Giovanni Cardone Marzo 2023
Fino al 18 Giugno 2023 si potrà ammirare al Museo Nazionale del Prado Madrid la mostra dedicata nel centenario dalla morte a Joaquín Sorolla. Ritratti. Questo omaggio a Sorolla raccoglie nella sala sessanta dell'edificio Villanueva, dedicata alla Presentazione delle collezioni del XIX secolo, una selezione dei ritratti dell'artista conservati al Museo del Prado. Completano il percorso espositivo le opere che fanno parte della collezione permanente, che raccoglie ritratti di artisti dell'Ottocento, tra cui quattro dipinti dal Sorolla. Uno, quello di Martín Rico, è stato acquisito nel 2022 ed è appeso nella stanza da alcuni mesi. Questo set offre una visione completa dell'evoluzione del ritrattista Sorolla che nel primo decennio del XX secolo divenne un riferimento internazionale. La dedizione di Joaquín Sorolla alla ritrattistica fu eccezionale sia per il numero di opere che dipinse sia per la loro qualità. Il suo lavoro nella prima giovinezza con il fotografo Antonio García lo ha familiarizzato con l'attenta cattura della natura, un aspetto che era presente nella sua pittura già negli anni della sua formazione.

La sua performance lo ha reso, nel primo decennio del Novecento, uno dei grandi ritrattisti di riferimento internazionale. Dei 23 dipinti dell'artista conservati dal Museo del Prado, 18 sono ritratti, compresi i due acquisiti nel 2022: Martín Rico (sala 62 A) e Manuel Bartolomé Cossío , che ora è presentato al Museo. Molte di esse, quelle meno conosciute, perché abitualmente non esposte, sono ora incluse in questa mostra, che commemora il centenario della morte dell'artista. La sua visione si completa con le opere che fanno parte della collezione permanente nella sala 60 A, ad essa annessa, che si arricchisce del prestito dell'Institución de Libre Enseñanza del ritratto di Francisco Giner de los Ríos, e nella sala 62 A , che raccoglie ritratti di artisti dell'Ottocento, tra cui quattro dipinti dal Sorolla. Il contributo di Sorolla a questo genere rivela spesso la sua ispirazione negli antichi maestri, in particolare Velázquez, come si è potuto vedere nella mostra organizzata dal Prado nel 2009. Si percepisce nei neri e grigi del pittore Aureliano Beruete e María Teresa Moret
, forse i suoi due migliori ritratti, così come l'ambiguità spaziale del primo. In modo più esplicito, il riferimento a Velázquez appare in María Figueroa , vestita da menina e in L'attrice María Guerrero come La dama boba . Nel ritratto di Cossío, realizzato lo stesso anno in cui pubblica il suo libro su El Greco, il pittore rende omaggio al cretese, che aveva studiato, insieme a Velázquez, al Museo del Prado. In quest'opera riuscì a cogliere i tratti fisionomici essenziali del modello, ai quali aggiunse una sottile interpretazione della sua personalità intellettuale. Lo stesso avviene in molti dei suoi ritratti maschili, nei quali rappresenta personaggi di spicco della cultura del suo tempo, non pochi legati all'Institución Libre de Enseñanza, con la quale intratteneva rapporti amichevoli. Tra loro ci sono scrittori (Rafael Altamira, Jacinto Felipe Picón y Pardiñas, Aureliano de Beruete Jr., Cossío), medici (Francisco Rodríguez de Sandoval, Joaquín Decref) e pittori (Martín Rico, il cui ritratto è stato acquisito quest'anno dal Prado, Aureliano de Beruete, Juan Espina, Antonio Gomar). In alcuni quadri ( Jacinto Felipe Picón y Pardiñas , Il pittore Antonio Gomar , Doctor Joaquín Decref) Sorolla utilizzava un formato orizzontale che gli permetteva di offrire inquadrature inedite e conferire particolare movimento alle figure, spesso inclinate su un lato.Nel ritratto femminile, Sorolla ha mostrato una sensualità speciale ( Mercedes Mendeville ) e colori sontuosi ( María de los Ángeles Beruete y Moret ). Entrambe le opere, esempi di effigi di dame del grande mondo, denotano l'attenzione dell'artista alle esigenze del genere. Prima di altre illustri signore come María Teresa Moret, amica del pittore e della sua famiglia, o Ella J. Seligmann, moglie di un noto antiquario, ha saputo offrire un'interpretazione elegante e accurata, con una raffinata sensibilità cromatica di neri, grigi e bianchi. Si distinse anche come ritrattista di bambini, come testimoniano le effigi di Jaime García Banús e María Figueroa. La facilità di catturare il naturale in un istante, in cui il soggetto è presente con un'intensa sensazione di realtà, è caratteristica di tutte queste opere. In questo Sorolla fu fedele non solo alla sua visione naturalista ma anche alla profonda percezione dell'individualità caratteristica della grande tradizione pittorica spagnola. In una mia ricerca storiografica e scientifica sul maestro della luce Joaquín Sorolla apro il saggio dicendo : Per me Joaquìn Sorolla è uno dei grandi pittori spagnoli tra ‘800 e ‘900. La sua pittura è intrisa di luce ed è una visione pittorica molto moderna e con un taglio fotografico, fatta di istantanee in movimento dal realismo delicato e sottile, Capace però di mettere in scena l’attualità senza commentarla. Una vera e propria poesia per immagini che ci presenta il volto di una spagna marina, rurale, dalle tradizioni radicate. La sua pittura si pone in una posizione di spicco tra Goya e Picasso, segnando una tappa importantissima nella pittura spagnola ed europea. Nato a Valencia nel 1863, Joaquin Sorolla y Bastida non ebbe inizi facili. A due anni rimase orfano di entrambi i genitori, morti di colera. Furono gli zii materni a ad allevarlo, assecondando la sua passione per le arti figurative, lo iscrissero alla scuola di Belle arti di Valencia. Che terminò con successo, questo gli permise di entrare in un noto laboratorio fotografico. Sarà proprio questo lavoro legato alla fotografia a determinare il taglio moderno e luminoso dei suoi dipinti. Mentre la figlia del suo datore di lavoro, Clothilde, diventerà la sua compagna di una vita. Quando si dice la fortuna di trovare lavoro.

