per sé in
Sant’Onofrio al Gianicolo.
11
Per Giulio II realizzava in Vaticano, fra il 1508 e il 1509 circa, in un “corridore in palazzo vicino al tetto un'uccelliera”, dimostrando di conoscere l’arte della prospettiva, forse appresa proprio a Roma.
12 Negli anni successivi interveniva nella
chiesa di San Rocco all’Augusteo, vicina alla sua dimora, e a
Santa. Croce in Gerusalemme, commissione omessa da
Vasari.13 Alla fine degli anni Dieci era attivo per
Raffaele Riario al
palazzo della Cancelleria e ad
Ostia Antica. Soltanto in tempi recenti è stato identificato il contributo del
Peruzzi nella casa parrocchiale della cittadina, già palazzo episcopale, del quale
Vasari descrive con cura la decorazione del salone e delle stanze attigue.
14 La “
Vita” ricorda minuziosamente le scene di battaglia, “raffigurate di chiaroscuro
”, ma tace sulla fonte dei soggetti, i rilievi della colonna Traiana; l'attenzione dell'artista ai rilievi non si limita a segnalare l'interesse per l’Antico, ma è indizio di uno studio approfondito su quel testo.
Forse già prima della sua partenza per Roma, il Senese era occupato nel ridisegnare la
villa di Sigismondo Chigi alle Volte Alte a Siena. L’incarico di trasformare la residenza di campagna era stato affidato a
Francesco di Giorgio, probabile maestro di Baldassarre, a detta di
Ignazio Danti, deceduto nel 1501. Nel rifacimento grafico del
Peruzzi è facile scorgere il modello consegnato da
Martini per un palazzo suburbano con due ali sporgenti, dove due corpi laterali (asimmetrici per via delle preesistenze) racchiudono quello centrale a due logge sovrapposte. Dai disegni emerge il legame dell’artista con alcuni esperti disegnatori romani di opere antiche, vale a dire
Simone del Pollaiolo e i
Sangallo, Antonio Junior, Senior, e Giuliano.15
Vasari, ancora, attribuisce all’influenza di
Agostino Chigi, fratello di
Sigismondo, e alla frequentazione del gruppo di eruditi-architetti prima ricordato l’attenzione di Peruzzi per l’antico; sia “perché Agostino naturalmente amava tutti i virtuosi, e sì perché Baldassarre si faceva sanese”, onde poté con

l’aiuto di tanto uomo trattenersi e studiare le cose di Roma, massimamente d’architettura, nelle quali, per la concorrenza di
Bramante, fece in poco tempo maraviglioso frutto”
16.
Fu per
Agostino che
Peruzzi realizzò la più nota delle sue opere: il
palazzo alla Lungara poi villa “Farnesina”, che fu “condotto con quella bella grazia che si vede, non murato, ma veramente nato”. L’aretino si dilunga sull’abilità del maestro nella decorazione del palazzo, tanto all’esterno, che “adornò [.....] di terretta con istorie di sua mano molto belle”, quanto all’interno.
17 Qui l’avvicinamento al mondo antico non si limitò alla citazione di episodi storici e mitologici nelle decorazioni, o alla riproduzione di finti stucchi su modello delle grottesche romane. Riprendendo
il Belvedere di
Innocenzo VIII, il maestro adottò l’elemento della loggia con funzione di soggiorno, come nelle ville dell’antichità classica, distinguendosi tuttavia per la “simmetria armoniosa, la chiarezza razionale e la coerenza degli ordini
”18, tutti aspetti che denunciano un’appropriazione consapevole dell’architettura antica. Nelle finestre del mezzanino e nell’adozione di un prospetto ad ali avanzate, la villa riprende la
Cancelleria, edificio che aveva inaugurato a
Roma la serie di palazzi con impaginato a ordini di paraste. Sempre nella giuntina si legge delle decorazioni all'interno della dimora; “La sala similmente è fatta in partimenti di colonne, figurate in prospettiva, le quali con istrafori mostrano quella essere maggiore. E, quello che è di stupenda meraviglia, vi si vede una loggia in sul giardino dipinta da Baldassarre, con le storie di Medusa. [...]
”19 Di grande interesse per la nostra indagine è la decorazione della loggia che affaccia sul giardino, come si vedrà nelle note successive.
Al servizio del mecenate senese l’artista eliminò alla
Farnesina i richiami architettonici tardo-quattrocenteschi utilizzati a
palazzo Riario e nella
villa delle Volte, in favore di teoremi personali desunti dalla sintassi dell’architettura antica che avrebbe affermato con convinzione nelle occasioni degli anni maturi. La diffusione della tipologia del portico, ricorrente nelle sue opere, testimonierà dell' “incrollabile certezza senese nell’identificare per peruzziano ogni portico con sovrastante loggiato preferibilmente in laterizio e a piatte lesene doriche”
20; nel restauro degli anni Ottanta sono emersi i mattoni levigati della cortina, che la
Farnesina adotta, unica fabbrica a Roma
21. Nella decorazione, sono presenti sia gli stucchi bianchi, a grana molto sottile con finitura superficiale ad imitazione del marmo di Carrara sul portale d’ingresso, sia quelli di particolare coloritura rosata, dovuta alla presenza di cocciopesto, che simula la terracotta, utilizzata da
Peruzzi come ricorda il biografo aretino
22.
Il nostro dipinto dichiara la simpatia di questo maestro non per le scenografie teatrali soltanto, ma per le rappresentazioni stesse, che egli sembra tradurre in pittura nel vivo della recita, come ricorda
Vasari: “Ma quello che fece stupire ognuno fu la prospettiva, o verso scena d'una commedia, tanto bella che non è possibile immaginarsi più”[...].
23 Qui il biografo allude agli apparati in
Campidoglio in occasione dell'elezione al soglio pontificio di
Giuliano de' Medici e alla relativa decorazione pittorica di sei storie.
