Giovanni Cardone Marzo 2023
Fino 30 Aprile 2023 si potrà ammirare presso la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e presso gli spazi della Galleria dello Scudo Verona la mostra dedicata a Piero Dorazio. La Nuova Pittura Opere dal 1963 - 1968 con la supervisione scientifica di Francesco Tedeschi. L’esposizione è stato realizzato dalla GAM Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e dalla Galleria dello Scudo in collaborazione con l’Archivio Piero Dorazio. La mostra di carattere strettamente scientifico è centrata su una selezione di oltre trenta dipinti provenienti dagli eredi dell’artista e da collezioni pubbliche e private. L’esposizione dal taglio inedito volge lo sguardo alla produzione di Dorazio tra il 1963 e il 1968, quando la struttura reticolare dei lavori datati 1959-1962 cede il passo a un nuovo impianto compositivo, esito di un’indagine sulle modalità con cui il colore diviene protagonista dello spazio e della forma. La sua ricerca manifesta ora una rinnovata libertà inventiva. Sono gli anni della Pop Art e dei contrasti sociali che animano le giovani generazioni, sollecitazioni che Dorazio riprende e rilancia in una pittura intesa come campo di tensioni e invenzioni, pur in correlazione con i riferimenti alle avanguardie storiche - il futurismo, il suprematismo di Kazimir Malevi? e il neoplasticismo di Piet Mondrian – e con la produzione artistica e teorica del suo recente passato. In una mia ricerca storiografia e scientifica sulla figura di Piero Dorazio apro il mio saggio dicendo :
Piero Dorazio è stato uno dei massimi rappresentanti dell’astrattismo europeo, corrente artistica alla quale si avvicina a metà Novecento. Le sue opere si caratterizzano per l’uso di
linee, geometrie e
colori; tutti elementi che diventeranno la sua
cifra stilistica, grazie anche ad un attento studio e suddivisione degli spazi. Dorazio fin da giovane si avviò a una progressiva
adesione alla corrente astrattista italiana. Fondamentale per il suo percorso stilistico è il 1945, anno di conclusione della seconda guerra mondiale. A questa data il panorama artistico italiano inizia a sentire l’esigenza di sottrarre l’arte da qualsiasi riferimento naturalistico e dalla funzione sociale che fino a quel momento aveva caratterizzato le opere, in favore di un

nuovo
linguaggio apparentemente più semplice ma
nuovo, in linea con le esperienze artistiche internazionali. In questo senso si esprime anche Dorazio che, nel 1945 insieme a Carlo Aymonino, Achille Perilli, Mino Guerrini, Lucio Manisco, Carlo Busiri Vici, Alfio Barbagallo e Renzo Vespignani, fonda il Gruppo Ariete e successivamente il Gruppo Arte Sociale. Nel 1947 la ricerca espressiva dell’arte doraziana prosegue attraverso il Gruppo Forma 1. Il gruppo FORMA 1 si costituisce nel marzo del 1947, su iniziativa di un gruppo di artisti che vivono ed operano a Roma. Essi sono: Carla Accardi, Ugo Attardi, Piero Consagra, Piero Dorazio, Manlio Guerrini, Lucio Manisco, Concetto Maugeri, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato. Questi artisti intendono rinnovare il linguaggio dell’arte italiana rinnegando la pittura figurativa che rappresenta l’orientamento dominante nel panorama artistico contemporaneo e di cui il più autorevole esponente è Renato Guttuso, un pittore che corteggia e si lascia corteggiare dal potere politico e dall’aristocrazia. Essi assumono una posizione ben precisa nell’accesa polemica che agita il panorama artistico italiano tra astrattisti e figurativi nei confronti dell’ideologia marxista, secondo la quale si considerano “in linea” soltanto i figurativi. Firmano il loro manifesto che esce nell’aprile del 1947 nel primo numero della rivista FORMA. Qui affermano con chiarezza il loro impegno politico: «noi ci dichiariamo Formalistii e Marxisti, convinti che i termini marxismo e formalismo non siano inconciliabili, specialmente oggi che gli elementi progressisti della nostra società debbono mantenere una posizione Rivoluzionaria e Avanguardistica e non adagiarsi nell’equivoco di un realismo spento e conformista che nelle sue più recenti esperienze, in pittura e scultura, ha dimostrato quale strada limitata ed angusta essa sia». Nei punti programmatici elencati nel loro manifesto, il primo recita: «In arte esiste soltanto la realtà tradizionale ed inventiva della forma pura». La forma pura contro ogni interferenza. Aggiungono che