Tutto questo, insieme alla scoperta del museo del Prado e soprattutto di Velázquez, costituirà una svolta nel suo percorso. Che lo porterà, poco più che ventenne, a presentare all’esposizione di belle arti a Madrid il suo primo dipinto storico: “Il 2 maggio 1808”. Giorno celebre per la Spagna il 2 maggio, quando gli spagnoli sconfissero i francesi. Quest’opera è il capolavoro di un giovane Sorolla, che ha osservato l’arte che gli sta alle spalle, da Caravaggio ai romantici. L’aveva realizzato all’aperto a Valencia, utilizzando fuochi d’artificio per rendere il fumo dell’artiglieria creando una scena fortemente realistica. Il quadro fu acquistato dal Governo spagnolo dando così il via alla sua carriera, costellata di premi, ma soprattutto di borse di studio che gli permisero di girare l’Europa. Da Roma a Venezia e a Parigi dove venne in contatto con i grandi romanzieri realisti francesi come Balzac, Zola, Flaubert, nei cui romanzi si riflettevano i grandi cambiamenti sociali causati dalla rivoluzione industriale. Questo lo portò a riflettere su quanto accadeva in Spagna in cui si stava vivendo un periodo difficile per i disordini interni, causato anche dal crollo del suo impero d’oltremare e aspirava a un rinnovamento sociale politico e culturale. Cambiamenti che coinvolgevano l’individuo, solo di fronte ai profondi rivolgimenti sociali. Sentimento di solitudine che emerge da quest’opera, ancora un po’ accademica se vogliamo, ma in cui la solitudine è palpabile. L’Italia è il primo paese straniero in cui Sorolla si avventura, naturalmente attratto, come tutti i suoi compatrioti, dall’immenso patrimonio culturale dell’arte classica e della centenaria tradizione accademica. Una figura particolarmente significativa, quella del pittore valenziano, poiché per prima la sua pittura aveva rappresentato un’alternativa allo stanco preziosismo della scuola fortunyana. Nel suo volume Storia della pittura del secolo XIX nel 1915 Léonce Bénédite, direttore del Musée du Luxembourg, attribuiva alla scuola valenziana, a quella basca e a quella di Barcellona il merito di aver rinunciato “alla puerilità del genere in costume ed ai mezzucci di maniera” per volgere lo sguardo alla verità della natura. Affermava poi che “il primo artista che fece splendidamente ritorno ad una più sana visione dell’arte fu Joquin Sorolla y Bastida” . L’artista era giunto a Roma il 4 gennaio 1885 con una borsa di tremila pesetas della Diputación Provincial di Valenzia, vinta grazie al dipinto di argomento storico El Palleter declarando la guerra a Napoleón (1884, Valencia, Diputación de Valencia, in deposito al Palau de la Generalitat), dove raffigurante un episodio di eroismo locale contro Napoleone nel maggio 1808. L’opera proponeva spettacolarità, una buona dose di retorica, un numero elevato di personaggi ed un’adeguata celebrazione del genuino eroismo patrio; tutti elementi comuni alla pittura di storia europea della seconda metà dell’Ottocento, a vocazione identitaria e nazionalista. Sorolla, che già si era espresso nell’ambito della pittura di storia con il celebre Dos de Mayo presentato all’Esposizione Nazionale di Madrid, unisce a tale inclinazione un sincero interesse per la pittura dal vero. Come riporta Bernardino de Pantorba, in El Palleter declarando la guerra a Napoleón il giovane artista cerca di ricreare le condizioni reali in cui i fatti si erano svolti: “per dipingere la tela attesi proprio maggio, nonostante l’avessi concepita mesi prima; scelsi la luce di Valenzia, tanto intensa quanto quella di Madrid, e l’aria aperta, forse uno dei primi se non il primo quadro di composizione che è stato dipinto in Spagna all’aria aperta” . Non stupisce dunque la relazione instaurata a Roma tra Sorolla e Francisco Pradilla, direttore dell’Accademia e noto pittore di storia, ma anche grande paesaggista, attento a fissare nel quadro la precisione dell’ora e dell’atmosfera. D’altro canto Sorolla non è destinato a rimanere nell’alveo della pittura di storia, un genere che per altro nel giro di qualche anno tenderà ad esaurire il suo significato. Fatte le prime esperienze a Roma, dove entra in contatto con la pittura di Francisco Pradilla, José Villegas e Emilio Sala , in quell’epoca professori dell’Accademia, Sorolla si lascia convincere da Pedro Gil Moreno de Mora, conosciuto nella capitale, a compiere un viaggio a Parigi in sua compagnia.
