Giovanni Cardone Dicembre 2024
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulle Riviste Italiane del Primo Novecento apro il mio saggio dicendo : Per avere un’idea concreta della funzione attiva delle riviste, intese come spazio e come ambiente letterario, basterebbe pensare al ruolo da esse svolto nella storia compositiva ed editoriale di uno dei capolavori che a inizio secolo sconvolgono la tradizione del romanzo europeo, l’Ulisse (Ulysses, 1922) di James Joyce. Le riviste inglesi e francesi non solo permettono all’inquieto maestro irlandese di presentare alla comunità internazionale i primi risultati del suo lavoro, ma si comportano anche come voci in grado di influenzare, se non la nascita di un testo, certamente la sua vita e la sua identità socio-culturale. Sebbene, infatti, Joyce cominci a lavorare seriamente al romanzo fin dal 1914, la stesura segue un ritmo molto irregolare fino al 1918, quando Margaret Anderson e Jean Heap accettano di pubblicarlo a puntate sulla “Little Review”, un periodico assai diffuso in Inghilterra e in America.
Da quel momento Joyce comincia a lavorare sul testo con intensa assiduità, impegnandosi per completare ogni episodio in tempo per l’uscita dei numeri della rivista. Egli si sforza di mantenere la cadenza regolare delle pubblicazioni perché nutre la speranza che l’interesse suscitato dalla comparsa periodica porti a un’edizione inglese del romanzo. Per certi versi accade di meglio, perché dopo la pubblicazione di quattro numeri la “Little Review” viene sequestrata e denunciata per diffusione del vizio, scatenando così un intenso botta e risposta di critiche e recensioni sulle principali riviste dell’epoca, da “The Dial” alla “English Review” di Ford Madox Ford, il che permette all’intraprendente editrice Sylvia Beach, attiva a Parigi, di cavalcare lo scandalo, trasgredendo i divieti e montando una vera e propria campagna stampa al fine di favorire la pubblicazione di
Ulysses, avvenuta nel febbraio del 1922 per la casa editrice parigina Shakespeare and Company. In seguito, mentre la Beach continua a istigare i critici più ascoltati come lo stesso Madox Ford passato alla “Transatlantic Review”, il caso attira l’attenzione di alcune delle principali riviste francesi, arbitre del gusto letterario europeo fin dall’Ottocento. Prima la quasi centenaria “Revue des Deux Mondes”, seguita dal “Mercure de France”, la rivista fondata nel 1889 e frequentata prima da Jules Renard e Alfred Jarry, e poi fra gli altri da Proust, Apollinaire e Léautaud, che pubblica un articolo di Ezra Pound su Joyce e Flaubert, finché, nell’aprile del 1922, un esauriente saggio sugli enigmi di
Ulysses pubblicato dallo scrittore francese Valery Larbaud sulla principale rivista letteraria francese del secolo, la “Nouvelle Revue Française”, dà una sostanziale conferma dell’importanza di Joyce nelle lettere contemporanee, aprendo la strada a numerose ristampe parigine del romanzo. La “Nouvelle Revue Française”, fondata nel 1909, si impone subito come il più autorevole e innovativo punto di riferimento nella cultura critica europea, dando un contributo decisivo al superamento del gusto simbolista e all’affermarsi del nuovo movimento moderno. Mentre la scena parigina è dominata dall’impeto tribunalizio delle riviste reazionarie di Charles Maurras, Léon Daudet e altri, come l’“Action française” o la “Revue universelle”, l’esordio della “Nouvelle Revue Française” introduce un diverso modo di discorso, molto più ampio e culturalmente articolato. I fondatori sono intellettuali del calibro di André Gide, Jacques Coupeau e soprattutto Jacques Rivière , animatore principale della rivista di cui è direttore unico fino alla sua prematura scomparsa. Ai fondatori si aggiunge ben presto una generazione di critici straordinari, da Albert Thibaudet a Charles Du Bos, da Ramon Fernandez ad André Suares, nei quali l’interesse per la letteratura e in particolare per la critica e il romanzo prende spontaneamente un’inclinazione filosofica, fra Freud e Bergson, così come l’indagine concreta del testo si apre ai nuovi metodi delle scienze sociali, soffermandosi non solo sui valori estetici ma anche sui poteri conoscitivi dell’operazione letteraria. Questa linea redazionale si conferma con spirito inventivo anche nelle successive generazioni di