Tempera su tavola
Inventario n. 34
Collocazione attuale
Museo Regionale di Agrigento
Provenienza
Monastero di Santo Spirito
di Gabriella COSTANTINO
L’opera (foto 1), pressoché inedita
[1], proviene dalle raccolte medievali e moderne del
Complesso Benedettino di S. Spirito di Agrigento, fondato, nell’ultimo decennio del XIII secolo, dalla Nobildonna agrigentina
Marchisia Prefoglio, moglie di
Federico I Chiaromonte e progenitrice della potente famiglia che ha avuto un ruolo determinante nella storia della Sicilia del XIV secolo. L’edificio, probabile iniziale luogo di residenza dei
Chiaromonte, fu trasformato in monastero allorquando
Federico, dopo il 1310, realizza la nuova dimora
“Steri grande” nel piano della
Cattedrale. Da quel momento ospitò le suore benedettine dell’ordine cistercense che ancora oggi vi abitano, nella parte che, dopo la cessione allo Stato, a seguito delle leggi eversive, è stata restituita alle religiose nel 1915.
Nell’inventario del 21 giugno
[2] dello stesso anno, curato dall’allora Soprintendente alle
Gallerie di Palermo, Dott.
Cesare Matranga, in occasione della consegna al Comune anche dei beni mobili del
Complesso monastico, risulta descritta al n.59, fra le altre opere, una
Madonna col bambino su fondo oro “
di scuola siciliana, principio del secolo XVI, molto guasta del valore di £.50”
Sempre in quell’anno, la piccola tavola cuspidata, insieme ad un altro dipinto a forma di lunetta, raffigurante l’
Annunciazione, viene trasferita a Palermo per l’intervento di restauro ritenuto necessario dallo stesso
Matranga. Nel Verbale di consegna (15.10.1915)
[3] il dipinto viene descritto: “
Tavoletta cuspidale con bordo rilevato a fondo condotto ad oro. Rappresenta la Madonna a mezza figura che da il seno al Bambin Gesù et in alto, a piccole figure, Gesù crocifisso tra la Madonna e S. Giovanni Evangelista”. Successivamente la tavola viene restituita al
Museo di Agrigento, in occasione della cessione di quattordici opere del
Museo Nazionale di Palermo al
Museo Civico di Agrigento, in cambio della lunetta dell
’Annunciazione, oggi esposta presso la
Galleria Regionale di Palazzo Abatellis[4].
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Il dipinto, sembrerebbe non trovare riscontri in città con opere coeve, differenziandosi sia dal precedente ambito della “cerchia chiaramontana” e dai suoi esiti, che da quello successivo caratterizzato dalle pitture del soffitto ligneo della Cattedrale del 1511-14.
Ciò induce a ipotizzare che possa essere stato portato in dote o commissionato da una delle religiose ad un artista probabilmente non agrigentino. Va ricordato a tal proposito che, a partire dal XV secolo, il nuovo patriziato urbano di Agrigento, fra cui figurano le famiglie Pujades, De Marinis e Montaperto rivolge, la propria prestigiosa committenza architettonica ed artistica (palazzi nobiliari – monumenti sepolcrali), agli artisti più in voga di quel tempo, attivi Palermo e nell'isola, come i Gagini, Andrea Mancino etc.
[5]. Le piccole dimensioni della tavola supportano maggiormente l’ipotesi di utilizzo come arredo di un piccolo altare, cappella privata o come capezzale.
Il dipinto però presenta formali riscontri iconografici con la
Madonna che allatta il bambino (
Galactotrophusa) (foto 2), di Ignoto, degli inizi del XV sec. del
Museo Regionale di Messina (già presso la
Chiesa di S. Pelagia) che
Francesca Campagna Cicala[6] accosta alla Madonna dei Miracoli della Chiesa Parrocchiale del Villaggio Sperone di Messina (foto 3), riscontrando in entrambe “
elementi di una concezione per alcuni versi autoctona che denota un linguaggio autonomo attribuibile a botteghe locali”, che a Messina, pur risentendo degli influssi toscani e spagnoli mediati dalla cultura veneta e adriatica, “
mostrano un deciso orientamento verso l’area orientale del mediterraneo”.
