Giovanni Cardone Dicembre 2022
Fino al 26 Febbraio 2023 si potrà ammirare Museo Civico di Bassano del Grappa la mostra Io, Canova. Genio Europeo a cura di Giuseppe Pavanello e Mario Guderzo con la direzione scientifica di Barbara Guidi. L’esposizione è organizzata dai Musei Civici di Bassano del Grappa in collaborazione con Villaggio Globale International, realizzata con il sostegno della Regione del Veneto, con il patrocinio e il contributo del “Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario della morte di Antonio Canova” e con l’evento di apertura posto sotto l’Alto Patronato del Parlamento Europeo. L’evento celebrativo è posto sotto i patrocini del Ministero degli Afari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero dell’Istruzione, Ministero della Cultura, Ministero del Turismo e Provincia di Vicenza e ha visto lo straordinario sostegno del mondo imprenditoriale locale, intervenuto in qualità di mecenate e attraverso l’adozione ideale di un’opera di Canova in prestito alla mostra o di intere sale espositive. Canova oltre l’artista; oltre il geniale scultore acclamato dai contemporanei come il nuovo Fidia; oltre il Maestro che, senza rinunciare ad essere moderno, fece risorgere l’antico in scultura e, oggi come ieri, incanta con la bellezza eterna e senza tempo delle sue opere, magicamente percorse da un palpito di vita. Una rassegna che restituirà un’immagine inedita del grande scultore, affascinante e attualissima, svelando l’uomo, il collezionista, il diplomatico, il protettore delle arti: una tra le personalità più significative del mondo culturale e politico a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Protagonista di un periodo di grandi stravolgimenti storici e politici, tra guerre e rivoluzioni che cambiarono il volto dell’Europa, Antonio Canova regalò al mondo la speranza nel futuro attraverso la creazione di un’arte in perfetto equilibrio tra reale e ideale, avvicinando l’uomo al mito e ispirando azioni e sentimenti di armonia e di pace. Un racconto per immagini che al ricco patrimonio artistico e documentario di Canova presente a Bassano, custode di uno dei fondi più ampi e importanti al mondo per lo studio e la conoscenza del grande scultore, affianca prestiti nazionali e internazionali: dai capolavori del Maestro - come il marmo della “Principessa Leopoldina Esterhazy Liechtenstein”, il grande gesso della “Religione” dei Musei Vaticani, l’imponente “Marte e Venere” dalla Gipsoteca di Possagno, realizzato per Giorgio IV d’Inghilterra, l’“Endimione dormiente” dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna o la “Danzatrice col dito al mento” della Pinacoteca Agnelli, per citarne alcuni - alle molte opere che permettono di ricostruire il contesto in cui Canova visse e operò. Tra queste, lo splendido “Ritratto del Senatore Abbondio Rezzonico” di Batoni, il “Ritratto di Clemente XIII” di Mengs e quello dell’ “Imperatore Napoleone I” di Gérard, i preziosi dipinti di Tiepolo e Moretto da Brescia appartenuti a Canova, fino ai capolavori di Paolo Veronese, Ludovico Carracci e Guido Reni che egli stesso ricondusse in Italia nel 1815 grazie a una coraggiosa missione diplomatica. Nel complesso, oltre 140 opere tra sculture, dipinti, disegni e documenti preziosi, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private italiane ed europee – le Gallerie degli Ufzi di Firenze, la Pinacoteca Nazionale di Bologna, il Museo di Castelvecchio di Verona, il Museo Correr di Venezia, la Protomoteca Capitolina, i Musei Vaticani, la Malmaison di Parigi, l’Albertina e il Kunsthistorisches Museum di Vienna, lo Schloss Esterhazy, l’Alte Pinakothek di Monaco, il Musée National du Château de Fontainebleau o la Daniel Katz Gallery di Londra per citarne alcuni, – accompagneranno i visitatori prima dentro l’universo creativo del maestro, poi sulle orme del “viaggiatore” Canova dall’Italia alle grandi corti d’Europa.  In una mia ricerca storiografica e scientifica fatta sulla figura di Antonio Canova e sul Neoclassicismo che divenne modulo monografico e furono fatta lezioni seminariali per confrontare questo grande artista con la contemporaneità. La vicenda del neoclassicismo inizia alla metà del XVIII secolo per concludersi con la fine dell’impero napoleonico . Ciò che contraddistingue lo stile artistico di quegli anni fu l’adesione ai principi dell’arte classica. Quei principi di armonia, equilibrio, compostezza, proporzione, serenità, che erano presenti nell’arte degli antichi greci e degli antichi romani che, proprio in questo periodo, fu riscoperta e ristudiata con maggior attenzione ed interesse grazie alle numerose scoperte archeologiche. I principali protagonisti del neoclassicismo furono il pittore Anton Raphael Mengs , lo storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann , che furono anche i teorici del neoclassicismo, gli scultori Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen, il pittore francese Jacques-Louis David i pittori italiani Andrea Appiani  e Vincenzo Camuccini . Winckelmann, Mengs, Canova, Thorvaldsen, operarono tutti a Roma, che divenne, nella seconda metà del Settecento, la capitale incontrastata del neoclassicismo, il baricentro dal quale questo nuovo gusto si irradiò per tutta Europa. A Roma, nello stesso periodo, operava un altro originale artista italiano, Giovan Battista Piranesi che, con le sue incisioni a stampa, diffuse il gusto per le rovine e le antichità romane. L’Italia nel Settecento fu la destinazione obbligata di quel «Grand Tour» che rappresentava, per la nobiltà e gli intellettuali europei, una fondamentale esperienza di formazione del gusto e dell’estetica artistica. Roma, in particolare, ove si stabilirono scuole ed accademie di tutta Europa, divenne la città dove avveniva l’educazione artistica di intere generazioni di pittori e scultori. Tra questi vi fu anche il David che rappresentò il pittore più ortodosso del nuovo gusto neoclassico. Con l’opera del David il neoclassicismo divenne lo stile della Rivoluzione Francese ed ancor più divenne, in seguito, lo stile ufficiale dell’impero di Napoleone. E dalla fine del Settecento la nuova capitale del neoclassicismo non fu più Roma, ma Parigi. Il neoclassicismo tende a scomparire subito dopo il 1815 con la sconfitta di Napoleone. Nei decenni successivi venne progressivamente sostituito dal Romanticismo che, al 1830, ha definitivamente soppiantato il neoclassicismo. Tuttavia, pur se non rappresenta più l’immagine di un’epoca, il neoclassicismo di fatto sopravvisse, come fatto stilistico, per quasi tutto l’Ottocento, soprattutto nella produzione aulica dell’arte ufficiale e di stato e nelle Accademie di Belle Arti. E questa sopravvivenza stilistica, oltre ai consueti limiti cronologici, è riscontrabile soprattutto