Giovanni Cardone Marzo 2023
Fino al 4 Giugno 2023 si potrà ammirare alla GAM- Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea  di Torino una mostra dedicata ad Alberto Moravia - ‘Alberto Moravia. Non so perché non ho fatto il pittore’ a cura di Elena Loewenthal e Luca Beatrice. L’ esposizione e il progetto “Nato per narrare. Riscoprire Alberto Moravia” che la Fondazione Circolo dei lettori ha ideato e realizzato con la GAM e il Museo Nazionale del Cinema in collaborazione con l’Associazione Fondo Alberto Moravia, Bompiani editore e le Gallerie d’Italia. La figura di Moravia, grande protagonista della vita artistica e intellettuale per larga parte del Novecento, si presta a una varietà di suggestioni che sono al cuore di una rassegna di ampio respiro: pittura, cinema, fotografia e naturalmente letteratura. Tra i molti campi di interesse che oltrepassano la letteratura, quello delle arti visive rappresenta ben più di una passione per Alberto Moravia. I primi scritti d’arte datano 1934 per arrivare al 1990, anno della sua morte. Pubblica su riviste e giornali, tra cui la torinese Gazzetta del Popolo e il Corriere della Sera, e redige testi in catalogo e prefazioni per diversi artisti. Questo interesse gli deriva in parte dall’educazione familiare. Il padre era appassionato di pittura, la sorella Adriana Pincherle, formatasi insieme a Mafai e Scipione, sarà artista di una certa levatura nell’ambiente romano. Fin dagli anni ’30, ma in particolare nel dopoguerra, artisti, scrittori, intellettuali, frequentano lo stesso ambiente e gli stessi luoghi, gli scambi sono all’ordine del giorno. In diversi romanzi l’arte compare tra le maglie delle vicende e in alcuni personaggi, come il pittore fallito Dino e il suo alter ego Balestrieri, modesto e datato, ne La Noia (1960). La mostra nello spazio Wunderkammer si propone come un’ideale collezione degli artisti che lo scrittore stimava e ai quali ha dedicato la propria penna e presenta circa trenta opere provenienti dalla Casa Museo Alberto Moravia di Roma oltre che da raccolte private e da un cospicuo nucleo di dipinti e disegni conservati alla GAM. Ne emerge un interessante ritratto dell’arte italiana attraverso la letteratura, non sempre in linea con le tendenze dominanti o le mode. Le opere scelte per l’esposizione sono infatti affiancate da frammenti di testi tratti perlopiù dal volume di Alberto Moravia Non so perché non ho fatto il pittore a cura di Alessandra Grandelis, Milano, Bompiani, 2017 da cui la mostra prende il titolo e che evocano il rapporto di stima e molto spesso di amicizia con gli autori delle opere presentate. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Alberto Moravia apro il mio saggio dicendo : Nel Novecento, secolo multiforme, contradittorio e pieno di contaminazioni, la narrativa breve assume un prestigio e un’importanza significativa. Ciò è dimostrato dal fatto che moltissimi scrittori e fra i più illustri della letteratura italiana si siano confrontati con questo genere letterario: da Pirandello a Calvino, da Svevo a Gadda. Prosatori di successo, ma non solo; anche celebri poeti come Saba e Montale1 si sono avvicinati durante la loro attività letteraria al racconto. Nel Novecento novella, racconto, short story diventano generi privilegiati di narrazione e si inaugura una nuova attenzione nei confronti della narrativa breve. Il racconto rappresenta uno dei generi letterari più produttivi del Novecento in Italia. Un genere che ha solidi basi nella tradizione letteraria e narrativa del nostro Paese. È evidente, infatti, che la nostra letteratura, sin dalle origini, abbia una vera e propria vocazione per la misura breve. Un’opera come il Decameron di Giovanni Boccaccio, pubblicata tra il 1350 e il 1353 e costituita da cento novelle all’interno di una cornice narrativa, è uno dei pilastri del genere letterario e capostipite della letteratura in volgare italiano. Dalle origini della letteratura in volgare all’età contemporanea la narrazione breve ha avuto, però, fortuna alterna.
Dopo Boccaccio la novella ha una notevole valenza letteraria tra Quattrocento e Cinquecento con autori come Matteo Bandello e successivamente, dopo diversi secoli, riacquista un evidente valore nella seconda metà dell’Ottocento. Un percorso narrativo che lungo tutta la storia della letteratura italiana ha le sue vette più alte nel già citato Decameron e nell’imponente progetto letterario de le Novelle per un anno di Pirandello. Dal Trecento al Novecento le diverse forme di narrazione breve vanno spesso di pari passo con il romanzo e le produzioni narrative di più largo respiro. Un rapporto  quello con il romanzo, necessario per capire le caratteristiche e la struttura del racconto moderno. Nonostante una tradizione letteraria così importante ed una produzione notevole e di spessore è evidente, però, come al racconto e alla short story in generale non venga data la giusta considerazione e il giusto peso letterario. Quando si parla di generi letterari molto spesso si tende a 'trascurare' o addirittura a non considerare il racconto all’interno della diverse forme narrative della prosa. Troppe volte il racconto viene, infatti, considerato un genere minore e subordinato al romanzo, nonostante le produzioni di narrativa breve