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Lo stesso Sorolla dirà più tardi "dentro di me si agitava uno spirito inquieto, rivoluzionario", lo stesso che lo accompagnerà nel suo primo viaggio nella capitale francese, appena tre mesi dopo il suo arrivo in Italia. A Parigi lavora “in modo vertiginoso”, ma in ottobre deve tornare a Roma per preparare il suo primo invio annuale di pensionato alla Diputación de Valencia: sei disegni e i due olii Nudo femminile e Un crocifisso . Osservando le opere di questi anni tra il 1885 e il 1887, si nota l’oscillare incerto dell’artista tra diverse inclinazioni la pittura pastosa e terrosa degli antichi maestri del Seicento ‘Tres cabezas de hombre, 1885’ le seduzioni preraffaellite e neoquattrocentesche forse mediate attraverso il contatto con l’ambiente romano di In arte Libertas , il verismo napoletano di discendenza morelliana e la più facile pittura commerciale revivalista che tanto a Roma e nell’ambito dell’Accademia di Spagna, quanto a Napoli aveva trovato fecondo terreno grazie alla complicità di avveduti mercanti . Del resto, l’artista aveva conosciuto da vicino l’ambiente partenopeo, avendo visitato quello stesso anno Pisa, Firenze, Venezia e infine Napoli. È qui che dipinge olii ed acquerelli che, stando alla biografia dell’artista, vengono in buona parte acquisiti da mercanti locali. Una di queste opere, appartenente ad una serie, è Niña italiana, oggi al Museo Sorolla. Nel 1886, Sorolla decide di affrontare un’opera di grandi dimensioni con cui partecipare all’Esposizione Nazionale di Madrid del 1887: El entierro de Cristo . Una tela enorme, 430 x 685 cm, che dimostra un’indiscutibile attrazione per l’idealismo di Domenico Morelli con cui poteva essere entrato in contatto anche in occasione della tappa napoletana del suo viaggio del 1886. Molti critici hanno attribuito l’insuccesso de El entierro de Cristo all’insincerità d’ispirazione, poiché l’artista non sentiva intimamente il soggetto religioso. In verità, ciò che Sorolla fissa con il pennello sulla grande tela è un momento profondamente umano, piuttosto che una manifestazione trascendente, della vita di Cristo. Sorolla allontana qualunque magniloquenza, abbandona la composizione classica di memoria rinascimentale e cerca di restituire la soggettiva verità umana di una sepoltura circondata di dolore e silenzio attonito. L’esempio di Morelli pare più che un riferimento generico. Attorno al 1867 il maestro napoletano aveva dipinto L’imbalsamazione di Cristo, esposto lo stesso anno alla Promotrice di Napoli, dove viene comprato dal celebre collezionista Giovanni Vonwiller, e nel 1872 all’Esposizione di Milano, con grande riscontro di critica. Un opera che con altre di Morelli come il Cristo deriso, segnava un percorso nuovo e peculiare per la pittura religiosa. È possibile che Sorolla conoscesse l’opera, di cui sembra ricreare l’atmosfera sospesa e pulviscolare così come l’afflato profondamente umano. In una lettera all’amico pittore Eleuterio Pagliano, Morelli aveva voluto spiegare l’iconografia del suo L’imbalsamazione di Cristo che, dobbiamo dedurre, aveva suscitato perplessità tra critici e commentatori. In effetti, la rappresentazione usuale della sepoltura di Cristo nella pittura dal Trecento in poi mostrava il corpo seminudo, talvolta parzialmente avvolto nel sudario, in pose di morbido abbandono. Morelli adotta invece una totale fedeltà al Vangelo di San Giovanni, secondo cui il corpo del Messia viene completamente avvolto in bende intrise di mirra e aloe secondo l’uso giudaico: “ti ho mandato il testo di San Giovanni perché sfugge anche ai preti che si consumarono circa mille litri o libbre di aromi per imbalsamare il corpo di Gesù”. Sorolla, al contrario, si muove più liberamente rispetto al testo biblico. Nel suo intervento dedicato al dipinto ne “La Ilustración Artística", Pedro de Madrazo scrive: “si è preso la licenza razionale, conforme anche in questo alla generalità dei pittori, di presindere da uno dei particolari del racconto di San Giovanni, secondo il quale il cadavere del Salvatore avrebbe dovuto apparire tutto avvolto in bende, con spezie aromatiche, alla maniera giudaica presa forse dagli Egizi o da altri popoli d’Oriente; e lo ha rappresentato semplicemente coperto con un lenzuolo che, per come aderisce alla forma del corpo, si può ben supporre inumidito con la mistura di mirra e olii portato da Nicodemo per ungere il santo cadavere”. L’attenzione quasi puntigliosa di Morelli per la verosimiglianza storica dei episodi narrati nei suoi dipinti costituisce una sua caratteristica assolutamente peculiare, in linea con l’evoluzione della storiografia dell’epoca. In ambito pittorico trova riscontro sia nell’arte revivalistica neopompeiano, neogotico, sia più in generale, nella pittura di storia propriamente detta, sulla scia tracciata da Meissonier e Delaroche. Per il dipinto di Sorolla, Madrazo apprezza proprio il suo essersi discostato “dalla moderna tendenza a rappresentare i fatti biblici come meri monumenti archeologici, poiché il bendaggio di cui parla l’Evangelista sarebbe risultato, anche se corretto, molto antiestetico e poco conforme alla tradizione”. L’accoglienza dell’opera di Sorolla, che si rivela un totale insuccesso, è condizionata anche dalla tecnica adottata, fatta di pennellate ampie, e dalla mancanza di disegno e linea