bisogna guardarsi da ogni coinvolgimento sentimentale e diffidare dell’artista che guarda ispiratamente al mondo, segue l’emozione immediata e si abbandona ad evocare uno stato d’animo oppure un lontano ricordo. Ribadiscono che l’arte è insita nella forma e questa è «mezzo e fine». Precisano che «il quadro o la scultura presentano come mezzi di espressione il colore, il disegno e la massa plastica e come fine una armonia di forme pure». L’opera, quindi, è «disegno in forma di colore e colore in forma di disegno. Non il casuale ma il calcolato, l’essenziale ed il primario Non l’approssimativo, ma l’esatto ed il preciso». Questi artisti affermano con forza il loro impegno nel campo politico e sociale pur nella scelta di uno stile rivolto all’astrazione, ma, mettendo in discussione il concetto di immagine, affermano decisamente la necessità di sperimentare e l’esigenza di rinnovare le strutture stesse della pittura e della scultura. L’Astrattismo diventa quindi, da un lato, una bandiera ideologica per la libertà espressiva dell’arte, non più asservita alla rappresentazione della realtà, dall’altro, permette loro la partecipazione al vivace dibattito internazionale con il conseguente affrancamento della cultura italiana dal lungo isolamento del ventennio fascista. Per gli artisti di FORMA 1 la cultura che ha generato la modernità non deve divenire antitetica, ma al contrario, procedere parallelamente alla crescita personale ed alla messa a fuoco, da parte di ogni artista, della propria autonoma valenza linguistica. Va sottolineato che nel gruppo vi è una salda unità d’intenti morali, ancor prima che formali. Nel luglio del 1947 espongono per la prima volta come gruppo nell’ “Esposizione d’Arte Giovane Italiana” a Praga. Nell’anno successivo, tra marzo ed aprile a Roma, nella Galleria Roma in Via Sicilia partecipano ad una grande collettiva “Arte Astratta in Italia” insieme con Fontana, Dorfles, Corpora e Dova, Prampolini, Reggiani e Soldati; nel comitato d’onore figurano Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan.

I frequenti viaggi a Parigi e a Praga, dove entrano in contatto con le avanguardie francesi e russe, allora sconosciute in Italia, costituiscono un elemento fondamentale per la loro formazione. Gli anni dal 1947 al 1951 sono per loro anni di intenso lavoro: oltre ad organizzare e partecipare a svariate mostre, si cimentano nel teatro, nella letteratura e nell’attività didattica. Purtroppo nel 1951 le loro strade si dividono. Concetto Maugeri muore, Mino Guerrini e Lucio Manisco abbandonano la pittura, mentre Ugo Attardi torna al figurativo. Il gruppo si scioglie, ma Carla Accardi, Piero Consagra, Piero Dorazio, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato continueranno a portare avanti, con impegno e creatività, gli ideali del manifesto da loro sottoscritto nel 1947. Nelle figure da 1 a 4 gli oli su tela, tutti dipinti nel 1947, rispettivamente, di C. Accardi, P. Dorazio, A. Perilli e A. Sanfilippo una scultura di P. Consagra, sempre del 1947. In l’olio su tela “Comizio” dipinto da Turcato nel 1949. Questo quadro fa infuriare Togliatti, perché troppo astratto. Turcato replica: «Veramente è un quadro abbastanza veristico, ci sono quelle specie di triangoli rossi che rappresentano le bandiere rosse che sono la massa». (Il dipinto fa parte ora della collezione permanente della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale). Togliatti, infatti, rifiuta ostinatamente l’arte astratta, da lui considerata poco a- datta ad esprimere le istanze del Partito Comunista, per le quali sarebbe migliore portatrice un’arte figurativa e realista. E nel 1952 il giornale “l’Unità”, organo del Partito, prenderà una posizione ben precisa, condannando l’Astrattismo ed esaltando il Verismo di Renato Guttuso. Ma gli artisti di FORMA 1 si sentono e sono essenzialmente persone libere. Nel 1961 Giulio Carlo Argan scriverà: «Ciò che gli artisti di FORMA 1 capirono prima degli altri è che la rivoluzione dell’arte è più utile al fine della rivoluzione, che un’arte per la rivoluzione». L’Astrattismo nasce all’inizio del ‘900 con l’obiettivo di adottare un linguaggio universale che si ponga al di là dell’individualismo dell’artista. Esso non vuole rappresentare la realtà, ma creare immagini che esprimano concetti attraverso la combinazione di linee, forme e colori e generando, pertanto, una forza liberatrice.