Ma ancora, dopo il rientro definitivo a Roma del
Senese nel 1534, a proposito del monumento sepolcrale di
Adriano VI, in occasione della recita de la
Calandra, redatta dal
cardinale Bibbiena, l'Aretino precisa; “ [..] fece
Baldassarre l'apparato e la prospettiva [....] et in queste sì fatte opere meritò tanto più lode , quanto per un gran pezzo adietro l'uso delle comedie e conseguentemente delle scene e prospettive era stato dismesso, facendosi in quella vece feste e rappresentazioni....Baldassarre fece al tempo di
Leone X due scene che furono maravigliose et apersono la via a coloro che ne hanno poi fatto a' tempi nostri. “
24
Interviene poi la redazione di
Peruzzi del 'grande libro dell'antichità di Roma' e il suo
comentare Vitruvio, un trattato ove l'artista tramandò la sua esperienza; fece, rammenta
Vasari,
“i disegni di mano in mano delle figure, sopra gli scritti [vitruviani], dove in alcune carte sono i disegni dell’antichità

e del modo di fabricare alla moderna.“
25 Spettava al
Serlio, allievo ed erede del Senese, il merito di rendere noto il lavoro antiquario del maestro; con la pubblicazione negli anni Quaranta del “Terzo libro dell’architetture” e del “Quarto dell’antichità di Roma misurate”,
Serlio diffuse con le xilografie i tanti motivi peruzziani come la mensola con le medesime dimensioni e superfici dei triglifi, e una commistione di dorico e ionico per le aperture che prevedeva la declinazione di un fregio dorico a triglifi per le mensole e le fasce della porta ionica.
Lo sviluppo delle tante “belle maniere” da parte di
Baldassarre fu favorito in prevalenza dall'attività di pittore e di scenografo; Vasari non nasconde l’apprezzamento convinto del suo operato, “
artefice (…) che (…) non ha mai avuto pari nelle cose d’architettura, per avere egli, oltre l’altre cose, quella professione con bella e buona maniera di pittura accompagnato26”; la positività del giudizio sembra nascere dalla corrispondenza del profilo del maestro con quello dell’artista ideale concepito dall’Aretino.
Come rileva
Frommel, Peruzzi fu forse il primo artefice capace di soddisfare le esigenze della raffinata committenza del pieno
Rinascimento, che ricercava artisti umanisti oltre che specialisti dalla buona manualità.
Da tanto deriva probabilmente la sua fortuna: artista 'universale', nel senso più pieno che il termine assume nel
milieu della
Rinascenza, aperto a tutte le arti egli fu un appassionato 'antiquario', che frequentava i cantieri delle antichità, estesamente diffusi nella Roma del suo tempo: la stretta familiarità e il successivo
patronage dei
Chigi, di
Agostino soprattutto
27, il banchiere papale che lo aveva incoraggiato a trasferirsi a Roma, dove Peruzzi perveniva nel 1503, ne favorirono soltanto una fama già guadagnata autonomamente.
Giunto nell'Urbe, egli si trovò calato nel fermento della grande svolta del primo Cinquecento, testimoniato dagli esempi di
Bramante e
Raffaello che lo avrebbero profondamente influenzato.
Il mecenate gli affidava, probabilmente già a partire dal 1505, la progettazione del proprio
suburbanum, la villa che dal
Cinquecento avanzato sarebbe stata chiamata la
Farnesina, la cui realizzazione ebbe notevole risonanza e impose il suo nome nell'ambiente culturale, anche perché dal 1511, completate la murature, la residenza fu oggetto di una grande campagna di affreschi che coinvolse insieme a lui i maggiori artisti del momento, Raffaello in particolare.
Il “modello”svolto da
Baldassarre Peruzzi per la dimora offre uno degli esempi più superbi del
pieno Rinascimento romano, in una fase in cui, per la grandiosità del complesso architettonico e decorativo, la villa può essere messa a pari livello soltanto con i grandi cantieri vaticani del
Belvedere, della
Sistina e delle
Stanze del nuovo appartamento di
Giulio II nel
Palazzo Apostolico. Mentre su questi temi le ricerche dell'ultimo cinquantennio sono state numerose e ricche di nuove precisazioni sulle date e sulla partecipazione dei vari artefici, così non è stato per
villa Chigi, la cui conoscenza è dovuta prevalentemente agli studi di
C. L. Frommel, proposti nella sintesi d’avanguardia del 1961, e poi aggiornati nella monografia del 2003-4
28; in aggiunta a questi sono apparsi in modo rapsodico negli ultimi anni alcuni contributi significativi
29.
Corre spontaneo interrogarsi, sul recente esempio da
L. Finocchi Ghersi30, sull’insolita evenienza che un solo studioso, pur di alto profilo, si sia dedicato nell’arco di oltre mezzo secolo a un’opera d’arte di simile complessità, tanto da lasciar intendere che tutto sia chiaro nella storia artistica della villa, sempre indicata come paradigma dell’armonia formale del
Rinascimento; risultato delle magnifiche invenzioni di
Baldassarre Peruzzi, Raffaello, Sebastiano del Piombo e il Sodoma, che, come noto, ne furono gli artefici. Spetta a
Ghersi il merito di una revisione all'impianto della
Farnesina, già avviata da
A. Bruschi31 nel 1987; superata infatti una prima impressione di unità e omogeneità, l’impianto della
Farnesina (come quello della
Villa delle Volte a Siena), colpisce per la sua singolare disorganizzazione spazio-strutturale. All’interno di un perimetro simmetrico e regolare ritmato da paraste, si rincorrono a ritmo forzato spazi e strutture, in funzione soprattutto del 'diletto' del committente; come suggeriva
Plinio il Giovane descrivendo le sue celebri ville – dell’‘amenità’, del ‘diletto’, della ‘comodità’ privata
32. Un'interpretazione dunque 'personale' dell'architettura classica, quella di Peruzzi, che lo induce a prediligere un assunto concitato e ricco di artifici di singolare originalità, forse graditi dal mecenate.
Proprio alla
Farnesina, accanto all'Urbinate, l'artista, nel consegnare con la consueta
vèrve interi cicli dedicati a dei, eroi e creature fantastiche nelle sale interne, si sarebbe cimentato pure sulle pareti esterne e in facciata con raffinate decorazioni ad affresco, quasi totalmente perdute.
Da rammentare nella dimora la realizzazione del maestro senese della 'sala grande', la cosiddetta '
Sala delle Prospettive', documentata fra le altre prove da un foglio dello stesso Peruzzi con alcuni studi per le colonne della
Sala, conservato agli
Uffizi .