Da puntuali riscontri documentari
[7] sappiamo che nel 1436 la Badessa del Monastero di S.Spirito è una nobildonna messinese,
Cecilia Spatafora, figlia di
Antonio Rosso Spatafora, Conte di
Sclafani e Caltavuturo, presidente del regno di Sicilia durante l'assenza del
Vicerè LOPXIMEN Durrea e di
Maria Porcu, erede di una nota e ricchissima famiglia della città dello stretto. Il dipinto è da mettere in relazione con la sua dote o comunque con i beni portati al
Monastero da suore benedettine, che in quegli anni, come è stato riscontrato, provenivano numerose da Messina
[8], dov’è radicata una grande
tradizione Basiliana.
Si tratta infatti di un tema caro all'iconografia benedettina, in riferimento ad un inciso dell'ultimo capitolo della
Regola di San Benedetto relativo alla “
Regula Sancti Patris Nostri Basilii”
[9]. Anche per questa
Galactotrophusa di Agrigento, come per le altre succitate, i cui caratteri iconografici e stilistici sono riconducibili ad ambito mediterraneo, si ritiene di poter ipotizzare una produzione siciliana. Nel dipinto infatti è facile cogliere,
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nell’essenzialità volumetrica delle figure esaltate dalla luce che si irradia sul fondo, e che conserva tratti marcatamente espressivi esitando in un più maturo realismo, una componente che si orienta verso la produzione centro-italiana, dove la naturalistica vivacità del bambino, rappresentato nel momento di un confidenziale slancio affettuoso che traspare dallo sguardo, ci suggerisce reminiscenze toscane, in particolare duccesche. La
Vergine avvolta da un sobrio manto scuro, impreziosito da sporadiche lumeggiature dorate che lasciano intravedere la veste rossa, abbraccia teneramente il figlio pur rimanendo chiusa in uno sguardo statico e atemporale.
Nel panorama artistico agrigentino, questa piccola tavola rappresenta, dunque, un “unicum”, anche se va segnalato nel territorio di Licata un affresco raffigurante la
Madonna col Bambino (foto 4), peraltro molto deteriorato, databile alla prima metà del XIV secolo (una più puntuale datazione è rinviata ad avvenuto restauro), che presenta affinità iconografiche col piccolo dipinto di Agrigento (che ipotizziamo importato da Messina), esempio interessante anche questo di confluenze tra iconografia occidentale e orientale, in origine una
Sacra Famiglia, ed infatti accanto si intravede la figura del
San Giuseppe.
L'affresco, che si trova in una chiesetta rupestre dedicata a S. Giovanni, struttura ipogeica bicamerale legata al culto dei Monaci Basiliani, radicati nel territorio, cui si attesterebbe verosimilmente la committenza, è da mettere in relazione, sebbene presenti forme più arcaiche, con le opere di uguale soggetto di Messina, città anch’essa portuale che registra una forte presenza di Monaci “
legislatori del monachesimo orientale”
Si tratta come già detto di un motivo iconografico caro a questo ordine, che circola a partire dalla metà del XIII secolo e fino al XV, anche in contesti rupestri, per lo più in quella parte della Sicilia centrosud-orientale dove pregnante è la loro attività di contatto con la società civile in termini di formazione morale.
La
Tavola di Agrigento, invece, pur rimanendo legata per certi versi alla tradizione bizantina della
Galactotrophusa, mostra tuttavia una storia stratificata ed eclettica nella composizione stessa, espressione di integrazione culturale fra oriente ed occidente, che vede ancora sovrapporsi sulla cuspide una più tarda crocifissione, che occulta in parte la maestosa aureola finemente puntinata della Vergine, di scuola differente, legata a esiti tardi della “cerchia Chiaromontana” che dallo Steri palermitano migra agli affreschi del
Monastero di Santo Spirito, per approdare, in epoca successiva (primo decennio del XVI secolo), alla decorazione pittorica del soffitto ligneo della
Cattedrale di Agrigento.
di
Gabriella COSTANTINO 24 / 10 / 2016