autori e direttori del periodico, a partire dall’epoca drammatica di Drieu La Rochelle e Jean Paulhan fino ad oggi, quando la rivista persiste al modo di un’istituzione, nella forma di un’ampia rassegna internazionale. L’esperienza della “NRF” si presenta insomma come un vero e proprio modello nobile di rivista moderna. Intorno alla “NRF” e al suo felice connubio con l’editore Gallimard, che impone anche una nuova misura di eleganza editoriale e serialità grafica (logo rosso su carta marroncina), si crea una vera e propria comunità letteraria di respiro europeo. Al modello francese si rifà esplicitamente nel 1923 la “Revista de Occidente”, nata a Madrid intorno al principale saggista e filosofo spagnolo del secolo, José Ortega y Gasset . Pubblicata fino al luglio del 1936, la rivista è l’organo di espressione dei settori più evoluti dell’intellettualità borghese spagnola sulla base di un preciso e chiaro programma formulato nel “Proposito” del primo numero: aprirsi senza diffidenze al contatto con la cultura occidentale e nuova e contribuire al suo sviluppo con una ricerca autonoma. Non a caso negli anni seguenti la rivista si apre all’arte d’avanguardia e in particolare alle proposte delle riviste surrealiste di André Breton, come “Littérature” e “La Révolution surrealiste”.
Più indipendente, ma sempre legata alla “NRF” da un concreto rapporto di scambio culturale, è l’esperienza del “Criterion”, il periodico di poesia e critica culturale voluto dal poeta americano, ma residente a Londra, Thomas Stearns Eliot. “The Criterion” esce nel 1922 e prosegue le pubblicazioni fino all’alba della seconda guerra mondiale, il 1938, quando l’ombra del patto di Monaco fra Hitler e Chamberlain ne provoca la chiusura per motivi sia tecnici (la difficile reperibilità del materiale internazionale), sia morali. Davanti allo spettro della guerra, infatti, la rivista vede fallire il suo progetto più profondo. Come annota Eliot nell’ultimo numero del periodico, “la ‘Mente europea’, che qualcuno aveva erroneamente pensato si potesse rinnovare e fortificare stava scomparendo dalla vista”. La rivista di Eliot, organo principale del modernismo anglosassone, difende risolutamente i valori della tradizione secondo lo stile pragmatico e sapienziale inaugurato nel secolo precedente da Matthew Arnold, ovvero impegnandosi a raccogliere tutte le esperienze più nuove che compaiono sulla scena europea, pubblicando quindi, oltre alle poesie e ai grandi saggi su Dante e sulla civiltà europea scritti dallo stesso Eliot, anche opere di Virginia Woolf, William Butler Yeats, Aldous Huxley e Wyndham Lewis, insieme con traduzioni da Marcel Proust, Paul Valéry, Eugenio Montale; e aprendosi addirittura nelle sue ultime fasi alla nuova corrente di poeti filomarxisti come Wystan Hugh Auden e Stephen Spender, per certi versi inconciliabili con il cosmopolitismo cattolico e tradizionalista del movimento eliotiano. Nell’imminenza della guerra, infatti, la Kulturkritik di Eliot viene soppiantata da una forma di aperta ribellione all’establishment che vede Auden, Spender, Cristopher Isherwood e altri intellettuali (i cosiddetti “trentisti”) promuovere periodici nettamente antifascisti come “New Writing” diretto fra 1935 e 1941 dal bloomsburyano John Lehmann. Fra le altre tradizioni europee la cultura tedesca appare quella più pronta e capace di sviluppare un dialogo con gli autori protagonisti di queste riviste. Basti pensare ai saggi di Ernst Robert Curtius su Eliot e Joyce, alle riflessioni di Walter Benjamin su Parigi e alla capacità propositiva di alcuni circoli berlinesi come quello raccolto intorno al pensatore Georg Simmel. L’eco di queste esperienze viene raccolta invece con un certo ritardo in Italia, in dialogo diretto con Parigi, dove risiedono i nostri migliori lirici e molti futuristi, ma a lungo attardata, quasi per reazione antiavanguardista, sui modelli neoclassicisti di riviste come “La Ronda” (1919-1922) di Emilio Cecchi e Vincenzo Cardarelli. A riprendere, anche graficamente, il modello della “NRF” è soprattutto “Solaria”, una piccola rivista fondata a Firenze nel 1926 da alcuni intellettuali di vocazione europea come Alberto Carocci, Alessandro Bonsanti, Giansiro Ferrata ed Elio Vittorini che la tengono in vita autofinanziandola fino al 1936. Da “Solaria” si