33
Sempre a lui veniva affidata l'impresa pittorica della Sala della '
felix villula', celebrata con un epigramma latino da
Girolamo Borgia, letterato lucano
, come la rinascita dello splendore degli antichi
(“antiquum restituitque decus”).34 Qui i gusti del committente e dell'artista, improntati all'esempio e all’
ethos degli antichi, davano vita ad una struttura ornamentale nuova, di grande avvenire: un sistema architettonico illusionistico, con pilastri, nicchie,
.JPG)
statue e grandiose colonne in prospettiva che si aprono su paesaggi “veri”, come nelle decorazioni parietali antiche prescritte da
Vitruvio nel
De Architectura.35
Il sontuoso vano fu interamente allestito di marmi antichi: come documenta l’inventario dei beni, redatto tra il 19 novembre e il 20 dicembre 1520, dopo la morte di
Agostino Chigi, “sopra el camino” erano collocate “due figure piccole de marmore” e nelle cinque nicchie predisposte da Peruzzi al di sopra delle porte “cinque teste de marmore ”
36: si trattava presumibilmente dei busti di cinque Cesari, preceduti da quelli di
Geta e Giulia Mamea “in una camera adpresso la sala”. Nella Sala delle Prospettive era stato collocato uno dei marmi antichi più ammirati nel Cinquecento e più discussi in tutta la storia dell’archeologia: “Uno Augure de marmore, sta a ginocchi piegati e sega un saxo”, ovvero l’
Arrotino, passato a metà del secolo scorso nelle collezioni medicee e ad oggi esposto nella Tribuna della Galleria degli Uffizi.
37
Peruzzi per la facciata
La presenza di una decorazione monocroma sulla facciata della villa è testimoniata dal Vasari, a detta del quale il
Senese “l'adornò fuori di terretta con istorie di sua mano molto belle”;
38 diversamente il
Frommel nel riconoscere all'artista la responsabilità progettuale per le pitture esterne, riferiva l'esecuzione dei singoli affreschi ad uno staff di collaboratori.
39 Ma, come si vedrà nelle riflessioni seguenti, sarà proprio il dipinto di Binghamton a far pendere l'ago della bilancia in favore di Peruzzi.
Sulla facciata orientale della villa verso il Tevere, negli spazi triangolari fra gli archi della loggia si sono conservati alcuni frammenti di figure, gli unici pervenuti dell'intera decorazione, a colore chiaro su fondo grigio-verde;
40 a quanto è lecito vedere è possibile ricondurne la paternità al Senese, cui veniva affidata all'inizio del 1509 la decorazione pittorica dell’esterno della Villa, documentata da disegni, ma purtroppo quasi del tutto perduta a eccezione dei frammenti in esame. Si deve a
James S. Ackerman il merito di avere reso noto un disegno, che egli attribuiva ad anonimo maestro franco-fiammingo, scalabile attorno alla metà del Cinquecento, conservato al
Metropolitan di New York.
41 La prova si rivela documento cruciale che, nel confermare la testimonianza del
Vasari, fornisce notizie preziose sul progetto iconografico e sull'assetto della decorazione esterna perduta del
suburbanum.42
Nel foglio [
fig. 2] l'autore proponeva la struttura architettonica della facciata nord, verso il giardino (con la loggia di
Amore e Psiche) e riportava parzialmente pure il programma della decorazione a fresco. Quest'ultima prevedeva, come viene indicato, al centro della facciata, sopra la loggia, fra trabeazione, finestre e paraste, nientemeno che il
Sacrificio di Ifigenia, scandito in due scene; per quanto consentito dall'immagine a disposizione, alla prima raffigurante il sacrifico della giovane, sembra accompagnarsi sulla destra l'antefatto del sacrificio della figlia del re, ovvero l'uccisione della cerva.
[ fig. 3]. La prova grafica descrive inoltre i davanzali delle finestre ornati con putti e festoni, e lo spazio centrale (180 x 300 mm ) risulta decorato da finti rilievi con scene mitologiche.
Peruzzi architetto-pittore
Ma, a meglio comprendere il significato e il ruolo che il disegno potrebbe assumere all'interno del progetto architettonico, non apparirà inutile offrire

qualche notizia sulla fabbrica cinquecentesca della
Farnesina; ricorderemo preliminarmente che si accedeva alla villa proprio dal lato nord, dove i pergolati e i padiglioni del giardino, completati all'interno dai festoni di verzura dipinti nella
Loggia di Amore e Psiche, creavano un suggestivo effetto di simbiosi con l'architettura. La pianta della fabbrica a ferro di cavallo è caratterizzata da una loggia attualmente di cinque archi affacciata sul giardino che fungeva, è questo un dato rilevante, da palcoscenico per le feste e le rappresentazioni teatrali organizzate dal padrone di casa.
L'assetto attuale è frutto di una serie di interventi successivi, a partire dai lavori di ristrutturazione eseguiti all'interno del palazzo nel 1518 per volontà dello stesso
Agostino Chigi. Un restauro ottocentesco (1860) avrebbe poi alterato radicalmente l'impianto distributivo concepito da
Peruzzi.
L'ingresso principale era situato a nord, mentre quello attuale, a sud, rivestiva un ruolo secondario; l'assetto cromatico odierno della
Farnesina non valorizza il motivo decorativo delle 'terrette' e del fregio superiore con putti. Ma soprattutto la
facies cinquecentesca, caratterizzata dal contrasto tonale dei materiali come il mattone, il peperino e lo stucco, veniva occultata presumibilmente nel corso dei lavori del 1929 da una patina uniforme, della quale resta traccia nonostante le migliorie apportate dai restauri più recenti.
Uno sguardo complessivo alle decorazioni interne della villa, da intendersi quale esito di un progetto unitario, giova a comprendere la genesi e il modo di procedere del nostro artista.
Chigi nell'agosto del 1511, rientrato da
Venezia e portata la residenza alla
Farnesina, affiancava a Peruzzi nella decorazione il giovane
Sebastiano del Piombo, e, poco dopo Raffaello. Nei primi mesi del 1511, ultimate le strutture architettoniche, il nostro passò alla decorazione della volta della
Loggia detta di Galatea, l'incarico pittorico di gran lunga più impegnativo di tutta la sua carriera.