abbiano una propria autonomia letteraria e di valore assoluto. La critica e il mondo dell’editoria, in Italia e non solo, ha visto molto spesso nel racconto solo una forma di preparazione al romanzo, una sorta di allenamento di scrittura, sminuendo il valore letterario di questa forma narrativa. Uno scarso interesse anche da parte degli studi di teoria letteraria che soltanto nella seconda parte del Novecento è tornato vivo insieme ad altri significativi contributi da parte della critica. La difficoltà nel codificare e classificare il racconto è dovuta però anche alle sue stesse evidenti particolarità: il racconto è un genere per certi versi radicale, estremo, dalle molteplici sfaccettature, che comprende forme che si potrebbero definire intermedie come il romanzo breve o racconto lungo. Della difficoltà di teorizzazione delle forme brevi di narrazione era consapevole anche un importantissimo studioso quale il filologo tedesco Erich Auerbach che, però, ha analizzato con chiarezza le struttura e le caratteristiche della novella, definendone le particolarità. La contrapposizione e allo stesso tempo il legame tra racconto e romanzo è stata analizzata, inoltre, da critici come Boris Ejchenbaum e György Lukács, che riconoscono un’alternanza dei due generi nella serie storica di lunga durata. Proprio i formalisti russi hanno sviluppato dei significativi studi teorici sulla novella e il racconto. Ejchenbaum definisce le differenze tra romanzo e racconto, ed evidenzia l’importa dell’esito finale nella novella, nel suo saggio Teoria della prosa. Il racconto breve è fornito di un’autonomia, di strategie testuali che mettono in campo l’uso di elementi coesivi; un effetto centrale attorno a cui si combinano episodi e verso cui devono tendere tutti i particolari e un finale che deve dar vita a uno scioglimento inatteso. La narrazione breve metta in luce un fatto, un evento e si concentra su di un aspetto della vita e non sulla sua totalità, sul frammentario e molteplice del reale, dando risalto al punto di vista dell’io e del soggetto. Il racconto per sua stessa forma ha uno sguardo parziale, circoscritto ma allo stesso tempo nitido e preciso sul mondo e sulla realtà. E questo ancor di più nel racconto moderno del Novecento in cui la narrativa breve «promuove la violenza degli scorci a sovrasignificazione allegorica o simbolica, puntando sulla discontinuità e sul suo spessore intensivo» . Una delle caratteristiche facilmente riconoscibili del racconto e della novella sta appunto nella sua brevitas. Il racconto è in un certo senso costretto dalla propria misura a tradurre il finale in un verdetto, che sarà tanto più efficace quanto più l’allusività coinciderà con una sentenza chiara e definitiva; il romanzo dall’altra parte invece sfrutta le sue ampie arcate per argomentare anche la chiusa, che si arricchisce via via di nuovi passaggio narrativi. Abbiamo visto quindi come sia necessario e significativo rapportare il racconto alle forme più ampie di narrazione come il romanzo. In Italia tra le diverse teorie e prospettive di analisi vi è quella dello stesso Moravia, sviluppata in Racconto e romanzo, uni dei tanti saggi presenti nell’opera L’uomo come fine. La differenza principale e fondamentale per Moravia tra racconto e prosa di più ampio respiro sta nella struttura che sorregge la narrazione e nell’ideologia che nel romanzo «è precisa, precostituita, riducibile a tesi; così come nel corpo umano lo scheletro non è stato introdotto a forza ad un’età adulta, ma è cresciuto insieme con tutte le altre parti della persona. Quest’ideologia fa sì che il romanzo non sia un racconto: e per converso la mancanza di ossa fa sì che il racconto non sia romanzo». Continuando nella propria tesi lo scrittore romano enuncia in più punti i caratteri del racconto e della sua estrema particolarità. Sul rapporto tra racconto e romanzo sviluppa un’idea ben precisa anche Guido Guglielmi che nel suo saggio Le forme del racconto afferma come sia mutato il rapporto tra racconto e romanzo nel Novecento rispetto a prima. L’analisi di Guglielmi è molto chiara e a differenza di altre tesi che vedono il racconto come genere subordinato al romanzo, ribalta questa visione ed evidenzia, inoltre, la centralità del racconto nel Novecento, secolo che abbiamo preso in analisi in questo primo capitolo. Per lo studioso «la massima ambizione dell’Ottocento era stata quella di passare dal racconto al romanzo o, per così dire, dal dettaglio al tutto. Nel Novecento è invece il racconto ad agire sul romanzo» . Guglielmi spiega quindi come il racconto breve sia già in tutto il Novecento una delle forme più importanti, e che le sue strutture narrative ispirino e influenzino gli altri generi, romanzo compreso. Il Novecento è il secolo in cui il genere letterario del racconto assume delle caratteristiche evidenti e precise e si distacca sempre più dalla tradizione novellistica precedente. Nonostante scrittori come Pirandello mantengano la dicitura “novella” per i loro scritti, il termine stesso ‘novella’ viene via via surclassata da “racconto”. Lo spiega bene Romano Luperini che analizzando il racconto moderno nel Novecento afferma che «dagli anni Trenta il termine “racconto” s’impone su quello di “novella” - “Gadda stesso, che pure