Giovanni Cardone Aprile 2023
Fino al 25 Giugno 2023 si potrà ammirare a Palazzo Reale di Milano la retrospettiva dedicata ad Helmut Newton. Legacy  a cura di Matthias Harder e Denis Curti in occasione del centenario dalla nascita di un grande fotografo che riuscì a dare uno sguardo nuovo all’unicità, allo stile e al lato provocatorio del lavoro dell’artista. L’esposizione promossa dal Comune di Milano - Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte, in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino, l’esposizione è parte di Milano Art Week (11 – 16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con miart, che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e le fondazioni private della città che si occupano di arte moderna e contemporanea, con una programmazione dedicata di mostre e attività. La mostra ripercorre attraverso 250 fotografie, riviste, documenti e video l’intera carriera di uno dei fotografi più amati e discussi di tutti i tempi. Accanto alle immagini iconiche, un corpus di scatti inediti, presentati per la prima volta in Italia, svela aspetti meno noti dell’opera di Newton, con un focus specifico sui servizi di moda più anticonvenzionali. Polaroid e contact sheet permettono di comprendere il processo creativo che si cela dietro alcuni dei motivi più significativi del lavoro di Newton, mentre pubblicazioni speciali, materiali d’archivio e dichiarazioni del fotografo consentono di ricostruire il contesto nel quale è nata l’ispirazione di questo straordinario artista. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Helmut Newton apro il mio saggio dicendo: Nel corso del XVII° secolo, grazie all’ evoluzione delle tecniche di stampa, nei principali paesi europei iniziano a diffondersi le cosìdette gazzette, pubblicate generalmente una volta alla settimana e contenenti notizie e informazioni utili come ad esempio gli orari delle partenze e degli arrivi delle navi, i giorni dei mercati e delle fiere, le presentazioni di libri, e via dicendo. Con l’ edizione a stampa delle gazzette nasce dunque la réclame, quella che ad oggi possiamo considerare la prima vera e propria forma di pubblicità, ancora priva di illustrazioni e basata su un testo simile per impaginazione e contenuto a quello degli articoli giornalistici. Sembra che le prime réclames comparse sui giornali siano quelle pubblicate nel 1625 sul Mercurius Britannicus. Anche in Italia, alla fine del Seicento, compaiono le prime réclames sui giornali locali. Il primo annuncio italiano risale al 1691 a Venezia sul Protogiornale Veneto Perpetuo. É nel corso del Settecento però che la réclame inizia a diffondersi in modo capillare sulla gran parte dei giornali locali, soprattutto in quelli inglesi come il Tatler, fondato nel 1709, e lo Spectator, creato nel 1711. La prima forma di pubblicità moderna ha dunque origine in Inghilterra, non è un caso naturalmente, in quanto è proprio lì che nel Settecento ha origine la prima rivoluzione industriale che comportò, tra le molteplici conseguenze, anche la produzione in serie dei prodotti. Come conseguenza più indiretta della rivoluzione industriale e degli enormi cambiamenti che essa ha portato nelle città e negli stili di vita della popolazione, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’ Ottocento, naturalmente in Inghilterra, nasce anche la figura dell’ agente pubblicitario. Questa nuova figura professionale diviene necessaria in seguito alle intuizioni, tutt’ altro che errate, dei fondatori delle nascenti aziende. Essi infatti si rendono conto in fretta degli innumerevoli vantaggi che avrebbero potuto ottenere dalla possibilità di poter acquistare sulle riviste del territorio degli spazi in cui esporre e far conoscere il proprio prodotto quotidianamente ai moltissimi lettori. Le pubblicità sui giornali compaiono ben presto anche in Francia, a partire da Parigi dove, nel 1845 nascono alcune importanti concessionarie specializzate nella raccolta di annunci pubblicitari da pubblicare sui giornali locali: la Havas, la Panis, la Lafitte e la Société Générale des Annonces. Le réclames di questo periodo hanno all’ incirca le stesse caratteristiche sia in Europa che negli Stati Uniti; questa omogeneità di forma e contenuto si spiega col fatto che, a partire da questo periodo, le marche americane arrivano ormai a vendere anche nel vecchio continente. Anche in Italia in quegli stessi anni assistiamo ad una notevole espansione dell’ economia e di conseguenza anche della stampa. Attilio Manzoni  un farmacista bresciano, nel 1863 apre la prima concessionaria italiana, che ancora oggi lavora con grande successo. Con Attilio Manzoni nasce anche in Italia la figura del venditore di spazi pubblicitari. All’ interno delle concessionarie iniziano a lavorare i ‘creativi’, figure professionali ancora ibride e dai profili non ben delineati, in grado di produrre gli annunci per quei clienti a cui vengono venduti gli spazi pubblicitari nei quotidiani. Nel 1888 la concessionaria di Attilio Manzoni progetta e realizza le prime campagne nazionali che sono comparse sulla stampa italiana: quelle per le acque Fiuggi e Santa Caterina Valfurva. Alla Manzoni sono seguite altre importanti concessionarie, come ad esempio la UPI, divenuta SPI nel 1945, dotate di un vero e proprio studio creativo che raggiunge il massimo sviluppo negli anni Trenta del Novecento, quando arriva persino ad essere la più importante ‘fabbrica’ italiana di campagne pubblicitarie. Grazie all’ invenzione della litografia, ideata da Aloys Senefelder nel 1796, a partire da inizio Ottocento compaiono sulle mura delle città i primi manifesti in bianco e nero. Nel XIX° secolo gran parte della popolazione è ancora analfabeta e di conseguenza le pubblicità sui giornali, per quanto efficaci e certamente d’ impatto, sono ancora rivolte ad una esigua parte della popolazione. Al contrario, invece, i manifesti appesi alle mura delle città diventano fin da subito il mezzo più veloce ed efficace con cui impressionare e guadagnare l’ attenzione di tutti i passanti, lettori e non. I manifesti