di contorno, secondo modalità molto vicine a quelle della pittura morelliana in questa fase. Confrontando il quadro di Sorolla con il Miserere mei Deus di Benlliure y Gil, Asenjo Blanco afferma che El entierro de Cristo è inferiore per inesperienza, timidezza, indecisione e vaghezza, tanto da sembrare un “gran bozzetto” . Madrazo segue Blanco in questo giudizio, parlando di "meri abbozzi", nonostante riconosca che “la concezione dell’artista appare piena di sentimento: diciamolo risolutamente, di santa ed elevata poesia” . Fernanflor chiude il suo commento come molti altri critici, affermando: "come un bozzetto gigantesco, come una nota felice di un paesaggista mi sembra elogiabile El entierro de Cristo", tornando poi a criticare la mancanza di cura delle figure, di modo che la Vergine e il Discepolo "si tengono in piedi per un miracolo di equilibrio". Senza dubbio un altro elemento che può avere contribuito ad una cattiva ricezione dell’opera di Sorolla è l’attenzione posta dall’artista al paesaggio. Fernanflor, autore di un lungo articolo dedicato all’opera, osserva: nel suo quadro c’è un certo effettismo di paesista, di amante della Natura. Il signor Sorolla, ha fatto quelle che fanno molti altri artisti questa esposizione: credendo di fare un quadro, ha dipinto un luogo (país), cosa più facile, anche se sempre complessa. Ha dipinto non la sepoltura di Cristo, bensì l’ora in cui fu seppellito. Per dipingere la sepoltura sarebbe stato necessario caratterizzare di più, poiché quasi tutti i personaggi che figurano biblicamente in questa azione hanno il proprio carattere e la propria personalità, e non può dunque soddisfarci il mettere nomi capricciosi ad alcune silhouettes e figure scure. Una critica del genere trovava ragione rispetto al panorama della contemporanea pittura di storia spagnola. Gli occhi dei critici erano saturi di capolavori di bravura come Los últimos momentos del rey don Jaime el Conquistador di Ignacio Pinazo (1881, Valencia, Diputación Provincial), Juana la loca del 1877 e La rendición de Granada del1882 di Francisco Pradilla: grandi tele dall’impianto scenografico che riunivano uno spiccato approccio realista, la numerosità delle figure, la ricchezza delle ricostruzioni ambientali e paesaggistiche, una accentuata caratterizzazione psicologica dei personaggi e una fattura virtuosistica fortunyana.

Con El entierro de Cristo Sorolla propone invece, su una superficie pittorica amplissima, poche figure al naturale poste in controluce, secondo un criterio ’sottrattivo’ e sintetico che punta all’intensità espressiva più che all’impatto scenografico. In verità, il tema religioso non attraversava certo un buon momento e non costituiva, dunque, una scelta particolarmente oculata, soprattutto se l’artista adottava criteri non convenzionali. L’immaturità stilistica di Sorolla, il suo uscire dal seminato della critica e dell’arte ‘ufficiale’, il credo verista, quasi courbettiano- che gli impedisce di dipingere con convinzione scene e luoghi non vagliati dall’occhio e dall’esperienza personale, determinano l’insuccesso clamoroso dell’opera cui d’altro canto viene concesso un "Certificado Honorìfico" a quanto sembra rifiutato da Sorolla. L’artista adotta un approccio morelliano, che mirava ad unire verosimilmente il ‘vero’ e l’’immaginato’, ma lo fa senza convinzione, in una fase in cui la sua attenzione è attratta da artisti ammirati a Parigi come Jules Bastien-Lepage, ispiratore di tutti i naturalisti, e Adolf von Menzel, che coniugava il saldo realismo della scuola di Amburgo con il primato della luce e la sciolta fluidità della pennellata degli impressionisti. Sorolla lavora al dipinto con foga e accanimento per lungo tempo, cambiando anche la disposizione delle figure, come si nota confrontando le due fotografie pubblicate da Blanca Pons Sorolla. A leggere i commenti di Sorolla, sembra che le enormi spese sostenute per lavorare alla grande tela siano la molla che lo porta a cercare i primi contatti con il mercato romano, in quella fase prolifico produttore di pittura di genere gradita alla clientela borghese internazionale. Fino agli anni ‘90 dell’Ottocento, sul modello di José Benlliure, Sorolla si cimenta in opere ispirate al folclore e alla cultura popolare valenziani, ricchi di colore e di luce e dal sapore spesso aneddotico. Torna anche al quadro di storia, con un’impostazione più canonica El padre Jofré protegiendo a un loco, 1887 Diputación de Valencia. Contemporaneamente agisce su di lui l’influenza di Jules Bastien-Lepage, i cui dipinti aveva conosciuto a Parigi, volgendo l’attenzione ai temi di interesse sociale. El entierro de Cristo viene comunque apprezzato in ambito romano, dove infatti viene esposto nel 1887 all’annuale mostra degli Amatori e Cultori. Se l’influsso di Morelli è evidente nell’interpretazione del tema storico-cristiano, molti altri sono i punti di tangenza tra Sorolla e l’ambiente artistico italiano e, in particolare, romano. All’inizio del suo soggiorno l’artista valenziano affronta ad esempio i soggetti neopompeiani, così in voga in area partenopea, ma anche a Roma, Firenze e in tutti i principali centri della penisola. Probabilmente stimolato dal successo commerciale di molti suoi compatrioti, ma anche conquistato dal fascino delle ricchezze archeologiche disseminate ovunque, Sorolla concepisce alcuni dipinti da