Tutta colpa di un angelo sceso dal cielo in terra a miracolo mostrare, un angelo dipinto a lato della tela, in un angolo, cioè in posizione dimessa, addirittura in ginocchio. La storia – ma forse è solo un aneddoto creato ad
arte dal Vasari – è arcinota. A farne, però, le spese sarebbe stato il gran
maestro Andrea del Verrocchio (1435-1488), che – vìstosi battuto nella tecnica della dipintura da quella birba di allievo (bello, tra l'altro, e paragonato a Ermes) nomato Leonardo (1452-1519) – sgomento, avrebbe giurato a se stesso di non toccare più pennelli con mano.
L'angelo in questione, a chi volesse recarsi alla Galleria degli Uffizi per ammirare il verrocchiesco
Battesimo di Gesù (1477) , appare in tutta la sua magnificenza, precorritrice della gloria del genio da Vinci.
Sotto il volo simbolico di due uccelli, la bianca colomba e un nero rapace (la pace e il male), sullo sfondo di un paesaggio dove pure si lascia indovinare il pennello del giovane Leonardo, l'icastica scena del Battesimo di Cristo, contenuta in una composizione triangolare, svela il suo ”
genius formositatis” proprio nella figura dell'angelo inginocchiato, con un lenzuolo sulle mani, pronto ad asciugare il corpo di Cristo. La leggiadra soavità del volto, inclinato e scorciato di tre quarti, non teme rivalità di sorta. Lo sguardo dolcissimo pare invogliare lo spettatore a indulgere sulla scena che è in atto: il Battesimo, evento fondamentale nella vita e nella missione di Gesù.

Altri indizi della stupefacente precocità di Leonardo nella pittura non sono sfuggiti ai critici che sussurano alle opere dei grandi. Secondo i più perspicaci cacciatori di tracce nascoste, in
Tobiolo e l'angelo (1473, sempre del Verrocchio) sembrerebbe evidente una “collaborazione”
di Leonardo in almeno due “tessere” incastonate in questa bellissima opera: il pesce portato quasi a guinzaglio da Tobia e il riccioluto cagnolino, che sgambetta accanto all'angelo accompagnatore. Il pesce è d'una fattura superlativamente realistica: sembrerebbe di vederlo guizzare benché legato alla cordicella in mano a Tobia e forse anche sventrato delle interiora. Il cagnolino, quasi trasparente, spassoso compagno di viaggio,
tradisce nelle pennellate il molto probabile segno vinciano.
È la stessa “presenza” che s'indovina in un'altra famosa opera del Verrocchio,
Madonna col Bambino e due angeli (1471). Che dire, infatti, del
paesaggio e del
giglio in mano all'angelo?
Il paesaggio, ancor prima delle miracolose velature della
Vergine delle Rocce e, infine, della
Gioconda, gronda letteralmente sapienza pittorica. A differenza che in
Tobiolo e l'angelo, in quest'opera il paesaggio quasi incombe sulle figure: una rupe solatia è deputata a interrompere il verde della pianura altrimenti eccessivo; e, poi, gli elementi naturali tipici del paesaggio toscano spiccano nel digradare delle colline
verso orizzonti sempre più trasparenti e, tra le valli, nel fresco serpeggiare di un fiume, su cui non mancano i riflessi degli alberi che si affacciano sulla riva. Il giglio, perfetto nella sua fotografica descrizione botanica, in mano all'angelo a sinistra del quadro, si candida a buon titolo a “padre” di tutta la “floricultura” leonardesca ed è solo uno scampolo, in fondo, del “catalogo illustrato” nella
Vergine delle rocce.
In queste “tracce” si anniderebbero, dunque, i germogli dell'eccelsa arte pittorica leonardesca, germogli messi a dimora e coltivati in quella bottega
di maestro Verrocchio, dove si sarebbero formati altri artisti del calibro di Perugino e Ghirlandaio, a loro volta mentori di Raffaello e Michelangelo. Questa circostanza, cioè questa indubbia influenza “pedagogica” del Verrocchio ne fa una delle anime ispiratrici del rigoglio artistico del Rinascimento, l'età periclea delle arti (pittura, scultura, architettura, oreficeria), della scienza e della tecnica nostrane.
Urge forse, ora, una puntualizzazione. Il Verrocchio, al di là degli aneddoti seppur gustosi raccontati dal Vasari, tenne il suo allievo in grandissima considerazione, fino ad affidargli incarichi di prestigio per compiti più che importanti e gravosi. E ciò spiega come Leonardo gli sia rimasto vicino anche dopo l'apprendistato.
Ma, v'è di più che occorre considerare e che non è sfuggito agli studiosi più attenti: tra il Verrocchio e Leonardo è corsa un'evidente affinità. La “forma artis” dell'anziano maestro ha ispirato, in qualche modo imperscrutabile, quella del giovane allievo già di per sé avviata verso
l'inconfondibile stile dello sfumato, della morbidezza, dell'eleganza e della grazia, tipici attributi della bellezza in ispecie femminile.
La particolarità di questi stilemi si evince soprattutto, nell'uno e nell'altro artista, per esempio, nella raffigurazione delle mani. Forse, appena dopo aver scrutato il volto, l'occhio dell'osservatore è attratto dalle mani rappresentate nelle opere figurative e, senza dubbio, lo è ancor più quando queste sono dipinte o scolpite da artisti quali il Verrocchio e Leonardo.
Se ne ha una prova, e non solo, nella
Dama col mazzolino (1478). In questa
scultura l'arditezza del Verrocchio si è spinta – pare la prima volta – a scolpire le mani in un ritratto femminile tagliato nel marmo all'altezza dell'ombelico.
La circostanza deve aver colpito Leonardo, che, da par suo, ne ha subito riportato l'indubbia perfezione in alcuni disegni. L'intimo “messaggio”, contenuto nell'appena effuso gesto della
Dama, che trattiene sì nella mano sinistra un mazzolino, rimanda forse ad un sospirato e non ancora soddisfatto “abbraccio”. E mai, come in simili casi, le mani “parlano”. E non lo si dica a Leonardo. Nell'altra “Dama” – l'icona universale della bellezza e dell'enigma femminile – la
Monna Lisa, le mani appaiono appoggiate l'una sull'altra e raccontano a loro volta, oltre a tanti possibili, credibili “abbracci”, chissà quali altre esperienze di vita.
L'epoca nella quale si registrano questi accadimenti, così tanto forieri di grandezze inarrivabili per l'arte italiana – occorre pure ricordarlo – è un periodo di congiure oltreché di guerre. È l'età di Lorenzo dei Medici e, se da un lato si racconta la congiura dei Pazzi (1478), dall'altro a Firenze operano attivamente, oltre a quella del Verrocchio, le botteghe artigiane di Antonio e Pietro Pollaiolo e quella di Botticelli. E' il loro momento più fausto, che segna, d'altronde, anche l'arrivo in arte delle più fulgide genialità del Rinascimento.
Luigi Musacchio
Maggio 2019
Fig. 1
Tobiolo e l'angelo, Verrocchio, National Gallery, Londra.
Fig. 2 Battesimo di Cristo, Verrocchio, Uffizi, Firenze.