di inizio Ottocento tuttavia sono ancora prevalentemente caratterizzati da una costruzione grafica fortemente condizionata dal modello del libro e della scrittura letteraria: prevalenza di testo scritto con una struttura tipografica compatta, indifferenziata e lineare. Si tratta ancora fondamentalmente di una pubblicità che viene concepita per essere letta. Attorno alla metà dell’ Ottocento vengono però introdotte alcune ‘frasi ad effetto’, riassuntive del messaggio pubblicitario, che saltano all’ occhio dell’ osservatore per il font più massiccio che spicca rispetto al resto del testo. L’ utilizzo di slogan e il tentativo di introdurre una gerarchia nella lettura del testo mediante l’ impiego di font differenziati, ci permette di cogliere quanto sia in corso un affinamento sostanziale, seppur lento e graduale, degli studi cognitivi sulla percezione. Questo processo, che inizia per l’ appunto con la ricerca di sintesi dei primi slogan, porterà la pubblicità moderna ad identificarsi sempre meno con il testo e sempre più con l’ immagine. I primi ad utilizzare i manifesti illustrati sono gli editori, ma ben presto vengono emulati anche dai teatri, dai cabaret e dai circhi equestri. I manifesti in cui è presente una parte illustrata oltre alla parte di testo scritto possiedono un fascino e un potere persuasivo senza precedenti. Si può dire, non a caso, che la pubblicità moderna nasca in concomitanza con la nascita dell’ arte moderna. La radice comune è rappresentata da quel periodo fatto di grandi cambiamenti sociali e tecnologici, di cui si è fatto cenno in precedenza, che hanno comportato una rivoluzione sostanziale non solo della società e dei costumi, ma anche dei caratteri e dei principi dell’ arte. Il ruolo dell’ artista all’interno della società naturalmente non può non risentire dei cambiamenti della società stessa, la quale è andata trasformandosi come mai prima di allora. É l’epoca della Rivoluzione Industriale, della riproducibilità tecnica, del fenomeno della moltiplicazione dei prodotti e della loro trasformazione in merce, dell’ aumento del consumo e della nascita delle masse, della diffusione capillare delle informazioni e della costruzione della rete di trasporti. Quand’ è che l’ opera d’ arte inizia a parlare di attualità e a farsi ‘manifesto’? Quando l’ occasione espositiva è ufficializzata e istituzionalizzata come evento aperto al giudizio di tutti? In concomitanza con l’era dei manifesti pubblicitari affissi sui muri delle grandi città, inizia anche l’ era dei manifesti programmatici dei movimenti artistici. Manet va sicuramente citato per aver introdotto e trattato il delicato rapporto tra arte e pubblicità.
Una tappa fondamentale nell’ evoluzione del linguaggio della pubblicità è costituita dal manifesto ‘Les Chats’ realizzato da Manet a Parigi nel 1868 per il libro omonimo di Champfleury. Forse per Manet si trattava di una semplice illustrazione, o forse senza esserne del tutto cosciente, è affascinato dall’ idea che la pubblicità possa rappresentare la città come un libro, in cui i muri dei suoi palazzi sono rappresentati su dei fogli da disegno. I primi manifesti sono per lo più pubblicità di negozi, di locali o di imprese del territorio. Grazie ad essi la pubblicità sposta il suo fulcro dal negozio al prodotto, che attraverso la diffusione dei cartelloni può arrivare ovunque, ad di fuori del negozio e ben lontano da esso. Il prodotto ha bisogno di distinguersi, di essere notato: il formato del manifesto diventa quindi sempre più grande. Nello stesso periodo nascono i primi grandi magazzini, primi fra tutti Au Bon Marché e Samaritaine a Parigi. Il primo illustratore a realizzare una vera e propria affiche, l’ antenato del manifesto pubblicitario, è Jules Chéret. L’attività pubblicitaria di Chéret è frenetica, a lui sono stati attribuiti 882 manifesti, di cui 4 per l’Opéra, 15 per l’Opéra Comique, 28 per l’Opéras-Bouffes, 6 per Ballets, 57 per Folies Bergère, 22 per Concert de l’Horloge, 16 per Concert de l’Alcazar, 22 per Concert des Ambassadeurs, 15 per concerti diversi, 59 per altri teatri ed altri spettacoli o balli, 33 per Cabarets, 16 per il Palais de Grace, 49 per l’Hippodrome, 10 per Circhi, 32 per Esposizioni e Musei, 43 per manfestazioni diverse, 134 per libri, giornali e riviste o romanzi, ed i rimanenti per i Grandi Magazzini, ditte industriali o commerciali, o vari, tra i quali 3 per uffici di affissione o pubblicitari. Risulta difficile per noi sostenere con certezza se l’ arte delle affiches sia stata influenzata e condizionata dai movimenti artistici dell’ epoca o sia stata essa stessa a determinarli in parte a ad influenzarli, tuttavia è indubbio che lo stile delle affiches è stato capace di adattarsi al gusto del grande pubblico, a maturare e ad evolversi insieme ad esso, sostenuta dall’ estro e dall’ ingegno dei grandi artisti. L’affiche in un primo momento ha interessato il grande pubblico catturandone l’ attenzione, e poi lo ha conquistato, fino al punto che un manifesto senza immagine non ha più senso di essere neppure notato. Per il pubblico francese è stato un graduale quanto piacevole abituarsi al fatto che i muri spogli e freddi della nascente città industriale siano diventati dei moderni musei a cielo aperto, dove chiunque, passando, può soddisfare qualcuna delle proprie aspirazioni. Le prime affiches parigine sono una sorta di mezzo di educazione per la massa all’ arte visiva, un’ educazione che avviene per le strade, di semplice comprensione, colorata e molto più canora di quanto l’ arte non fosse mai stata prima di allora. Sembra che la prima esposizione dei manifesti moderni illustrati sia stata quella organizzata da M. Vallet nel 1884 con le opere di Jules Chéret, giovanissimo ma già celebre, e di Leon ed Alfred Choubrac, nel Théatre au Passage Vivienne di Parigi. La seconda esposizione di manifesti risale all’Esposizione Universale del 1889, ancora a Parigi, organizzata da Ernest Maindron. Naturalmente, il forte impatto dei manifesti sulla società e la conseguente ripercussione che essi hanno determinato sulle