cavalletto, tutti datati 1886: Bacante (Puerto Rico, Museo de Arte de Ponce), Mesalina en los brazos del gladiador, Bacante en reposo (Valencia, Museo de Bellas Artes). Nel 1886 l’artista si reca a Napoli visitando il Museo Archeologico Nazionale, affrontano il tema del nudo con venature aneddotiche e con una pennellata frizzante di discendenza fortunyana. Allo stesso anno risale inoltre la grande tela decorativa Las nereidas (Manila, colección del Palacio Presidencial Malacañang), che mescola spunti pompier - presenti anche nei suoi diretti predecessori di Sorolla come Casto Plasencia, Emilio Sala e Francisco Pradilla-, con componenti più schiettamente italiane, in particolare le fantasie neoelleniche di Edoardo Dalbono, che tra il 1871 e il 1872 aveva esposto con grande successo La leggenda delle Sirene (Napoli, Accademia di Belle Arti, in deposito al Museo di Capodimonte). Un testimone che sarebbe stato raccolto e sviluppato in chiave simbolista, soprattutto negli anni Novanta a Roma, da pittori come Giulio Aristide Sartorio, Giulio Bargellini e dall’ungherese Adolf Hiremy Hirschl, folgorato dalla capitale sin dal 1882-1884 quando vi risiede con la borsa di pensionato. In questa pittura le suggestioni mediterraneiste si fondevano, in un nuovo modello di pittura decorativa, con l’interpretazione decadentista di scenari pagani, böckliniani e secessionisti. Del resto, quando Sorolla giunge a Roma, nel 1885, la città attraversa un momento di ridefinizione identitaria, tanto sul piano storico-politico quanto artistico. Nel 1883 si era tenuta nella capitale del Regno d’Italia, presso il Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, l’Esposizione Internazionale di Belle Arti, che tirava le somme di vari anni di discussioni attorno alla necessità di un’arte nazionale e di un centro unico in cui esporre il meglio della creatività italiana. In tale occasione una delle opere più discusse era stata Il voto di Francesco Paolo Michetti, che trattava il soggetto popolare con un realismo quasi brutale unito ad un formato monumentale, normalmente utilizzato per i dipinti di storia. Tra gli ammiratori dell’opera vi era anche il giovane Sartorio, che anni più tardi avrebbe ricordato, in una lettera a Sillani, l’impressione ricevuta dal dipinto e il particolare momento vissuto dall’arte romana: Nessuno sa, né tu puoi saperlo, quanto aspro fosse il nostro cammino di artisti intorno al 1883 fiaccato il commercio parigino del così detto quadro di genere italo-spagnolo era stata inalberata a Roma una accademia nazionalista ufficiale che predicava l’arte storico-patriottica con l’insegna di un defunto, B. Celentano, e l’esempio di alcuni viventi, Jacovacci, Maccari, E. Ferrari.In quella esposizione nazionale doveva standardizzarsi quella tale arte storico-nazionale accennata, invece apparve “Il Voto”. Nessuno può immaginare che cosa significasse per noi, era l’insegnamento alla vita, l’incoraggiamento a lottare. Sartorio, in effetti, era stato a lungo incerto sull’orientamento da adottare, abbracciando vari generi, tra cui quelli neosettecentesco e neopompeiano, secondo la direzione impressa dalla scuola di Fortuny. Aveva poi dimostrato interesse verso le seduzioni del preraffaellismo, che lascia filtrare nelle illustrazioni per l’Isaotta Guttadauro di D’Annunzio del 1886. È dopo aver conosciuto la scuola di Barbizon a Parigi, per l’esposizione universale del 1889, che si volge alla pittura di paesaggio, nell’approccio alla quale imprime un deciso segno realista proprio l’amico Michetti. Insieme dipingono dal vero nella campagna romana, che sarà più tardi potente motivo d’ispirazione per Sartorio. L’apparizione del Voto a Roma, nel 1883, aveva dunque costituito uno snodo essenziale, proponendo un realismo crudo ed esasperato, di sapore “verghiano”, inoltre strettamente legato alla ricerca documentaria e tecnica contemporaneamente condotta dall’artista sulla fotografia. L’opera, tanto fondamentale per i giovani artisti, aveva visto contrapporsi D’Annunzio a Nino Costa, che alla grande tela rimproverava il prevalere di uno sfarfallio di tocchi e riverberi luminosi troppo memore della lezione fortunyana, a discapito della composizione e del “concetto del quadro” . D’Annunzio, al contrario, esaltava del Voto il verismo estremo della scena che, oltre a raffigurare i particolari ambientali e degli abiti, non risparmiava dettagli cruenti (la superficie insanguinata della scultura d’argento) capaci di esprimere, dal suo punto di vista, “tutta la truce intensità di quella fede, tutta la convulsione di quello spasimo”. L’idea di realismo di D’Annunzio aveva un accento del tutto peculiare, che gli permetteva di oscillare tra l’elogio della pittura di Michetti e le aperture verso il Simbolismo e l’idealismo attraverso la partecipazione alle riviste romane “Cronaca Bizantina” e, ancor di più qualche tempo dopo, nel “Convito” di Adolfo De Bosis. Il senso dell’elogio di Michetti da parte di D’Annunzio è tutto nella dedica che il poeta gli intitola nel 1889, alla pubblicazione del Piacere: A te che studii tutte le forme e tutte le mutazioni dello spirito come studi tutte le forme e tutte le mutazioni delle cose, a te che intendi le leggi per cui si svolge l’interior vita dell’uomo come intendi le leggi del disegno e del colore, a te che sei tanto acuto conoscitor di anime quanto grande artefice