ancora nel 1953 aveva impiegato il termine “novella” in Novelle del Ducato in fiamme (ma qui “novelle” vale anche come “notizie”), dieci anni dopo le raccoglie con le altre sotto il titolo I racconti. Accoppiamenti giudiziosi»  . La seconda metà dell’Ottocento segna l’ascesa definitiva della forma breve del narrare. Ciò è stato possibile grazie al proliferare, di riviste letterarie e quotidiani che davano ampio spazio ai racconti. D’altro canto maestri del racconto come il russo Anton ?echov erano tra quegli scrittori che venivano invitati a raccontare su quotidiani e riviste storie brevi che offrissero uno spaccato della società e del costume del tempo coinvolgendo i lettori in narrazioni di rapida e facile fruibilità. La brevitas richiesta dai rigidi confini editoriali dei giornali “obbligò” lo scrittore russo a costruire le sue storie intorno ad un singolo fatto e a sviluppare la narrazione privilegiando la sintesi e la compattezza. Anche in Italia ebbero una grande importanza le riviste letterarie, basti pensare alla collaborazione di Verga con riviste come la “Rivista italiana” dell’editore Treves o come “Il Fanfulla della Domenica”. E nei primi decenni del nuovo secolo lo spazio dedicato al racconto da parte di riviste come “Solaria” e “900”. La seconda parte dell’Ottocento rappresenta quindi il punto di partenza anche per la nostra analisi del racconto novecentesco italiano. Giovanni Verga, lo scrittore siciliano che con le sue raccolte di novelle veriste, ha influenzato molti narratori del primo Novecento. La prima novella dell’autore catanese dal titolo Nedda, pubblicata nel 1874, segna per molti critici il passaggio alla poetica verista. Ancor di più la narrativa verista è evidente nelle otto novelle della raccolta Vita dei campi. Lo scrittore arriva a questo risultato dopo anni determinanti per la sua formazione; infatti, il contatto con il gruppo milanese degli Scapigliati (Boito, Dossi), la lettura dei grandi maestri del naturalismo francese (da Balzac a Zola) e il crescente interesse di quegli anni per la cosiddetta “questione meridionale” era molto forte. La novità nelle novelle e nella narrativa di Verga sta nella scelta di assumere la prospettiva culturale e linguistica dei protagonisti dei racconti, dei contadini, pastori, minatori delle campagne siciliane. La voce narrante non è più quella dell’autore, ma quella degli stessi personaggi popolari. La storia condiziona le loro vite, ma rimane sullo sfondo. La «vita dei campi» è per Verga un mondo chiuso ad ogni forma di riscatto e condizionato unicamente dalla lotta per l’esistenza. Altra opera decisiva e importante per Verga e l’evoluzione della novella è la raccolta Novelle rusticane. Nell’opera sono presenti le novelle più celebri di Verga e della storia della letteratura italiana come Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana, tratta da un episodio, poi espunto, della prima stesura dei Malavoglia. La raccolta mostra evidenti cambiamenti a livelli contenutistici e stilistici e manifesto dell’opera si potrebbe vedere nel racconto La roba. I tratti del verismo di Verga sono poi ancor più accentuati nelle ultime novelle scritte dall’autore catanese: «se in Rosso Malpelo, La Lupa o Cavalleria rusticana, prevalgono gli strumenti retorici del naturalismo, quali il taglio oggettivante di caratteri e situazioni e il rilievo drammatico dell’epilogo, nelle ultime raccolte di novelle ? Vagabondaggio, Don Candeloro e C. ?, lo scrittore affida all’indiretto libero e ad un dialogo sempre meno impersonale un diverso rapporto tra finzione e realtà». Verga, come detto, ha influenzato diversi autori di racconti del Novecento, fra questi sicuramente Federigo Tozzi e Luigi Pirandello. Pirandello, tra i più grandi scrittori italiani, scrisse novelle, costantemente, per tutta la vita. La massa notevole di testi scritti dall’autore sono state raccolti in Novelle per un anno, pubblicato in quindici volumi tra il 1922 (prima edizione) e il 1937, anno successivo alla morte dell’autore. Nel 1922 lo scrittore siciliano decise quindi di riorganizzare tutta la sua produzione novellistica all’interno di un unico progetto letterario ed editoriale che presenta tantissimi racconti celebri nella nostra letteratura: da La giara a Ciàula scopre la luna, da La patente a Pensaci, Giacomino! L’ordine non tematico e se vogliamo casuale delle novelle, le tematiche e i contenuti all’interno dei racconti di Pirandello rappresentano molti degli aspetti della poetica stessa dell’autore: «la globalità delle novelle è lo specchio del tutto un implacabile e inesorabile frammentarsi. Pirandello ha costruito l’intera opera proprio per dare l’idea della varietà caotica della vita» . La misura del suo eccezionale ingegno Pirandello l’ha data proprio nelle novelle, di diverso argomento e numerosissime, uscite prima in singole raccolte e poi riunite in un unico progetto editoriale. Il rapporto vitaarte, la morte, la follia, il grottesco del quotidiano: dietro la struttura debole che raccoglie la produzione novellistica di più d’un quarantennio esistono degli snodi concettuali, delle indicazioni, affinché non ci si perda nel labirinto delle varie vicende. Pirandello intendeva attribuire carattere di atemporalità al suo messaggio letterario