Gli artisti si sentiranno, da ora in avanti, svincolati da tutte le convenzioni del passato, liberi di sperimentare sempre e comunque. In Italia l’Astrattismo arriva con alcuni Futuristi, Gino Severini, Enrico Prampolini e soprattutto Giacomo Balla. Sono artisti che vengono dimenticati negli anni Trenta, ma verranno riscoperti e rivalutati proprio dal gruppo FORMA 1. Specialmente Piero Dorazio svilupperà la sua ricerca ispirandosi alla serie “Compenetrazioni iridescenti” di Giacomo Balla. Negli anni Trenta gli artisti Mario Radice, Marco Reggiani, Manlio Rho, Atanasio Soldati, Luigi Veronesi, Carla Badiali, e Alberto Magnelli, attivi tra Como e Milano, rielaborano l’idea di astrazione secondo le teorie di Carlo Belli, autore del saggio “Kn”, considerato da Kandinskij il vangelo dell’arte astratta. Nel gennaio del 1947 Max Bill organizza a Milano, al Palazzo Reale, la prima grande “Mostra Internazionale di Arte Astratta e Concreta”. Sono presenti i lavori di astrattisti storici internazionali come Arp, Bill, Kandinskij, Klee e nazionali come Licini, Munari, Rho, Radice e Veronesi. Questa mostra sollecita in Italia la nascita del gruppo FORMA 1 e nel 1949 del MAC, Movimento per l’Arte Concreta, costituito principalmente da artisti che vivono tra Firenze, Torino e Milano. In realtà la società italiana non è pronta per questo tipo di arte. Palma Bucarelli, mitica direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, sostenitrice dell’Astrattismo, è oggetto, in questi stessi anni, di aspre critiche per le grandi mostre di astrattisti internazionali da lei organizzate, da Mondrian a Pollock, da Kandinskij a Malevic. Viene accusata di sperperare denaro pubblico nelle acquisizioni e nel 1959 scatena addirittura una interrogazione

parlamentare bipartisan di PCI e DC. L’Astrattismo comincerà ad essere apprezzato in Italia nel decennio successivo, decennio che si apre con le Olimpiadi di Roma. Sono anni che vedranno una fruttuosa collaborazione di stilisti e astrattisti. è del 1961 la sfilata dei famosi vestiti della stilista Germana Maruccelli, dipinti a mano dall’artista Paolo Scheggi. L’arte astratta sarà poi celebrata nel 1968 dalla XXXIII Biennale di Venezia, interamente ad essa dedicata.Dopo la residenza romana e i viaggi compiuti tra Europa e Stati Uniti, Dorazio scelse un antico convento situato a Todi, vicino a Perugia, come sede definitiva. Qui si trasferì nel 1973 adattandolo come residenza e studio ed è proprio dalle campagne umbre che l’artista trova nuove ispirazioni e assorbe un’energia feconda che risveglia i suoi sensi. Quel piccolo borgo infatti divenne un vero tempio dell’
arte astratta che ospita anche artisti internazionali. La ricerca di significati nelle composizioni doraziane è impresa non facile. Eppure, nelle numerose interviste rilasciate alla critica, Dorazio trova una chiave di lettura dell’arte astratta, affermando che il quadro astratto non rappresenta altro che sé stesso, poiché costituito da elementi della visione: colore, spazio, materia, dimensioni e movimento concorrono a trasmettere sensazioni ed emozioni. L’arte si sintetizza nella rappresentazione dell’irreale, che, però, è in grado di emozionare e trasmettere e sensazioni vere. Di conseguenza l’arte non figurativa è sempre astrazione poiché attraverso di essa è possibile creare delle immagini grazie agli elementi della visione. La produzione artistica di Piero Dorazio si distribuisce