vendite dei prodotti pubblicizzati ha fatto sì che è andato aumentando sempre più il numero di illustratori e la formazione di quelle figure professionali che costituiranno in seguito le sempre più strutturate agenzie pubblicitarie del Secondo Dopoguerra. I manifesti pubblicitari diventano oggetto di studio e di discussione, vanno definendosi delle strutture specifiche e delle composizioni sempre più attente e studiate. Nei manifesti più significativi di inizio Novecento naturalmente vi si ritrova l’ influenza delle più importanti correnti artistiche dell’ epoca e la sperimentazione delle tecniche più avanzate, come il fotomontaggio. Tra il 1912 e il 1914 Paolo Picasso, seguito da George Braque e Juan Gris, realizza un gran numero di collage e disegni servendosi pezzi di marche commerciali, manifesti e lettere di insegne. Ma sono soprattutto i futuristi italiani ad avere un legame particolarmente intenso e proficuo con la pubblicità. L’ idea di pubblicare il Manifesto del Futurismo sulla pagina di Le Figaro del 20 febbraio 1909 è considerato un atto che non può esser casuale, bensì va interpretato come una consapevole strategia pubblicitaria che ha come scopo colpire il grande pubblico. I futuristi sono i veri pionieri della pubblicità in Italia, essi la sperimentarono in tutti i modi, dai volantini e gli striscioni, alle affissioni dei manifesti e a veri e propri annunci sui giornali, slogan ed eventi propagandistici provocatori come le ‘serate futuriste’. Anche la sperimentazione futurista delle ‘parole in libertà’ che si basa sull’ utilizzo fortemente espressivo dei caratteri tipografici e una smisurata libertà nella composizione dello spazio della pagina affonda le sue origini sulle sperimentazioni nel campo della grafica pubblicitaria dei manifesti. Nell’ ambito futurista è inoltre da ricordare il grande lavoro di Fortunato Depero che nel 1919 fonda la Casa d’ Arte Futurista, la quale all’ epoca svolgeva le stesse funzioni di un’ odierna agenzia di pubblicità. L’ industriale Davide Campari non a caso ricorre a numerosi artisti, tra i quali Leonetto Cappiello e Marcello Nizzoni, con l’ obiettivo di creare pubblicità insolite e stravaganti. Anche Fortunato Depero lavora a lungo con Davide Campari e arriva persino a portare alla Biennale di Venezia del 1926 un dipinto, ‘Squisito al selz’ in cui sono rappresentati i tavolini di un caffè con un Bitter Campari, opera dedicata proprio a Davide Campari. Si può affermare che l’ introduzione della fotografia all’ interno della società ha portato in un certo senso il voyerismo alle masse, rendendo pubblico ciò che fino ad allora è stato soltanto immaginato e segreto. Si può iniziare a parlare di fotografia di moda a partire dagli anni Cinquanta dell’Ottocento quando Charles Worth,  con l’ obiettivo di mostrare le proprie creazioni al grande pubblico, inizia a far indossare i propri capi a delle modelle in carne ed ossa. Gradualmente i lettori vengono introdotti alla cultura della rivista illustrata, e contemporaneamente grazie alle tecniche industriali di produzione di massa dei capi di abbigliamento, nei primi anni dei XX° secolo anche i direttori delle riviste iniziano a mostrare il proprio interesse alle pubblicità di moda. Si assiste ad un aumento esponenziale dei fotografi commerciali, i quali imparano ad adattare il proprio stile alle necessità dei potenziali clienti. Alcuni si specializzano nella fotografia di moda, altri in quella di arredamento, di cibo, di automobili e di altri oggetti che iniziano ad imporsi come le icone del design del XX° secolo. Il nuovo approccio alla fotografia editoriale nelle riviste è segnato da un aumento esponenziale dell’ utilizzo della fotografia nella pubblicità. La prima rivista di moda illustrata è Vogue, lanciata nel 1892, anche se in questo caso la fotografia ancora non sostituisce le illustrazioni. La vera svolta è opera dall’ edizione di Condé Nast del 1913, grazie al direttore artistico dell’ epoca Baron Adolphe de Meyer e alle sperimentazioni di Edward Jean Steichen  nel corso degli anni Venti. Steichen non ha uno studio proprio, in questo periodo si trova a lavorare esclusivamente all’ interno dell’ appartamente di Condè Nast. La prima fotografia di moda è scattata proprio da Steichen e risale al 1911: l’immagine contiene già tutta la magia, il mistero, il sogno e il fascino che ancora oggi troviamo nelle grandi fotografie di moda. La collaborazione creativa tra la redazione di Condé Nast e i diversi fotografi che hanno susseguito Steichen è trionfata nella nascita della fotografia di moda, tanto innovativa quanto provocatoria, sempre in grado di catturare, e anzi anticipare, lo stile del momento. Steichen è dunque l’iniziatore della fotografia di moda e ha fissato degli standard duraturi, il suo talento sta nel riuscire a trasformare l’immagine in un quadro, studiandone impostazione e colori come fosse un pittore. Tra le svariate sperimentazioni Steichen si rende conto che aggiungendo una luce artificiale a quella naturale è possibile ottenere una grande varietà di scatti, trasformando le fotografie pubblicitarie da semplici immagini di un prodotto a qualcosa di più naturale, a rappresentazioni più sensuali e poetiche. Sulla scia di Steichen, Anton Bruehl, Nikolas Muray, George Hoyningen-Huene, e Cecil Beaton attraverso con i loro scatti contribuiscono a delineare e a costituire l’ ideale del desiderio del consumatore nel corso di tutti gli anni Trenta. L’ invenzione di macchine fotografiche portatili e di pellicole sempre più prestanti, come la Rolleiflex, oltre che grazie all’ introduzione dei colori, nel corso degli anni Trenta ha elevato la fotografia pubblicitaria da un’ evoluzione dell’ illustrazione ad una forma d’ arte vera e propria. La leggerezza e le dimensioni ridotte delle macchine fotografiche ha consentito ai fotografi di essere sempre meno vincolati e di potersi avventurare anche al di fuori degli studi fotografici. Durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, la fotografia di moda viene considerata qualcosa di frivolo e superficiale.
