213252326-377f3136-04cf-4a9f-a73f-d23a7b5612dcE’ freschissimo di stampa il tomo ponderoso (e davvero superbo sotto il profilo editoriale) che Nicola Spinosa ha dedicato a Bernardo Cavallino (Grazia e tenerezza “in posa”. Bernardo Cavallino e il suo tempo 1616-1656, Ugo Bozzi Editore, Roma 2013). Si tratta di un lavoro imponente su un pittore di superba qualità ma poco premiato dagli studi pur fervidissimi intorno alla pittura napoletana del Seicento, e il cui ultimo affondo monografico risaliva al 1983-84, gli anni della mostra monografica che portò un gruppo consistente di sue opere a Cleveland, Fort Worth e infine a Napoli, giusto in coincidenza con la monumentale rassegna Civiltà del Seicento a Napoli.


Il volume, che News-art recensirà a breve, analizza tutte le questioni critiche rilevanti poste dall’opera di Cavallino (sul quale purtroppo scarseggiano i punti di riferimento documentari), riservando ampio spazio al necessario inquadramento del contesto artistico in cui egli operò e ai pittori con cui ebbe gli scambi più proficui: da Vaccaro a Falcone, da Vouet a van Somer, da De Bellis a Guarino, da Spadaro ad Artemisia Gentileschi. Il catalogo dei dipinti (la maggior parte dei quali sontuosamente riprodotta a colori) ha portato a 133 le opere autografe di Cavallino (quasi il doppio rispetto alla settantina scarsa elencata nel catalogo della mostra del 1983-’84), e opportunamente si è scelto di aggiungere anche un catalogo dell’opera grafica (a cura di Cristiana Romalli) che registra 8 disegni autografi più un foglio assegnato al suo ambito.

coverIn coincidenza con l’uscita del volume, parliamo dunque di questa sua ultima fatica col Prof. Spinosa, che ha distillato nell’impresa i frutti di una pluridecennale assiduità di studioso con la pittura napoletana del Seicento e di una specifica familiarità con Bernardo Cavallino.

D. Per cominciare le chiederei di fornirci le coordinate generali di questo lavoro imponente, dal punto di vista della struttura, dell’impostazione e degli obiettivi critici.

R.  Il libro su Cavallino, che mi è costato quattro anni di lavoro, costituisce per me una sorta di revanche, in quanto proprio questo tema, Bernardo Cavallino e la pittura del suo tempo, fu l’argomento della mia tesi di laurea nel 1961. Com’è noto, però, c’erano allora a Napoli illustri studiosi del Seicento, a cominciare da Raffaello Causa e Ferdinando Bologna, che esercitavano una sorta di esclusiva su quegli argomenti e mi si consigliò di lasciare da un canto Cavallino e dedicarmi ad altro. Fu così che diressi i miei studi verso l’arte medioevale, occupandomi della miniatura del periodo svevo. Nuovamente mi fu suggerito di abbandonare anche quel campo di ricerca, giacché se ne stava occupando Ferdinando Bologna nel primo capitolo del suo importante lavoro sui pittori alla corte angioina di Napoli. Su suggerimento di Giulio Carlo Argan passai allora ad occuparmi di Domenico Mondo, pittore della cerchia di Francesco Solimena all’epoca quasi sconosciuto. Anche in quel caso mi si disse che c’era già chi stava studiando da molto tempo i pittori napoletani del Settecento, ma stavolta decisi di non desistere e ho continuato ad occuparmi di questo vasto argomento fino alla fine degli anni ‘80.
fig_85JPGScomparso Raffaello Causa nel 1984, dopo che avevamo organizzato assieme nel 1982 la mostra La pittura a Napoli da Caravaggio a Luca Giordano (Londra, Washington, Parigi e Torino), tornai a occuparmi assiduamente di Seicento e in particolare di Ribera. Una volta andato in pensione, non volendo occupare il mio tempo leggendo il giornale ai giardini comunali di Napoli, e non essendomi stata concessa alcuna possibilità di continuare a svolgere attività nella e per la mia città, ritenni che era giunto il momento di recuperare la mia passione giovanile per Bernardo Cavallino, un pittore che per temperamento e sensibilità è profondamente diverso da me: tanto garbato e pieno di dolcezza lui, come pittore, quanto sanguigno e irruento sono io, temprato da quarant’anni di soprintendenza a Napoli. Grazia e tenerezza “in posa” (spiegherò poi perché “in posa”), è infatti il titolo che ho scelto per il mio volume.