Peruzzi archeologo
Quali dunque le fonti antiche cui il nostro poliedrico artista guardava per la declinazione dei progetti intonati all'armonica fusione di architetture e decorazioni? Né gli studi, o il rigoroso ossequio a
Vitruvio bastano a spiegare i tanti dettagli, gli stilemi che egli applica costantemente nei moduli decorativi. Più che citazione erudita delle testimonianze antiche, l'intero bagaglio iconografico peruzziano non stenta a manifestarsi come riporto fedele di un universo reale che egli aveva a portata di mano; quel mausoleo sotterraneo che veniva affiorando nell'Urbe nel primo decennio del Cinquecento e che aveva mandato in visibilio un'intera generazione artistica, tanto da indurla ad intraprendere avventurosi 'viaggi' nei cunicoli per guadagnare le spettacolari decorazioni della
domus romana per eccellenza, la residenza di Nerone, che si accingeva a vivere una seconda lunga vita. Né il fulgido esempio della
domus aurea dovette essere un caso isolato; fra le molte significative testimonianze preme qui richiamare l'antica villa Farnesina dell'età augustea. In occasione del cantiere di restauro del 1929, allorché lungo le pareti perimetrali del piano interrato della villa veniva realizzata un'intercapedine a protezione delle murature dall'umidità,
43 una perlustrazione accurata favoriva l'individuazione di due muri romani in
opus reticulatum. I medesimi potrebbero costituire parte integrante del complesso di costruzioni della villa dell'età augustea, venute in luce durante gli scavi intrapresi nel 1879 per l'ampliamento dell'alveo del Tevere nell'area prospiciente il giardino della villa peruzziana, così come viene riportato nella pianta offerta dal
Lugli.44 La traccia di un altro muro in
opus reticulatum è presente all'interno di un cunicolo presso un ambiente adibito a magazzino del materiale, utile per le rappresentazioni teatrali organizzate dallo stesso
Peruzzi nell'area antistante la
Loggia di Psiche.
I ritrovamenti archeologici localizzati sotto una parte del giardino costituiscono l'esistente della lussuosa villa romana; la ricchezza degli affreschi, molti dei quali sono oggi conservati presso il
Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, offre più di un indizio circa il rango signorile del titolare della dimora.. Nelle pitture della
domus il ruolo del repertorio egittizzante, che aveva preso piede a Roma con buona probabilità in età cesariana, non appare secondario, senza costituire l'elemento principale della composizione; pertanto non se ne può necessariamente dedurre la volontà precisa di rappresentare un ambiente che dopo la vittoria di
Ottaviano su
Cleopatra ad
Azio, era entrato a far parte dell'impero romano.
45 Concordemente ascritti all'ambito dell'ultimo venticinquennio del I secolo a.C, più precisamente attorno al 20, gli affreschi sono dunque posteriori alla decorazione pittorica della
Casa di Livia; si è addirittura suggerito che la villa fosse destinata ad ospitare
Agrippa e Giulia, la
figlia di Augusto, a seguito del loro matrimonio celebrato nel 21 a.C.
Nel passaggio fra i diversi ambienti, e ad una lettura qui necessariamente sommaria, si ricorda che nell'ambulacro ricordato come F-G
46 correva un fregio eseguito con garbati toni di bruno, verde e giallo bruno su fondo bianco. Esso è simile al fregio giallo della
Casa di Livia, fatta eccezione per la partitura offerta dalle esili colonnine con cariatidi che, ponendo in essere una divisione figurativa per pannelli, rinuncia ad una continuità descrittiva. I pannelli poi su fondo nero del triclinio menzionato come C
47 sono forse fra le più superbe invenzioni del tempo quanto a originalità e a qualità pittorica. Qui le immagini dipinte con misurata cromia offrono un repertorio figurativo arricchito dalla fantasiosa mescolanza di torri e templi, case e pastori, incorniciati entro un fregio caratterizzato da un minuto verboso resoconto. Un universo significativamente vicino, questo, se non sovrapponibile per i tanti dettagli comuni, a quello ripetutamente proposto da
Peruzzi nelle decorazioni della villa cinquecentesca. Ad avvicinarli sarebbe, secondo i filtri del sentire odierno, un comune sentimento del classico, dalle motivazioni profonde, impensabili se non ad una presa diretta.
%2c%20Metropolitan%20Museum%2c%20New%20York.JPG)
Anche gli stucchi che ricoprivano le volte a botte dei cubicoli ricordati come
B, D, E, oggi a
Palazzo Massimo, propongono nei riquadri minori motivi con Vittorie, amorini, grifi, candelabri e girali che ritornano nei brani di Peruzzi alla
Farnesina, in una redazione troppo viva per essere un ricordo erudito soltanto. E' noto come le decorazioni a stucco abbiano grande importanza nell'impaginazione della
facies della fabbrica; in stucco di polvere di marmo furono realizzati il fregio a palmette del portale d'ingresso, presente pure in altre architetture peruzziane, e in stucco di polvere di travertino la fascia del fregio con putti e festoni di fiori e frutta a coronamento delle facciate.
48
Senza continuare oltre in un confronto che richiederebbe un'indagine degli esperti di settore, ci si limita ad ipotizzare la possibilità di un'ispirazione diretta di
Peruzzi sui testi romani, grazie ad una parziale conoscenza già nel primo decennio del
Cinquecento dell'antica villa. Davvero lì, nel giardino, sul principio del nuovo secolo, non si era avuto sentore del museo sotterraneo? Nessun appassionato 'antiquario' all'opera per il mecenate senese si era spinto a perlustrare, attratto da qualche rinvenimento? Si stenta a crederlo. Ma è questo un pensiero
in fieri, oggetto di un futuro approfondimento.
Gli scavi per gli argini a
Trastevere del 1879, dei quali si hanno scarse notizie, fatto salvo il salvataggio degli affreschi, mettono in luce il complesso della villa romana, come riportato da
Lugli.
49 Rodolfo Lanciani, che ne era testimone raccontava di quattro allagamenti negli anni del loro recupero; tale circostanza indurrebbe a ritenere impossibile che ve ne fosse una parte libera e visibile nel secolo XVI. Se i dati a disposizione non sono generosi in merito e sembrano piuttosto negare la possibilità che
Peruzzi e la generazione del XVI secolo avessero potuto avvistare le antiche decorazioni della villa, è comunque certo che il nostro conoscesse le pitture romane che nel suo tempo s'andavano scoprendo.