L’industria della moda in Francia attraversa un periodo di grande difficoltà e molti atelier si trovano costretti a chiudere o a ridurre drasticamente l’ attività a causa della scarsità di fondi, oltre che di materiali e di modelli. Nonostante alcune eccezioni, si può dire che in periodo di guerra la fotografia in studio per la maggior parte dei casi risulta essere fuori budget, lo studio francese di Vogue chiude nel 1940. Molti fotografi come Horst e Man Ray si ritrovano costretti ad abbandonare l’ Europa e a trasferirsi a New York dove hanno la posibilità di fondare un nuovo modello di fotografia di moda approfittando dell’ esuberanza giovanile della cultura Americana in pieno sviluppo. A New York la fotografia pubblicitaria continua a svilupparsi apparentemente indisturbata da ciò che sta succedendo in Europa; Louise Dahl-Wolf  pubblica il suo primo lavoro di moda per Harper’s Bazaar nel 1936. É indubbiamente una pioniera della fotografia di grande formato, è stata capace di mantenere una risoluzione e una nitezza ineguagliate per molto tempo, utilizzando la nuova pellicola 8x10 Kodachrome. La fotografia di moda è stata influenza per decenni dallo stile e dal lavoro della Dahl-Wolf, che è anche riuscita a codificare il ritratto della donna degli anni Trenta, mostrandola in tutta la sua femminilità ed esaltandola ad oggetto del desiderio come non era mai stato fatto fino ad allora. Nel 1943 la FSA si scioglie; i numerosi fotografi e documentaristi iniziano a cercar fortuna altrove e alcuni di loro approdarono in questo modo alla fotografia di moda. Gordon Parks trova un’occupazione a Vogue, inoltre grazie all’ appoggio di Alexander Liberman che propone i suoi scatti all’ editore di Glamour, dal 1944 le sue fotografie vengono pubblicate in entrambe le riviste. Al termine del conflitto mondiale aumenta in maniera esponenziale la produzione di beni di consumo, l’ attenzione si sposta sul ‘mercato di massa’, e di conseguenza anche la moda riceve un impulso positivo, specialmente per quanto concerne i capi pret à porter. Alexey Brodovitch  è una figura fondamentale in questi anni, contribuendo ad identificare e definire questo nuovo mercato. Ricopre il ruolo di art director di Harper’s Bazaar dal 1938 al 1958, sostituendo il classico layout verticale con un’ impaginazione più libera e di più ampio respiro caratterizzata da una struttura molto più flessibile e adattabile alle esigenze della fotografia. La sua apertura mentale e la sua creatività in questo periodo rappresentano un’ ottima sfida per i fotografi, oltre che una grande opportunità. All’ interno dello studio di Brodovitch sono passati molti fotografi ed artisti che hanno fatto la storia della fotografia di moda di questi anni. È opportuno citare in particolare Irving Penn e Richard Avedon, suoi studenti ed allievi, oltre a Bob Cato, Otto Storch e Henry Wolf, che grazie a Brodovitch saranno art director delle più importanti riviste di moda. Agli inizi degli anni Sessanta la fotografia di moda appare rivoluzionaria e futuristica. Il movimento femminista, le dimostrazioni contro la guerra e la Pop Art interessano nel profondo la fotografia di moda, e ne sconvolgono il senso oltre che la forma. Da un più introspettivo romanticismo si passa all’ espressione della libertà sessuale e ad una nascente forma di erotismo esibito. Bob Richardson è uno più influenti fotografi di moda di questi anni, i suoi lavori per Vogue anticipano le strategie della fotografia di moda degli anni Novanta con le inquadrature azzardate e la luce innaturale derivanti dalle grandi personalità di registi cinematografici quali Antonioni e Goddard. Gli anni Sessanta rappresentano un momento di svolta nella fotografia, la quale inizia a mostrare esplicitamente il corpo, principalmente quello femminile. Le riviste di moda sono le prime ad esplorare i codici sociali e sensuali attraverso gli abiti e gli stili di vita; lo stile, l’ eleganza, lo stato sociale, tutto sembra ruotare attorno all’ esibizione della sensualità. Già alla fine degli anni Sessanta la nudità sembra aver perso il suo effetto shock; fotografi come Helmut Newton e Guy Bourdin valicano i confini del sensuale arrivando a proporre immagini sempre più aggressive. Il fascino di Newton nei confronti della rappresentazione del nudo femminile lo ha inevitabilmente portato a lavorare per Playboy e a fotografare modelle di fama internazionale come Debra Winger e Grace Jones. I suoi scatti, tanto erotici quanto taglienti, hanno cambiato non solo la fotografia di moda, ma anche la moda stessa. Nel corso degli anni Ottanta la fotografia di moda non ha più una direzione chiara e coerente; in Europa le immagini erotiche non suscitano più alcun scandalo, in America la moda diventa sempre più kitsch, la mediocrità sembra il leit motif di questi anni. Forse l’unica eccezione è rappresentata dal lavoro di Bruce Weber, diventato famoso grazie alla sua campagna pubblicitaria per Calvin Klein in cui ha introdotto nella fotografia di moda il tema della sensualità maschile. Il focus del lavoro di Weber mira ad esaltare il corpo dell’ uomo più che gli abiti che indossa; i suoi scatti delineano l’ immaginario del sex appeal maschile, che viene esplorato da lui per la prima volta. Le sue fotografie omoerotiche rappresentano il primo e più grande esempio di fotografie di gender. La fotografia di moda per definizione rappresenta uno strumento attraverso il quale cogliere ed esprimere lo spirito del tempo, e aiutare a suggerire cosa risulti più desiderabile. Le fotografie di moda, di qualsiasi epoca storica, raccontano sempre di uno stile di vita ed incarnano i valori culturali di ciascun periodo. Esse hanno la capacità di persuadere, e di agire in profondità, sulla nostra sfera emotiva. Helmut Newton nasce a Berlino nell’ ottobre 1920. All’età di sedici anni inizia a lavorare come