D. Se non erro il testo di riferimento riguardo a Cavallino era ancora, sino a oggi, il catalogo della mostra monografica dedicata all’artista nel 1983-84…

R. Quella mostra è stata fondamentale, un punto di approdo per gli studi sul pittore. Ovviamente si trattava di un Cavallino rispondente al profilo che gli studi avevano delineato sino a quel punto, in cui si proponeva un catalogo di circa 70 dipinti e alcune scoperte di una certa importanza. A partire da quella base fondamentale ho cercato di precisare meglio la personalità dell’artista, ma soprattutto di vederla e ricostruirla alla luce del contesto in cui egli visse e operò, che chiaramente nella mostra di Cleveland, Fort Worth e Napoli non poteva che restare sullo sfondo.

fig_86JPGSi trattava, quindi, di attribuire il giusto rilievo sia ai pittori della generazione precedente ai quali Bernardo aveva certamente guardato con attenzione, come Battistello Caracciolo, Ribera, Stanzione, Artemisia Gentileschi, Aniello Falcone; sia ai pittori della sua stessa generazione, come Domenico Gargiulo e Giovan Battista Spinelli, e ai forestieri come Hendrik Van Somer e Heinrich Schönfeld. Chiarire il contesto mi sembrava particolarmente importante, proprio perché Cavallino rischia di apparire, con la sua grazia e finezza pittorica, un isolato nella Napoli di quegli anni, in cui, da un lato, spiccavano ancora le tendenze naturalistiche legate a Ribera (che era ancora vivo); dall’altro, si andavano affermando Massimo Stanzione e i pittori legati al classicismo emiliano di marca reniana: senza dimenticare che era ancora rilevante l’eredità del tardo manierismo. E basti pensare che Belisario Corenzio è attivo sino alla fine dgli anni ‘40.
Nello stesso quinto decennio, per di più, si affaccia tutta una serie di pittori che cercano di mediare fra naturalismo e classicismo (possiamo citare Andrea Vaccaro, Antonio De Bellis e Francesco Guarino): segno che evidentemente si era formata una committenza il cui gusto non desiderava più scene violentemente realistiche (sangue e arena!), né Madonne addolcite di tipo pietistico, ma che voleva nelle proprie case dipinti in cui sia il soggetto sacro, sia il tema profano fossero rappresentati in modi mondani, aulici, estremamente raffinati. Alcune composizioni di Cavallino sembrano in effetti precorrere una sensibilità che si affermerà nel primo Settecento, in connessione con fenomeni come l’Arcadia e il teatro di Pietro Metastasio, e che ritroviamo per esempio nella pittura di Francesco de Mura. Oltre a puntare su una ricostruzione aggiornata del catalogo di Cavallino, ho cercato, dunque, di chiarire meglio i fitti rapporti che egli intrattenne con gli artisti attivi a Napoli prima di lui e accanto a lui.

fig_110JPGIn particolare nel mio lavoro emergono elementi significativi di novità rispetto alla mostra di trent’anni fa e all’attuale stato degli studi sul pittore, basati sul riesame di taluni documenti d’archivio e anche sulla riconsiderazione critica di alcuni aspetti della sua produzione. Innanzitutto mi è sembrato importante dare il giusto peso al fatto che oggi si è chiarito che Cavallino fu figlio di un sarto molto famoso e ricercato (attivo addirittura per la famiglia Farnese) e commerciante di stoffe preziose. È evidente che Cavallino fin dalla più tenera età fece esperienza quotidiana di tale preziosità dal punto di vista cromatico, materico, luministico: qualità che poi divennero tra le più caratteristiche della sua pittura. Un secondo aspetto interessante dal punto di vista documentario è che per ben due volte nella carriera del giovane Cavallino compare la figura del pittore Aniello Falcone. È questo un elemento di grande importanza se consideriamo che Falcone proveniva da una formazione naturalistica, che a Napoli significava soprattutto Ribera, ma in seguito nei suoi soggiorni romani, alla fine degli anni Venti, era entrato in contatto da un lato con i pittori neo-veneti, come Poussin, Pietro Testa, Pietro da Cortona, dall’altro col giovane Velazquez. Dunque era un pittore estremamente aggiornato e al corrente di tutte le principali tendenze dell’arte dell’epoca. Nella carriera di Cavallino egli compare una prima volta quando di fronte al tribunale napoletano della vicaria egli attesta che Bernardo e i fratelli Leonardo e Tommaso sono effettivamente i legittimi eredi della madre: ciò che testimonia una notevole familiarità fra i due pittori. C’è poi un secondo episodio documentato, non meno importante: quando nel 1636 Bernardo Cavallino chiede l’autorizzazione ad aprire una propria bottega, Falcone si fa garante della formazione ormai completa del pittore, legittimando la richiesta formulata da quest’ultimo. Il che significa che Falcone dovette avere un ruolo importante anche nella formazione di Cavallino.