nell’arco di circa sessant’anni, dalle primissime opere degli anni Quaranta che si concentrano sul
tema del paesaggio, passando per i pochi esemplari che mostrano
suggestioni futuriste, fino ad arrivare all’esito principale della sua ricerca che, attraverso l’uso di colori ben definiti che scandiscono la superficie pittorica, si concretizza nella lunga serie di
opere astratte. Nelle prime fasi dell’indagine pittorica l’artista si sofferma sul tema del paesaggio prendendo a modello le
campagne romane della via Flaminia, delle quali osserva la natura selvaggia e incolta e ne analizza le luci e le ombre trasformando queste vedute in “paesaggi intuitivi”. Di breve durata è l’avvicinamento al movimento cubista che trova uno degli esiti più alti nella Natura morta del 1946, oggi in collezione privata. Dipinta subito dopo la Seconda guerra mondiale, rientra nel nucleo delle opere giovanili che Dorazio realizza in seguito ad alcune suggestioni scaturite in seguito alla visita alla mostra con riproduzioni di quadri impressionisti, organizzata da
Lionello Venturi presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna, sia grazie al corso su Cézanne tenuto da Venturi alla Scuola di specializzazione che lo introduce all’arte precubista attraverso diapositive in bianco e nero proiettate a lezione. Dopo il 1946 l’artista incontra Gino Severini ed Enrico Prampolini, fondatori dell’Art Club internazionale alla Galleria San Marco che lo introducono al Futurismo movimento che fino a quel momento era stato tralasciato poiché associato al Fascismo. In questo periodo le sue opere dimostrano una rottura con il clima culturale romano e il clima italiano, attraverso l’impiego di colori dissonanti e forme che suggeriscono dinamicità, come dimostra Composizione – Fiorista del 1947, custodita alla GAM – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino. Nello stesso anno il viaggio a Praga si traduce nella realizzazione della serie di paesaggi di Praga come Il Ponte di Carlo e Tutta Praga, opere astratte che puntano all’organizzazione dello spazio attraverso la definizione di strutture e di linee come triangoli e ogive che restituiscono in un certo senso la fisionomia gotica della città. Parigi rappresenta uno dei viaggi più formativi per l’artista. Qui ha la possibilità di dipingere e studiare architettura, frequentando inoltre Le Corbusier, Matisse e molti altri. Interessante esito di questo soggiorno è Leda del 1949, opera ispirata al mito greco e che si presenta come opera costruttivista, dove le immagini sono
organizzate per piani e cesure, oltre alla presenza di un movimento di linee curve e rette che conferiscono all’opera una carica cubista sintetica.