e suggerirne una fruizione sincronica, convinto del radicamento ontologico della condizione umana di cui i personaggi sono immutabili «specchi». Molto particolari e se vogliamo diverse dalle precedenti sono le novelle dell’ultimo periodo dell’attività di Pirandello, che rappresentano la fase surrealista, metafisica e fantastica. Novelle per un anno è sicuramente, insieme ai racconti di Tozzi e Verga, uno dei risultati più alti della narrativa italiana dopo l’Unità d’Italia. E insieme al Decameron di Boccaccio, a cui per certi versi si ispira, è indubbiamente uno dei capolavori della novellistica italiana di tutti i tempi. In Pirandello la narrazione breve si rapporta, inoltre, più al teatro che al romanzo poiché molto spesso le novelle rappresentano delle bozze per le opere teatrali. Se analizzate invece al cospetto dei romanzi vediamo come soprattutto le novelle d’esordio si distinguono volutamente dai romanzi coevi. Le ragioni sono formali. Pirandello teorizza le forme della narrazione breve e individua le fondamentali differenze fra i due generi: «il romanzo sviluppa la trama in tutti i suoi particolari, analiticamente, per gradi evolutivi; la novella, invece, la affronta sinteticamente, nei suoi momenti culminanti e più determinanti. In entrambi i casi, però, è negata ai fatti qualsiasi azione determinante sul carattere e sulle reazioni dei personaggi». Un’analisi dei miti teatrali e delle novelle surreali mostra, inoltre, la tendenza dell’autore a battere, alternativamente, due strade: «quella dell’allegoria politica, fondata sulla contrapposizione natura/civiltà e sulla denuncia dei meccanismi della mascheratura sociale, e quella dell’allegoria». Il racconto, all’interno della poetica pirandelliana è soprattutto la manifestazione della pluralità di anime presenti nell’io individuale, «più anime diverse e perfino opposte, più e opposte personalità» . In Novelle per un anno vi è un vero e proprio denudamento delle falsi immagini dell’individuo e della realtà sociale, il denudamento delle illusioni e delle maschere, concetto che esprime al massimo la sua idea di relativismo. Nel mondo narrativo di Pirandello si sviluppa «un gioco tra “astrazione” e “realismo”, ovvero una consistenza di opposti e contrari, che risponde per un verso alla poetica umoristica pirandelliana, e per l’altro accenna alla caratteristica della novellistica tozziana medesima» . Un altro autore che scriverà racconti fino alla sua morte è proprio Federigo Tozzi. Nelle novelle di Tozzi si manifesta una rara forza espressiva, nonché una virtù innovativa sia nella trattazione dei temi e dei personaggi, che nella strutturazione formale del narrare. Insieme al romanzo d’esordio Con gli occhi chiusi i racconti di Tozzi rappresentano, infatti, il capolavoro della sua opera letteraria. La prima raccolta di Tozzi, pubblicata dopo la sua morte nel 1920, si intitola Giovani e contiene ventuno racconti. Il titolo dell’opera vuole indicare non tanto una stagione dell’esistenza umana coincidente con l’adolescenza, quanto una disposizione psicologica o, come si dice in un racconto, una sorta di malattia. I personaggi dei racconti sono quasi sempre «grotteschi, mostruosi e deformi come la realtà che vivono. Vittime e aguzzini sullo sfondo di un paesaggio inquietante. In lui si trovavano riuniti un ingegno narrativo vigoroso ed incisivo, una assoluta serietà d’impegno, il bisogno di dare una forma d’arte alle sue dolenti visioni della vita». In Tozzi, nel più breve racconto, nei romanzi, tutto discende da predestinata obbligatorietà, dal destino, un nucleo d’energia al quale è impossibile sottrarsi. Anche la struttura dei suoi racconti presenta diverse peculiarità e una grande modernità: «se la conclusione “aperta” è meno perentoria per i romanzi (potendosene parlare solo per Con gli occhi chiusi e per Ricordi di un (giovane) impiegato), essa invece è assai più pertinente per le novelle della raccolta di Giovani» . Un autore capace di uscire dalla luce del naturalismo e scendere nelle ombre del fantastico. Un grandissimo narratore, «primo nel panorama italiano delle lettere, che abbia visto quanto scabra e cruda sia la superficie dell’esistenza e quanto in essa l’uomo sia indifeso» . Tozzi ebbe infatti una notevole influenza sui narratori successivi, da Bilenchi a Pratolini. «Degli scrittori italiani del suo tempo Italo Svevo è il più nuovo, il più lontano dalla tradizione o dall’anti-tradizione dell’Ottocento e del primo Novecento, assieme a Luigi Pirandello l’apporto più originale dato dall’Italia alla letteratura europea» . Viene descritto in questo modo Italo Svevo nella propria raccolta antologica intitolata Racconti e novelle del Novecento, Giacomo Antonini. Si sa forse poco dello Svevo scrittore di racconti, ma sin dai primi anni di attività Italo Svevo scrisse, oltre ai romanzi, varie novelle e commedie. Sin dal proprio esordio letterario, quando pubblica la novella Una lotta, e fino alla conclusione della propria carriera Svevo si cimenta nella scrittura di testi narrativi brevi, che rappresentano dunque una tipologia narrativa cui costantemente l’autore si rivolge per la propria ricerca letteraria, e quindi assumono un ruolo rappresentativo rispetto all’intera evoluzione della poetica sveviana e ciò