fig_123JPGAlla fine degli anni ’30, inoltre, Cavallino collaborò probabilmente con altri due protagonisti della scena artistica napoletana: Andrea Vaccaro e Artemisia Gentileschi. Ma quello che colpisce soprattutto nella produzione della prima maturità del Cavallino, a partire dagli anni ’40, è proprio la preziosità coloristica, che rivela la conoscenza - oltre che della pittura di Artemisia - di Simon Vouet, Poussin e Grechetto: di quei pittori, cioè, che operarono un recupero della grande pittura veneziana del Cinquecento, in particolare di Tiziano e di Paolo Veronese.
C’è ancora un altro aspetto che ho cercato di evidenziare in questo lavoro ed è il rapporto di Cavallino, ma non solo suo, col mondo del teatro contemporaneo, a cominciare da alcuni soggetti prediletti dal pittore, come Ester e Assuero e le storie di Tobiolo, oltre a episodi tratti dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, che in quegli anni sono spesso rappresentati a teatro. A Napoli, del resto, già dalla fine del Cinquecento si sviluppa una grande tradizione teatrale, con rappresentazioni nelle case patrizie e anche a Palazzo Reale, dove risiedevano i viceré. Vediamo, così, che vengono messe in scena opere dello spagnolo Lope de Vega in cui ritroviamo molti dei soggetti ricorrenti nei dipinti di Cavallino. Aggiungo che in questi ultimi si adotta preferenzialmente un punto di vista rialzato rispetto al riguardante, un po’ come se questi fosse seduto in platea e osservasse la scena visualizzata dal quadro su un palcoscenico di teatro. La stessa illuminazione, attentamente predisposta da Cavallino in modo da esaltare gli aspetti cruciali della narrazione, richiama le luci teatrali.

Cavallino non è un pittore di forti tensioni etiche o spirituali: quello che maggiormente gli interessa nella rappresentazione dei personaggi è far emergere la tenerezza, la grazia di espressione, il garbo degli atteggiamenti e dei comportamenti. Ecco giustificato il titolo del mio libro: Grazia e tenerezza “in posa”. Del resto la pittura di Cavallino ben si spiega nella Napoli dell’epoca, attraversata, allora come oggi, da eventi drammatici e forti, o perfino estreme, tensioni sociali. Basti pensare alla cosiddetta rivolta di Masaniello, quando la popolazione napoletana si ribellò al potere centrale spagnolo per le eccessive tassazioni.
Contraltare di questi conflitti e di questa esasperazione sociale fu allora il bisogno di recuperare un’intimità domestica e il bisogno di vedere rappresentata la dolcezza dei rapporti umani, in particolare di quelli amorosi. Se le peculiari caratteristiche espressive della pittura di Cavallino ne fanno un isolato nel contesto napoletano degli anni '40 e '50 del Seicento, d’altro canto ne fanno un anticipatore della fragilità emotiva, della grazia delicata e della delicatezza sentimentale che si affermeranno nella cultura e nell’arte a Napoli al principio del Settecento, in pittura, per esempio, con Corrado Giaquinto e Francesco De Mura, ma anche nella porcellana policroma e nel teatro con Pietro Metastasio.

fig_36JPGLa mia monografia non ha assolutamente la presunzione di stabilire il catalogo completo definitivo del pittore: sappiamo o dovremmo sapere tutti che ogni monografia è un’opera aperta, un lavoro “in progress” soggetto ad aggiunte e cambiamenti (come la mia esperienza con Ribera mi ha ben insegnato). Naturalmente nel volume sono schedate tutte le opere di Cavallino che io ritengo autografe, ma, ripeto, nella consapevolezza che non si tratta veramente di un catalogo completo e che dopo la pubblicazione emergeranno nuovi Cavallino sul mercato internazionale o da musei dove magari si trovavano conservati con altre attribuzioni.