dipartono poi quasi tutte le altre riviste letterarie attive in Italia sotto il fascismo e fino alla seconda guerra mondiale, dalla “Riforma Letteraria” (1936-1939) di Giacomo Noventa a “Letteratura” (1937-1968), e poi le piccole riviste fiorentine dell’ermetismo cattolico, come “Il frontespizio” (1929-1940), “Campo di Marte” (1938-1939), seguite da altri gruppi di poeti e artisti, come i lombardi raccolti a Milano nella redazione di “Corrente di vita giovanile” (1938-1939). Su una linea di discreta apertura alla tradizione del nuovo, nel tentativo di una conciliazione, si pone anche la rivista “Primato” (1940-1943), ancora di formazione fascista, ma diretta con piglio un po’ più democratico da Giuseppe Bottai. A ben vedere, però, il contributo più originale dato dall’Italia non è certo quello legato al modello illustre della rivista di cultura internazionale. La tradizione italiana può invece contare su un sicuro primato nel campo delle riviste d’avanguardia e su un passato recente fatto di autorevoli pubblicazioni filosofiche e di impegno intellettuale. Il battage promozionale organizzato negli anni Dieci da Filippo Tommaso Marinetti su periodici e quotidiani per diffondere le idee e i manifesti del neonato futurismo segna l’inizio di un periodo di massimo rinnovamento anche nella cultura delle riviste, non da ultimo per le inedite configurazioni del mezzo, sottoposto a un iter di estreme sperimentazioni grafiche e visuali. Nel 1905 Marinetti fonda fra Parigi e Milano la rivista internazionale “Poesia”, che si afferma negli anni successivi soprattutto come casa editrice ufficiale del movimento e che fornisce una specie di modello espressivo a un numero infinito di più o meno grandi gruppi di avanguardisti europei. La prima rivista in esplicito contatto con il futurismo è la spagnola “Prometeo” di Ramon Gomez de la Serna, che nel 1909 riprende il Primo manifesto marinettiano, prima di chiudere improvvisamente le pubblicazioni nel 1912, lasciando così il campo all’eclettismo effimero dell’avanguardia ultraista che ha il suo periodico nella rivista sivigliana “Grecia” chiusa nel 1920. La rivoluzionaria tipografia futurista trova un’interpretazione molto originale nelle riviste dei cubofuturisti sovietici Chlebnikov e Majakovskij, bollettini come l’“Iskusstvo Kommuny” (1918-1919), ma anche riviste grosse come il “Fronte di sinistra dell’arte”, ovvero la “Lef” (1922), in cui trovano ampio spazio linguaggi tipici della stampa periodica, come le vignette. Più tradizionali invece i periodici russi della lussureggiante stagione postsimbolista, come la rivista “Apollon” degli acmeisti Anna Achmatova e Osip Mandel’štam.
Un forte impatto visivo viene ricercato anche dalle riviste d’avanguardia inglesi come “BLAST”, l’organo ufficiale dei vorticisti negli anni Dieci, che ostenta un titolo esplosivo sullo sfondo di una copertina dai colori molto accesi. In Italia, invece, a parte “Poesia”, la rivista più indipendente e propositiva è la fiorentina “Lacerba” di Giovanni Papini e Ardengo Soffici, nata nel 1913 dopo una clamorosa scissione dalla linea di Marinetti, e rimasta attiva fino al 1915. Con “Lacerba”, lo stile avanguardista si riallaccia alla tradizione di impegno civile della più importante rivista intellettuale italiana di inizio secolo “La voce”, diretta da Papini e Giuseppe Prezzolini (e in una seconda fase da Giuseppe De Robertis), che pur contribuendo a diffondere un gusto letterario di matrice lirica ed espressionista, si caratterizza soprattutto come strumento di riflessione politica e di analisi dei processi di modernizzazione sociale, avviando un dialogo conflittuale, fra epigonismo e polemica, con la filosofia idealista di Benedetto Croce. Anche altre figure eroiche della cultura intellettuale italiana come il torinese Piero Gobetti, fondatore e direttore della “Rivoluzione liberale” (1922-1925) e del periodico letterario “Il Baretti” (1924-1928), avviano un confronto profondo con le posizioni di Croce, il quale curando e scrivendo quasi completamente da solo la sua personale rivista napoletana, “La Critica”, rafforza l’egemonia del suo modello estetico esprimendosi sull’etica liberale ininterrottamente dal 1903 al 1944, compilando una sorta di grande diario antimoderno interrotto solo dal compiersi della seconda guerra mondiale.