indipendentemente dal fatto che taluni di questi testi siano incompiuti. Svevo avrebbe anche voluto raccogliere i propri racconti in una raccolta. Nel 1928, licenziata la seconda edizione di Senilità e spinto da un analogo desiderio di dare voce a quelle parti della propria opera rimaste nell’ombra, Svevo è impegnato infatti nell’allestimento di una raccolta, nella quale avrebbero dovuto figurare Una burla riuscita, Vino generoso e La novella del buon vecchio e della bella fanciulla. Questi racconti dell’ultima parte della sua attività probabilmente sono quelli più interessanti, in cui lo scrittore dà sfoggio delle sue grandi doti di narratore. I toni qui si spostano più sull’ironia e i temi sono quelli della vecchiaia e del desiderio che non muore. Il più intenso di questi racconti è probabilmente La novella del buon vecchio e della bella fanciulla e le tematiche di questo e degli ultimi racconti sono affini a quella dell’ultimo romanzo di Svevo rimasto incompiuto, che avrebbe dovuto intitolarsi Il vegliardo o Il vecchione. Le novelle di questi anni infatti danno vita ad una specifica fase della riflessione letteraria sveviana, autonoma e distinta, nonostante gli indubbi punti di contatto, sia dal precedente che dal successivo romanzo. La modernità e l’innovazione dell’autore, che sono tangibili nel capolavoro La coscienza di Zeno, sono ben presenti anche in questi racconti dove «Svevo bisogna dirlo, non ha mai narrato ciò che è o accade, ma ha sempre narrato il suo proprio essere nel mezzo di ciò che accade. In questo egli è già nel secolo nuovo, egli già partecipa di quella “rivoluzione copernicana” di cui si nutre la narrativa, e l’arte del Novecento» . Anche nel periodo surrealista, attraversato anche da Pirandello, ci sono diversi scrittori che si confrontano con il racconto. Fra questi sicuramente spiccano Savinio e Delfini. Una delle opere principali di Alberto Savinio è Casa “La Vita”, pubblicato nel 1943 e che mostra già nel sottotitolo il gusto, tipicamente saviniano, per la commistione dei generi e la sua forte particolarità narrativa: sono sedici racconti preceduti da un autoritratto dell'autore, da una prefazione e una dedica: accompagnati da 8 disegni dell'autore e 9 "occhi"; arricchiti da una postilla e una variante». L'arte letteraria di Savinio tende ad abbassare il tragico e la serietà, a riabilitare l'umoristico, per arrivare al gioco, all'ironia. L’ironia è nell’opera di Savinio la prima ispiratrice, un’ironia che non si ferma alla caricatura semplice ma investe e ferisce sentimenti e persone di ottusa sensibilità. Un lirismo di natura delicata e profonda dà ai personaggi dei suoi racconti scampati al corrosivo giudizio un’apparenza quasi mitica».  Del resto, gioco e humour sono assi portanti dell'universo surrealista (e Dada), con cui Savinio, anche per la sua attività di artista figurativo, aveva avuto rapporti diretti. Nei racconti di Casa “la Vita”, il linguaggio di Savinio, che in alcune opere precedenti risultava onnivoro e centrifugo, senza punti fermi, si fa più freddo e controllato e il suo umorismo diventa più sottile. Uno dei temi e delle linfe costanti di questi racconti, fin dai ricordi solari dell'infanzia ellenica, è la morte, segno originario della nascita e del nulla. Un surrealismo di sapore particolare simile a quello dei suoi quadri si incontra nei racconti di Achille Innamorato e in quelli della già citata Casa “La Vita” e nella successiva Tutta la Vita, pubblicato nel 1945. Bisogna però considerare che quello di Savinio non è mai un gioco letterario gratuito. Un impegno morale ed un’arte raffinata sorreggono, infatti, i suoi scritti. Altri autori che risentono di quel clima culturale e i cui racconti rappresentano degli ottimi esempi di fantastico novecentesco sono la scrittrice Anna Maria Ortese e Tommaso Landolfi i cui racconti sono a metà tra fantasia, surrealismo e sperimentalismo letterario. Nell’Ortese il fantastico fa capolino nella realtà angusta e tetra della Napoli degli anni ’50 nella raccolta di racconti Il mare non bagna Napoli e che rappresenta probabilmente il suo picco narrativo più alto. L’interesse per il mistero, il fantastico e il magico per Landolfi si rivela invece già nella raccolta di racconti d’esordio Dialogo dei massimi sistemi e prosegue nel primo romanzo, La pietra lunare, pubblicato nel ’39, dove si narra la vita di un piccolo centro di provincia nel quale si diffonde l’inquietante presenza della stregoneria. Tra il fantastico e il grottesco si sviluppano le successive trame narrative dell’autore: novella gotica Racconto d’autunno (1947), il romanzo fantascientifico Cancroregina (1950) e i Racconti impossibili del 1966. Landolfi nei suoi racconti ama addentrarsi nella dimensione del fantastico, però in modo molto personale e spesso ribaltandone i termini. Landolfi è un narratore dotato di una forte creatività e riesce a sorprendere il lettore nelle poche righe di un racconto, a suscitare quell’esitazione che è tipico della letteratura fantastica. Contemporaneo di questi autori è anche il milanese Dino Buzzati. Nei suoi racconti emerge la componente surreale e magica e soprattutto quella del fantastico. Il fantastico ed il soprannaturale inquietante di Dino Buzzati «riposano sempre su situazioni e