Ora che la
mostra di Antonello da Messina in scena a Palazzo Reale di Milano, con il suo
record di incassi e visite, si sta avviando alla conclusione,
Vittorio Sgarbi, critico e storico dell’arte, ha deciso di darci un “taglio”, anticipando i tempi e sorprendendo così tutti.

Eh si avete capito bene: sovrapponendo il drappeggio rigoroso dell’intimidatorio ed obliquo Ritratto d’uomo siciliano, dal volto teatrale e dall’identità incerta, detto Ritratto Trivulzio, con i tagli di Lucio Fontana, lo spazialismo entra nell’opera dell’artista messinese (“guardando il panneggio geometrico dell’opera di Antonello del 1476, mi sono accorto come Fontana ripeta involontariamente e nel Novecento quel gesto. Questo dimostra, quanto Antonello sia in realtà un pittore astratto. L’astrattismo di Fontana coincide col senso dello spazio, della forma e dei volumi dello spazio”).
Non solo: i tagli dello spazialista sembrano essere una continuazione delle stesse linee del pittore siciliano e ne hanno il medesimo spessore e curvatura. Non si tratta di pura coincidenza, ma è la prova che l’astrazione non e’ esclusivamente relegata al Novecento, ma e’ parte integrante dell’arte nella sua forma (cit. Arcangeli). L’accostamento non immaginabile ma plausibile tra Antonello e Fontana ne è un esempio. I tagli di quest’ultimo coincidono completamente con il senso dello spazio, della forma e dei volumi del ritratto messinese.
Questa “illuminazione” o meglio folgorazione, come Sgarbi stesso l’ha definita, e’ avvenuta durante una visita alla mostra da parte del critico.
Il Ritratto di Trivulzio non è l’unica opera che rimanda allo spazialista: anche l’Annunciata (1475), ritratto
minimal della presenza dell’assenza, sospesa in una dimensione astratta, opera cardine di tutta la produzione artistica di Antonello da Messina, con la sua storia di un’attesa, narrata dall’interno, fatta di respiri soffocati e di pensieri agitati, che riflettono sul dover essere e sul destino, sul dover scegliere e sul timore di farlo, aspettando un segno per intraprendere un altro cammino voluto dall’alto, riconduce al rapporto con il sacro, che ebbe Lucio Fontana. Nei quadri di quest’ultimo in ogni semplice e puro gesto si cela infatti un desiderio di luce, che lacera la tela per rinviare ad un “oltre”. Con il termine Attese (1962) l’artista argentino ha esplorato i concetti spaziali attraverso diversi tagli disposti verticalmente in modo irregolare, che fendono in maniera decisa il mistico spazio pittorico monocromo.
Queste “ferite da rasoio che lasciano tracce lunghe e secche, pulite ed essenziali” ( definizione tratta dal libro “Il Novecento” di Vittorio Sgarbi), sono state presentate ufficialmente nel 1959 presso la Galleria milanese del Naviglio.
L’artista elimina a poco a poco quegli elementi che ritiene accessori, fino a raggiungere la totale semplificazione e purezza formale, unita ad una eccezionale complessità suggestiva e “metapsichica”..jpeg)
In un’intervista rilasciata nel 1966 allo scrittore e giornalista Giorgio Bocca, Fontana dichiara che l’intento dei tagli è quello di riuscire a dare a chi osserva il quadro una sensazione di quiete, di armonia, di serenità e di linearità estrema, affinché lo sguardo si perda nell’infinito.
E’ un po’ quello che si prova anche guardando l’Annunciata con la lieve ed impercettibile rotazione della sua figura e il movimento della mano, che danno naturalezza alla composizione, mentre lo sguardo etereo e le dita sono sospese in una dimensione astratta. Come nel Salvator Mundi (e più avanti nella Vergine delle Rocce, 1483 c.ca di Leonardo) la mano benedicente è stata spostata in avanti (inizialmente era stata dipinta verso il petto), in modo da accentuare le valenze spaziali della composizione. L’Annunciata sottende un gesto delicato e pudico, quasi fosse tenuto nascosto tra le pieghe cerulee dell’abito indossato irradiate di luce, che ricordano quelle di Madame Charles Max (1896) del maestro del fruscio Giovanni Boldini, in una compostezza derivante da un disegno perfetto.
“Ogni artista sorprende e meraviglia per la propria irripetibile fantasia, si concentra in un dettaglio decisivo, che lo rende immortale e resistente al tempo”.
Le parole di Sgarbi combaciano alla perfezione con i dipinti di questo ragguardevole artista siciliano senza tempo.
Basti pensare anche alle opere riscoperte dopo il Novecento (una su tutte la toccante Pietà -1476/1478 c.ca - acquistata dal Prado di Madrid nel 1966) per capire come la grandezza di Antonello sia tutta del nostro secolo, nonostante paradossalmente a metà del Cinquecento gli elementi della sua biografia fossero carenti e frammentari, la sua città “natale” di formazione artistica un’incognita (Venezia o Messina?), i quadri datati pochissimi, quelli andati persi molti e alcune attribuzioni incerte (come accadde alla stessa Annunciata scambiata per un quadro del tedesco Albrecht Dürer o addirittura considerata la copia di un’altra sua “gemella” veneziana).
“Il caso Antonello perciò si presenta come un intricato dedalo di ipotesi incontrollabili, tra cui affiora all’improvviso un dato certo, una prova, un documento cui appigliarsi. Insomma, un caso da risolvere abbinando agli strumenti della più raffinata critica d’arte le tecniche più corrive dell’indagine poliziesca” (cit. Sgarbi).
Volete saperne di più? L’appuntamento è a Palazzo Reale il 27 di Maggio con una visita esclusiva della mostra in compagnia del critico d’arte e con la presentazione del suo nuovo libro, Antonello contemporaneo, che ci invita a scoprire l’artista siciliano sotto una veste nuova.
Attraverso sue le pagine capiamo che il pittore messinese con la sua sagace ed audace pittura del Quattrocento era senz’altro “tagliato” anche per il Novecento.
Maria Cristina Bibbi
maggio 2019
Info
27 Maggio 2019, Ore 19, Palazzo Reale, Milano
Solo su prenotazione, 200 posti disponibili, Ingresso 14 eu
Info:
rfasan@momoskira.it
Libro: http://www.skira.net/books/antonello-contemporaneo