De Chirico e l’arte nella pubblicità

di Mario URSINO
 
Nell’ambito della più vasta produzione illustrativa di Giorgio de Chirico (1888-1978), dai famosi Calligrammes di Guillaume Apollinaire (1930) al testo Mytologie di Jean Cocteau, nel 1934, e prima ancora, nel 1922 la splendida serie di disegni per il volume di Massimo Bontempelli Siepe a Nord-Ovest (oggi conservati a Roma nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna), e alle illustrazioni per l’Apocalisse (1941), per i Promessi Sposi (1964), per l’Iliade (1968), per citare questi suoi lavori più noti, si inseriscono opere che al maestro furono commissionate da importanti aziende a scopo pubblicitario o per copertine di riviste di gusto cosmopolita e internazionale, quali Vogue (foto 1) e Harper’s Bazar, durante il soggiorno dell’artista a New York tra il 1936 e il 1937.
De Chirico, come egli stesso ricorda nelle sue Memorie (1945), accettò di buon grado questi incarichi, ma con una certa riluttanza per l’ambiente di codeste imprese editoriali: “Alcune di queste riviste tra cui Vogue  e Harpers Bazar mi chiesero delle illustrazioni ed io ne feci, ma devo confessare che gli ambienti di quelle riviste, così come altri ambienti ove fomentava lo snobismo dell’eleganza americana, mi sono risultati addirittura antipatici…” p. 211
Nello stesso periodo per la sartoria di Benno Scheiners di New York nella Quinta Strada gli viene commissionato un grande dipinto, Petronio e l’Adone moderno in frack,1936, cm. 335 x 212 (foto 2), che ebbe subito immediata pubblicità su “Time” del 26 aprile 1937. De Chirico conosce anche la celebre creatrice di cosmetici Helena Rubinstein, per la quale crea un altro grande dipinto, Divinità in riva al mare, 1937, cm. 113 x 340,5 raffigurante Pegaso con Hermes, un Bacco fanciullo con palla e cavallino (foto 3) .
In realtà l’esperienza americana di de Chirico fu nel complesso molto positiva, e l’immagine di New York, dopo le prime immediate e malinconiche impressioni all’arrivo: “Appena messo piede sul suolo dell’America sentii una forte nostalgia dell’Europa…” (p. 207), gli fece scoprire il fascino di quella città, per la quale scrisse successivamente il singolare interessante ed articolato testo, Metafisica dell’America, apparso su “Omnibus”, la rivista di Leo Longanesi (8 ottobre 1938), ove, tra le tante osservazioni originali sulle architetture, le strade, le abitudini degli americani, sono abbastanza significative le sue attenzioni alle vetrine di Manhattan: “ci fermammo davanti alle vetrine di librai, degli armaioli, dei mercanti di animali imbalsamati […] davanti a noi si aprono le belle prospettive, le speranze delle giornate brevi e delle camere imbottite di tappeti, di quadri, di mobili e di tanti oggetti […] l’alta metafisica ci appare in tutto il suo splendore”. Sembrano descrizioni dei suoi famosi “interni metafisici”. D’altra parte questa attenzione metafisica per le vetrine de Chirico le aveva avvertite già nella Ferrara del ?16 - ?17, dove fu destinato per il servizio militare, come ricorda nelle Memorie: “ma quello che mi colpì e mi ispirò nel lato metafisico nel quale lavoravo allora, erano certi aspetti di interni ferraresi, certe vetrine, certe botteghe, certe abitudini, certi quartieri, come l’antico ghetto ove si trovavano dei dolci e dei biscotti dalle forme metafisiche e strane” (p. 123). Si vedano, per esempio, Il pomeriggio , 1916, Venezia, Guggenheim Collection, o La rivolta del Saggio, 1916, Londra, coll. Estorick, o Progetto della ragazza, 1916, New York, MoMA, dove invece dei biscotti appare un grosso guanto floscio da lavoro, una scatola di fiammiferi, dei rocchetti per forniture da sartoria, e sullo sfondo, al di là di questa sorta di “vetrina”, uno squarcio di architettura del castello di Ferrara.