personaggi della realtà quotidiana, sovente di vita milanese, e sono ottenuti mediante una leggera deformazione di fatti e circostanze quasi banali». I racconti di Buzzati, di cui una delle raccolte più interessanti è Sessanta racconti, pubblicata nel 1958, si sviluppano spesso come delle favole che «più spoglie esse sono di simbolismo e allegorismo, e più vicine a un vago sognare del tutto privo di specioso riferimento, meglio ci giungono intrise di realtà»  . In Buzzati è inoltre molto forte il tema della morte, che rappresenta «il veicolo privilegiato del fantastico, in quanto distacca l’attenzione dalle cose della vita, cioè dalla realtà esterna, dalla percezione, e la costringe a riflettere su se stessa, su ciò che non si vede, e che non è regolato da leggi naturali o sociali. Da ciò deriva l’irreale, che è ciò che si trova nel profondo della zona sconosciuta della mente, da cui nascono le figurazioni, i fantasmi, e anche i timori o i desideri, i terrori o le colpe». Milanese come Buzzati, anche Carlo Emilio Gadda, scrittore molto originale e particolare, si confronta con il racconto. Gadda è infatti un grandissimo autore di racconti, uno dei più grandi del Novecento e della nostra storia letteraria. I racconti dell’autore sono più volte, come vedremo in Moravia, legati al romanzo. I testi confluiti nelle raccolte di racconti sono spesso, infatti, frammenti di più vaste opere non realizzate, o anche frammenti ricavati dalla Cognizione del dolore, celebre romanzo dell’autore milanese. I racconti gaddiani hanno una struttura narrativa rivoluzionaria e molto personale.
Viene rifiutata la trama, la fabula è sospesa e abolita. Questo lo differenzia molto da altri grandi scrittore di racconti come Pirandello e Tozzi. La vera narrazione sembra quella del linguaggio, della ricerca espressiva e della scommessa filosofica. In opere quali La Madonna dei Filosofi (1931), Il castello di Udine (1934), Le meraviglie d’Italia (1939) la vocazione di Gadda al racconto si mescola e garantisce coesione agli altri modi letterari convocati entro un medesimo perimetro di composizione: dal lirico, al cronachistico, al saggistico, mantenendo sempre la forte attitudine alla descrizione. Le Novelle dal Ducato in fiamme, nel 1953, valorizzano ancora più apertamente la narrazione breve, offrendo una prima sistemazione collettiva e organica a racconti che non intrattengono tra loro relazioni di affinità genetica, come invece tanti «disegni» dell’Adalgisa. Dieci anni dopo, le Novelle dal Ducato in fiamme diventeranno gli Accoppiamenti giudiziosi, arricchite di nuovi acquisti testuali e riordinate secondo una successione approssimativamente cronologica. Oltre alle due raccolte maggiori di racconti gaddiani, appunto L’Adalgisa e gli Accoppiamenti giudiziosi, si delinea poi un insieme di racconti incompiuti che attesta ulteriormente quanto sia ricca la narrativa breve dell’autore e quale pluralità di modelli compositivi egli persegua entro la misura contenuta del raccontare. Sempre per quanto riguarda il rapporto con il romanzo c’è anche da dire che la Cognizione del dolore appare nel 1963, cioè nello stesso anno di pubblicazione dei racconti Accoppiamenti giudiziosi, che proprio della Cognizione ospitano due importanti ‘tratti’, riproposti come narrazioni a sé stanti. Del resto, come s’è visto, negli stessi Accoppiamenti giudiziosi si ritrovano, con denominazione di racconti, capitoli o brani espressamente desunti da altri progetti romanzeschi di Gadda: sia dalla Meccanica, sia dal Racconto italiano di ignoto del novecento. Un altro autore che non rinuncia alla composizione di brevi racconti è Pavese. I cui racconti, editi in vita o postumi, restano fra le sue pagine più alte. Il sentimento d’una umanità delusa, ansiosa, che cerca nel contatto umano, nell’amore, nell’erotismo che esplode, un valore, una certezza, è narrato sempre con acutezza, con misura. La misura perfetta della narrativa pavesiana è il romanzo breve o il racconto lungo ma non mancano tentativi ed esperimenti che variano dalle poche righe a lunghi abbozzi di romanzi. Il tentativo della nuova forma espressiva dei racconti si conclude intorno al 1940 e viene ripreso nella nuova dimensione mitico-simbolica di Feria d’agosto. Appare così nel 1937 Notte di festa, che dà il titolo al volume nel quale sono raggruppati i dieci racconti composti tra il ’36 e il ’38 e che può essere considerato come un precedente del romanzo Paesi tuoi. Al centro dell’interesse di Pavese nei racconti c’è il dialogo, nel quale l’autore ricerca la salvezza dell’oggettività. Le brevi narrazioni sono fortemente evocative, ricche di molti temi ricorrenti nella narrativa di Pavese. La misura del racconto è congeniale anche ad un altro scrittore torinese, Primo Levi, come confermano del resto anche i suoi due primi libri, Se questo è un uomo (1947-1958) e La tregua (1963) che, a ben vedere, risultano composti da microracconti, da tessere organizzate in una struttura a mosaico. Allo stesso modo un autore poliedrico come Italio Calvino non poteva non confrontarsi con il racconto. Calvino scrive dei racconti di stampo realistico negli anni ’50, ad esempio l’interessante racconto lungo, La giornata di uno scrutatore. Se si esclude Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo d’esordio del 1947, la misura più congeniale per Calvino sembra essere quella breve del racconto, sperimentato ed esplorato dall’autore in tutte le sue possibilità: dal racconto autonomo, secondo il modello tradizionale, al racconto lungo (o romanzo breve), dal racconto-saggio al microtesto o al frammento inserito in un macrotesto complesso, spesso a cornice. Del resto non si deve dimenticare che Calvino ha esordito con racconti pubblicati su riviste; e che ha più volte dichiarato di essere «sempre stato piú un autore di racconti che un romanziere». Le novelle, o i racconti, vengono organizzati in raccolte complessamente strutturate; i testi si concatenano negli anni in vere costellazioni, con riprese e messe a punto successive. Il racconto tende al romanzo, il testo breve acquista la complessità della narrazione di ampio respiro, in una tipologia che si restringe sostanzialmente a due possibilità (pur con qualche interferenza), entrambe tradizionali, almeno nell’origine: la raccolta (Marcovaldo; i racconti «cosmicomici»; Palomar; Sotto il sole giaguaro) e la struttura a cornice de Il castello dei destini incrociati, de Le città invisibili, del metaracconto in Se una notte d’inverno un viaggiatore. Nella letteratura contemporanea per quanto riguarda la narrazione breve e il genere racconto spicca senza dubbio la figura di Antonio Tabucchi. Lo scrittore toscano è un raffinato scrittore di racconti e le raccolte Il gioco del rovescio (1981) e Piccoli equivoci senza importanza (1985) rappresentano i punti più alti della sua opera narrativa. Il racconto in Tabucchi ha una struttura molto particolare, aperta, circolare e che esprime attraverso il dubbio e il non detto «la fine dell’epoca dei grandi racconti (a vantaggio di strutture aperte o moltiplicate, e la trasformazione della soggettività in un’epoca quale l’attuale che vive la filosofia come racconto e il racconto come metafora e trascrizione di un pensiero debole affidato all’epoché, al frazionamento, all’opacità della traccia» . L’autore stesso ha espresso in interviste e in saggi le caratteristiche del racconto e della misura breve, che si potrebbe dire la misura prediletta dallo scrittore visto che anche romanzi come Notturno indiano e Requiem sono più dei racconti lunghi che dei romanzi veri e propri. In conclusione è evidente come il dibattito teorico e critico intorno alla novella e al racconto abbia evidenziato quanto sia difficile approdare ad una definizione stabile di un genere cangiante e in continua trasformazione. E ci si accorge quindi che il punto di forza di tale forma letteraria risiede proprio nel suo statuto proteiforme e mutevole, e in una sperimentazione che, nel tempo, ha rimesso in discussione ordini e confini precostituiti. Nell’analisi della produzione narrativa di prosa breve del Novecento si può intuire, però, la vistosa diffusione di un genere che non teme la rivalità del romanzo, anzi sembra competere con la forma lunga del narrare per via del sostegno offerto dalla stampa periodica e soprattutto dal consenso dei lettori. Al ruolo significativo, se non preponderante, che il racconto ha avuto all’interno della tradizione letteraria, nazionale e non solo, è corrisposta infatti una posizione privilegiata anche nella didattica scolastica e universitaria. L’educazione alla lettura del racconto si mostra anche come il presupposto di qualsiasi passione per la scrittura narrativa, che d’altra parte trova spesso le sue prime espressioni in antologie o raccolte, blog letterari o riviste, proprio nella forma breve. Il racconto moderno è «il genere dell’incompiutezza della vita, è anche perché sa meglio di tutti che ancora meno compiuta, e salvata dal suo restare indietro rispetto al proliferare delle cose, è la letteratura». Una chiave di lettura dei processi narrativi del Novecento italiano. Alberto Moravia nacque a Roma nel 1907 sotto il nome Alberto Pincherle in una famiglia benestante di media borghesia. Suo padre fu architetto e pittore di origine veneziana. Alberto ebbe due sorelle. Il cognome Moravia, lo prese dalla nonna paterna. Il padre parlava il dialetto veneziano, era molto affezionato a Venezia, la sua città nativa. Stesso Moravia definisce la propria infanzia con le parole successive: "un bambino della borghesia, che gioca con le sorelle, va a letto presto, parla francese con la governante" . La famiglia della madre fu di origine marchigiana proveniente da Ancona. La madre fu di fede cattolica, il padre invece fu ebreo. In casa si sentiva la religione cattolica della madre, cattolici furono anche i figli. Il padre non fu credente. Il matrimonio dei genitori di Alberto non fu del tutto felice. Ambedue i genitori avevano una visione del mondo diversa. Il padre aveva le sue abitudini e fuggiva dalla società, la madre invece avrebbe voluto una vita più elegante, con molta gente intorno. La questione della fede non era l'unica differenza tra le famiglie Pincherle e De Marsanich. Anche il parere sulla politica dei membri delle due famiglie era opposto. Mentre il fratello della madre, lo zio De Marsanich era un deputato fascista, i figli della sorella del padre Amelia Rosselli, cugini di Alberto furono assassinati perchè antifascisti. Nel 1929 Carlo Rosselli, il cugino di