Tra le opere di maggiore successo internazionale rientra il rilievo Quattro domande, opera che costituisce l’azzeramento della pittura, dove le quattro domande si riferiscono ai concetti di spazio, colore, materia e luce ponendo un quesito sul come interpretare questi quattro parametri della forma espressiva. Esso fa parte di una serie di rilievi realizzati dal 1952 al 1954, dei quali ne fonderà qualcuno in argento e bronzo. I rilievi bianchi nello specifico troveranno un grande consenso nella critica americana. Conversazione telefonica con Ulàn Batòr del 1954 costituisce un evidente ritorno alla pittura, attraverso pennellate di colore che richiamano alcuni capolavori come gli Stati d’animo di Umberto Boccioni visti dall’artista alla Galleria La Margherita a Roma. Ora la composizione è piena e la superficie del quadro è vista come una composizione musicale ripetuta in modo ritmata, dinamica e continua attraverso il tratto di colore. Nella produzione dell’artista l’uso di titoli particolari come quello impiegato per Interno del 1957, ha lo scopo di disorientare l’osservatore, di distoglierlo dall’abitudine a vedere qualcosa di già conosciuto rappresentato nel quadro. Il titolo in questo caso fa riferimento ad un
interno metafisico poiché l’opera non rappresenta né un paesaggio né una figura. Questo dipinto prosegue l’esperienza di quello precedente poiché contiene modi di dipingere simili come la pennellata piatta e la pennellata a spatola. I colori non sono drammatici, ma sereni così com’erano gli anni vissuti in quel periodo da Dorazio. Verso la fine degli anni Cinquanta i dipinti si caratterizzano per una
superficie densa di pennellate. Quadri come Stream of Tenderness e Styx, realizzati nel 1958 e custoditi al Museo del Novecento di Milano, rivelano una mescolanza di tre colori primari, usati in maniera quasi divisionista. Le due tele anticipano i “reticoli” degli anni Sessanta, così definiti dalla critica. A questa tipologia appartiene Oltre blu, opera in cui pennellate ordinate costruiscono una struttura che crea una sensazione di spazio, non sono tratti dritti ma attaccati l’uno all’altro richiamando la pittura divisionista di Previati. Sempre negli anni Sessanta, Dorazio indaga da vicino la
trama dei “reticoli”, realizzando dei veri ingrandimenti che presentano linee oblique, orizzontali e verticali sovrapposte. Così è costruita Cercando la Magliana del 1964, di collezione privata, che per la sua costruzione suggerisce un senso di movimento e luce. Al tema della dinamicità si rifà anche Tangent, dipinto che presenta linee curve che caratterizzano le opere dal 1966 al 1969. Negli anni Settanta la pittura dell’artista si fa sempre più ritmica, piena di contrasti e punti di luce e ombra come evidenza Discanto del 1975. Qui macchie di colore sono tracciate in ordine, in modo intuitivo e dinamico. La ricerca ravvicinata della struttura della composizione rappresenta un tema costante in tutta la produzione tarda del pittore. Fino agli anni Duemila il tema dei “reticoli” è analizzato in molte opere che lo hanno reso di fatto uno degli artisti astratti più importanti del panorama italiano e internazionale. Il Percorso espositivo si apre simbolicamente con Presente e passato, opera del 1963 in cui l’intreccio del segno è superato dalla stesura di fasce policrome in fitta sequenza verticale, per proseguire con tele di grandi dimensioni costruite secondo geometrie che dilatano le trame luminose d’un tempo verso sempre diverse e molteplici possibilità compositive. Ne sono prova Cercando la Magliana del 1964 e Balance and counterbalance dell’anno seguente. In questi anni, durante l’insegnamento alla University of Pennsylvania, Dorazio è al centro di un vivace confronto internazionale correlato all’ambiente culturale di New York, dove la sua ricerca è sostenuta e promossa dalla MarlboroughGerson Gallery, attiva anche a Roma e a Londra.