nella produzione di un artista come Ingres, la cui opera si è sempre attenuta ai canoni estetici della grazia e della perfezione, capisaldi di qualsiasi classicismo. Uno dei motivi di questo rinato interesse per il mondo antico furono le scoperte archeologiche che segnarono tutto il XVIII secolo. In questo secolo furono scoperte prima Ercolano, poi Pompei, quindi Villa Adriana a Tivoli e i templi greci di Paestum; ed infine giunsero dalla Grecia numerosi reperti archeologici che finirono nei principali musei europei: a Londra, Parigi, Monaco. Negli stessi anni si diffusero numerose pubblicazioni tra cui Le rovine dei più bei monumenti della Grecia, 1758, del francese Le Roy, Le antichità di Atene, 1762, degli inglesi Stuart e Revett, e le incisioni di antichità italiane del romano Piranesi che contribuirono notevolmente a diffondere la conoscenza dell’arte classica. Questa opera di divulgazione fu importante non solo per la conoscenza della storia dell’arte ma anche per il diffondersi dell’estetica del neoclassicismo. In particolare, con queste campagne di scavo, non solo si ampliò la conoscenza del passato, ma fu chiaro il rapporto, nel mondo classico, tra arte greca e arte romana. Quest’ultima rispetto alla greca apparve solo un pallido riflesso ed un epigono, se non addirittura una semplice copia. La vera fonte della grandezza dell’arte classica venne riconosciuta nella produzione greca degli artisti del V-IV secolo a.C. Quel periodo eroico che vide sorgere la plastica statuaria di Fidia, Policleto, Mirone, Prassitele, fino a Lisippo. E la perfezione senza tempo di questa scultura influenzò profondamente l’estetica del Settecento, divenendo modello per gli artisti del tempo. Il neoclassicismo nacque come desiderio di una arte più semplice e pura rispetto a quella barocca, vista come eccessivamente fantasiosa e complicata. Questo desiderio di semplicità si coniugò alla constatazione, fornita dalle scoperte archeologiche, che già in età classica si era ottenuta un?arte semplice ma di nobile grandiosità. Il barocco apparve allora come il frutto malato di una degenerazione stilistica che, pur partita dai principi della classicità rinascimentale, era andata deformandosi per la ricerca dell’effetto spettacolare ed illusionistico. Il barocco è complesso, virtuosistico, sensuale; il neoclassicismo vuole essere semplice, genuino, razionale. Il barocco propone l’immagine delle cose che può anche nascondere, nella sua bellezza esterna, le brutture interiori; il neoclassicismo non si accontenta della sola bellezza esteriore, vuole che questa corrisponda ad una razionalità interiore. Il barocco perseguiva effetti fantasiosi e bizzarri, il  neoclassicismo cerca l’equilibrio e la simmetria; se il barocco si affidava alla immaginazione e all’estro, il neoclassicismo si affida alle norme e alle regole. Il principio del razionalismo è una componente fondamentale del neoclassicismo. È da ricordare che il Settecento è stato il secolo dell’Illuminismo. Di una corrente filosofica che cerca di «illuminare» la mente degli uomini per liberarli dalle tenebre dell’ignoranza, della superstizione, dell’oscurantismo, attraverso la conoscenza e la scienza. E per far ciò bisogna innanzitutto liberarsi da tutto ciò che è illusorio. E l’arte barocca ha sempre perseguito l’illusionismo come pratica artistica. Il neoclassicismo ha diversi punti di similitudine con il Rinascimento: come questo fu un ritorno all’arte antica e alla razionalità. Ma le differenze sono sostanziali: la razionalità rinascimentale era di matrice umanistica e tendeva a liberare l’uomo dalla trascendenza medievale, la razionalità neoclassica è invece di matrice illuministica e tendeva a liberare l’uomo dalla retorica, dalla ignoranza e dalla falsità barocca. Il ritorno all’antico, per l'artista rinascimentale era il ritorno ad un atteggiamento naturalistico, nei confronti della rappresentazione, che lo liberasse dal simbolismo astratto del medioevo; per l’artista neoclassico fu invece la codificazione di una serie di norme e di regole che servissero ad imbrigliare quella fantasia che, nell’età barocca, aveva agito con eccessiva licenza e sregolatezza. Il Massimo teorico del neoclassicismo fu il Winckelmann. Nel 1755 pubblicava le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, nel 1763 pubblicava la Storia dell’arte nell’antichità. In questi scritti egli affermava il primato dello stile classico soprattutto greco che lui idealizzava al di là della realtà storica, quale mezzo per ottenere la bellezza «ideale» contraddistinta da «nobile semplicità e calma grandezza». Winckelmann considerava l?arte come espressione di «un’idea concepita senza il soccorso dei sensi». Un’arte, quindi, tutta cerebrale e razionale, purificata dalle passioni e fondata su canoni di bellezza astratta. Le sue teorie artistiche trovarono un riscontro immediato nell’attività scultorea di Antonio Canova e di Thorvaldsen. La scultura, più di ogni altra arte, sembrò adatta a far rivivere la classicità. Le maggiori testimonianze artistiche dell’antichità sono infatti sculture. E nella scultura neoclassica si avverte il legame più diretto ed immediato con l’idea di bellezza classica. Una pittura classica, di fatto, non esiste, anche perché le testimonianze di quel periodo sono quasi tutte scomparse. Le uniche pitture ad affresco, a noi note, comparvero proprio in quegli anni negli scavi di Ercolano e Pompei. Esse, tuttavia, per quanto suggestive nella loro iconografia così esotica, si presentavano di una semplificazione stilistica definita compendiaria inutilizzabile per la moderna sensibilità pittorica. Così che i pittori neoclassici dovettero ispirarsi stilisticamente più alla pittura rinascimentale italiana, in particolare Raffaello, che non all’arte classica vera e propria. I caratteri della scultura neoclassica sono la perfezione di esecuzione, la estrema levigatezza del modellato, la composizione molto equilibrata e simmetrica, senza scatti dinamici. La pittura neoclassica si riaffidò agli strumenti del naturalismo rinascimentale: la costruzione prospettica, il volume risaltato con il chiaroscuro, la precisione del disegno, immagini nitide senza giochi di luce ad effetto, la mancanza di tonalismi sensuali. I soggetti delle opere d’arte neoclassiche divennero personaggi e situazioni tratte dall’antichità classica e dalla mitologia. Le storie di questo passato, oltre a far rivivere lo spirito di quell’epoca, che tanto suggestionava l’immaginario collettivo di quegli anni, serviva alla riscoperta di valori etici e morali, di alto contenuto civile, che la storia antica proponeva come modelli al presente. La storia antica, quindi, divenne un serbatoio di immagine allegoriche da utilizzare come metafora sulle situazioni del presente.