La Critica
Vorrei iniziare questa mia ricerca e questo mio studio fatto sulle riviste letterarie del primo Novecento affermando che quella più organica, coerente e longeva, tra le riviste del primo Novecento è stata la rivista “La Critica” diretta da Benedetto Croce. Ebbe una grande influenza su tutta cultura italiana di primo Novecento. “La Critica” aveva come sottotitolo rivista di letteratura, storia e filosofia, uscì per la prima volta il 20 gennaio 1903 e continuò le pubblicazioni fino al 1944. Dal 1945 al 1951 uscirono ad intervalli irregolari i Quaderni della Critica, in tutto 20 fascicoli. Rispetto ad altre riviste che ebbero vita effimera e programmi spesso chiassosi e contraddittori, “La Critica” ebbe un programma organico, coerente ed univoco, perché era redatta in massima arte da Croce. Molti degli articoli e dei saggi pubblicati su questa rivista confluiranno nei sei volumi della Letteratura della Nuova Italia, centro fondamentale di riferimento per la critica crociana e “palestra” per tutti gli studiosi di letteratura e filosofia. Fino al 1923, quando il loro dissenso divenne insanabile, Croce ebbe come collaboratore il filosofo Giovanni Gentile. Altri collaboratori furono il filosofo Guido De Ruggiero, lo storico Adolfo Omodeo e lo studioso della letteratura Francesco Flora. Benedetto Croce (1866-1952), figura centrale del neoidealismo, è stato il punto di riferimento dell’estetica della critica letteraria e della storiografia del Novecento italiano. Il sodalizio con Gentile si ruppe quando questi aderì al fascismo, mentre Croce si schierò risolutamente contro il nuovo regime pubblicando il manifesto degli antifascisti (1925). Pur astenendosi dalla politica attiva, Croce rimase costante punto di riferimento per gli intellettuali avversi alla dittatura e sviluppò accanto all’attività filosofica e critica un’intensa produzione storiografica i cui risultati più importanti furono la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928), la Storia dell’età barocca in Italia (1929) e, infine, la Storia d’Europa nel secolo XIX (1932). Morì a Napoli. “La Critica” fu per quarantadue anni il punto di osservazione sullo scenario di mezzo secolo di storia italiana e passò in rassegna movimenti filosofici e letterari, correnti d’opinione, vicende politiche e civili: dal positivismo al futurismo, dall’anteguerra nazionalista al decadentismo letterario, dal conflitto 1914-1918 all’avvento del fascismo, dall’idealismo gentiliano fino alla seconda guerra mondiale. Quando si accendono le forti polemiche tra neutralisti e interventisti, “La Critica” si dichiara dalla parte dei neutralisti e all’entrata dell’Italia in guerra “La Critica” prosegue i lavori saggistici e storiografici “con mente serena nell’animo turbato”. Così mentre altre riviste sospendono le pubblicazioni o smettono di trattare di letteratura e di arte, la rivista crociana continua “come se guerra non ci fosse” affermando che “sopra il dovere stesso verso la Patria, c’è il dovere verso la verità, che comprende in sé e giustifica l’altro”. Limitandoci alla sua attività di critico letterario, Croce riesaminò alla luce della sua estetica che concepiva la poesia come intuizione pura, lirica e cosmica ossia l’espressione di un sentimento personale che si incarna in una immagine e forma con essa una sintesi perfetta i più importanti autori e le correnti della letteratura italiana ed europea, e fu nemico implacabile del Decadentismo, da lui definito la grande industria del vuoto, accusandolo di essere promotore di teorie irrazionali e misticheggianti, come l’estetismo, il nazionalismo, l’imperialismo. “La Critica” dà ampio spazio all’illustrazione della vita e dell’opera di Francesco De Sanctis, pubblicando Le lezioni di letteratura di Francesco De Sanctis dal 1839 al 1848. Sulla rivista, nel periodo che va dal 1921 al 1925, vengono trattate le esperienze del suo direttore Croce, senatore liberale e ministro della Pubblica Istruzione, con questioni specificatamente scolastiche, come il progetto di riforma della scuola media, l’esame di stato, l’insegnamento della religione. Rimane altresì indiscussa l’importanza civile ed umana della rivista con il suo tenace lavoro di ricerca letteraria e storica e il suo combattivo inserimento nella vita italiana.