Il disegno di
New York, puntuale nel restituire i contorni della facciata nord della villa, offre una testimonianza importante a dichiarare le scelte iconografiche volute da
Agostino Chigi. Né si rivela casuale il fatto che il Sacrificio per la facciata della villa venisse richiesto proprio al Senese, cui il committente aveva affidato la decorazione di alcune sale interne di spicco, tutte svolte fra il 1510 e il 1520, data di morte del
Chigi.
50
Il favore destinato dal banchiere papale al nostro è rivelatore dell'apprezzamento per le consuetudini del maestro, incline al segno architettonico e alle narrazioni mitologiche. Si trattava di una condivisione di gusti volti a privilegiare la magniloquenza della nobiltà chigiana, bene rappresentata dal solenne impianto architettonico e decorativo di sapore classico.
La scelta iconografica del Sacrificio, offerta proprio sulla facciata d'ingresso, lascia intuire il significato simbolicamente sotteso al tema della
ùbris punita che il committente assegnava all'episodio; il valore del limite da non infrangere che torna molto vicino ad uno dei
motti di maggior fortuna nel Cinquecento, quel 'non plus ultra' cui pure i più fortunati mortali dovevano inchinarsi. Sembra farsi largo la personalità del committente; banchiere di fama, spregiudicato uomo di mondo che la miglior società contemporanea ambiva frequentare, coniugava al denaro due forti passioni; l'amore per
Francesca Ordeaschi, divenuta sua consorte nel 1519 dopo una convivenza
more uxorio, alla quale aveva dedicato le storie di
Amore e Psiche nella loggia della villa; e, sontuoso mecenate, la grande passione per le Arti. Proprio in virtù di tali pulsioni non appare peregrina l'ipotesi che il significato ultimo dell'affresco intitolato al
Sacrificio di Ifigenìa debba essere ricondotto al sentire più intimo del mecenate al quale, superati gli umani limiti, tutto sarebbe stato permesso e nulla più sarebbe apparso immorale. Tanto verrebbe a spiegare il drammatico Sacrificio reso dalla decorazione. La naturale legge morale, rotti gli argini e dunque svincolata dal patto divino, si tramuterebbe in qualcosa di opposto al precedente indirizzo etico-religioso.
Come mi suggerisce G. Trivelloni,51 stimato filosofo e psicoanalista, la lettura della lacerante storia di Ifigenìa rappresenterebbe l'estrema conseguenza dell’egoismo, spinto sino al delitto che ritroviamo nelle celebri pagine de I Fratelli Karamazov.52
La figura del re a braccia aperte presente nel dipinto di Binghamton, rammenta Trivelloni, diverrebbe segno di impotenza per l'avvenuto divorzio con l’altare della dea Artemide. Ma c'è molto di più; affiora nell'iconografia, come suggerisce lo studioso, l'idea di sacrificio da risolversi come artificio, binomio questo che sta alla base del comune sentire. Tanto verrebbe a giustificare l'enfasi, dichiarata, di quell'Agamennone stordito e del dignitario dai modi teatrali, sopra le righe, stante l'evolversi del dramma. In altri termini; il mecenate, uomo eccellentissimo, ma di mondo era ben consapevole dell'allestimento teatrale, da parata della sua dimora; un 'trionfo' scenico dunque che egli intendeva celare dietro l'artificio-sacrificio.
Ma per l'argomentazione di questo tema articolato, i cui significativi risvolti offrono spunti innovativi di carattere antropologico, si rinvia al saggio qui di seguito di G. Trivelloni. Ci si limita ora a sottolineare la centralità nel dipinto statunitense della presenza della cerva, che riaffiora nell'episodio che la raffigura quale vittima sacrificale, presente, secondo la testimonianza della prova grafica, nel riquadro attiguo a quello con la rappresentazione del sacrificio di Ifigenìa della facciata esterna della villa.
Il disegno del
Metropolitan sarebbe dunque una prova della decorazione che
J.S.Ackerman, come già ipotizzato da
Vasari, riconduceva correttamente al Peruzzi; utile ad assegnare al pittore, la paternità dell'affresco perduto dedicato al
Sacrificio di Ifigenia.
Il dipinto di
Binghamton, probabile studio dell'artista per un pensiero liberamente tradotto in pittura, si rivela così centrale per la ricostruzione del suo catalogo.
Maria Cristina Chiusa
*La mia gratitudine a Pierre Rosenberg e a Sandro Sticca per la stima e il conforto di sempre.
Ringrazio inoltre il Dr. Donzelli, conservatore della Farnesina (Accademia dei Lincei), per avere agevolato le mie ricerche.
Parma, il 16 marzo 2015
Bibliografia
ACKERMAN, 1962; J.S. Ackerman, C.L. Frommel, “Die Farnesina und Peruzzis architektonisches Fruhwerk”
, (recensione a), Berlin, 1961,
The Art Bulletin, XLIV, 1962, p. 243-246, fig. 1.
ARISTOTELE; Aristotele, “Ethica Nicomachea”, I, 13 [1102b].
ARISTOTELE, 2003; Aristotele, “Dell’arte poetica”, Carlo Gallavotti (ed.), Milano, 2003
BORGIA, [1512], 1990; Girolamo Borgia,
Suburbanum Augustini Chisii. Per Blosium Palladium, 'Codice Barb. lat. 1903 Biblioteca Apostolica Vaticana' c. 99v
, (Roma
, 1512)
. Mary Quinlan-Mc Grath, (ed. 1990)
Blosius Palladius, Suburbanum Augustini Chisii. Introduction Latin Text and English Transaltion,
Humanistica Lovaniensia, 39,1990, p. 93-156.
BARTALINI, 1992; Roberto Bartalini, “Due episodi di mecenatismo di Agostino Chigi e le antichità della Farnesina”,
Prospettiva, 67.1992, p. 25–35 (Appendice II).
BARTALINI, 1996; Roberto Bartalini,
Le occasioni del Sodoma: dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, Roma, 1996, p. 46, nota 19.
BARTALINI, 2013a; Roberto Bartalini, “Da Raffaello al Sodoma. Sulla camera nuziale di Agostino Chigi alla Farnesina”,
Late Raphael, 2013, p. 70-79.