Ciò è maggiormente avvertibile per un pittore come il David nei cui quadri la storia del passato è solo un pretesto, o una metafora, per proporre valori ed idee per il proprio tempo. Il neoclassicismo, nella sua poetica, invertì il precedente atteggiamento dell’arte rococò. Questa, nella sua ricerca della sensazione emotiva o sensuale, sceglieva immagini che materializzavano l’ “attimo fuggente”. Il neoclassicismo non propone mai attimi fuggenti, ma, coerentemente con la sua impostazione classica, rappresenta solo “momenti pregnanti”. I momenti pregnanti sono quelli in cui vi è la maggiore carica simbolica di una storia. In cui si raggiunge l’apice di intensità psicologica, di concentrazione, di significanza: il momento in cui, un certo fatto od evento entra nella storia o nel mito. Il ruolo svolto dall’Italia nella nascita del Neoclassicismo fu determinante. In Italia vennero effettuate le maggiori scoperte archeologiche del secolo: Ercolano, Pompei, Paestum, Tivoli, che si aggiunsero alle già imponenti collezioni di arte romana che, dal Cinquecento in poi, si erano costituite un po’ ovunque. Roma divenne la capitale del neoclassicismo e fu un ruolo centrale che conservò fino allo scoppio della Rivoluzione Francese. A Roma operarono i maggiori protagonisti di questa fase storica: Winckelmann, Mengs, Canova, Thorvaldsen. A Roma, nello stesso periodo, operava un altro originale artista italiano, Giovan Battista Piranesi che, con le sue stampe, diffuse il gusto per le rovine e le antichità romane. Un gusto, che presto suggestionò soprattutto gli spiriti romantici che nella «rovina» rintracciavano un sentimento che andava al di là della testimonianza archeologica. Ed a Roma giungevano gli altri artisti ed intellettuali di Europa. I primi grazie alle borse di studio messe a loro disposizione dalle scuole ed accademie d’arte, i secondi per quella moda del Grand Tour che imponeva alle persone di un certo rango di effettuare almeno un viaggio in Italia per conoscerne le bellezze e i tesori d’arte. L’Accademia francese assegnava una borsa di studio per un soggiorno di alcuni anni a Roma, chiamata «Prix de Rome». E, grazie a questa borsa di studio, anche David giunse a Roma soggiornandovi in più occasioni. E, proprio a Roma, compose il suo quadro più famoso di questo periodo: «Il giuramento degli Orazi». A Roma un altro personaggio svolse un ruolo fondamentale per il neoclassicismo: il cardinale Albani. Cultore di antichità classiche e mecenate, iniziò la costruzione di una villa-museo che divenne uno dei luoghi più simbolici del nuovo stile. Il suo salotto divenne luogo di incontro per gli artisti e gli studiosi che, a Roma, furono i protagonisti della vicenda neoclassica. Ed infine Roma fu anche la città ove lavorò il maggior artista italiano neoclassico: Antonio Canova. Ma intanto, alla fine del secolo, Roma cedeva la sua centralità a Parigi e, nel contempo, un’altra città italiana divenne importante nella vicenda del neoclassicismo: Milano. Nel capoluogo lombardo il centro della vita artistica divenne l’Accademia di Brera, fondata nel 1776. Da Milano proviene il principale pittore neoclassico italiano: Andrea Appiani , che fu anche ritrattista ufficiale di Napoleone. La sua opera, in parte distrutta dai bombardamenti del 1943, si affida a temi mitologici quali «La toeletta di Giunone», il «Parnaso» o la «Storia di Amore e Psiche». Un altro pittore romano, Vincenzo Camuccini  visse in gioventù la fase del neoclassicismo proponendo quadri di derivazione davidiana quali la «Morte di Giulio Cesare». Il neoclassicismo, come fatto stilistico, è sopravvissuto nell’arte italiana per buona parte dell’Ottocento. Anche pittori, che per i soggetti vengono considerati romantici, quali Hayez o Bezzuoli, continuano a praticare una pittura con quei connotati stilistici neoclassici che tenderanno a scomparire solo dopo la metà del secolo. Antonio Canova  è il maggior artista italiano ad aver partecipato alla vicenda del neoclassicismo ed è anche l’ultimo grande artista italiano di livello europeo. Dopo di lui, per tutto il corso del XIX secolo, l’Italia ha svolto un ruolo molto marginale e periferico nell’ambito della formulazione delle nuove teorie e pratiche artistiche. Formatosi in ambiente veneziano, le sue prime opere rivelano la influenza dello scultore barocco del Seicento Gian Lorenzo Bernini. Trasferitosi a Roma, partecipò al clima cosmopolita della capitale in cui si incontravano i maggiori protagonisti dell’arte neoclassica. A Roma svolse la maggior parte della sua attività, raggiungendo una fama immensa. Fu anche pittore, ma produsse opere di livello decisamente inferiore rispetto alle sue opere scultoree.
Nelle sue sculture Canova, più di ogni altro, fece rivivere la bellezza delle antiche statue greche secondo i canoni che insegnava Winckelmann: «la nobile semplicità e la quieta grandezza». Le sculture di Canova sono realizzate in marmo bianco e con un modellato armonioso ed estremamente levigato. Si presentano come oggetti puri ed incontaminati secondo i princìpi del classicismo più puro: oggetti di una bellezza ideale, universale ed eterna. I soggetti delle sue sculture si dividono in due tipologie principali: le allegorie mitologiche e i monumenti funebri. Al primo gruppo appartengono: «Teseo sul Minotauro», «Amore e Psiche», «Ercole e Lica», «Le tre Grazie»; al secondo gruppo appartengono i monumenti funebri a Clemente XIV, a Clemente XIII, a Maria Cristina d’Austria. Nei monumenti di soggetto mitologico i riferimenti alle sculture greche classiche è scoperto ed immediato: le anatomie sono perfette, i gesti misurati, le psicologie sono assenti o silenziose, le composizioni molto equilibrate e statiche. Il momento scelto per la rappresentazione è quello classico del «momento pregnante», evidente ad esempio nel gruppo di «Teseo sul Minotauro». Canova, invece di rappresentare la lotta tra Teseo e l’essere metà uomo e metà toro, sceglie di rappresentare il momento in cui Teseo, dopo aver sconfitto il Minotauro, ha scaricato tutte le sue energie offensive per lasciar posto ad un vago senso di pietà per l’avversario ucciso. È un momento di quiete assoluta in cui il tempo si congela per sempre. È quello il momento in cui la storia diventa mito universale ed eterno. Nei monumenti funebri Canova parte dallo schema classico a tre piani sovrapposti. Nei monumenti dei due papa Clemente XIII e XIV al primo livello ci sono le immagini allegoriche che rappresentano il senso della morte; al secondo livello vi è il sarcofago; al terzo livello vi è la figura del papa. Questo schema, che dal Trecento aveva caratterizzato tutta la produzione di monumenti funebri, venne dal Canova variata con il monumento a Maria Cristina d’Austria m in esso un corteo funebre si accinge a varcare la soglia dell’oltretomba raffigurata come una piramide m e nei monumenti a stele in cui è evidente il ricordo delle tante stele funerarie provenienti dall’antica Roma. I monumenti funerari rappresentano un tema molto sentito dagli artisti neoclassici. Da ricordare che, negli stessi anni, l’importanza dei «sepocri» veniva affermata anche dal poeta Ugo Foscolo. Per il Foscolo il sepolcro doveva conservarci la memoria dei grandi personaggi della storia esaltandone il valore quali esempi di virtù. La morte, che nella precedente stagione barocca veniva visto come qualcosa di orrido e di macabro, dall’arte neoclassica era vista come il «momento pregnante» per eccellenza. Il momento in cui si scaricano tutte le contingenze terrene per entrare nel silenzio assoluto ed eterno. Il Canova nel periodo napoleonico divenne il ritrattista ufficiale di Napoleone producendo per l’imperatore diversi ritratti, tra cui quello in bronzo, ora collocato a Brera, che fu rifiutato dall’imperatore perché Canova lo aveva ritratto nudo. Tra i ritratti eseguiti per la famiglia imperiale famoso rimane quello di Paolina Borghese semidistesa su un triclino, seminuda e con una mela in mano, secondo una iconografia di chiara derivazione tizianesca, pur se caricata di significati mitologici. Oltre all’attività di scultore, Canova fu anche impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Nel 1802 ebbe l’incarico di Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa. Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, ottenne di riportare in Italia le tante opere d’arte che l’imperatore aveva trasportato illegalmente in Francia. Morto nel 1822, il suo sepolcro è a Possagno, il paesino in provincia di Treviso dove era nato, e dove egli, a sue spese, fece erigere un tempio dove nel 1830 furono traslate le sue spoglie. Il monumento funerario a Maria Cristina d’Austria rappresenta una grossa novità nella tipologia dei monumenti funerari. Il monumento funebre ha sempre avuto come centro compositivo il sarcofago o l’urna in cui materialmente venivano conservare le spoglie del defunto. Al di sopra dell’urna veniva collocata l’effige statuaria del defunto; di sotto o di fianco venivano poste immagini allegoriche sul significato della morte. Nel monumento a Maria Cristina d’Austria l’urna scompare per essere sostituita dalla immagine triangolare di una piramide. L’effigie statuaria viene sostituita da un ritratto di profilo a bassorilievo, inserito in un medaglione di chiara derivazione classica.