apprendista nello studio della fotografa Else Simone, chiamata Yva, da cui impara l’ arte della fotografia. Newton nutre una profonda ammirazione nei confronti di Bressai, che intorno 1929 è attivo come fotografo per le principali riviste tedesche e che sarà da modello e ispirazione al giovane Helmut. Nel 1938 Newton lascia Berlino insieme ai genitori, i quali si trasferiscono in Sud America, mentre lui si stabilisce a Singapore. La famiglia di Newton è di origine ebraica, pertanto si vede costretta a fuggire dalla Germania per non finire nei campi di concentramento, come avverrà invece purtroppo alla maestra di Helmut, Yva. Newton trascorre un breve periodo a Singapore, due anni in cui prova a cimentarsi come fotografo di cronaca presso il Singapore Straits Times ma viene licenziato dopo sole due settimane ‘per incompetenza’. Nel 1940 lascia Singapore per trasferirsi in Australia dove presta servizio nell’esercito australiano per cinque anni come soldato semplice: la sua mansione è di guidare camion e fare il manovale lavorando nelle ferrovie. Dopo esser stato congedato dall’esercito apre un piccolo studio fotografico a Melbourne, e nel 1947 conosce June Brunell, attrice australiana che sposerà un anno più tardi, nel 1948. Anche June a partire dagli anni Settanta decide di dedicarsi alla fotografia con il nome di Alice Springs e avrà una grande influenza nell’opera del marito. Newton nel corso della sua carriera non ha mai amato parlare della sua infanzia e del momento in cui ha dovuto abbandonare la Germania e separarsi dalla sua famiglia, ma ha sempre sostenuto di nutrire una forte nostalgia nei confronti della città di Berlino. Nel 1956 lascia Melbourne e si trasferisce a Londra dove realizza le sue prime fotografie di moda. Resta a Londra un anno lavorando come fotografo di moda per l’edizione inglese di Vogue, poi si trasferisce a Parigi dove trova lavoro per Jardin des Modes e per Vogue francese per cui lavora per ben venticinque anni. Fotografa anche per l’edizione americana e italiana di Vogue, per Linea Italiana, Queen, Marie Claire e Elle. Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta Newton vive un periodo di grande creatività e produttività: in questi anni prendono forma la sua visione e il suo linguaggio relativi alla moda e alla concezione della donna moderna. Philippe Garner descrive così la fotografia di Newton di questo periodo: Di questo mondo dell’alta borghesia Newton si è rivelato un egregio osservatore, sempre alla ricerca di un nuovo ideale di bellezza, creando molto scalpore e attirando le critiche di molte donne che lo hanno persino accusato di misoginia. Tre decenni più tardi le fotografie di Newton ci appaiono tutt’altro che maschiliste e misogine, al contrario, Newton è stato in grado di creare una visione innovativa su temi ricorrenti, dando vita ad uno stile unico che ha anticipato l’immagine della femminilità rispetto a come si è poi effettivamente evoluta nel corso della seconda metà del XX° secolo. Il contributo di Newton e del suo lavoro nei confronti della storia della fotografia moderna è proprio il fatto di esser stato in grado di anticipare i tempi, di aver avuto l’intuizione e la capacità di immaginare la figura femminile esattamente come appare oggi a noi contemporanei del terzo millennio. Le donne di oggi sono esattamente come le ha ritratte Newton quarant’anni prima: donne che preferiscono condurre il gioco piuttosto che essere spettatrici, donne che amano e desiderano chi vogliono e quando lo vogliono, donne in salute e piene di vigore dotate di corpi muscolosi e tonici corpi di cui loro stesse in primis hanno il dominio. L’immaginario femminile creato da Newton anticipa la rivoluzione sessuale che culmina con l’avvento della pillola anticoncezionale, l’immagine che ci offre è quella di una donna che sa esattamente ciò che vuole e come ottenerlo, che è ben lontana dall’essere un oggetto sessuale dell’uomo. È proprio per questi aspetti tanto chiari quanto estremi che l’opera di Newton è apparsa così scioccante, le sue fotografie incarnano la graduale e costante conquista che ha modificato fortemente la mentalità femminile e fatto crollare i tabù della moralità cristiana. Le principali categorie in cui Newton si cimenta sono: la moda, il nudo e il ritratto. Nell’opera di Newton è però impossibile parlare separatamente di questi tre aspetti perché le sue fotografie di moda possono essere un nudo o un ritratto, e viceversa, un nudo può anche essere un ritratto. Helmut adora mescolare le carte e confondere i generi ed è per questo andrò ad analizzare insieme fotografie di moda, in cui troveremo sicuramente anche dei nudi e dei ritratti. É possibile a mio avviso effettuare però una distinzione tra le fotografie di moda e i nudi rispetto ai ritratti. Nelle fotografia di moda e nei nudi, compresi i ‘Grandi Nudi’, l’ambientazione è studiata con meticolosità e con grande attenzione in quanto l’intento è quello di raccontare una storia, di svelare un intreccio, i modelli sono sempre attori che prendono parte di una storia. I ritratti invece sono eseguiti con primissimi piani che mettono in luce i tratti caratteristici dei soggetti attraverso una luce diretta e dura che mette a nudo ogni imperfezione. Newton confessa il suo forte interesse per la fotografia antropometrica introdotta nei primi anni del XX° secolo per l’identificazione dei criminali. Proprio per la profondità con cui si scava a fondo nei dettagli del volto, i ritratti di Newton hanno la capacità di mettere in luce la complessità dell’essenza intima del soggetto ripreso. Gli ultimi anni della sua vita si trasferisce insieme alla moglie June a Montecarlo e poi a Los Angeles, dove muore nel mese di gennaio del 2004 a causa di un incidente stradale. Il giorno seguente avrebbe dovuto iniziare un servizio fotografico che porterà a termine la moglie. Nel 