BARTALINI, 2013b; “Da Raffaello al Sodoma. Sulla camera nuziale di Agostino Chigi alla Farnesina”
Late Raphael, 2013, p. 80-89.
BELLI BARSALI, 1970; Isa. Belli Barsali, “Ville di Roma”, Milano, 1970, p.120-133.
BELLI BARSALI, 1977; Isa Belli Barsali,
Baldassarre Peruzzi e le ville senesi del Cinquecento, Siena, 1977.
BRUSCHI, 1987; Arnaldo Bruschi, “Da Bramante a Peruzzi: Spazio e pittura”
, Baldassarre Peruzzi, Pittura, Scena, Architettura, Roma, 1987, p. 311-337
CERIANI SEBREGONDI, 2011; Giulia Ceriani Sebregondi, 'Architettura e committenza a Siena nel Cinquecento: l’attività di Baldassarre Peruzzi e la storia di Palazzo Francesconi', Monografie d’arte senese dell’Accademia degli Intronati 10, Firenze, 2011
CUGNONI, 1878; Giuseppe Cugnoni, “Della biografia del Magnifico composta da Fabio Chigi, (Alexander, VII, Papst, Agostino Chigi il Magnifico
, Archivio della Società Romana di Storia Patria, 2.1878, 203, [1]: Ill.; 8 (a cura di), Roma, 1878.
DOSTOEVSKIJ, 2005; Fedor Dostoevskij, “
I Fratelli Karamazov”, Torino, 2005.
EICHBERG, 2011; Margherita Eichberg,
Antiquaria, decorativismo, antiaccademia. Le belle “maniere” del “modesto” Baldassarre, tra Siena e Roma, sulla traccia del Vasari, atti del convegno “Gli architetti senesi Agostino di Giovanni e Agnolo di Ventura, Francesco di Giorgio Martini e Baldassarre Peruzzi, nelle Vite di Giorgio Vasari”, Accademia dei Rozzi ( a cura di), Siena, anno XIX, n° 36) Siena, 2011, p. 64-107.
EURIPIDE, 2007; Euripide, “Ifigenia in Tauride - Ifigenia in Aulide”, Franco Ferrari (ed.), 2007.
FAEDO, 1985; L. Faedo, “L'impronta delle parole: due momenti della pittura di ricostruzione”,
I generi e i temi ritrovati, 1985, p. 27 e s.
FAGIOLO, MADONNA, 1987; Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna, 'Baldassarre Peruzzi, pittura, scena e architettura nel Cinquecento', Roma, 1987
FINOCCHI GHERSI, 2014; Lorenzo Finocchi Ghersi, “Peruzzi o Raffaello? Osservazioni sul cantiere di villa Chigi alla Lungara
”,
Ricche Minere, 1, n° 2, settembre 2014, p. 5-20.
FROMMEL, 1961a; Christoph Luitpold Frommel,
Die Farnesina und Peruzzis architektonisches Fruhwerk, Berlin, 1961, p. 50, tav. XI/a
FROMMEL, 1961b; Christoph Luitpold Frommel,
Die Farnesina und Peruzzis architektonisches Fruhwerk, Berlin, De Gruyer, 1961 (Neue Munchner Beitrge zur Kunstgeschichte, I), p. 17-18
FROMMEL, 1967-1968; Christoph Luitpold Frommel,
Baldassarre Peruzzi als Maler und Zeichner, Wien e Munchen, 1967-1968 (Beiheft zum Romischen Jahrbuch fr Kunstgeschiichte, XI), p. 64, tavv. XVIc, XVIIa
FROMMEL, 1973; Christoph Luitpold Frommel,
Der Roemische Palastbau der Hochrenaissance, Berlin, Tübingen 1973
, I, p.101-103
, II, p. 149-174.
FROMMEL, 2003; Christoph Luitpold Frommel,
La Villa Farnesina a Roma, Modena, 2003.
FROMMEL, 2005; Christoph Luitpold Frommel, “A la maniera e uso de lj bonj antiquj”: Baldassarre Peruzzi e la sua quarantennale ricerca dell’antico, atti del seminario (Vicenza, 2005), Venezia (Baldassarre Peruzzi, 1481-1536), 2005, p. 3-82
GIGLI, 1977; Laura Gigli, ( a cura di) “Guide rionali di Roma. Rione XIII Trastevere”, I, Roma, 1977, p.50-70.
GOMBRICH, [1966 – 1986], 1973;
Ernst Hans Josef Gombrich, “Studies in the Art of the Renaissance”, (1966 – 1986), Vincenzo Borea, ( ed.), Torino 1973, p. 173–74
GROSSI, PICCIONE, 1984; Maria Carla Grossi, Elisabetta Piccione, “Il rilievo della Villa Farnesina Chigi”, Paolo Marconi (presentazione di ),
Centro di Studi sulla Cultura e l'Immagine di Roma con Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1984
HAYUM, 1966; Andrée M. Hayum, “A new dating for Sodoma's frescoes in the Villa Farnesina”
, The art Bulletin, 48.1966, p. 215–17, in particolare p. 215, nota 12,
LA ROCCA, 2004; Eugenio La Rocca, “Lo spazio negato. Il paesaggio nella cultura artistica Greca e Romana”,
La pittura di paesaggio in Italia. Il Seicento, Milano, 2004, p. 40-44
LUCREZIO; Lucrezio,
De rerum natura, libro I, 80-101; Lucrezio,
Sulla Natura delle Cose: De rerum natura, A. M. Esolen, trad. Baltimore, 1995.
LUGLI, 1938; Giuseppe Lugli, “La pianta dell'antica Casa della Farnesina”,
Mélanges de l'école francaise de Rome, 1938, LV, p. 5-27.
MONUMENTA RARIORA;
http://mora.sns.it.
MOORMANN, 2008; E.M. Moormann,
La villa della Farnesina: le pitture, Milano, 2008
OVIDIO, [ I – 8 d.C.], 2011 “Metamorphoseon Liber XII”, 27-38; Publio Ovidio Nasone, “Le metamorfosi”, trad. di S, Balduzzi, a cura di Serafino Balduzzi, Milano, Cerebro, 2011.
PENTRELLA, 1984; Ruggero Pentrella, “Fabbriche romane del primo'500, Roma”, 1984, p.181-226.