Tutta questa premessa per sottolineare la stranezza del pittore più antimodernista del Novecento, dichiaratosi sempre “pictor classicus sum”, che nutriva particolare attenzione per le mercanzie esposte nelle vetrine per poi tradurre in forma poetica e mitologica l’esito dell’accostamento con l’ordinario e il banale.
L’artista, già nel suo più celebre e fantastico romanzo, Ebdomero del 1929,  nella descrizione immaginaria e surreale del suo racconto, ad un certo punto osserva con stupore : “una parola magica brillava nello spazio come la croce di Costantino e si ripeteva fino all’orizzonte simile alla réclame di un dentifricio : «Delphoi!» «Delphoi!»”. De Chirico usa sempre questo termine, réclame  al posto di “pubblicità”, a conferma dell’effetto suggestivo dell’arte della propaganda nella moderna comunicazione, ed è per questo che ha sempre accettato di buon grado la committenza aziendale che trova ulteriori esempi in taluni dipinti e opere negli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1956 esegue cinque interessanti acquarelli per la RAI: Per un concerto del Secondo ProgrammaIl dolce Stil Novo, Vita nei campi, Tarantella napoletana, Arlecchino. Nel 1964, un bel dipinto Natura morta con bottiglia di Stock, per la ditta Stock di Trieste (foto 4), e precedentemente, nel 1961, persino uno scorcio dell’Autostrada del Sole, (Gruppo Iri) (foto 5) .
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I dieci acquarelli per l’IRI
Da questi esempi si comprende come in de Chirico vi fosse un’attitudine e un’ottima disposizione ad accettare la committenza aziendale, proprio per la sua capacità di connettere il messaggio pubblicitario alla sua visione classicheggiante, e spesso formalmente evocata, con soggetti noti e meno noti da racconti mitologici, come nei bellissimi dieci acquarelli per l’IRI. (v. le 10 foto)
È in questo spirito, dunque, che il maestro accolse l’incarico conferitogli dall’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) per illustrare in dieci tavole i vari settori della storica Istituzione, articolata all’epoca in una serie di attività finanziarie: STET (aziende telefoniche), Finmare (attività armatoriali), Finsider (industria siderurgica), Finmeccanica (aziende meccaniche), Finelettrica (società elettrica, poi Enel), Fincantieri (costruzioni navali; poi anche trasportiaerei, Alitalia), la società Autostrade e la RAI (già illustrata da de Chirico, come detto più sopra).
Il maestro, nel suo testo di presentazione per questo lavoro, Il nome IRI, (1961) descrisse accuratamente la logica connessione tra l’immagine elaborata in ciascuno dei dieci acquarelli e il significato riferito ad ognuno degli elementi industriali sopra descritti, aggiungendo, quale premessa, che lui stesso si riteneva soddisfatto utente dei vari servizi forniti dall’IRI (dalla sua banca del gruppo IRI, dal telefono, dalla nave con la quale fece il suo viaggio in America, dall’automobile, dall’autostrada e dalla televisione.
Va ricordato, però, che questa importante committenza fu dovuta all’interessamento di una personalità appartenente all’IRI, nonché amico ed estimatore sia di de Chirico che del fratello Alberto Savinio: si tratta di Fausto Bima (1912-1981), nel Ritratto che ne fece quest’ultimo nel 1949, (foto 6). Bima, già funzionario dal 1941 della storica Istituzione, è stato anche giornalista, scrittore e persino pittore, per aver frequentato gli atelier dei due maestri. È particolarmente significativo che la sua prima opera letteraria, L’Armadio 1944 (foto 7), una raccolta di cinque racconti, edito da Gherardo Casini Editore, Roma, raffigura in copertina un noto dipinto di de Chirico, Mobili nella valle, uno dei soggetti “di invenzione” tra i più felici dell’artista.