Notevole importanza assumono le figure allegoriche che, nella intenzione dell’artista, non sono puri e semplici simboli ma devono commuovere per l’azione in divenire che stanno rappresentando. In questo caso, infatti, le figure compongono un singolare corteo funebre che si accinge a salire i gradini che portano alla porta della piramide. Da questa porta fuoriesce un tappeto che scorre sui gradini come un velo leggero e impalpabile. Il corteo è aperto da una giovane ragazza che ha già un piede oltre la soglia della tomba. È seguita da una donna che rappresenta la Pietà con in mano l’urna delle ceneri della defunta. Un’altra ragazzina la sta seguendo. Più indietro un?altra giovane donna avanza, aiutando un vecchio uomo a salire le scale. Sono rappresentate tutte le tre età della vita, dalla gioventù alla vecchiaia, a simboleggiare che la Morte non risparmia nessuno. Le figure procedono con incedere lento e mesto. Hanno tutti la testa chinata in avanti, a simboleggiare che nei confronti della Morte la superbia umana non può nulla. Di fianco la porta della piramide, che quindi simboleggia la porta di passaggio dal mondo terreno al mondo dei morti, c’è l’allegoria del Genio della Morte poggiato sul Leone della Fortezza. In alto, il medaglione con il ritratto di Maria Cristina d’Austria è circondato da un serpente che si morde la coda, simbolo quest’ultimo dell’Eterno Ritorno. Il medaglione è sostenuto dalla allegoria della Felicità, mentre un’altra figura angelica porge alla defunta una palma, simbolo della gloria. La piramide, come simbolo dell’Oltretomba, è decisamente una immagine neoclassica. Contiene la reminescenza delle antiche piramidi egiziane, i più grandi monumenti funebri mai realizzati dall’uomo, e si presenta con una forma geometrica semplice, il triangolo, ma carico di notevoli significati allegorici. La porta che si apre nella piramide assomiglia invece, per fattura, alle porte delle tombe etrusche delle necropoli di Tarquinia o Cerveteri. Ed anche questo riferimento etrusco, nell’immaginario collettivo, finisce per collegarsi al mondo dell’Oltretomba. Il senso della morte, qui rappresentato, ha la dignità profonda e nobile della concezione neoclassica. Tuttavia, la commozione che suscita il corteo funebre finisce per prendere un significato quasi tutto romantico. La scelta di anticipare il momento pregnante, non a quello eterno della Morte oramai sopraggiunta, ma al momento precedente in cui la Morte richiama a sé le persone che, a capo chino, non possono sottrarsi al suo invito, carica di profondo dolore la percezione della morte come azione in divenire. È il profondo strazio di chi, pur restando vivo, non può che guardare con senso di sgomento e di ineluttabilità l?avviarsi alla morte delle persone care. Questa inaspettata rappresentazione di un dolore, che deve suscitare compassione in chi guarda, è la prova della grandezza del genio di Canova che, al di là della facile etichetta di scultore neoclassico, per la inconfondibile fattura stilistica delle sue statue, si presenta come un artista capace di cogliere i fermenti più vivi e nuovi del suo tempo, ed anche anticiparli nelle sue opere d’arte. Il gruppo, oggi conservato al Louvre, appartiene alle allegorie mitologiche della produzione canoviana. Esso rappresenta Amore e Psiche nell’atto di baciarsi. Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici levigate ed un modellato molto tornito. La composizione ha una straordinaria articolazione: la donna, Psiche, è semidistesa, rivolge il viso e le braccia verso l’alto e, per far ciò, imprime al corpo una torsione ad avvitamento; l’uomo, Amore, si appoggia su un ginocchio mentre con l?altra gamba si spinge in avanti inarcandosi e contemporaneamente piegando la testa di lato per avvicinarsi alle labbra della donna. Il soggetto è probabilmente tratto dalla leggenda di Apuleio, secondo la quale Psiche era una ragazza talmente bella da suscitare l?invidia di Venere, così che la dea le mandò Amore per farla innamorare di un uomo brutto. Ma Amore, dopo averla vista, se ne innamorò e, dopo una serie di vicissitudini, ottenne che Psiche entrasse nell’Olimpo degli dei, per restare con lui. Il soggetto è qui utilizzato come allegoria del potere dell’amore, visto soprattutto nell’intensità del desiderio che riesce a sprigionare: da qui la scelta di fermare la rappresentazione all’istante prima che il bacio avvenga ed il desiderio si consumi.  Per comprendere lo spirito della cultura neoclassica è utile confrontare il gruppo scultoreo di Amore e Psiche con un?altra famosa allegoria mitologia: l’«Apollo e Dafne» di Gian Lorenzo Bernini. Quest’ultimo gruppo scultoreo fu realizzato tra il 1622 e il 1625, agli inizi della diffusione del barocco, e rappresenta indubbiamente uno dei maggiori esiti di questo stile di cui Bernini fu uno dei maggiori rappresentanti. Dafne, secondo la mitologia, era una bellissima fanciulla di cui si era innamorato Apollo. Dafne, per sfuggirgli, scappò ai piedi del Parnaso e qui, nel momento in cui stava per essere raggiunta da Apollo, chiese aiuto alla madre che la trasformò in una pianta di alloro. Il gruppo del Bernini rappresenta indubbiamente un attimo fuggente: Dafne viene appena sfiorata da Apollo ed ha già i capelli che stanno divenendo dei rami di alloro. È giusto un attimo: l’istante successivo Dafne non ci sarà più. Per enfatizzare ciò Bernini dà al gruppo un’apparenza di equilibrio instabile, evidente soprattutto nella curva ad arco che forma il corpo di Dafne. Il gruppo del Canova ha invece una fermezza ed una staticità molto più evidenti. Lo si osservi soprattutto nella visione frontale. Il corpo di Psiche insieme alla gamba e alle ali di Amore formano uno schema ad X simmetrico. Al centro di questa X le braccia di Psiche definiscono un cerchio perfetto che inquadra al centro il punto focale della composizione: quei pochi centimetri che dividono le labbra dei due. In quei pochi centimetri si gioca il momento pregnante, ed eterno, del desiderio senza fine che l’Eros sprigiona. La differenza tra le due sculture non è da ricercarsi sulla differenza stilistica o formale, risultando entrambe di notevolissima fattura per tecnica esecutiva, ma sulla diversa cultura che le ispira. Lo sforzo del Bernini è di cogliere la vitalità della vita in continuo movimento, e per far ciò cerca di annullare la materia per lasciare solo la sensazione del divenire. Canova mostra invece tutta a tensione neoclassica di giungere a quella perfezione senza tempo in cui nulla più può divenire, e per far ciò pietrifica la vita dando alla materia una forma definitiva ed eterna. Il gruppo scultoreo è una rappresentazione del mito di Teseo e si pone come una delle opere più esemplari del concetto di arte neoclassica. L'eroe ateniese, aiutato da Arianna, penetrò nel labirinto di Creta, ove era rinchiuso il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, e riuscì ad ucciderlo. L'episodio si prestava a molteplici possibilità: uno scultore barocco come il Bernini ne avrebbe probabilmente approfittato per cogliere il momento di massimo sforzo nello scontro tra Teseo e il Minotauro e scolpire un gruppo di grande dinamicità e tensione. Invece Canova, da artista neoclassico, cerca il momento della quiete e non dell'agitazione. E così preferisce sintetizzare la storia al momento della vittoria di Teseo, quando la tensione si è oramai sciolta e un profondo senso di pace pervade l'eroe. In questo istante si coglie anche un senso di umana pietà che Teseo prova verso il mostro sconfitto, in quanto la sua nobiltà d'animo gli impone di non odiare il nemico. Tutto il gruppo scultoreo trasmette quindi un senso di profonda calma: è il momento in cui l'agitazione delle passioni e delle azioni si spegne e si trasferisce all'eternità del mito. Da un punto di vista stilistico il gruppo ha equilibri molto classici e le forme anatomiche di Teseo richiamano direttamente le inespressive ma perfette fattezze di tante statue dell'antica Grecia. Il gruppo è quindi una espressione paradigmatica delle nuove esigenze estetiche dell'arte neoclassica. Il gruppo monumentale raffigura un episodio mitico legato a Ercole. L'eroe delle dodice fatiche era sposato a Deianira ed insieme a lei si recò dall'amico Ceice in Trachine ai piedi del monte Oeta. Dovendo lungo il tragitto traversare il fiume Eveno, incontrarono il centauro Nesso che si offerse di traghettare la moglie di Ercole. Ma il centauro, innamoratosi della donna, cercò di rapirla, ma fu ucciso da una freccia scagliata da Ercole. Il centauro, per vendicarsi, prima di morire diede alla donna un po' del suo sangue dicendole che con esso avrebbe potuto preparare un unguento che le avrebbe permesso di conservare l'amore di suo marito. In un successivo episodio Ercole, dopo una spedizione vittoriosa contro Eurito di Ecalia, conquista Iole, la figlia di Eurito. La moglie Deianira saputo di Iole, cercò di riconquistare il marito con un unguento preparato con il sangue del centauro Nesso. Intrise una bianca veste con questo unguento, e diede l'indumento a Lica per consegnarlo ad Ercole. In realtà il sangue che Nesso aveva dato alla donna era velenoso e quando Ercole indossò la veste il veleno cominciò a penetrargli nella pelle infiammandola e quasi rendendolo pazzo dal dolore. Cercò di strapparsi la camicia di dosso, ma senza riuscirci. Preso da violenta ira Ercole afferrò l'innocente Lica e lo scagliò così lontano che cadde in mare e si trasformò in scoglio.