2003 Helmut insieme alla moglie avevano costituito una fondazione, a Berlino: la Helmut Newton Foundation, che apre l’ anno della sua morte.Il primo approccio alla fotografia di moda avviene da ragazzino, all’interno dello studio fotografico di Yva a Berlino, noto per i ritratti e per le fotografie di moda. Diciotto anni più tardi, nel 1956, Newton vede pubblicate le sue fotografie su Vogue. Helmut Newton è stato uno dei primi ad essere considerato, per il suo talento, non soltanto un fotografo, ma anche un artista. Le sue fotografie femminili vanno al di là della moda: grazie a Newton la fotografia è diventata seducente, elegante, potente, provocatoria e scioccante. Ha invitato l’osservatore a guardare alla fotografia di moda in modo differente, e vista in quest’ottica non appare più frivola e superficiale, ma viene elevata a forma d’ arte. Nel 1976 Newton pubblica la sua prima raccolta di fotografie: il volume è intitolato White Women e viene pubblicato in diverse edizioni e in diverse lingue. Poco dopo ottiene il premio Kodak Photobook Award. Grazie a questa raccolta Newton è riuscito a creare un particolare impatto che ha preparato la strada per una ‘erotizzazione visiva’ della moda, culminata tra il 1980 e il 1981 con le due famose serie Big Nudes e Naked and Dressed, volumi che raccolgono degli scatti che possono essere classificati contemporaneamente sia come fotografie di moda che come riratti. L’idea del tutto anticonvenzionale di presentare la moda attraverso dei dittici di modelle svestite e vestite trova origine nella storia dell’arte, in particolare nella Maya desnuda e nella Maya vestida di Goya, conservate al Prado di Madrid. Nel corso degli anni Settanta Newton compie un decisivo passo avanti nella sperimentazione della fashion photography utilizzando all’interno del linguaggio visivo della moda una nudità pura o sottilmente accennata. Queste immagini insolite stupiscono e provocano, ma soprattutto rivoluzionano il concetto di fotografia di moda. Nel 1978 Newton pubblica la seconda raccolta di fotografie: Sleepless Nights, un’altra importante raccolta di scatti iconici pubblicate da diverse riviste, tra cui naturalmente Vogue, sia nell’edizione francese, che in quella italiana e americana, ma anche Playboy e Der Spiegel. Questa raccolta di immagini racconta come si può immaginare di donne e di moda.
Ma le fotografie di moda di Newton sono anche ritratti della società, in un certo senso rappresentano una sorta di lente di ingrandimento sulle abitudini e sui costumi della società borghese di metà Novecento. Sleepless Nights è un volume a carattere retrospettivo che raccoglie settantuno fotografie, di cui trentatre a colori e trentotto in bianco e nero, realizzate per diverse riviste di moda negli anni precedenti, e rappresenta il volume che meglio fra tutti definisce lo stile di Newton e che lo incorona icona della fashion photography. In questa raccolta si trovano per laprima volta modelle seminude che indossano corpetti ortopedici, donne bardate con selle Hermès, o ancora donne manichini. Nel 1978 negli scatti che realizza per l’edizione francese di Vogue Newton inizia ad utilizzare dei manichini al posto delle modelle in carne ed ossa. Con i loro abiti, scelti dagli stilisti di Vogue, i manichini risultano così realistici da rendere difficile distinguerli dalle modelle vere. I manichini di Sleepless Nights sono presentati per lo più in amorevole associazione con una persona reale. La tensione formale ottenuta da Newton attraverso l’interazione di questi due ‘soggetti’ non ha nè uguali né precedenti nella storia della fotografia di moda. Per Newton la moda è spesso una scusa per realizzare qualcosa di diverso e di molto intimo ed individuale. La terza pubblicazione di Newton è intitolata Big Nudes, volume pubblicato in diverse edizioni da numerose case editrici e in diverse lingue. Nella sua autobiografia pubblicata nel 2004 Newton spiega la genesi di Big Nudes, ovvero i grandi manifesti diffusi dalla polizia tedesca con le foto dei ‘ricercati’ dalla RAF che gli suggeriscono di fotografare dei nudi a figura intera all’interno dello studio, utilizzando una macchina fotografica di medio formato e di trasformare poi questi scatti in stampe a grandezza naturale. Poco tempo dopo la loro realizzazione, i Big Nudes vengono esposti in diversi musei. Le fotografie successive mantengono il formato a grandezza naturale, e con la serie Naked and Dressed Newton apre una nuova dimensione dell’immagine umana in fotografia. I quarantanove scatti in bianco e nero di Big Nudes infatti aprono la strada alle gigantografie che, da questo momento, entrano nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo. La seconda delle due serie viene realizzata en plein air nella primavera 1981 per l’edizione italiana di Vogue; ad essa susseguono dopo pochi mesi gli scatti in studio realizzati per Vogue Francia. Il dittico ‘They are Coming!’, che fa parte di questa serie, è presentato come opera permanente nella sala d’ingresso della Helmut Newton Foundation, di fronte a cinque Big Nudes, fin dal momento dell’inaugurazione dello spazio espositivo. La collaborazione di Helmut Newton con Blumarine risale all’inizio degli anni Novanta; il marchio affida ad Helmut ben sette campagne pubblicitarie che vedono come protagoniste alcune delle modelle che di lì a breve sarebbero diventate delle grandi top models. La fondatrice del brand nonché art director Anna Molinari da sempre crede nel connubio tra arte e moda, nell’esaltazione del bello attraverso diverse forme espressive, tra cui naturalmente anche la fotografia. Per Anna la moda è in grado di veicolare forme e mondi che possono contribuire a creare l’identità della società e di influire sulle tendenze e sui cambiamenti culturali. Le precendenti campagne pubblicitarie di Blumarine realizzate dal fotografo