La figura di Fausto Bima “costituisce uno dei rari esempi in Italia, di un misurato accostamento e di una felice convivenza fra l’attività economico-finanziaria e la letteratura…”, come si legge nel risvolto di copertina del volume sopra indicato.
La vicenda e la storia del suo lavoro, il profilo biografico, con particolare riguardo ai “rapporti con i fratelli de Chirico” e il relativo carteggio, è ben narrata da Giulia Pastore nel suo contributo, Fausto Bima, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Edindustria, nel volume G. de Chirico. Nulla sine tragoedia gloria, in: Atti del Convegno a cura di Claudio Crescentini, Roma 2002, pp. 425-445.
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Dunque i dieci acquarelli, commissionati dall’IRI nel 1961, sono stati riprodotti in un catalogo a parte IRI de Chirico, realizzato in occasione di quelle giornate di studio Nulla sine tragoedia gloria, (2002), a cura della Direzione Centrale Affari Generali e Relazioni Esterne dell’IRI, appunto da Edindustria di cui era stato Amministratore Delegato lo stesso Fausto Bima. Dai dieci acquarelli, poi, sempre a cura di Edindustria, nel 1962, venne stampata una cartella contenente, in fotolito dagli originali, dieci tavole dedicate all’IRI, evidentemente sempre per iniziativa del Bima, a scopo pubblicitario e divulgativo di questi splendidi lavori del maestro, che oggi costituiscono una vera e propria rarità bibliografica.
Ed ecco come de Chirico racconta con molto compiacimento i suoi dieci acquarelli: “Giove, scrive de Chirico, con i fulmini può ricordare IRI come le industrie produttrici di energia elettrica”; Il cavallo alato, Pegaso, “Facile è l’accostamento degli aerei dell’Alitalia”; L’Officina di Vulcano, “Ed è ancora più facile ravvisare nell’officina di Vulcano gli antenati della Finsider e della Finmeccanica, come Giasone che alle falde del Pelìo costruisce la prima nave, il precursore della Fincantieri ed al tempo stesso, come navigatore a capo degli Argonauti, della Finmare”.
Per Briareo e i ciclopi (figura mitologica con cinquanta teste e cento braccia), a de Chirico fa venire in mente il lavoro dei costruttori delle autostrade e delle ferrovie, mentre per Le Metaforfosi di Aracne (altra singolare figura mitologica che si vantava della sua abilità di tessitrice, poi trasformata in ragno da Minerva, offesa per essere stata sfidata a duello), de Chirico dice che pur “senza arrivare alla tela di Penelope, è quella di tessere, dove l’intelligenza e la mano devono agire di conserva”; per Mercurio messaggero degli dei, “l’accostamento al portavoce di Giove era immediato” per il telefono; curiosamente de Chirico dichiarava in questo testo di adorare la televisione (noi sappiamo che la guardava sempre senza audio), e la considerava “una nuova musa”, e raffigura il composito acquarello, con l’Apollo citaredo, e solo sei delle nove muse: Polimnia, Tersicore, Erato, Euterpe, Melpomene e Talia, “lasciando le altre tre sagge e scienziate” (ovvero Clio, Calliope, Urania), precisando: “Non è quindi per pigrizia o per distrazione che ho disegnato soltanto sei muse, ma a ragion veduta”.
“E per ultimo, conclude de Chirico, ho composto, pensando a Edindustria, la casa editrice che cura le pubblicazioni dell’IRI (un omaggio all’amico Fausto Bima?), la vita silente con il busto di Minerva e i libri. Come tutte le cose che faccio, anche in questi acquarelli ho messo il massimo impegno perché, contrariamente ai critici ed ai pittori astrattisti, (poteva mancare una nota del grande polemista, sia pure in modo così garbato?) sono un lavoratore. E credo sia proprio per questa mia qualità di lavoratore che un grande gruppo come l’IRI si è rivolto a me”. Parole che confermano, a mio avviso, la sensibilità di Giorgio de Chirico nel valore moderno della pubblicità alla quale ben si addice il contributo qualificante dell’arte.

 di Mario URSINO
Roma, 29 settembre 2016