D. In questa sua riflessione colgo anche un’indicazione di metodo che purtroppo non trova sempre adeguata udienza presso gli storici dell’arte…

R. Troppo spesso si scrivono saggi, articoli e volumi più nell’ansia della carriera che per una reale esigenza scientifica o perché si hanno novità importanti da comunicare, e la fretta di procedere impedisce l’adeguato approfondimento e la necessaria riflessione, o perfino il ripensamento, delle proprie opinioni. Così come per esempio, nel mio caso, mi è capitato di fare a più riprese a proposito di Ribera, nelle varie edizioni che ho pubblicato del suo catalogo ragionato. La pressione dei concorsi, l’ambizione di raggiungere più alti obiettivi istituzionali e sociali, rischiano di porre in secondo piano quegli obiettivi di conoscenza che dovrebbero essere assolutamente prioritari per uno studioso. Ma questo naturalmente non accade solo nel campo della storia dell’arte. In ogni caso bisogna essere consapevoli fino in fondo che la conoscenza non può essere limitata: essa è un libro aperto che lo studioso deve sempre impegnarsi ad arricchire.

D. Torniamo a Cavallino: lo stato della nostre conoscenze documentarie sul suo conto è purtroppo ancora gravemente deficitario e le lacune investono anche la data della sua morte, che si presume essere avvenuta nel 1656, l’anno della peste che colpì duramente Napoli: ma anche su questo non abbiamo elementi di certezza assoluta.


fig_147JPGR. Cavallino è un pittore che non ha lavorato per edifici pubblici; si conosce un'unica opera che egli eseguì per una committenza ecclesiastica (sebbene oggi conservata presso il museo di Capodimonte), la Santa Cecilia in estasi, del 1645, per l’altare della piccola chiesa annessa al monastero di Sant’Antonio in Portalba: e questo è tutto per quel che riguarda la sua produzione pubblica. Cavallino doveva essere considerato un pittore ideale per opere destinate alle dimore gentilizie o al più in cappelle o oratori privati, e comunque la sua attività si è svolta quasi per intero al servizio di committenti privati: circostanza che chiaramente rende assai problematico per noi oggi il reperimento di materiale documentario. Quanto alla data di morte, essa viene fissata al 1656 sulla base di alcuni elementi indiziari: sappiamo ora che egli fu attivo ben dentro il sesto decennio del XVII secolo, ma non abbiamo alcuna testimonianza su di lui dalla fine degli anni ‘50. È inoltre ben documentato come molti pittori residenti a Napoli (per esempio Pacecco De Rosa) restassero vittima della pestilenza di quell’anno.

D. Ci sono a suo avviso delle ragioni specifiche che giustificano il silenzio su Cavallino da parte delle fonti della pittura napoletana fino alle Vite del De Dominici (Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, 3 voll., Napoli 1742-1745), quasi un secolo dopo la sua morte?

R. Bernardo De Dominici ebbe una grande fortuna, che noi purtroppo non abbiamo: poté visitare le case dei collezionisti privati prima della vera e propria diaspora delle grandi raccolte napoletane che si verificò nell’Ottocento, soprattutto a seguito della caduta del Regno delle Due Sicilie. Ebbe così modo di individuare ancora sulle pareti degli appartamenti gentilizi molti dipinti del Cavallino, che in seguito sono andati dispersi nei musei, nelle collezioni private e sul mercato internazionale.
Ritengo che il silenzio della letteratura che precede De Dominici si giustifichi essenzialmente con le peculiarità più volte ricordate dell’attività di Cavallino, legata pressoché esclusivamente a destinazioni private. Tutta la fitta produzione di guide di Napoli prodotta a partire dalla fine del Seicento prendeva in considerazione solo le opere che si trovavano all’interno di sedi visitabili, limitandosi al massimo a fare riferimento ad alcune delle collezioni private più celebri e agevolmente accessibili per il turista colto. Consideriamo anche che, con rare eccezioni, i principali committenti di Cavallino non furono né collezionisti di altissimo rango né gli aristocratici più importanti. Egli lavorò, in effetti, soprattutto per una nobiltà di medio calibro, la nuova aristocrazia che si era arricchita nel corso dei secoli precedenti attraverso il commercio, e poi gli intellettuali e i togati: ciò che rese evidentemente arduo trasmettere una vivida memoria di quelle opere.