Albert Watson nella seconda metà degli anni Ottanta sono ambientate in contesti architettonici e paesaggistici molto suggestivi che danno vita ad un concetto di bellezza romantico e senza tempo. Per Anna Molinari è giunto il momento di cambiare registro e di proporre una lettura più contemporanea del brand. Con questi presupposti, la scelta di affidare l’incarico a Helmut Newton risulta quanto mai azzeccato. La sua visione della donna, come è già stato detto, è celebrativa, con un’esaltazione piene della femminilità espressa attraverso una particolare attenzione alla plastica del corpo che viene enfatizzato dai capi indossati dalle modelle. Newton per Blumarine fotografa modelle giovanissime come Carla Bruni e Monica Bellucci, donne tanto eleganti -squanto sensuali. Negli scatti di Newton l’ abito sembra passare in secondo piano, ciò che spicca è l’immagine potente della donna e della sua femminilità prepotente. Le campagne pubblicitarie di Helmut Newton per Blumarine sono rimaste impresse nell’ immaginario collettivo. Naturalmente un ruolo importante l’hanno svolto le modelle come Carla Bruni, Monica Bellucci, Eva Herzigova e Carré Otis, ma ciò che èpiù colpisce di queste immagini sono soprattutto la rivoluzione comunicativa e l’anticipo sui tempi di certe tematiche. La complicità tra la modella e il fotografo è evidente negli scatti di Newton, i suoi piedi o la sua ombra sono spesso presenti all’interno dell’inquadratura. Inoltre non ce costruzione, ma improvvisazione. Sotto il coordinamento di Rossella Tarabini  il marchio Blumarine si è proposto con uno stile innovativo che racconta di una donna borghese di carattere, una donna eccentrica e provocante. La prima campagna Blumarine firmata Helmut Newton è quella della primavera/ estate 1993, le modelle in questione sono Carla Bruni e Monica Bellucci. Gli scatti mostrano una Monica Bellucci in una sensuale veste nuziale, o ritratta con dei guantoni da box, o ancora in una posa statuaria sdraiata su un divano d’epoca. Newton ha la capacità di mettere in scena dei brevi racconti attraverso degli scatti che sembrano ‘rubati’,  come scrive claudio Marra: Per la campagna fotografica della stagione autunno/inverno 1993/1994 Newton sceglie di reinterpretare il tema delle rose che rappresentano lo stile Blumarine per eccellenza, incarnando l’ideale di sensualità femminile pensato da Anna Molinari. Newton fa leva ancora sulla sensualità intrinseca all’immagine della donna sposa, fotografando le modelle Joanne Branfoot e Nelly impegnate in un gioco di genere vestite in abiti nude look in un crescendo di sensualità davanti ad una parete di rose rampicanti. La messa in scena di questi scatti rimanda senza alcun dubbio alle ambientazioni dell’ Orlando, film diretto da Sally Potter tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Wolf e presentato in anteprima nel 1992 al Thessaloniki International Film Festival. “Helmut è un narrativo, un filmico, racconta storie per frammenti, accenna intrecci che non svolge, dissemina indizi che non spiega, sfrutta, anche da questo punto di vista, il voyerismo congenito della fotografia, il suo essere unità isolata che necessariamente porta a interrogarsi e fantasticare su ciò che non è mostrato sugli altri ipotetici fotogrammi mancanti”. Per la campagna fotografica della stagione autunno/inverno 1993/1994 Newton sceglie di reinterpretare il tema delle rose che rappresentano lo stile Blumarine per eccellenza, incarnando l’ideale di sensualità femminile pensato da Anna Molinari. Newton fa leva ancora sulla sensualità intrinseca all’immagine della donna sposa, fotografando le modelle Joanne Branfoot e Nelly impegnate in un gioco di genere vestite in abiti nude look in un crescendo di sensualità davanti ad una parete di rose rampicanti. La messa in scena di quesi scatti rimanda senza alcun dubbio alle ambientazioni dell’ Orlando, film diretto da Sally Potter tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Wolf e presentato in anteprima nel 1992 al Thessaloniki International Film Festival. Per la campagna pubblicitaria della primavera/estate 1995 Newton sceglie di fotografare la bellissima modella Carré Otis, che già aveva posato per Playboy nel 1989. Si parla molto di questa modella negli anni Novanta a causa della sua tormentata relazione col marito Mickey Rourke, e questa vicenda sembra condizionare fortemente gli scatti di Newton, che assumono le sembianze di una biografia raccontata per immagini. In questa campagna emerge in maniera evidente l’idea della donna borghese, trasgressiva e viziata, ma al tempo stesso forte e di carattere. Sono fotografie in bianco e nero e a colori, che esprimono spensieratezza e violenza, con tagli diagonali e riprese dal basso verso l’alto e al contrario dall’ alto verso il basso. Carré Otis è fotografata distesa a tessa su un tappeto di riviste scandalistiche e lo stesso Newton è presente all’interno dell’inquadratura con le sue scarpe da tennis bianche. Per rende più vera la messa in scena Newton prende parte della fiction e interpreta ‘ l’uomo senza volto ’ che è presente molto spesso nelle sue storie per immagini. Un percorso articolato in capitoli cronologici, i visitatori possono attraversare tutte le fasi ed evoluzioni della vita e della carriera di Newton, dagli esordi fino agli ultimi anni di produzione. Helmut Neustädter nasce a Berlino nel 1920 da una ricca famiglia di origine ebrea ed esprime presto il suo interesse per la fotografia. Inizia la propria formazione all’età di 16 anni affiancando la famosa fotografa di moda Yva, ma presto lascia la città per sfuggire alla persecuzione degli ebrei. Dopo alcuni viaggi in cui lavora come fotoreporter, apre a Melbourne un piccolo studio con il supporto della futura moglie, l’attrice June Brunell. Nel 1956, operando sotto il nome anglicizzato di Helmut Newton, inizia a collaborare