di pittura io debbo l’esercizio e lo sviluppo della più nobile tra le facoltà dell’intelletto: debbo l’abitudine dell’osservazione e debbo, in ispecie, il metodo. Io sono ora come te, convinto che c’è per noi un solo oggetto di studii: la Vita . Nel Voto l’eredità fortunyana stigmatizzata da Costa trovava una felice fusione con un’attitudine analitica verso il dato reale, a cui l’artista cercava di accostarsi schiettamente e senza filtri, servendosi semmai di quello che D’Annunzio definiva il “doloroso e capzioso artifizio dello stile” per esaltarne la forza comunicativa. Anche la fase embrionale dell’opera recava in sé il segno di una tale lampante originalità d’esecuzione che, come testimonia Ugo Ojetti in un articolo del 1910 su “Emporium” dedicato all’artista abruzzese, i numerosi studi erano stati da subito acquistati per mille lire, il primo, stando alla sua testimonianza, da Pradilla. Le molteplici suggestioni che giungevano a Sorolla dall’ambiente artistico italiano, non potevano non condizionare, almeno episodicamente, lo sviluppo della sua arte, comunque già orientata a un realismo pieno di vigore e inondato da una limpida luminosità mediterranea. Opere del periodo italiano come La oración -Buenos Aires, Museo de Bellas Artes e Santa en oración -Madrid, Museo del Prado, entrambe eseguite attorno al 1888, dimostrano l’attenta lettura dell’arte medievale, reinterpretata, sembrerebbe, attraverso le indicazioni preraffaellite di Sartorio e degli artisti riuniti attorno a “Cronaca bizantina”. Così anche paiono appropriati i riferimenti alle ieratiche figure disegnate da Morelli, con la collaborazione di Palo Vetri, per le decorazioni a mosaico del Duomo di Amalfi, i cui cartoni sono approntati in due fasi tra il 1884 e il 1890. Quando nel 1904 Vittorio Pica dedica a Sorolla un lungo articolo illustrato su “Emporium” , dichiara tutto il proprio apprezzamento per la sua arte “schietta e vigorosa”.

L’artista ha ormai superato le oscillazioni della sua gioventù verso la pittura di genere per abbracciare un naturalismo vibrante di luce, costruito con una pennellata fluida e sicura. Pica apprezza proprio l’adesione al dato reale da parte di Sorolla, che già alla Biennale di Venezia del 1895, in Costruttore di battelli (probabilmente Constructores de barcos della Colección Pedro Masaveu), soggetto semplice, “quasi volgare”, era riuscito nel miracolo di materializzare un “vero raggio di sole”. Questo indizio di “ribellione” della nuova pittura spagnola ai “convenzionalismi” e ai “giochi di virtuosità cromatica” della scuola fortunyana in favore dello studio attento del vero, stimolato dalla frequentazione degli ambienti parigini, Sorolla lo avrebbe pienamente sviluppato nei primi anni del secolo. È in quel tempo che infatti concepisce una delle sue opere più note, quel Triste eredità che avrebbe trionfato a Parigi all’Esposizione Universale del 1900, dove vince il Grand prix e che nel suo articolo Pica lamenta di non aver potuto riprodurre per mancanza della corrispondente zincografia. Il passaggio più importante dell’articolo di Pica è, tuttavia, quello in cui il critico napoletano accosta Sorolla e Ignacio Zuloaga, per avere entrambi, insieme a qualche altro “giovane e ardito pittore”, riabilitato la decaduta arte iberica. Secondo Pica, tanto il pittore basco quanto il valenziano sono pittori di natura realista, ma mentre Zuloaga “non si compiace che a ritrarre sulla tela, con colorazioni cupe e violente, che sono del resto fedeli alla tradizione gloriosa degli antichi maestri iberici, la Spagna, oltremodo caratteristica e che va poco per volta scomparendo, delle sigaraie e dei toreri, delle voluttuose gitane e dei notturni strimpellatori di chitarra”, Sorolla invece “di sentimento più spiccatamente modernista, rifugge da questa ricerca di un tipo alquanto teatrale di nazionalità pittoresca e presceglie scene e personaggi più normali, più comuni, meno appariscentemente differenti dai popolani di altre nazioni, in modo che la sua opera, già copiosa e così serenamente sana di acuto osservatore del vero e di entusiastico innamorato del sole.” Nato a Valencia nel 1863, Joaquín Sorolla ha sempre saputo di voler fare il pittore. Così, all’età di quindici anni, spinto dagli zii, alle cui cure il giovane era stato affidato dopo la morte di entrambi i genitori, Sorolla entra all’Academiade Bellas Artes de San Carlo. Al tempo il miglior strumento di affermazione per un artista era la partecipazione a grandi manifestazioni nazionali e internazionali di arte, ambiente in cui Sorolla si lancia dal 1884. Tuttavia, i tanto agognati primi premi tardano ad arrivare. In una Spagna tormentata da tensioni sociali e politiche, a trionfare alle grandi mostre nazionali era infatti una pittura dal contenuto sociale, che raccontasse degli aspetti più crudi e veritieri della realtà contemporanea. Spinto dal collega e amico José Jiménez Aranda, anche Sorolla si cimenta in tematiche quali la prostituzione, la povertà, la disabilità, e ancora il lavoro di persone comuni, con particolare interesse per il mondo dei pescatori. Sono questi gli anni di lavori quali Tratta delle Bianche (1894), che racconta di un gruppo di giovanissime prostitute trasportate in un vagone ferroviario da una casa di lavoro a un’altra, una triste pratica particolarmente diffusa al tempo. Quadri come questo, dal forte