La storia giunge all'epilogo con Deianira che, saputo cosa aveva prodotto il suo unguento, si suicida mentre Ercole, dopo aver dato in sposa Iole a suo figlio, si porta sul monte Oeta per finire le sue sofferenze tra le fiamme di un rogo. E qui, mentre le fiamme cominciano a lambirlo, giunge Atena con un cocchio a prendere l'eroe e portarlo con se sul monte Olimpo, dove Zeus gli fa dono dell'eterna giovinezza. Il gruppo scultoreo di Canova, conservato alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, è di grande monumentalità ma tuttavia non trasmette un'impressione di grande potenza, come la rappresentazione del gesto di Ercole richiederebbe. Il tutto rimane troppo bloccato in una ricerca di equilibrio che finisce per stemperare la potenza dell'azione. In questo caso appare evidente come la norma stilistica neoclassica mal si adatta a rappresentare il movimento e l'azione. Il gruppo delle tre Grazie era uno dei temi più in voga nel periodo neoclassico, ed ovviamente non poteva mancare nel repertorio di Antonio Canova. Le tre figure di Aglaia, Eufrosine e Talia erano le protettrici degli artisti, in quanto da loro proveniva tutto ciò che vi è di bello nel mondo umano e naturale. Canova le raffigura nella posizione più canonica, ovvero abbracciate e disposte a circolo. Sono nude, così come le ritroviamo nella tradizione ellenistica, e vengono rappresentata dall'artista nella classica posizione a chiasma. L'incrociarsi delle membra serve qui a dare un molle abbandono alle figure che, nel sostenersi a vicenda, formano quasi un unico gruppo di affetti e sensualità corrisposte. L'immagine è quindi concepita come esaltazione di perfezione e bellezza, sommi canoni estetici per il gusto neoclassico. Il tema della sepoltura, abbiamo visto, è stato uno dei più praticati da Antonio Canova, che nei suoi monumenti funebri tende alla consacrazione della memoria del defunto, secondo le esigenze tipiche della cultura illuministica e neoclassica. Il veneziano Carlo Rezzonico è stato papa con il nome di Clemente XIII dal 1758 al 1769. Di personalità molto amabile e caritatevole interpretò su queste basi la funzione del suo apostolato mostrandosi quale «buon pastore» e non come statista interessato agli affari politici e diplomatici internazionali. Il monumento eretto dal Canova si trova in San Pietro in Vaticano. Questo sepolcro è stato concepito dallo scultore secondo il classico schema a tre piani sovrapposti. Sul primo livello, quello basamentale, poggiano le figure allegoriche: due leoni, simbolo della forza, che proteggono la porta che da accesso al sepolcro, il genio della morte e la figura femminile con la croce in mano simbolo della Religione. Al secondo livello è posto il sarcofago, di forme ovviamente classicheggianti. Al terzo livello vi è la statua a tutto tondo del papa, che il Canova, interpretandone il carattere, ci rappresenta in atteggiamento umile, il triregno simbolo di potere è posto a terra, inginocchiato a pregare. Il monumento è collocato nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma, ed è stato realizzato per ricordare la memoria del papa che nel 1769 successe a Clemente XIII. Lorenzo Ganganelli, nativo di Sant'Arcangelo di Romagna, è stato papa con il nome di Clemente XIV dal 1769 al 1774. La decisione più importante presa da Clemente XIV è stata la soppressione dell'Ordine dei Gesuiti nel 1773. La questione dei gesuiti era in quegli anni la più scottante nei rapporti tra gli stati europei e il papato. La nuova cultura illuministica affermatasi nella seconda metà del Settecento aveva preso di mira questo che tra gli ordini religiosi appariva il più potente ed influente. Da ricordare che in quegli anni i gesuiti detenevano quasi il monopolio dell'educazione dei giovani grazie ai numerosissimi collegi che essi avevano fondato a partire dalla metà del Cinquecento in tutta Europa. L'ordine veniva anche stimato come dotato di favolose ricchezze, e la prospettiva di incamerarne i beni era un obiettivo condiviso da molti regnanti europei. Se Clemente XIII riuscì ad arginare i tentativi di soppressione dell'ordine, Clemente XIV ne fece invece una sua questione programmatica riuscendo a divenire papa proprio sulla base di questo suo atteggiamento. Papa quindi dalla personalità volitiva e portata alla gestione del potere, viene infatti rappresentato da Canova assiso in trono, con il triregno in testa, e in atteggiamento severo. Il braccio destro proteso in avanti diviene quindi simbolo della sua capacità di prendere ed imporre decisioni anche di grande portata storica. Il monumento, come quello realizzato per Clemente XIII si svolge su tre livelli.