D. Vorrei chiudere questa nostra chiacchierata con due ultime questioni: una prima, più personale, legata ai suoi prossimi progetti di studioso; una seconda, più generale, legata a quelli che secondo lei sono ancora gli aspetti da mettere pienamente a fuoco, o particolarmente bisognosi di approfondimento, nella pur tanto studiata pittura napoletana del XVII secolo.

fig.151JPG(1)R. La cosa che amerei fare maggiormente anche nel futuro è occuparmi della mia città: dei suoi musei, delle sue chiese, del suo straordinario patrimonio di beni artistici. Poiché temo che attualmente ciò sia pressoché impossibile, per ragioni che non staremo qui a elencare, dovrò “ripiegare” dedicandomi all’organizzazione di mostre in altre città e altri contesti, e all’approfondimento di alcuni aspetti della pittura napoletana fra Sei e Settecento che mi sembrano ancora meritevoli di essere indagati (e in qualche rispondo così anche al secondo dei suoi quesiti). In particolare sto meditando di avviare due ricerche: una prima, relativa ad Aniello Falcone e alla sua bottega, un fenomeno molto importante nella Napoli di metà Seicento che ci consente di mettere pienamente in luce dinamiche produttive di assoluta importanza, non solo a Napoli. Falcone non fu solo un pittore di battaglie, ma dalla sua bottega passarono grandi specialisti di natura morta, come Paolo Porpora, e pittori del rango di Andrea De Lione e Salvator Rosa.
In secondo luogo, vorrei riprendere in mano l’importante monografia di Ferdinando Bologna su Francesco Solimena, che risale all’ormai lontano 1958, per rivedere la figura di questo artista importantissimo alla luce degli studi più recenti e delle ultime acquisizioni critiche: da un lato, cercando di rimettere ordine nella sua produzione giovanile, dall’altro provando a fare luce sul suo ambiente e sulla sua bottega, affollatissima di giovani pittori e dove operarono personalità di primo piano come Francesco De Mura.
Luca Bortolotti, 30/11/2013

129Nicola Spinosa è stato Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Napoli dal 1984 al 2009 e dal dicembre 2001 al settembre 2009 Soprintendente per il Polo Museale Napoletano. Dal 1992 al 2010 è stato docente di Museologia e Storia del Collezionismo presso l'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli. Ha progettato e diretto la realizzazione del nuovo allestimento delle raccolte d’arte dei musei di Capodimonte, di San Martino, del Museo Duca di Martina, del Museo Pignatelli. Ha curato la realizzazione del nuovo Museo del Novecento a Napoli nel Castel Sant'Elmo.
Ha partecipato alla realizzazione delle principali mostre curate dalla Soprintendenza a Napoli, in Italia e all’estero, dal 1979 al 2011. Tra esse ricordiamo: Civiltà del '700 a Napoli; La pittura napoletana da Caravaggio a Luca Giordano; Civiltà del '600 a Napoli; Bernardo Cavallino e il suo tempo; All’Ombra del Vesuvio. La veduta a Napoli dal '400 all’'800; Jusepe de Ribera; Sulle ali dell’aquila imperiale. Le arti a Napoli al tempo del Viceregno austriaco; I Farnese. Arte e Collezionismo; Luca Giordano; Civiltà dell’'800 a Napoli; Micco Spadaro; Gaspare Traversi; Caravaggio. L’ultimo tempo 1606-1610; Salvator Rosa tra mito e magia; Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli; Il giovane Ribera tra Roma, Parma e Napoli 1608-1624.
Fra le sue numerose pubblicazioni ci limitiamo a segnalare: Spazio infinito e decorazione barocca, in "Storia dell’arte italiana", Torino 1981; Pittura napoletana del Seicento, Milano 1984; Ribera, ultima ed. Madrid 2008; Pittura del Seicento a Napoli, 2 voll., Napoli 2010 e 2011.

Nicola Spinosa, Grazia e tenerezza “in posa”. Bernardo Cavallino e il suo tempo 1616-1656
Ugo Bozzi Editore, Roma 2013
Volume rilegato, in cofanetto, cm 27,5 x 24,5
550 pagine, 500 illustrazioni e tavole, 200 a colori
€ 260