ROMAGNOLI, 1840; Ettore Romagnoli,
Cenni storico-artistici di Siena e suoi suburbii, Siena, 1840.
ROWLAND, 1984; Ingrid Drake Rowland, “The birth date of Agostino Chigi: documentary proof; some panegyrics to Agostino Chigi”,
Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 47, 194-199, 1984, p. 195–96
ROWLAND, 1986; Ingrid Drake Rowland, 'Render Unto Caesar the Things Which are Caesar's: Humanism and the Arts in the Patronage of Agostino Chigi'
, Renaissance Quartely, XXXIX, 1986, p. 673-730, 686-687.
SECCI, 2008; Lia Secci,
Il mito di Ifigenia da Euripide al Novecento,Roma, 2008.
VASARI, 1966-1987; Giorgio Vasari,
Le Vite, Paola Barocchi – R. Bettarini ed.
, VI, Firenze, 1966-1987, IV, p. 318.
VASARI [1550], 1986 e 1991; Giorgio Vasari, “Baldassarre Perucci Sanese Pittore e Architetto”
, Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue, insino a' tempi nostri, Firenze, 1550 ( 1986 e 1991), II, p. 684-685.
VASARI, [1568], 1991; Giorgio Vasari, “Vita di Baldassarre Peruzzi Sanese pittore et architetto”
, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, (1568), 1991, Roma, p. 690.
VENTURI, 1890; Adolfo Venturi,
La Farnesina, Roma, 1890, p. 60.
VITRUVIO, Vitruvio,
De Architectura, VII, 5
WURM, 1987; Heinrich Wurm,
Baldassarre Peruzzi: Architekturzeichnungen, Tafelband, Tubingen, Wasmuth, 1987.
ZANCHETTIN, 2005; Vitale Zanchettin,
Costruire nell’antico. Roma, Campo Marzio 1508-23: Peruzzi, la confraternita di San Rocco e i cantieri intorno al Mausoleo di Augusto, Christoph Luitpold Frommel, Arnaldo Bruschi, Howard Burns, Francesco Paolo Fiore, Pier Nicola Pagliara (a cura di), 'Baldassarre Peruzzi, 1481-1536', atti del seminario (Vicenza, Centro Studi Andrea Palladio, 2005), Venezia, 2005, p. 123-154.
ZIEFER, 2010; A. Ziefer, “Marte e Venere sorpresi da Vulcano: la fortuna iconografica di un affresco perduto di Baldassarre Peruzzi per la Villa Farnesina a Roma”
, Some degree of happyness – Studi di storia dell'architettura in onore di Howard Burns”, Maria Beltramini, Caroline Elam ed., Pisa, 2010, p. 207-233
Cataloghi mostre
Siena 1981-1982: Marisa Forlani Conti ( a cura di), Letizia Franchina,
Sviluppo e variazioni delle attribuzioni a Baldassarre Peruzzi con il mutare del gusto dal secolo XVI al XIX (Siena e dintorni), 'Rilievi di fabbriche attribuite a Baldassarre Peruzzi', catalogo della mostra (Siena 1981-1982), Siena.1982, p. 127 – 141.
Note
1. Il dipinto, olio su tela, misura 61 x 48 cm
2. OVIDIO, [ I – 8 d.C.], 2011, Liber XII, 27-38.
3. EURIPIDE, 2007
4
. LUCREZIO, 1995, libro I, 80-101.
5. Per la ricca bibliografia sull'argomento si rinvia a SECCI, 2008.
6. Nel condividere l'interpretazione di MARCELLO FAGIOLO DELL'ARCO (comunicazione scritta), lo ringrazio per il suggerimento e l'estrema gentilezza.
8. ARISTOTELE, 2003.
9. La nascita nel borgo di Ancaiano è generalmente accettata, anche se tale attestazione ottocentesca risale a Ettore Romagnoli, (ROMAGNOLI, 1840), ove non viene menzionata alcuna fonte.
La famiglia Chigi aveva vasti possedimenti proprio ad Anchiano ( Ancaiano) come in BELLI BARSALI, 1977.
10. Si dovrebbe trattare, a detta di Vasari, di Pietro Antonio di Andrea da Siena, fratellastro dell’artista. Si vedano al proposito VASARI, [1568], 1991, p. 690 e EICHBERG, 2011, p. 64-107.
11. Si confronti VASARI, [1568], 1991, p. 690.
12. VASARI [1550], 1986 e 1991, II, p. 684-685.
13. La zona attorno all’Augusteo era in corso di trasformazione per volontà di Agostino Chigi; al progetto, attribuito ad Antonio da Sangallo e Raffaello, avrebbe collaborato lo stesso Peruzzi. Si vedano EICHBERG, 2011, p. 67, con bibliografia, e ZANCHETTIN, 2005, p. 123-154.
14.VASARI [1550], 1986 e 1991, II, p. 685.
15. Si veda EICHBERG, 2011. Da Giuliano da Sangallo e dal Cronaca il Peruzzi avrebbe appreso la tecnica di rappresentazione nelle proiezioni ortogonali, da Bramante soltanto, invece, altre tecniche peculiari. Si veda FROMMEL, 2005, p. 3-82.
16.VASARI, [1568], 1991, p. 690.
17.
IDEM,[1568], 1991 , p. 691.
18.
IDEM, IBIDEM.
19.
IDEM, IBIDEM, p. 691.
20. Si confronti EICHBERG, 2011, p. 74; FRANCHINA, Siena 1981-1982, p. 127 – 141.
21. Si veda EICHBERG, 2011, p. 74.
22. VASARI, [1568], 1991, p. 691.
23.
IDEM, IBIDEM, p. 691.
24.
IDEM, IBIDEM, p. 693.
25.
IDEM, IBIDEM, p. 694.
26.
IDEM, IBIDEM, p. 692.