Leonardo
Leonardo fu la prima di un gruppo di riviste fiorentine che nel primo quindicennio del Novecento fecero di Firenze uno dei centri culturali più vivaci d’Italia. Caratteristica comune a queste riviste fu il bisogno di rompere con il positivismo e di rinnovare la cultura italiana, aprendola alla contemporanea cultura europea d’avanguardia. Esse inoltre patrocinavano una nuova figura di intellettuale militante che non deve limitarsi a conoscere il mondo, «ma deve salvarlo, trasformarlo ed accrescerlo» (Papini). “Leonardo” uscì nel 1903 e cessò le pubblicazioni nel 1907. La rivista fu fondata da due degli autori più irrequieti del primo ’900, il fiorentino Giovanni Papini e il perugino Giuseppe Prezzolini. Il nome Leonardo scelto per la rivista voleva simboleggiare la brama dei redattori di volgere le spalle al passato e di rinnovare la cultura italiana, proprio come Leonardo da Vinci aveva rinnovato l’arte e la scienza volgendo le spalle al Medioevo. Non ebbe un programma coerente ed organico. Unico punto fermo era la polemica contro il positivismo filosofico e letterario. Ebbe il merito di riscoprire poeti e filosofi stranierei, specialmente inglesi e tedeschi, come Blake, Novalis, Shelley ed altri. Politicamente fu di tendenza nazionalista.
La Voce
La Voce fu la più prestigiosa e incisiva delle riviste fiorentine. Fu fondata nel 1908 da Prezzolini. Attraverso diverse fasi continuò le pubblicazioni fino al 1916. Una prima fase va dal dicembre 1908, inizio della pubblicazione sotto la direzione di Prezzolini, fino al novembre 1911 quando, in occasione della campagna di Libia, Salvemini, collaboratore, lascia la rivista per fondare la sua Unità. Una seconda fase va dal 1912 fino alla fine del 1913 quando la direzione viene assunta da Papini. Una terza fase dura solamente un anno, 1914, nella quale Prezzolini riprende la direzione della rivista. Una quarta fase dura dalla fine del 1914 al 1916 quando Prezzolini cede la direzione a De Robertis. I vociani si interessano anche ai problemi concreti della società, come la scuola, la questione meridionale, l’impresa libica, le dottrine sindacali, ecc. collaboratori: Croce, Einaudi, Salvemini, Giovanni Amendola, Clemente Rebora, Aldo Palazzeschi, Renato Serra, Dino Campana, Camillo Sbarbaro ed altri ancora. Tutti dibattevano sulle pagine della rivista i principali problemi della società italiana, esponendo ognuno il proprio punto di vista, confrontandosi e magari polemizzando tra loro. Dalla fine del 1914 De Robertis ne fece una rivista esclusivamente letteraria.