A consolidare il rapporto con i protagonisti della scena artistica americana sono gli inviti rivolti ad alcuni di loro Helen Frankenthaler, Franz Kline, Robert Motherwell, Barnett Newman, Kenneth Noland, Jules Olitski, Ad Reinhardt, Clyfford Still a partecipare alle attività didattiche programmate dal dipartimento da lui diretto. Alla conoscenza della sua opera negli Stati Uniti contribuiscono la presenza in The Responsive Eye, la grande mostra al Museum of Modern Art di New York che, all’inizio del 1965, vede schierati i protagonisti del movimento noto come “Color Field”, nonché la personale, con diciotto dipinti e un centinaio di stampe e opere su carta, al Cleveland Museum of Art nel settembre dello stesso anno. Seguirà la partecipazione alla International Exhibition of Contemporary Painting and Sculpture a Pittsburgh nel 1967, e ad altre mostre collettive che lo confermeranno alla ribalta della critica soprattutto statunitense. Quella di Dorazio, fra il 1963 e la fine del decennio, è dunque una “nuova pittura”. Egli rompe la gabbia delle “Trame” per spaziare verso altre, molteplici strade destinate a produrre esiti la cui risonanza si avvertirà anche a distanza di tempo. Una pittura che si confronta, in modo aperto, con quanto proposto da un contesto internazionale di cui Dorazio è protagonista a pieno diritto, avendo instaurato e coltivato relazioni che lo collocano sempre al centro della scena. L’indagine prosegue, poi, documentando le diverse direzioni verso cui si apre la sua ricerca, dalla griglia regolare, fitta ma ben leggibile, in My best del 1964, alla costruzione di strutture tra le più varie per ribadire la vocazione architettonica di nuove tele datate 1965 come Teodorico guarda in fretta o Another Way, sino alla fluidità della linea curva, protagonista tra il 1965 e il 1966 in lavori come Endless Federico (I) (per Federico Kiesler) e Din Don (Omaggio a Giacomo Balla n. 2). Sono soluzioni che denotano la volontà di liberarsi dall’insistita aderenza a un unico motivo, per spaziare verso altre ipotesi operative, ciascuna pensata come un possibile inizio. Evento di rilievo, cui l’esposizione attuale pone particolare attenzione, è la sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia nel 1966, in cui figurano 21 opere tra le più significative di quel momento, molte delle quali inserite nel presente progetto, come Allaccio, Tutto a punta, Ottimismo-pessimismo (a Giacomo Balla) e Tranart (a Gino Severini), tutte di quell’anno. Chiudono la rassegna Litania, Sorteggio, dipinto acquisito negli anni settanta per le collezioni dei Musei Civici di Verona dall’allora direttore Licisco Magagnato, e Next generation, eseguito durante il soggiorno a Berlino nel 1968, dopo l’interruzione dell’esperienza americana, preludio della stagione successiva. Francesco Tedeschi autorevole storico dell’arte è curatore del Catalogo ragionato dell’artista promosso dall’Archivio Piero Dorazio e di prossima pubblicazione con Skira, editore anche del volume che accompagna questa mostra veronese. Al suo saggio, che approfondisce gli elementi peculiari della pittura di Dorazio nel periodo ora in esame, fa seguito il testo di David Anfam, cui è affidata l’analisi dei rapporti dell’artista con i protagonisti dell’avanguardia americana. Raffaele Bedarida ricostruisce le relazioni con l’ambiente artistico d’oltreoceano. Fabio Belloni individua i punti di raccordo tra il pensiero di Dorazio e l’approccio critico di Maurizio Fagiolo dell’Arco, autore nel 1966 della prima monografia dedicata all’artista. Nel “catalogo delle opere” i lavori esposti sono analizzati da Francesco Tedeschi, cui si affianca la scheda monografica, a cura di Patrizia Nuzzo, relativa alla tela in collezione civica veronese. Studi ulteriori ampliano l’orizzonte dell’indagine: Valentina Sonzogni con un carteggio inedito scambiato con corrispondenti internazionali; Sonia Chianchiano con uno studio sulla figura di Marisa Volpi cui si deve il riordino sistematico dell’opera di Dorazio sino al 1977. Completano il volume la biografia specifica del periodo 1963-1968 a cura di Laura Lorenzoni, con un approfondimento sui rapporti con la Biennale di Venezia tra il 1960 e il 1966, anno della sala personale, quindi il regesto espositivo e bibliografico di Isabella d’Agostino.