27. Peruzzi fu principalmente legato ad Agostino Chigi, cui deve larga parte della fortuna romana.
28. FROMMEL, 1961, I, p.101-103, II, p. 149-174;
IDEM, 2003
29. Soltanto a partire dagli anni Sessanta è stata avviata un'analisi approfondita sull’attività dell’artista; si ricordano fra i i più significativi gli studi di Frommel su Peruzzi architetto della Farnesina e pittore, e altri su Baldassarre trattatista, ingegnere idraulico e militare. Data al 1987 la pubblicazione sui disegni del maestro a cura di WURM, 1987. In occasione delle celebrazioni del Cinquecentenario dalla sua nascita si sono avvicendati mostre e convegni a Siena e Sovicille circa l'attività senese. Ancora al 1987 risale la monografia di FAGIOLO, MADONNA, 1987 e al 2005 gli atti del seminario Christoph Luitpold Frommel, Arnaldo Bruschi, Howard Burns, Francesco Paolo Fiore, Pier Nicola Pagliara (a cura di),Vicenza, 2005, p. 123-154
. Numerosi contributi approfondiscono differenti tematiche inerenti vari aspetti dell’attività svolta, o le singole opere. Da menzionare il recente regesto bibliografico di CERIANI SEBREGONDI, 2011, e, con i saggi già segnalati in queste pagine, quello di FINOCCHI GHERSI, 2014 di cui alla nota s.
30. FINOCCHI GHERSI, 2014, p. 5-20.
31. BRUSCHI, 1987, p. 311-337
32. Si confronti
IDEM, IBIDEM, 1987
33
. Si veda l'accurato studio di BARTALINI, 2013, p. 70-79, con precisazioni e bibliografia.
Il disegno peruzziano del Gabinetto disegni e stampe della Galleria degli Uffizi (inv. 563A) con studi per la decorazione della Sala delle Prospettive e per il letto a baldacchino della camera nuziale è stato valorizzato FROMMEL,1961, p. 50, XI/a. Ad esso si è riferita anche HAYUM, 1966, p. 215–17, in particolare p. 215, nota 12, considerandolo un’ulteriore evidenza per una datazione degli affreschi della camera al 1516–18.
34. L’epigramma latino di Girolamo Borgia sul
Suburbanum di Agostino Chigi è contenuto nel codice Barb. lat. 1903 della Biblioteca Apostolica Vaticana (c. 99v); un’edizione si deve a CUGNONI, 1878, p. 69–70 (con mende), e a ROWLAND, 1984, p. 195–96; per la datazione degli epigrammi si veda BARTALINI, 1996, p. 46, nota 19.
Alla decorazione della Sala delle Prospettive come apparato “neo-antico” ha fatto esplicito cenno GOMBRICH
,[1966 – 1986], 1973, p. 173–74 p. 173–74; si veda inoltre BARTALINI, 1996, p. 48–49;
IDEM, 2013, p. 80-89
35. VITRUVIO,
VII, 5
36. L’allestimento dei marmi antichi nelle camere della Farnesina, ignorato dalla letteratura recente
(FROMMEL, 2003), è analiticamente documentato dall’inventario dei beni redatto dopo la morte di Agostino Chigi, pubblicato da BARTALINI, 1992, p. 25–35 (Appendice II).
37. Per l’identificazione dell’
Arrotino e la sua fortuna cinquecentesca: ivi, p. 38, nota 59;
Monumenta Rariora,
http://mora.sns.it.
Per un riesame delle fonti letterarie cui s'ispirano gli affreschi della camera si rinvia a FAEDO, 1985, p. 27 e s. Per quanto passata sotto silenzio negli studi, l’importante iscrizione alla sommità delle pareti era trascritta ancora da VENTURI, 1890, p. 60. Il testo era il seguente: “
vale et dormi. somnvs enim otivm est animae. felices a miseris in dimidio vitae non differvnt”; lo si confronti con ARISTOTELE, I, 13 [1102b].
38. VASARI, 1966-1987, IV, p. 318. Si confronti con l'edizione del 1550 << e l'adornò di fuori di terretta, con istorie di mano sua, fra le quali ve ne sono molto belle>>. Si veda ZIEFER, 2010, p. 207-233, con bibliografia.
39. FROMMEL, 1961, I, p.17-18;
IDEM, 2003, p.15-16, 23-31, 68, 79. Per un approfondimento e relativa bibliografia inerente la decorazione interna si veda MOORMANN, 2008.
40. Tali frammenti di figure con diversi attributi degli dei sono descritti e riprodotti da FROMMEL, 1967-1968, XI, p. 64, tav. XVIc, XVIIa; ROWLAND, 1987, p. 687, fig. 1; FROMMEL, 2003, p. 29, 80-81, 166, n°14 e n°21.
41. New York, Metropolitan Museum, Accession n° 49.92.53r. 'Villa Farnesina, north façade, with ornamental detailing (recto)', il cui
verso raffigura 'Villa Farnesina, plan and moulding profiles'
Il disegno svolto a inchiostro marrone scuro, gesso nero e con linee incise misura 435 x 570 mm. Provenienza: Georges-Paul Chedanne (French, 1861–1940), before 1940; János Scholz, 1947-1949; Donor: Mr. and Mrs. János Scholz. Si confronti al riguardo ACKERMAN, 1962, p. 243-246, fig.1.
42.
Suburbanum Augustini Chisii. Per Blosium Palladium, Roma, Iacobo Mazochi, 1512. Ed. moderna a cura di Mary Quinlan-Mc Grath,
Blosius Palladius, Suburbanum Augustini Chisii. Introduction Latin Text and English Transaltion, in <<Humanistica Lovaniensia
>>, 39 (1990), p. 93-156.
43. GROSSI– PICCIONE, 1984
44. LUGLI, 1938, LV, p. 5-27.
45. LA ROCCA, 2004, p. 40-44
46.
IDEM,
IBIDEM, 2004, p. 41-42.
47.
IDEM, 2004, p. 43.
48. Si vedano GROSSI-PICCIONE, 1984.
49. Si confronti LUGLI, 1938, V, p. 5-27.
50. Per i dati biografici e documentari relativi ad Agostino Chigi è utile ricorrere ad oggi alla monumentale edizione, commentata da Giuseppe Cugnoni, della biografia del Magnifico composta da Fabio Chigi, CUGNONI, 1878.
Circa il ruolo di Agostino Chigi come committente si confronti ROWLAND, 1986, p. 673-730, 686-687.
51. Ringrazio Gabriele per il suggerimento circa il significato conoscitivo e antropologico dell'iconografia in esame che apre nuovi scenari, utili, si ritiene, ad un'analisi comparata interdisciplinare.
52. DOSTOEVSKIJ,
2005.
Maria Cristina Chiusa