contenuto emotivo, dalla potenza narrativa e dalla splendida tecnica pittorica iniziano a far conoscere Sorolla a livello internazionale, attirando l’attenzione in occasione di grandi esposizioni. La vera consacrazione alla fama internazionale giungerà per Joaquín Sorolla nel 1900, in occasione della fondamentale Esposizione Universale di Parigi. È allora che Sorolla vince l’ambitissimo Grand Prix, battendo opere di Klimt e Alma Tadema, grazie alla sua importante Triste Eredità! (1899). La grande tela presente in mostra, grazie al supporto della Fondazione Bancaja, rappresenta una scena a cui il pittore aveva assistito personalmente nell’agosto 1899 sulla spiaggia di Malvarrosa, quando vide i Fratelli del vicino Ospedale dell’Ordine di S. Giovanni di Dio accompagnare un gruppo di bambini poliomielitici a fare il bagno in mare. Un tale soggetto permetteva a Sorolla di unire il suo amore per le vedute di mare, realizzate en plein air in un trionfo di luce e colori audaci, con un soggetto emotivamente e socialmente carico, adatto ai gusti delle giurie internazionali. Un genere pittorico certamente fruttuoso e redditizio per l’epoca in cui visse Joaquín Sorolla y Bastida era il ritratto, un campo in cui il pittore spagnolo raggiunse risultati eccelsi. Sorolla dipinse le fattezze delle influenti élite mondiali, tra cui la famiglia Reale Spagnola o il Presidente americano William Taft, ma fu molto richiesto anche da facoltosi collezionisti, aristocratici e ricchi alto borghesi, oltre che da colleghi artisti, scrittori e poeti. Ma il soggetto a cui il pittore dedicò il maggior numero di ritratti rimarrà sempre la sua famiglia: l’amata Clotilde, i tre figli, María, Joaquín ed Elena, e il suocero, Antonio García, che aveva introdotto un giovanissimo Sorolla all’arte della fotografia e allo studio della luce, naturale e artificiale. Anche i ritratti sono trasportati in quello straordinario mondo fatto di luce e di riflessi che è la pittura di Joaquín Sorolla. L’artista predilige infatti i ritratti realizzati en plein air, in giardini rigogliosi o sulle spiagge del Mediterraneo, dove le figure possono fondersi in armonia con l’ambiente e la natura circostanti. Joaquín Sorolla era un vero valenciano e questo vuol dire che il mare lo aveva nel cuore. Insieme ai dolci ritratti della sua famiglia, la rappresentazione del mare sarà l’altra grande costante nella produzione artistica di Sorolla, spesso in abbinamento con il soggetto familiare. Sono infatti frequenti le vedute di spiagge in cui rappresenta momenti di quotidianità della famiglia Sorolla sull’amata spiaggia di Valencia, o ancora sulle rive certamente più alla moda di Biarritz. Con la stessa autentica curiosità, l’artista guarda anche all’umile ritualità dei pescatori valenciani, così come al vivace gioco dei bambini che si gettano ridendo tra le onde o giocano con delle barchette, come ne El balandrito (1909).Sono tele infuse di luce e di vitalità, realizzate en plein air, sul momento. L’immediatezza e la spontaneità traspaiono da questi capolavori grazie a una tecnica pittorica rapida, ma decisa, intrisa di luce e brillantezza. Tra le tele dedicate al lavoro, di altissima qualità pittorica è Cucendo la Vela (1896). Presentata per la prima volta nel 1897 al Salon de la Societé des Artistes Français di Parigi, l’opera vince immediatamente una medaglia, successo replicato nello stesso anno all’Esposizione Internazionale di Monaco e ancora l’anno successivo, ottenendo addirittura la gran medaglia dello Stato Austriaco in occasione dell’Esposizione Internazionale di Vienna. L’opera continuerà a presenziare alle grandi esposizioni internazionali europee fino al 1905, anno in cui approda alla VI Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, venendo finalmente acquistata dal Municipio veneziano per la Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, dove è tutt’oggi. La tela racconta la vita dei pescatori del Grao, il porto di Valencia, e in particolare delle mogli, intente a rammendare una vela in un patio accanto alla spiaggia, che si intravede sullo sfondo tramite una porta aperta. La luce giunge dalla soleggiata spiaggia sullo sfondo ed è ulteriormente filtrata dalle piante del patio sulla sinistra, per poi riflettersi sulla splendida tela bianca, rendendo la scena brillante, allegra e leggera, pur nella rappresentazione di un lavoro umile e manuale. In Instantánea, Biarritz (1906), invece, l’amore per il mare si fonde con gli affetti personali del pittore. Vediamo infatti un’elegantissima Clotilde vestita di bianco, come di moda nelle spiagge più raffinate, con in mano una macchina fotografica, una piccola Kodak che la famiglia Sorolla utilizzava per documentare la vita quotidiana, a cominciare dalle frequentissime giornate in spiaggia. La tela è realizzata attraverso pennellate rapide e guizzi di colore, come tipico della tecnica di Sorolla. Bastano pochi tocchi cromatici per delineare le figure, rese allora in modo vivace e spontaneo. Grazie a questa pennellata sfrangiata, le figure si fondono con lo sfondo in una vibrante armonia. Nella sua produzione più matura, l’artista trova un ulteriore spunto di interesse nei giardini, a cui dedica la stessa attenzione pittorica delle spiagge. I dipinti di giardini sono pertanto tutti eseguiti en plein air alla Granja, nell’Alcazar di Siviglia, all’Alhambra e al