Sulla parte basamentale vengono collocate due figure femminili, allegorie dell'Umiltà e della Temperanza, al secondo livello viene posto il sarcofago, infine a coronare il monumento la statua del papa. La grande fama acquisita da Antonio Canova, fece sì che tra i suoi committenti ci fosse anche Napoleone Bonaparte. Per Napoleone Canova eseguì diversi lavori che immortalarono non solo la figura dell'imperatore ma anche dei suoi familiari. Uno dei ritratti più famosi è sicuramente questo dedicato a Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, e moglie del nobile romano Camillo Borghese. La rappresentazione segue ovviamente i precetti neoclassici. Innanzitutto Paolina è raffigurata idealisticamente nuda, e con in mano un pomo. La sua immagine richiama quindi quella di Venere vincitrice, con il pomo di Paride in mano, attestato di superiore bellezza. La figura è adagiata mollemente su un triclino, richiamando un po' la tipologia dei ritratti semidistesi presenti sui sarcofagi etruschi (ad esempio, il "sarcofago degli sposi" conservato a Villa Giulia). Tuttavia, a dispetto di questo richiamo un po' funereo, la notevole abilità tecnica di Canova riesce ad infondere quasi un palpito di vita all'immagine di marmo, risultando così verosimile l'intera scultura da suscitare apprezzamenti più che entusiastici nei numerosi estimatori di questa opera. Il percorso espositivo della mostra si divide in cinque sezioni : L’esposizione Canova tra innocenza e peccato prosegue l’indagine su un’arte senza tempo che valica i limiti cronologici e supera le definizioni accademiche. Il vasto influsso esercitato da Antonio Canova, massimo interprete del Neoclassicismo, può essere riassunto nei due termini antitetici scelti per il titolo. Innocenza e peccato sono due caratteri che attraversano sia l’opera di Canova, sia la selezione di opere moderne e contemporanee poste in dialogo con le sculture provenienti dalla Gypsotheca di Possagno. Da tale confronto scaturiscono affinità e contrasti, facendo emergere diverse declinazioni del concetto di bellezza, in sintonia con i principi di armonia, equilibrio e grazia che contraddistinguono la scultura neoclassica o, all’opposto, apertamente in conflitto con essi. Protagonista della mostra è il corpo umano, raffigurato plasticamente nella scultura o attraverso l’uso sapiente della luce nelle immagini di alcuni dei maestri della fotografia del XX secolo. Da una parte il corpo perfetto e divino delle opere di Canova, a cui sembrano guardare alcuni scultori del nostro tempo e i fotografi che hanno saputo esaltare le linee e le forme statuarie del corpo nudo. Dall’altra gli artisti che hanno “tradito” Canova preferendo indagare l’espressività di corpi imperfetti, ma non per questo privi di fascino. Dopo la morte di Antonio Canova, le opere che si trovavano nel suo studio romano vengono trasferite a Possagno, nella casa natale dell’artista e in un nuovo edificio fatto costruire dal fratellastro, il vescovo Giuseppe Sartori.  Nella galleria progettata dall’architetto veneziano Francesco Lazzari trovano posto soprattutto i modelli in gesso e i calchi delle opere spedite ai committenti: una collezione che testimonia, così, gran parte della produzione canoviana. La mostra rievocherà anche le vicende di alcune importanti commissioni, come il “Damosseno” e “Creugante”, l’“Ercole e Lica”, il Monumento funerario per Orazio Nelson e quello per Papa Clemente XIII, il monumento equestre a Ferdinando IV di Borbone e quello per Napoleone; racconterà i rapporti con i mecenati, pontefici, principi e nobili, dai Falier ai Rezzonico, da re Giorgio IV ad Alexander Baring, da Papa Pio VII a Francesco I d’Austria, da Josephine de Beauharnais a Paolina Bonaparte, fino a Napoleone. Evocherà infine le relazioni che Canova ebbe con artisti, e letterati coevi, come Angelika Kaufmann, Anton Raphael Mengs, Carlo Albacini. Un evento eccezionale è rappresentato dall’arrivo a Bassano del Grappa, dall’Inghilterra, del grande marmo riscopero solo di recente - dopo quasi due secoli in cui se ne erano perse le tracce - e mai esposto prima in una mostra: la “Maddalena giacente”, l’ultimo capolavoro di Canova. Realizzata poco prima di morire per Robert Jenckins, secondo conte di Liverpool e primo ministro inglese, la splendida figura distesa è stata riconosciuta dopo molti anni di oblio e può essere oggi mostrata in tutta la sua struggente bellezza. Tre saranno i capitoli in cui si svilupperà il percorso espositivo, firmato dallo Studio Antonio Ravalli Architetti nell’ambito di un più ampio progetto di riqualificazione di tutto il Museo Civico di Bassano: “L’ uomo e l’artista”, “Canova e l’Europa”, “Canova nella Storia”, quest’ultimo dedicato al rapporto che lo scultore ebbe con Napoleone e i Bonaparte e ai viaggi compiuti a Londra e Parigi nel 1815 per giudicare i marmi del Partenone e recuperare le opere d’arte che i francesi avevano sottratto dalla Penisola. A lui - capace di attirare la benevolenza, la stima e l’amicizia di tanti potenti - venne infatti affidato da Ercole Consalvi, segretario di Stato dalla Santa Sede, il difficile compito del recupero delle opere trafugate dai francesi in seguito al Trattato di Tolentino del 1797. Un’impresa quest’ultima che trova particolare evidenza nella mostra e che ci ricorda una volta di più un’importanza della figura di Canova per l’arte italiana, al di là del suo genio d’artista. Nonostante le accese opposizioni che incontrò e le tante ansie che la missione a Parigi procurò al suo carattere mite, Canova seppe infatti cogliere la positiva congiuntura a livello internazionale e giocare d’astuzia e diplomazia. Così mentre Dominique Vivant Denon, direttore del Louvre dal 1802, difendeva il bottino francese con le unghie e con i denti, Canova cercò il sostegno di Hamilton sottosegretario del Ministro degli Esteri britannico, di Wellington grande comandante inglese che aveva sconfitto Napoleone a Waterloo e del cancelliere austriaco Principe di Metternich; e con un drappello di soldati austriaci e prussiani fece incursione al Louvre staccando dai muri e recuperando dalle sale buona parte delle opere reclamate dagli Stati pontifici. Il 25 ottobre 1815 un convoglio di 41 carri trainati da 200 cavalli con 249 opere lasciò Parigi per raggiungere le varie destinazioni in Italia. I carri furono accolti dalle popolazioni locali in festa ed esultò anche Giacomo Leopardi per le opere “ritornate alla patria”. In mostra a Bassano a testimoniare questo momento anche l’antico calco in gesso del “Laocoonte” prestato dai Musei Vaticani, la “Deposizione” di Paolo Veronese, “La Fortuna” diGuido Reni, la monumentale “Assunzione della Vergine” e “La Carraccina” di Agostino Carracci. Alla mostra erano stati ufficialmente concessi in prestito dal Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo alcuni dei famosi marmi di Canova lì conservati. Analogamente, dal Museo Nazionale di Kiev doveva giungere la “Pace”, splendida allegoria in marmo, mai tanto attuale. Allo scoppio del conflitto russo-ucraino, la rinuncia a tali prestiti è stata inevitabile e convinta. Ciò non ha impedito - grazie anche generosità e alla fiducia di tanti musei, istituzioni e collezionisti italiani e stranieri che hanno concesso in prestito opere di grande delicatezza e rilevanza, alcune delle quali mai esposte prima in Italia - di dare vita ad una mostra rigorosa ma avvincente, capace di evocare, attraverso la storia di un uomo, un’intera epoca. La speranza e l’augurio di tutti è che le opere Canova dalla Russia e dall’Ucraina possano essere esposte nuovamente assieme, a testimonianza di nuovi tempi di serenità, di pace e di dialogo.