Lacerba
Lacerba è stata fondata a Firenze il 1º gennaio 1913 da Papini e Ardengo Soffici. Il periodico si avvalse della collaborazione di Palazzeschi e Tavolato. Il quindicinale, stampato in caratteri rosso mattone ed in seguito neri, riprendeva il titolo dal poemetto di Cecco d’Ascoli L’acerba, inserendone nella testata un verso: “Qui non si canta al modo delle rane e alludeva al contenuto eretico ossia dissacratorio, anticonformista e provocatorio della rivista che si proponeva di demolire miti, credenze e convenzioni della società borghese ed esaltava le forze istintive dell’uomo”. Non meraviglia perciò che alla rivista, vista la sua natura e il suo programma, collaborassero i futuristi che per circa due anni se ne servirono per propugnare le loro idee antitradizionaliste. Dal 15 marzo 1913 iniziano ad occupare posti di primo piano. Compaiono così frequentemente i nomi di Filippo Tommaso Marinetti, Luciano Folgore, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Corrado Govoni. Nell’ottobre 1913 “Lacerba” pubblica Il programma politico futurista che affermava il primato dell’Italia e propugnava il colonialismo, l’irredentismo, la lotta contro l’Austria, l’esigenza di modernizzare il Paese. Il manifesto politico si rivolge agli elettori futuristi in vista delle elezioni del 26 ottobre 1913, le prime a suffragio universale maschile, invitandoli a votare contro le liste clerico-liberali-moderate di Giovanni Giolitti e del cattolico Vincenzo Ottorino Gentiloni e contro il programma democratico-repubblicano-socialista. La rivista cessa le pubblicazioni il 22 maggio 1915, due giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia: l’ultimo editoriale di Papini reca il titolo Abbiamo vinto!
Il futurismo: «Poesia» e « L'Italia Futurista»
«Poesia» (1905-1909) è fondata a Milano nel 1905 da Filippo Tommaso Marinetti, Sem Benelli e Vitaliano Ponti. Oltre a promuovere le opere di Giovanni Pascoli, Giosuè Carducci e Gabriele d’Annunzio accanto a quelle di Gustave Kahn, John Keats e William Butler Yeats, pubblica nel 1909 il Manifesto del Futurismo, divenendo organo del movimento. A Firenze nasce invece «L’Italia Futurista» (1916-1918), fondata e diretta da Emilio Settimelli e Bruno Corra in seguito anche con Arnaldo Ginna. Ampio spazio è dedicato agli scritti di Marinetti che, insieme a Balla, partecipa con il gruppo fiorentino anche alla realizzazione del film Vita Futurista.
Valori Plastici
Il 1918 è anche la data in cui prende corpo un movimento che trae il suo nome da quello di una rivista. A Roma nasce infatti nel 1918 la rivista “Valori Plastici” da un’idea del suo direttore Mario Broglio, scrittore e pittore. La rivista avrà una durata brevissima solo 4 anni tra il ’18 e il ’22 anno in cui cessa le pubblicazioni. A questa rivista collaborano numerosi artisti e altri vedono le loro opere riprodotte, ecco perché convenzionalmente si parla di Gruppo di Valori Plastici anche se in realtà non esiste un manifesto. La rivista vuole essere il luogo di incontro tra la cultura pittorica locale e nazionale italiana, anche se con delle particolarità rispetto all’immediato passato, e la cultura internazionale. Da Roma parte quindi il desiderio di porsi a confronto con la cultura pittorica internazionale. Tutto ciò avviene sia con la pubblicazione di articoli i cui autori spesso sono gli stessi artisti – De Chirico, Savinio, Broglio, ecc... – sia con la riproduzione di opere di artisti italiani e stranieri. Un avvenimento molto significativo è stato quando un intero numero del 1919 è dedicato al cubismo, con la conseguenza di diffondere i dipinti di Picasso e farli conoscere. La rivista avrebbe dovuto essere un mensile ma aveva una pubblicazione discontinua. Gli artisti italiani che collaborano con la rivista sono artisti che pur provenendo da esperienze di avanguardia rifiutano l’avanguardia a vantaggio di una riscoperta di una pittura a scultura più legata alla tradizione che non significa semplice ritorno al passato. Nel lavoro di questi artisti c’è un sincero desiderio di riscoperta della tradizione pittorica rinascimentale e della riscoperta del mestiere di pittore. Si volevano lasciare alle spalle tutte le intemperanze che avevano caratterizzato il grande movimento di avanguardia italiano che era stato il futurismo e le difficoltà e le insidie che la guerra e il dopoguerra avevano lasciato. Si vuole recuperare il senso della pittura e questo può avvenire attraverso la riscoperta della tradizione storica. Ecco perché nel lavoro degli artisti gruppo di “Valori Plastici” c’è un deciso ritorno alla figurazione tra cui De Chirico, prima promotore della metafisica, Carrà, firmatario del manifesto del futurismo e poi pittore metafisico, Morandi, che dopo avere avuto un breve inizio futurista partecipando alla mostra di Sprovieri, ed essere stato pittore metafisico entra a far parte di “Valori Plastici”. Nel linguaggio comune, riferendosi a questo periodo, spesso si parla di un “ritorno all’ordine” sotto il quale si fa rientrare tutto quello che è abbandono delle avanguardie. Questo però può avere sia una valenza positiva che negativa quindi è bene fare attenzione e distinguere le varie correnti. L’esigenza di lasciare da parte i movimenti di avanguardia investe anche in campo letterario, infatti a Roma viene pubblicata nello stesso periodo la rivista letteraria La Ronda. A questa rivista collaborano scrittori come Cecchi, Cardarelli, Bacchelli e altri che sostengono le medesime idee di Valori Plastici.
