William Kentridge

Triumph and Laments

 
 
In questi giorni Roma celebra senza sosta William Kentridge con una serie di iniziative e appuntamenti. Nell’incontro con Hou Hanru e Achille Bonito Oliva, svoltosi al Maxxi per la serie delle  Conversazioni d’autore ideate da Giovanna Melandri Presidente Fondazione MAXXI, l’artista ha fatto registrare il tutto esaurito.
Ma cerchiamo di venire a capo di questa vera e propria  mania romana per Kentridge, certamente alimentata dalla inaugurazione ormai prossima (il 21 aprile, giorno del Natale di Roma) di Triumphs and Laments, monumentale opera che Kentridge sta realizzando sulle sponde del Tevere.
 
William Kentridge, per i pochi che non lo conoscessero,  è un artista sudafricano nato nel 1955 a Johannesburg, dove per lo più ancora vive e lavora. Ha compiuto studi storico-politici nel suo paese prima d’interessarsi di arte e di teatro. E il binomio arte-teatro se l’è portato dietro attraverso tutta la sua successiva carriera artistica, caratterizzata da una sperimentazione continua di media e linguaggi. Alla fine degli anni Ottanta ha fondato la Free Filmmakers Co-operative e ha iniziato a realizzare diverse serie di film di animazione, costruiti a partire da disegni a carboncino fortemente espressionisti. I film raccontano la sconvolgente storia politica del Sudafrica, ma lo fanno in modo ironico e attraverso l’allegoria. Ad esempio, 9 Drawings for Projection, composto da nove cortometraggi girati tra il 1989 e il 2003, narra la vita pubblica e privata di Soho Eckstein, proprietario di una miniera, latifondista e marito cornuto, alle prese con le mutevoli realtà sociali e politiche del Sudafrica.
Kentridge ha partecipato a numerose edizioni delle maggiori biennali internazionali e di Documenta. Ha ottenuto molteplici premi e onori, tra cui il Carnegie International Prize (2000). I suoi lavori sono stati esposti nei musei di tutto mondo (MET, MoMA, Louvre, Tate Modern, Centre Pompidou, Castello di Rivoli, Maxxi, etc.) e le gallerie che lo rappresentano sono tra le più raffinate del panorama artistico internazionale (Lia Rumma in Italia o Marian Goodman a New York). Insomma Kentridge è, a tutti gli effetti, una rockstar dell’arte contemporanea. E vederlo realizzare a Roma un’opera tanto importante suscita certamente stupore e attenzione. Anche se l’artista non è un ospite nuovo in città. Con Roma Kentridge ha un rapporto privilegiato almeno dal 1971, data della sua prima visita. Egli conosce e ama moltissimo la città e la sua storia. Anche il Maxxi ha acquistato, nel corso degli anni, alcuni suoi lavori, che fino al prossimo 17 aprile saranno visibili gratuitamente e accompagnati da un ciclo di visite guidate.
 
Roma dunque Kentridge la conosce molto bene. Ed eccoci a Triumphs and Laments, la grande opera che per i prossimi cinque anni sarà visibile a Piazza Tevere. Una menzione d’onore spetta a Tevereterno, l’associazione no-profit che si dedica alla gestione permanente del sito e che l’ha pensato come uno spazio all’aperto da destinare all’arte contemporanea (nello stesso luogo, qualche anno fa qualcuno avrà visto le suggestive proiezioni di Jenny Holzer).
Sui muraglioni di travertino che costeggiano la banchina del Tevere tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini (piazza Tevere appunto) Kentridge ha realizzato un fregio lungo cinquecento metri e composto da una processione di novanta figure, alte ciascuna dieci metri. L’opera ha una genesi lunga e nasce, come la maggior parte dei progetti dell’artista, da tanto lavoro in studio e da numerosissimi disegni. Tradotti questi su scala ambientale e realizzati con una tecnica assai curiosa. Il fregio, infatti, altro non è se non una serie d’immagini disegnate con la patina sedimentatasi negli anni sui muraglioni. Tutt’intorno si è pulito e sbiancato, sono rimaste solo queste figure di ‘sporco’. L’artista l’ha definito come una sorta di film geologico (dove il termine film fa pensare più a una pellicola vera e propria che non al cinema). Che mi sembra una definizione davvero perfetta. Le figure rappresentate vengono dalla romanità, antica e recente, e della storia di Roma raccontano i trionfi e i lamenti, ovvero le sconfitte. Sono figure iconiche e, allo stesso tempo, simboliche e anche un po’ ironiche se è vero che a Marcello Mastroianni e Anita Ekberg non fa da sfondo la Fontana di Trevi, ma una vasca da bagno. Kentridge ci ha messo dentro quello che a lui piace di Roma, i fregi che narrano i trionfi imperiali lungo le colonne e gli archi, Giordano Bruno e il libero pensiero, il cinema di Rossellini, Fellini e Pasolini. Ma, a differenza dei celebrativi fregi romani che raccontano una storia tutta di ascese, l’artista racconta anche quella delle inevitabili cadute. E, come sempre succede con i grandi artisti e con le grandi opere che non parlano mai di una cosa sola, ma sono sempre universali e molto democratiche, anche Triumphs and Laments è assai stratificata. E se i primi riferimenti d’obbligo, vanno al lavoro complessivo di Kentridge, un artista autenticamente engagé che, da tanti anni, parla di giustizia e razzismo (il bianco e nero, non a caso dominano anche in quest’opera), pure non mi sembrano da trascurare le suggestioni che scaturiscono dalla materia stessa di cui è fatto il fregio. Siamo di fronte a un lavoro che esalta l’aspetto di traccia del sedimento. Qui, la memoria non passa solo attraverso una selettiva rievocazione storica, ma anche attraverso la stratificazione dei muri di Roma. Siamo a metà strada tra i buoni graffiti contemporanei e la parete-palinsesto medievale.
Altro aspetto da rilevare è il carattere effimero di questo grande lavoro. Niente di nuovo nell’arte contemporanea che alla transitorietà ci ha abbondantemente abituati. Ma viviamo pure in anni in ci si affanna a mettere sotto vetro le irriverenti icone di Bansky presenti in strada. Triumphs and Laments rimarrà in situ per i prossimi cinque anni. Cinque lunghi anni in cui sarà comunque esposto a eventi fortuiti che lo modificheranno. Gli stessi muri intorno tra poco ricominceranno a sporcarsi. Ed è cosa quanto mai preziosa quando l’arte si carica con la casualità della vita e, in certa misura, si umanizza. Il più cinico e burlone artista del secolo scorso affrontò con una risata l’irreversibile danno subito dal suo Grande Vetro.
 
C’è ancora un’ultima cosa da dire. La processione di Kentridge inaugurerà il 21 aprile e, per due giorni, si potrà assistere a una performance ideata dall’artista e dal compositore Philip Miller, più volte suo collaboratore. L’evento coinvolgerà due bande musicali – una per i trionfi e una per le sconfitte di Roma – composte da musicisti italiani e sudafricani, che accompagneranno un gioco d’ombre dal vivo, proiettato sullo sfondo dell’opera. Lo spettacolo sarà gratuito e aperto al pubblico.
Roma   15 / 4 / 2016    Giorgia Terrinoni