Il Percorso della Mostra
L’ Uomo e L’ Artista
“L’uomo e l’artista” è la sezione che accoglie il visitatore, dedicata agli anni della formazione a Venezia, al definitivo trasferimento a Roma con la scoperta dell’antico, ai suoi sostenitori e primi committenti; qui si rivelano anche i saperi e le passioni di cui l’artista di Possagno si nutrì, alla ricerca di una crescita culturale di cui sentiva forte l’esigenza e nell’individuazione di un processo creativo che per lui - una vita interamente dedicata all’arte - diverrà modus operandi. I Quaderni di viaggio 1779-1780 e il Diario romano, testimonianze rare nella storia dell’arte conservate nella Biblioteca Civica di Bassano insieme a migliaia di altri documenti canoviani, danno conto del Grand Tour intrapreso da Canova attraverso la Penisola - visitando Ferrara, Bologna, Firenze, Roma e spingendosi fino a Napoli - così come della permanenza nella città dei Papi. Un’esperienza sorprendente che lo portò alla decisione di trasferirsi a Roma, invitato da Girolamo Zulian ambasciatore della Repubblica di Venezia nell’Urbe. Il giovanile autoritratto in arrivo dalle Gallerie degli Ufzi ci mostra l’artista - sguardo vivido e bocca socchiusa - mentre è intento a dipingere. Il Busto dell’Ammiraglio Angelo Emo da collezione privata (1795) e i due imponenti gessi del Damosseno e Creugante, dalle Accademie di Belle Arti di Carrara e Ravenna, ci ricordano alcune delle sue maggiori realizzazioni in quel tempo, anni in cui Canova ebbe l’opportunità di approfondire la sua tecnica frequentando l’Accademia Capitolina e seguendo le lezioni presso l’atelier di Pompeo Batoni. A evocare due dei prinicipali protettori del giovane Canova tra Venezia e Roma sono due opere di eccezionale valore: la Stele funeraria di Giovanni Falier, proveniente dalla Chiesa di Santo Stefano a Venezia - affiancata per la prima volta al monocromo in cui l’artista studia la composizione - e lo spettacolare e imponente “Ritratto del Senatore Abbondio Rezzonico” di Pompeo Batoni eccezionalmente in prestito da Palazzo Barberini. A Roma Canova ebbe il suo primo fatidico incontro con la scultura antica. La città fu per lui una rivelazione, un vero e proprio museo a cielo aperto cui attingere per sviluppare e stimolare la sua inesauribile creatività. In Vaticano ammirò le celebri opere del Laocoonte, dell’Apollo e del Torso del Belvedere e maturò una particolare ossessione per i Colossi di Montecavallo collocati nella piazza del Quirinale e rappresentanti Castore e Polluce (rievocati in mostra da gessi ottocenteschi di bottega romana) da lui ritenuti espressione di un canone geometrico perfetto. Dai numerosi disegni di Canova qui esposti, testimonianze preziose custodite nel Museo di Bassano, si può comprendere la sua complessa pratica artistica, la genesi delle sue opere: lo scultore non copia gli antichi  come era invece prassi comune all’epoca ma li studia, li fa propri, creando un repertorio di immagini che si rivela prima fondamentale ispirazione per l’ideazione delle sue opere. L’atelier di Antonio Canova in via delle Colonnette a Roma, nei pressi del mausoleo di Augusto, divenne ben presto un luogo di incontro per tanti artisti, intellettuali, collezionisti e una tappa da non perdere per i numerosi viaggiatori che si recavano nella città eterna durante il Grand Tour. Entrare nello studio di Canova - che Stendhal defnì “un luogo unico sulla terra” - significava immergersi nel suo universo. L’atelier era suddiviso in uno spazio pubblico e uno privato.  Un allestimento suggestivo, che mette in dialogo sculture di Canova e dipinti che lo ritraggono al lavoro, ne evocherà gli ambienti e il funzionamento. Tra questi, la tela di Pompeo Calvi - che ci mostra lo scultore intento a verificare un grande bozzetto in terracotta per il monumento di Maria Cristina d’Austria - e il ritratto di Canova di Angelica Kaufmann che lo immortala con il modello per il celebre gruppo di Ercole e Lica. Nello spazio più privato dell’Atelier, Canova destinò uno spazio anche alla sua preziosa biblioteca e alla collezione di opere d’arte. Lo scultore era anche un fne conoscitore e nel corso degli anni arrivò a costituire un’eterogenea raccolta di grande valore artistico, comprendente dipinti che spaziavano dal Quattro al Settecento. L’esposizione riunisce, per la prima volta, una selezione delle opere a lui appartenute: Gerolamo Bassano, Moretto da Brescia - di cui viene presentato lo splendido Ritratto di ecclesiastico acquistato da Canova poco prima del 1810 con l’attribuzione a Giovan Battista Moroni  e, ancora, Valentin Lefèvre e Giambattista Piranesi. In particolare Canova era un grande ammiratore di Giambattista Tiepolo di cui possedeva numerosi disegni, dipinti e incisioni, come stanno a documentare in mostra lo smagliante bozzetto per il perduto soffitto della chiesa degli Scalzi di Venezia, Il trasporto della Santa Casa di Loreto, appartenuto alla collezione dell’artista e ora conservato alle Gallerie dell’Accademia, e il volume, raro e unico esemplare in un museo italiano, dell’edizione delle incisioni dei Tiepolo curata da Giandomenico figlio di Giambattisa: un volume prezioso entrato nella collezione di Canova nel 1810 per legato testamentario del principe Abbondio Rezzonico, che aveva nominato lo scultore suo erede di “tutti li Libri di belle Arti”. I grandi gessi della Maddalena penitente - accostata al suo modellato in terracotta - e della Venere Italica, così come la carrellata di teste e busti in gesso e marmo, ovvero nei vari stadi di lavorazione, evocheranno lo spazio di lavoro. In infatti le “teste singole” tratte da sculture celebri costellavano l’intero studio romano dell’artista a mostrare - a possibili acquirenti e committenti - la sua vasta e fortunata produzione e le capacità tecniche e d’inventiva
 
Canova e L’Europa
 La straordinaria ascesa artistica portò Canova ad ottenere, nel corso della sua lunga carriera, prestigiose commissioni dai più importanti esponenti dell’Europa dell’epoca. Sovrani, aristocratici e mecenati del vecchio continente, tutti ambivano a possedere una scultura del più grande artista vivente, le cui opere diventarono ben presto un vero e proprio status symbol sociale. Tra i suoi più fedeli ammiratori vi erano gli inglesi, per i quali l’artista realizzò numerosi capolavori come Venere e Marte, commissionato dal Re di Inghilterra Giorgio IV (imponente il gesso proveniente dalla Gipsoteca di Possagno) e le figure giacenti della Maddalena e dell’Endimione per Lord Liverpool e per il Duca di Devonshire. Uomo dai vasti interessi culturali e committente dei principali artisti del tempo - quali Reynolds, Gainsborough e Canova - Giorgio IV è ricordato grazie al dipinto di Tomas Lawrence proveniente dalla Cobbe Collection di Hatchlands Park, da annoverare tra i capolavori della Wallace collection, che lo ritrae in una dimensione informale, mettendo in luce l’eleganza e la raffinatezza per cui era celebre il sovrano. Nonostante il successo internazionale e a dispetto delle umili origini e di una disparità culturale che seppe colmare con uno studio indefesso dei classici e delle lingue - come mostra un raro e curioso documento quale Il Quaderno di esercizi di inglese - Canova riuscì sempre a mantenere salda la sua libertà intellettuale e a sostenere con coraggio le sue idee, senza indulgere in atteggiamenti servili. Anche le sue opere erano “libere”: al pari di quelle antiche, vivevano autonomamente nello spazio, che a sua volta si adattava per accoglierle. Canova era molto esigente circa le modalità di esposizione delle sue sculture, e spesso era lui stesso a dare prescrizioni ai committenti. E’ il caso dell’Endimione - in mostra il grande gesso proveniente dall’Accademia di Ravenna - per il quale aveva suggerito un’illuminazione zenitale notturna, in riferimento alla vicenda mitica del giovane, riproposta nell’allestimento espositivo. In questo contesto, assolutamente straordinaria è la presenza in mostra a Bassano del marmo della Maddalena giacente, ultima grande opera del maestro di Possagno, assurta agli onori della cronaca mondiale nei mesi scorsi quando è riapparsa dopo quasi due secoli di oblio, durante i quali se ne erano perse le tracce, e acquistata dagli attuali proprietari come semplice statua da giardino ad un prezzo irrisorio. La scultura, commissionata a Canova dall’illustre Robert Jenkinson, II conte di Liverpool e primo ministro inglese, ultimata nel 1822 anno della