La Ronda
La Ronda è stata pubblicata a Roma tra il 1919 e il 1923, inizialmente diretta da un’equipe redazionale formata da sette persone, i “sette savi” o i “sette nemici” (per indicare i legami di amicizia, ma anche la divergenza di idee). Assai diversi fra loro per temperamento, concordavano sulla necessità di un ritorno alla tradizione classica. Gli scrittori della Ronda mirarono a restaurare i valori della letteratura intesa come stile. Nel perseguire questo compito assunsero a modello Leopardi, soprattutto il Leopardi prosatore, nel quale videro l’ideale di una moderna letteratura italiana, europea proprio in quanto fondata sulla tradizione, e un mirabile esempio di quella prosa insieme poetica e riflessiva che si accordava con il loro gusto di scrittori portati più al saggio che alla narrativa. Sul numero 1 de “La Ronda” dell’aprile 1919 apparve un Prologo in tre parti redatto da Vincenzo Cardarelli i cui punti fermi erano essenzialmente tre: a) simpatia e preferenze per il passato, culto dei classici e humanitas che consentono di sentirsi uomini; b) impegni linguistici e stilistici come il leggere e lo scrivere elegante non in senso formale ma come lucida e leopardiana trasparenza dei moti dell’animo; c) sincera fedeltà alla tradizione senza perdere di vista il livello europeo delle letterature straniere, mettersi in regola coi tempi, senza però spatriarsi. I futuristi sono violentemente attaccati e denominati distruttori letterari.
Piero Gobetti e Antonio Gramsci: «Energie Nove», «Ordine Nuovo», «Rivoluzione Liberale», «Il Baretti»
Nella Torino dell’immediato dopoguerra emerge la figura di Piero Gobetti che, a soli diciassette anni, fonda «Energie Nove» (1918-1920). L’attenzione per le questioni politiche e sociali lo avvicina a Antonio Gramsci, fondatore con Angelo Tasca, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti de «L’Ordine Nuovo» (1919-1922), organo del neonato movimento dei consigli di fabbrica. Con «Rivoluzione Liberale» (1922-1925) Gobetti riprende il percorso politico intrapreso da «Energie Nove», indagando le cause storiche delle innumerevoli contraddizioni italiane. A seguito del delitto Matteotti, le limitazioni alla libertà di stampa rendono impossibile a Gobetti continuare la pubblicazione dei suoi scritti politici: da qui nasce appunto l’ultima delle sue riviste, «Il Baretti», il cui carattere puramente letterario consente di portare avanti l’opposizione al fascismo sul piano culturale.
Le riviste di Strapaese: «Il Selvaggio» e «L’Italiano»
Con l’ascesa del fascismo si afferma in Italia una tendenza culturale opposta all’esterofilia e al cosmopolitismo: è lo Strapaese e sostiene l’idea di una cultura autarchica, di un’arte di ispirazione paesana che serva a orientare l’azione politica e restituire al fascismo imborghesito la sua vera natura. Roccaforti di questa tendenza sono le riviste «Il Selvaggio» (1924-1943) e «L’Italiano» (1926-1942). Nascono lontane dalla capitale: la prima, a Colle Val d’Elsa, trasferendosi poi a Firenze sotto la guida di Mino Maccari; la seconda, nel cuore di Bologna, dove è fondata e diretta da Leo Longanesi, il quale negli anni Trenta si ritroverà a guidarle entrambe. Tutti e due abbandonano presto la loro originaria impostazione politica per lasciare spazio a temi prettamente artistici e letterari, pur ribadendo il diritto di poter ridere di chiunque, potenti inclusi.
