LA SPINA.

DALL'AGRO VATICANO A VIA DELLA CONCILIAZIONE


22 luglio - 20 novembre


“Un viaggio attraverso lo straordinario patrimonio della memoria invisibile di Roma”: così il Sovrintendente Capitolino ai Beni Capitolini Claudio Parisi Presicce ha voluto definire la mostra, di cui egli è curatore insieme alla dottoressa Laura Petacco, che reca il titolo “La Spina. Dall’Agro Vaticano a Via della Conciliazione”, che si potrà ammirare presso i Musei Capitolini di Roma dal 22 luglio al 20 novembre 2016. Nell’anno del Giubileo della Misericordia, in cui gli occhi e gli animi dei numerosi pellegrini provenienti dal tutto il mondo sono rivolti a San Pietro, Roma Capitale, l’ Assessorato alla Crescita culturale e la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con la collaborazione a livello organizzativo di Zètema Progetto Cultura, hanno scelto di far riscoprire i luoghi che conducono alla Basilica di San Pietro, raccontandone le profonde trasformazioni dall’antichità fino al Giubileo del 1950, anno in cui ne venne completato l'arredo urbano.                                                                                                         
Filo conduttore di questo racconto è la Spina, che assume due significati: il primo è quello di toponimo derivante dalla forma allungata dell’isolato rinascimentale, oggi scomparso, compreso tra lo spiazzo di fronte a Castel Sant’Angelo e quello antistante alla Basilica, mentre il secondo è quello di “corpo estraneo” che, con le demolizioni, è stato estratto dal tessuto connettivo della città. Infatti, dalla demolizione della Spina dei Borghi è nata l’attuale via della Conciliazione, che sia materialmente che simbolicamente pose fine al dissidio tra Stato e Chiesa avvenuta grazie alla firma dei Patti Lateranensi nel 1929.
La mostra è stata strutturata secondo un approccio multidisciplinare, in quanto destinata alle diverse tipologie di studiosi e pubblico, e ha coinvolto le più variegate forme artistiche, ossia cartografie storiche, reperti archeologici (diverse sono le are funebri), materiali architettonici (per lo più provenienti dalle ville suburbane e dagli horti imperiali), sculture (rinomate quelle della collezione del Cardinale Federico Cesi), frammenti di affreschi staccati, vedute a stampa, dipinti (come quelli di G. van Wittel, H. van Cleef, E. Roesler Franz, T. Tomassini), fotografie (di R. Moscioni e U. Sciamanna) e plastici, alcuni dei quali mai esposti prima. Tutto ciò è stato organizzato al fine di creare un’esposizione cronologica suddivisa in tre sezioni intitolate Prima della Spina, La Spina dei Borghi, Cavare la “spina” a San Pietro.
Dopo un inizio “immersivo” tramite una videoinstallazione a cura dell’istituto LUCE (con la regia di R. Sejko) e una prima localizzazione topografica dei luoghi su cui si focalizza l’esposizione, la prima sezione citata ci mostra il territorio, che poi sarebbe diventato la Spina dei Borghi, dalle sue più antiche origini storiche. Dopo il fallito tentativo di Giulio Cesare di includere l’area all’interno del Campo Marzio, ossia nel centro civile e politico di Roma, esso iniziò a suscitare una forte attrazione urbanistica a partire dalla prima età imperiale quando divenne sede di sontuose ville suburbane, come quelle di Agrippina e Domizia, e di vari monumenti funerari, dei quali oggi abbiamo importanti testimonianze attraverso il mausoleo di Adriano e le necropoli vaticane. Inoltre, proprio in età imperiale, e precisamente alla fine del IV secolo, nacque la denominazione di Vaticanum attribuita all’area che all’inizio ebbe una valenza pagana come luogo di culto dedicato alla dea Cibele, compresente e poi soppresso dall’affermarsi del Cristianesimo. Poi, nell’alto medioevo la zona divenne un agglomerato urbano dove risiedettero i pellegrini germani (burgs era il termine con il quale quest’ultimi indicavano l’area sacra sviluppatasi attorno alla Basilica di San Pietro) e, sotto papa Leone IV, la zona venne cinta di mura e assunse i caratteri di una cittadella fortificata dal nome civitas Leoniana.
Dopodiché, con la sezione successiva si seguono le tappe intercorse tra la “nascita” e la “morte” della Spina, cioè dall’apertura di via Alessandrina (poi Borgo Nuovo) nel 1499 alla realizzazione di via della Conciliazione (1936-1937). Nell’età rinascimentale, da nucleo fortificato il Borgo si trasformò in un complesso di palazzi di alti prelati e addetti alla curia, centro del potere pontificio. Ma per notare un intervento urbanistico significativo bisogna attendere il 1852, quando l’architetto Luigi Poletti operò la sistemazione di piazza Pia “avanti Castello(Castel Sant’Angelo), resa necessaria anche dalla questione del raccordo tra il complesso basilicale e la Spina posta dal colonnato realizzato nel 1657 da Gian Lorenzo Bernini, elogiata da Stendhal nel 1927 quando lo definì come “la perfezione dell’arte” e che per l’attore Alberto Sordi (del quale è proposta una video intervista) fu un vero e proprio “un colpo di scena da rimanere a bocca aperta” in occasione del Giubileo del 1925  
Quindi la terza sezione della mostra dal curioso titolo Cavare la “spina” a San Pietro si occupa di esaminare i diversi progetti elaborati riguardo all’accesso a San Pietro. Il problema venne risolto tra il 29 ottobre 1936 e l’8 ottobre 1937, quando a seguito dei Patti Lateranensi Mussolini e papa Pio XI promuovono la distruzione dell’intero isolato compreso tra Borgo Vecchio e Borgo Nuovo. A tal proposito, sarà interessante l’osservazione di un inedito plastico in gesso realizzato per i progettisti M. Piacentini e A. Spaccarelli dalla ditta Bucci durante quegli anni allo scopo di illustrare il nuovo assetto di via della Conciliazione, che è stata ed è ancora oggi oggetto di discussioni tra gli studiosi (per esempio l’architetto Leonardo Benevolo ha criticato la cancellazione del Borgo della Spina, in cui coesistevano monumentalità e quotidianità, tono aulico e popolare).
Dunque, una mostra sull’affascinante storia di un pezzo di Roma sconosciuta ai più e fondamentale per capire e riflettere su ciò che ha plasmato nel profondo il cuore urbanistico e non solo della cristianità contemporanea.
Roma 21 / 7 / 2016                                                Rosella Verdolotti