morte dell’artista, viene esposta al pubblico a Bassano del Grappa per la prima volta dopo oltre 170 anni. Altro committente inglese d’eccezione, ricordato nel percorso con un ritratto di Lawrence, fu il ricco banchiere Alexander Baring. Uomo politico e attento collezionista, Baring, barone Ashburton e amico fra gli altri del Primo Ministro francese Talleyrand, raccolse una ragguardevole collezione d’arte, in cui si annoveravano ben cinque marmi di Canova. Tra questi a Bassano possiamo ammirare la bellezza melanconica di Lucrezia d’Este, testa in marmo proveniente dalla Daniel Katz Gallery di Londra e il commovente marmo che ritrae il San Giovannino (1821 - 1822), conservato ora in una collezione parigina. È nell’ambito dell’Europa continentale e dell’Impero Asburgico che Canova – ritratto in questa sezione in alcuni importanti dipinti come quello di FrancoisXavier Fabre proveniente da Montpellier - vide la sua affermazione internazionale. Giunto a Vienna nel 1798, ricevette dal duca Alberto di Sassonia la commissione di un monumento che commemorasse la moglie appena scomparsa. Il Monumento funerario di Maria Cristina d’Austria - ricordato attraverso studi autograf provenienti dall’Albertina di Vienna, una Testa della Beneficenza in gesso e il Ritratto dell’arciduchessa che giunge dal Kunsthistorisches di Vienna - decretò definitivamente la fama europea di Canova: con questo capolavoro lo scultore cancellò per sempre gli schemi allegorici e celebrativi tipici dell’antico regime e aprì la strada alla nuova sensibilità meditativa del XIX secolo. Il grande apprezzamento per quest’opera gli procurò nuove commissioni, come il ritratto di Francesco I d’Austria di cui è esposto il busto in gesso accostato all’imponente Ritratto dell’Imperatore di Giuseppe Tominz, e soprattutto la scultura de La principessa Leopoldina Esterházy Liechtenstein (1805 – 1818). Il monumentale marmo che giunge a Bassano del Grappa dalla Collezione storica del Palazzo Esterházy ad Eisenstadt ritrae la principessa austriaca seduta in una posa di ispirazione classica. L’opera destò lo stupore di tutta Vienna e della stessa nobildonna che, pittrice dilettante (in mostra anche una sua gouache su carta donata a Canova e giunta al Museo di Bassano), si sentì lusingata nel vedere il suo nome legato per sempre a quello del grande artista di Possagno. La fama dello scultore attraversò l’intero continente, dalla Russia (in mostra l’Amorino alato del Museo Correr che Pietro Vettor Pisani aveva voluto, in gesso, uguale alla scultura realizzata per il principe Jusupov) fino alla Polonia e alla Spagna, dove la marchesa di Santa Cruz gli commissionò un monumento funerario rimasto incompiuto in memoria della giovane figlia, la contessa de Haro morta prematuramente. Per quest’opera Canova ideò lo studio preparatorio esposto in mostra, monumentale tela dipinta con la tecnica del monocromo, con la quale lo scultore verificava la composizione prima di trasporla in bassorilievo. Le radici della notorietà internazionale di Canova risalgono comunque ai primi anni del suo trasferimento a Roma. Agli inizi degli anni Ottanta, Giovanni Volpato - incisore bassanese che vediamo in un ritratto di Antonibon e che la mostra omaggia con la Stele realizzata per lui da Canova nel 1806 prestata dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna - procurò allo scultore compatriota la commissione per la realizzazione del Monumento funerario a Clemente XIV per la chiesa dei SS. Apostoli, mentre il senatore Abbondio Rezzonico gli afdò la commemorazione dello zio con il Monumento funerario a Clemente XIII. Lo straordinario capolavoro per la Basilica di San Pietro viene evocato in mostra da una serie di studi e bozzetti: lo studio per il Monumento papale in prestito dal Museo Correr , il Busto di Clemente XIII dai Musei Civici di Verona già di collezione Rezzonico, e, soprattutto, il bozzetto in terra cruda della Religione di proprietà dell’Accademia Tadini di Lovere. Afancati a questi, anche la meravigliosa testa del Genio funebre e alcuni studi per i leoni appartenenti alle collezioni di Bassano Le committenze di Pio VI (ritratto da Pompeo Batoni in un olio dal Museo di Roma e orante nel busto del Canova) e del successore Pio VII (efgiato nel capolavoro in marmo che giunge dai Musei Capitolini), così come l’elezione ad accademico di San Luca - ricordata grazie ai ritratti dei colleghi accademici Mengs, Jenkins, Kaufman, ecc. - e la nomina a Ispettore generale delle Antichità e Belle Arti di Roma coronarono definitivamente la gloria italiana di Canova e aprirono la strada a quella europea. Di lì a qualche mese, si sarebbe recato a Parigi per ritrarre il primo console della Francia e futuro Imperatore, Napoleone Bonaparte.
Canova nella  Storia 
Quello con Napoleone Bonaparte fu uno degli incontri più determinanti nella vita di Canova e segnò in maniera decisiva l’esistenza dello scultore, sia come uomo che come artista. I due si incontrarono per la prima volta nel 1802 a Parigi, dove Canova era stato invitato per realizzare un ritratto dell’allora Primo Console della Repubblica francese. L’artista ripartì dalla capitale con un busto in gesso di Napoleone da cui sarebbero state ricavate varie versioni che avrebbero costituto una delle immagini più difuse del sovrano e, in seguito, studiò un ritratto idealizzato di Napoleone come Marte pacificatore. Il legame con il futuro Imperatore immortalato nel bellissimo dipinto François Gérard proveniente dal Musée National du Château de Fontainebleau, procurò a Canova numerose commissioni da parte del suo entourage. Una delle principali estimatrici fu l’imperatrice Joséphine de Beauharnais prima moglie di Napoleone - anche lei ricordata in un dipinto di Gérard - che arrivò a stringere con Canova un legame di profonda amicizia. La sua prestigiosa collezione a La Malmaison arrivò a includere anche Ebe, Amore e Psiche stanti e il gruppo delle Grazie qui ricordati attraverso gli studi dell’artista: il gesso di Amore e Psiche stanti di Collezione privata, i bellissimi dipinti a monocromo con le “Grazie e gli amorini che danzano” e il capolavoro in terracotta del primo modello per il celebre gruppo delle “Grazie” del Museo di Bassano. Nello stesso anno in cui Joséphine commissionava Le Grazie, Foscolo - ammaliato dalla Venere Italica di cui Bassano del Grappa conserva due importanti gessi - cominciò a ideare la composizione del suo poema Le Grazie, inni a Canova (in mostra il volume d’epoca). Per esigenze politiche e propagandistiche, Canova dovette dedicarsi anche a ritrarre numerosi esponenti della famiglia imperiale francese, utilizzando un linguaggio allegorico che ne idealizzasse e nobilitasse i tratti: in particolare diverse figure femminili legate a Napoleone come le sorelle Paolina (bella la testa in marmo dal Museo Napolonico) ed Elisa (ritratta da Benoist nel dipinto proveniente da Palazzo Mansi a Lucca), la cognata Alexandrine de Bleschamp e la madre Letizia Ramolino - la “Madame Mère” - atteggiata nella posa di Agrippina nel grande gesso che giunge eccezionalmente da Carrara. Il 1815 fu un anno cruciale per la storia europea e per Canova. Il “nuovo Fidia” si recò a Londra accolto con onori mai tributati ad alcun artista, per giudicare i tanto acclamati marmi del Partenone, da poco giunti in Inghilterra ad opera di Lord Elgin, come ricordano a questo punto del percorso gli Appunti del Viaggio in Inghilterra e alcune metope ottocentesche dei fregi del Partenone dall’Accademia di Bologna. Nelle settimane precedenti, a Parigi, aveva svolto la missione che avrebbe indelebilmente segnato la sua fama, recuperando su incarico di Pio VII molte delle opere d’arte italiane sottratte dai francesi durante le campagne napoleoniche. A testimoniare infine il felice esito della missione diplomatica affidatagli dal Pontefice, sono riuniti in mostra alcuni dei capolavori riportati in Italia dallo scultore: il calco d’epoca del Laocoonte dai Musei Vaticani, il celeberrimo dipinto de La Fortuna di Guido Reni dall’Accademia Nazionale di San Luca, l’Assunzione della Vergine e la famosa La Carraccina di Agostino Carracci - prestigiosi prestiti della Pinacoteca Civica di Cento e della Pinacoteca Nazionale di Bologna - e la Deposizione di Cristo di Paolo Veronese dal Museo di Castelvecchio.
 
Museo Civico di Bassano del Grappa la mostra
Io, Canova. Genio Europeo
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 19.00
Martedì Chiuso