Genera life di Granada o ancora nel giardino della sua casa, il futuro Museo Sorolla di Madrid. Inoltre, sono realizzati nelle più diverse situazioni climatiche e portati a termine in un’unica sessione con uno stile rapido e deciso, senza correzioni o ripensamenti. Talvolta il giardino è il vero protagonista della tela, in cui coloratissimi fiori e piante rigogliose si specchiano in splendide fontane, ma spesso, come per il mare, la natura condivide l’attenzione e lo sguardo del pittore con un soggetto, la famiglia Sorolla o un ritratto commissionato, come il Ritratto di Louis Comfort Tiffany (1911), in cui l’amico e noto designer americano è completamente immerso in un trionfo floreale. Di straordinaria armonia e dolcezza è la tela La Siesta (1911). Realizzato durante il soggiorno estivo della famiglia Sorolla a San Sebastian nel 1911, il quadro rappresenta quattro donne stese sull’erba, addormentate o impegnate nella lettura: sono Clotilde, la moglie dell’artista, le due figlie femmine, María ed Elena, e María Teresa García Banús, cugina del pittore. Con pennellate decise e spesse, tortuose nella resa del giardino, le figure, appena abbozzate, sono in completa armonia con il paesaggio, creando una profonda comunione tra donne e natura. Fondamentale per la carriera di Joaquín Sorolla è l’incontro con il mecenate americano Archer Milton Huntington, appassionato di arte e cultura spagnola e fondatore nel 1904 dell’Hispanic Society of America di New York. Huntington conosce il lavoro di Sorolla perla prima volta nel 1908 in occasione di una retrospettiva dell’artista alle Grafton Galleries di Londra e ne rimane profondamente colpito. Subito lo invita a New York, dove nel 1909 organizza una grande mostra all’Hispanic Society of America. La mostra ha un successo straordinario e viene immediatamente replicata nelle città di Buffalo e di Boston. Ormai lanciato sulla scena americana, tra 1910 e 1911 Sorolla accetta una committenza monumentale da parte di Huntington: la realizzazione del ciclo decorativo Visione della Spagna per la biblioteca dell’Hispanic Society of America, un lavoro impegnativo, talvolta spossante, tanto da assorbire gran parte delle energie dell’artista nei suoi ultimi anni. Si tratta di una serie di pannelli a olio di tre metri e mezzo d’altezza per una lunghezza complessiva di circa 70 metri, che illustra i vari aspetti della vita e della cultura spagnola attraverso le sue quindici Regioni. Per questo grandioso progetto, Sorolla viaggia molto al fine di documentarsi sui tipi umani e sui costumi delle varie realtà spagnole. Tra 1912 e il 1919, Sorolla percorre la Spagna realizzando studi dal vero da utilizzare per i dipinti definitivi. Sono questi gli anni dei Tipi, studi di imponenti dimensioni tanto da essere vere e proprie opere, che mostrano e documentano il folklore e la moda locale. A questi studi di figure, si accompagnano poi studi di paesaggi regionali, che affascinano profondamente il pittore e che serviranno infine da sfondo per i Tipi. Presenti in mostra saranno alcuni di questi studi monumentali, tra cui i Tipi de El Roncal (1912), studio dell’estate 1912, che rappresenta tre nativi di El Roncal, una Regione composta da sette piccoli villaggi arroccati tra le montagne della Navarra, che si intravedono sullo sfondo. Le figure indossano abiti tipici e si stagliano contro una veduta del paesaggio locale, a esprimere con efficacia attraverso pochi dettagli l’identità regionale. Durante i continui viaggi, Sorolla rimane profondamente colpito da aspetti della sua stessa terra che non conosceva ancora e rappresenta tramite un’arte entusiasta e ispirata moltissimi dettagli delle realtà folkloristiche che incontra. In particolare, Sorolla visita due volte e con gioia Siviglia, studiando a fondo la realtà dei ballerini di flamenco al Café Novedades, che rappresenta poi in opere come la bellissima e dinamica Ballerina di flamenco (1914) in mostra. Chiude il viaggio nell’arte e nella vita di Joaquín Sorolla una sezione dedicata alle opere ispirate dagli studi classici, opere che rappresentano per il pittore una sorta di ritorno alle origini del suo percorso artistico. Infatti, sin dalla formazione all’Accademia di Belle Arti di San Carlo a Valencia, che includeva il disegno di sculture classiche, Joaquín Sorolla y Bastida è sempre stato affascinato dalla cultura greco-romana. Nel 1885, grazie a una borsa di studio della Diputación de Valencia, Sorolla si trasferisce a Roma, dove può finalmente studiare dal vivo l’antichità classica. L’artista non visiterà mai, al contrario, la Grecia, ma avrà modo di rimanere incantato davanti ai fregi del Partenone durante la sua visita londinese in occasione della personale alle Grafton Galleries del 1908.
Dall’arte greca e romana, Sorolla trae non solo preziosi insegnamenti d’impostazione compositiva, ma soprattutto il gusto per le figure monumentali, che si imporrà con maggior decisione nella produzione matura dell’artista. Tele come Pescatrici Valenciane (1915) mostrano come Sorolla, pur rimanendo legato ai suoi soggetti prediletti, tra cui le figure di lavoratori e le amate scene di mare, le sappia rinnovare in un potente e austero linguaggio monumentale.
Museo Nazionale del Prado Madrid
Joaquín Sorolla in Ritratti
dal 21 Dicembre 2022 al 18 Giugno 2023
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00