con Vogue Australia, Vogue Inghilterra e con Henry Talbot, nel loro studio comune a Melbourne. Il fotografo raggiunge il suo stile inimitabile a Parigi negli anni sessanta: la sua visione dinamica si manifesta, ad esempio, in una serie di fotografie delle produzioni dello stilista André Courrèges che Newton scatta per la rivista britannica Queen nel 1964, o nei suoi lavori per Vogue Francia ed Elle Francia. In questo periodo, Newton sviluppa intense collaborazioni con Yves Saint Laurent e Karl Lagerfeld attraverso le quali cattura lo spirito del tempo, segnato dalla rivoluzione sessuale di fine decennio, senza limitarsi alla rappresentazione dell’abbigliamento come accessorio, con una fotografia dal taglio metafisico. A metà degli anni sessanta acquista una casa vicino a Saint-Tropez in Costa Azzurra, luogo che diventerà sfondo per innumerevoli scatti. Si fa strada l’interesse per il tema del sosia, che comincia a elaborare attraverso duplicazioni di immagini e accostamenti di manichini e modelli dal vivo. Le diverse commissioni da parte di riviste internazionali lo spingono a viaggiare a Venezia, Londra, Milano, Roma, Montréal e Tunisi. Negli anni settanta, uscendo dai canoni della fotografia di moda classica, realizza immagini sempre più provocatorie, stravolgendo set e impiegando modelli e stylist in modo non convenzionale. Newton allarga ulteriormente le possibilità creative dei suoi servizi fotografici: in elicottero, su una spiaggia alle Hawaii, in hotel parigini. Con la sua opera, testa i limiti sociali e morali, arrivando a ridefinirli. Le sue modelle appaiono eleganti ed erotiche, anarchiche e giocose. Queste immagini catturano e ingannano l’occhio, solo ad un esame più attento si distingue ciò che è reale da ciò che è una ricostruzione o rievocazione delle sue idee e osservazioni. La sua ispirazione per questi scatti viene dalle fonti più disparate: il surrealismo, i racconti di fantasia di E.T.A. Hoffmann, le trasformazioni viste nel film Metropolis di Fritz Lang. Nel 1981 pubblica l’innovativa serie “Naked and Dressed”, che appare nelle edizioni italiana e francese di Vogue e successivamente nei suoi libri. Il nuovo concetto visivo dei dittici consiste nel far posare, gli uni accanto agli altri, i modelli nudi e vestiti, raccontando lo spirito culturale del tempo – come i cambiamenti del ruolo delle donne nella società occidentale. Parallelamente a queste immagini produce i primi cosiddetti “Big Nudes”, sia per la carta stampata che come stampe a grandezza naturale. A partire dal 1987 Newton idea la propria rivista di grande formato, «Helmut Newton’s Illustrated», costituita da quattro numeri pubblicati a intervalli irregolari. Negli anni novanta Newton usa un approccio ancora più innovativo e all’avanguardia, lavorando sia per editoriali di moda che per grandi commissioni e campagne pubblicitarie di stilisti quali Chanel, Thierry Mugler, YSL, Wolford, e clienti come Swarovski e Lavazza. In questo periodo le immagini di moda iniziano ad affermarsi nel mercato dell’arte con quotazioni “stellari” alla luce della crescente consapevolezza del significato culturale del genere. Newton riceve premi in Francia, Monaco e Germania come riconoscimento della sua totale dedizione alla fotografia. L’ultima selezione di scatti vede intrecciarsi ancora una volta, nel modo unico di Newton, i principali temi approfonditi nel corso della sua carriera: la moda, il nudo e il ritratto. Si tratta di un’ultima potente testimonianza del carattere unico e della straordinaria visione del fotografo. Fino alla fine della sua vita Helmut Newton ha continuato a incantare e provocare con la sua singolare interpretazione della femminilità. Il suo lavoro per oltre sei decenni ha sfidato ogni tentativo di categorizzazione. Nessun altro fotografo è mai stato pubblicato quanto Helmut Newton e alcune delle sue immagini più iconiche sono diventate parte della nostra memoria visiva collettiva. L’esposizione è accompagnata dal catalogo Helmut Newton Legacy, pubblicato da Taschen in edizione trilingue (inglese, italiano e francese). Il volume è stato realizzato appositamente in italiano in occasione del tour che coinvolge le città di Milano, Roma e Venezia.
 
 
 
Biografia di Helmut Newton
Inizia la propria formazione all’età di 16 anni affiancando la famosa fotografa di moda Yva, ben presto lascia la città per sfuggire alle persecuzioni degli ebrei. Dopo alcuni viaggi durante i quali lavora come fotoreporter, nel 1945 apre a Melbourne un piccolo studio e successivamente inizia a collaborare con Vogue Australia, British Vogue e con Henry Talbot, un collega fotografo tedesco. Nel 1961 si trasferisce a Parigi con la moglie June e afferma il suo stile grazie ai lavori per Vogue France, Elle France e Queen. Si mostra subito in grado di catturare lo spirito dei tempi, senza limitarsi alla rappresentazione dell’abbigliamento come accessorio e proponendo una fotografia dal taglio metafisico. Nel 1981 sviluppa un nuovo concetto visivo che desta scalpore per Vogue Italia e Vogue France: chiede alle modelle di spogliarsi dopo un servizio fotografico e le ritrae nella stessa identica posa, ma nude. Negli anni ’90 Newton usa un approccio più all’avanguardia, lavorando sia per editoriali di moda che con stilisti come Chanel, Thierry Mugler, YSL che con altri clienti come Swarovski e Lavazza. In occasione del suo ottantesimo compleanno, gli viene dedicata una retrospettiva alla Neue Nationalgalerie di Berlino. Nel 2004 muore a Los Angeles solo pochi mesi prima dell’apertura della sua Fondazione a Berlino, della quale diventa presidente la moglie June.
 
Palazzo Reale di Milano
Helmut Newton. Legacy  
dal 24 Marzo 2023 al 25 Giugno 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 22.30
Lunedì Chiuso
 
Le Foto dell’Allestimento della mostra Helmut Newton. Legacy  credit © Luca Zanon