Solaria
Solaria fu una rivista letteraria fondata nel 1926 da Alberto Carocci. Durò un decennio, fino al 1936. Esaminando le tendenze letterarie dei suoi collaboratori, individuiamo da subito all’interno del giornale due diverse correnti di pensiero: quella dei cosiddetti rondisti, autori provenienti dalla rivista “La Ronda”, decisi a dar vita ad una vera e propria civiltà umanistica indipendente dalla politica, tra i quali troviamo Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini, Bonaventura Tecchi, Arturo Loria ed Alessandro Bonsanti; e quella dei solariani veri e propri che sostengono un’attività di denuncia e di critica nei confronti della realtà contemporanea, incarnata nella fattispecie nel regime fascista. Appartengono a questo secondo gruppo intellettuali come Eugenio Montale, Leone Ginzburg, Aldo Garosci, Giacomo Debenedetti, Mario Gromo, Umberto Morra di Lavriano e Sergio Solmi. Ciò che accomuna le due linee è una sorta di missione culturale europeista, che consiste nel connettere insieme le più importanti prove letterarie europee dell’epoca. In questo senso “Solaria” porta alla ribalta nazionale molti autori fondamentali fino ad allora poco noti, intraprendendo un inestimabile lavoro di diffusione della più pregevole ed immensa letteratura: André Gide, Paul Valéry, Marcel Proust, James Joyce, Thomas Stearns Eliot, Virginia Woolf, Ernest Hemingway, William Faulkner, Vladimir Vladimirovi? Majakovskij, Sergej Aleksandrovi? Esenin, Boris Pasternak, Rainer Maria Rilke, Franz Kafka, Thomas Mann, Stefan Zweig. Per quel che riguarda la letteratura nazionale invece, la rivista contribuisce a divulgare la prosa di Italo Svevo e di Federigo Tozzi, e la poesia di Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale ed Umberto Saba. A causa della decisa e chiara opposizione alla dittatura fascista, “Solaria” viene colpita a più riprese dalla censura. In particolar modo, il numero 2, marzo-aprile del 1934, viene sequestrato del tutto poiché accusato di essere moralmente offensivo. Oltre alle difficoltà rappresentate dal bavaglio del regime, l’esistenza del giornale è messa a repentaglio da forti dissidi interni alla redazione. Carocci vuole fare di “Solaria” una rivista di idee, e l’assidua collaborazione di autori non più letterati bensì ideologici come Giacomo Noventa, Nicola Chiaromonte, ed Umberto Morra evidenza esplicitamente tale cambiamento editoriale. Così facendo Carocci fa le prove generali di un dialogo con il fascismo. La stragrande maggioranza dei collaboratori però non è d’accordo con l’inversione di tendenza voluta dal direttore, ed abbandona la rivista che, di fatto, cessa di esistere, terminando le pubblicazioni dopo dieci anni di intensa attività, nel 1936. Possiamo dire infine che
per la prima volta, un museo descrive e racconta compiutamente, attraverso le pagine dei suoi stessi protagonisti,
questo periodo inquieto e fertile, fervido di idee, visioni, provocazioni la cui genialità e portata avanguardistica ha resistito all’usura del tempo e continua a generare frutti ancora oggi.
Foto di Benedetto Croce Rivista La Critica
Foto di Giuseppe Prezzolini Rivista La Voce
Antonio Gramsci Rivista Ordine Nuovo
Bibliografia
A.A. V.V. Arte Italiana Presenze 1900 – 1945 edito da Bompiani Milano
Riviste – La Cultura Italiana del Primo Novecento Catalogo mostra a cura di Giovanna Lambroni, Simona Mammana, Chiara Toti , edito da Giunti Editore Milano
R. Pinto – G. Cardone Astrattismo e Futurismo. Idee per un rinnovamento della ricerca artistica del ‘900 edito da Printart Nocera Inferiore Salerno
R. Pinto – G. Cardone Valori Plastici E il Clima di Ritorno all’Ordine edito da Printart Nocera Inferiore – Salerno