Biografia Piero Dorazio
Nasce a Roma il 29 giugno 1927. In parallelo agli studi classici frequenta lo studio del pittore Aldo Bandinelli, iniziando a dipingere scene di paesaggi e nature morte per poi concentrarsi su soggetti lontanamente riconducibili al Cubismo. La pittura per l’artista rappresenta una forma di trasgressione ed evasione dal clima bellico e fascista che in quel periodo stravolge anche il settore artistico. Dopo gli studi di architettura presso l’Università di Roma, si iscrive alla scuola di specializzazione e segue i corsi Lionello Venturi, preziosa occasione per avvicinarsi, tramite diapositive, alle opere di Paul Cézanne, anticipatrici del Cubismo. Nel 1947 vince una borsa di studio all’École des Beaux-Arts di
Parigi, dove risiede per un anno, grazie alla mediazione di Gino Severini, entrando in contatto con i protagonisti del panorama culturale e artistico locale come André Breton,
Henri Matisse, Joan Miró, Le Corbusier,
Georges Braque, Hans Arp, Fernand Léger. Nello stesso anno si reca a
Praga, città nella quale si tiene il primo Festival mondiale della gioventù, in cui la sezione italiana è curata da Mario Pirani e dai socialisti, e che rappresenta il primo grande incontro internazionale fra i giovani di tutto il mondo. Tornato a Roma, le suggestioni dell’ambiente parigino infittiscono la produzione artistica di Dorazio che infatti espone tre opere alla Quadriennale di Roma del 1948 e due anni dopo si impegna in un ambizioso progetto: insieme ad Achille Perilli e a Giovanni Guerrini, inaugura
L’Age d’Or, una
galleria-libreria in via del Babuino specializzata in riviste e libri d’avanguardia e sede espositiva di mostre di arte astratta, nonché primo ritrovo di bohémiens internazionali. Le esposizioni negli Stati Uniti e i contatti con artisti come Klein, Cornell, Motherwell, Duchamp, Rothko costituiscono per l’artista un continuo confronto con l’arte internazionale in fermento che in quel periodo affolla specialmente le gallerie di New York. Infatti nel 1954 la Rose Fried Gallery organizza la sua
prima mostra personale. Tre anni più tardi presso la Galleria La Tartaruga inaugurerà la prima personale italiana. Nel 1960 all’Università di Pennsylvania a Philadelphia, Dorazio riorganizza e dirige il Dipartimento di belle arti. L’anno successivo riceve il Prix Kandinskij e il premio della Biennale di Parigi, ma rifiuta il compenso di un milione di franchi poiché contrario alla politica francese di guerra in Algeria. Nel 1968 vive per sei mesi a
Berlino, grazie al premio ricevuto dall’Accademia tedesca. Tornato in Italia si trasferisce nella campagna romana per poi risiedere definitivamente nel convento a
Todi, vicino a Perugia. Qui continua il suo lavoro dedicandosi a libri d’artista, illustrazioni, stampe, incisioni e allestimenti teatrali. Nel 1979 una grande mostra antologica, organizzata dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, celebra il genio del pittore ed è seguita nel 1990 da una mostra al Musée de Grenoble. Quattro anni più tardi collabora alla realizzazione di mosaici d’artista per le stazioni della metropolitana di Roma. La fama internazionale dell’artista viene inoltre presentata in occasione della mostra Dorazio Jazz, tenutasi presso il Museion di Bolzano, anche se di portata maggiore sarà la retrospettiva organizzata all’Institut Valencia d’Art Modern, a Valenzia. Dopo aver raggiunto una posizione di primo rilievo nel panorama dell’arte astratta, confermata anche grazie alle esperienze all’estero, Piero Dorazio si spegne il 17 maggio del 2005, a
Perugia.
Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e Galleria dello Scudo Verona
Piero Dorazio. La Nuova Pittura Opere dal 1963 – 1968
dal 18 Dicembre 2022 al 30 Aprile 2023
Galleria d’Arte Moderna Achille Foti
dal Martedì alla Domenica dalle ore 11.00 alle ore 19.00 - Lunedì Chiuso
Galleria dello Scudo
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 13.00
e dalle ore 15.30 alle ore 19.30
Lunedì Chiuso