Alberto, fa nascere in Italia il movimento antifascista Giustizia e libertà. Nello stesso anno, nel 1929, uscì il primo romanzo di Moravia, Gli indifferenti. Nel 1937 i fratelli Rosselli, Nello e Carlo, vennero assassinati in Francia. Durante la lunga vita di Moravia si sono verificati molti avvenimenti storici importanti nel mondo e in Italia, dei quali ha potuto essere testimone. Quando scoppiò la prima querra mondiale, nel 1914, naque il fratello di Alberto, Gastone. Quando l'Italia dichiarò guerra alla Germania, Moravia si ammalò di tuberculosi ossea. Riassumo almeno alcuni avvenimenti storici vissuti da Moravia: la disperazione e la delusione del primo dopoguerra, il periodo della dittatura di Mussolini contro il quale sentì forte antipatia e ripugnanza, la seconda guerra mondiale, sulla propria pelle vissuta la guerra civile e molti altri. La vita di Alberto Moravia non fu semplice, specialmente per quello che riguarda il suo stato di salute. A otto anni Alberto ebbe la polmonite da cui guarì ma poco dopo cominciò ad avere dei dolori all'anca. Si ammalò di tuberculosi ossea a soli nove anni. Da allora non poteva più andare a scuola, era costretto a stare a letto e rimaneva a studiare a casa. L'unico svago di Alberto era la lettura. Leggeva molto. Dal 1920 Moravia frequentava il ginnasio Tasso, ma non regolarmente a causa della malattia. Dal 1922 lasciò gli studi dopo un' attaco più forte della malattia. A quindici anni, quando stava quasi per morire, la sua lettura preferita erano Dostoevskij e Rimbaud. Secondo Ji?í Pelán questa violenta separazione dal mondo ha potuto causare in Moravia l'impressione di solitudine, di sentirsi emarginato e anormale, che ha poi influenzato Alberto nella sua scrittura successiva. Nel 1924, a sedici anni compiuti da poco andò al sanatorio al Codivilla. Subito dopo Codivilla cominciò a scrivere il romanzo di cui ci interessiamo nella nostra tesi, Gli indifferenti. Negli Indifferenti l'autore conferma anche l'influenza di Dostoevskij. Il libro stesso viene presentato più dettagliatamente in uno dei capitoli successivi. Alberto Moravia rivela in un dialogo con Alain Alkann il desiderio della madre: "Mia madre voleva che diventassi diplomatico, perché le pareva una professione prestigiosa. In fondo volevo diventare al più presto scrittore." Moravia non si accontentò di un solo libro, dagli anni trenta si dedicò alla scrittura intensa. Alcune delle sue opere presentiamo nel terzo capitolo della tesi, ma soltanto in maniera breve. Nell’evidenziare una cosa fondamentale che la sua vita coniugale, fu basata sul rapporto con tre donne che fecero parte della sua vita, ovvero la prima moglie di Moravia fu Elsa Morante con la quale la sua vita fu collegata nell'arco del tempo che va dal 1936 al 1962; nel 1941 si sposarono. Dopo un viaggio in India con Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini nel 1962 Moravia si separa dalla Morante e va a vivere con la giovane scrittrice Dacia Maraini, con la quale rimane fino al 1978 . Nel 1986, a settantanove anni Moravia sposa la spagnola Carmen Llera .Tra gli altri avvenimenti importanti della vita di Moravia non possiamo scordare i numerosi viaggi che compì come corrispondente di vari giornali negli Stati Uniti, in Messico, in Grecia, in India, in Cina, nell'Unione Sovietica e soprattutto in Africa. Dopo la seconda guerra mondiale lavorò come giornalista, sceneggiatore e critico cinematografico. La carriera letteraria di Alberto Moravia iniziò nel 1927, quando pubblicò il racconto Cortigiana stanca. Nel 1929 iniziò la collaborazione alla rivista "900" di Corrado Alvaro . Moravia collaborò ai vari giornali e alle riviste: Prospettive, La Stampa di Torino e Gazzeta del Popolo. Dal 1930 collaborò con La Stampa con vari articoli di viaggio (Londra, Parigi). Dal 1935 collaborò con la Gazzetta del Popolo. Il periodo tra il 1935 e il 1936 passò negli Stati Uniti, soprattutto a New York alla Columbia University, poi in Messico. Dopo aver conosciuto la Morante, nel 1936, andò in Cina. Seguì il viaggio in Grecia, etc. Nei suoi brani giornalistici si occupò soprattutto della cultura del regime. Dal 1940 usava il pseudonimo Pseudo a causa della persecuzione degli ebrei in Italia. Dopo la fuggita di Moravia nel 1943 riprese il lavoro nei giornali Il Mondo, L'Europeo e Corriere della sera. Sul Corriere della sera collaborò dagli anni Cinquanta fino alla morte. Nel 1953 fondò insieme ad Alberto Carocci la rivista Nuovi argomenti. Con la Maraini ed Enzo Siciliano formò nel 1966 del Porcospino, la compagnia teatrale sperimentale. Dopo la fine della compagnia riprese la sua creazione letteraria, ricominciò a pubblicare dei romanzi, racconti e saggi. In considerazione del fatto che Moravia pubblicò con una certa regolarità per più di sei decenni, libro dopo libro, la sua eredità letteraria è di una quantità di libri incredibile. Quando parliamo del numero enorme delle sue opere, si tratta circa di diciotto romanzi, diciotto raccolte di racconti, sette opere teatrali, quattro libri di viaggi e alcune selezioni saggistiche. Le seguenti parole di Giulio Ferroni descrivono bene quello che Alberto Moravia rappresentava a suo tempo: "Quella di Moravia è stata una presenza costante nella cultura e nella vita intellettuale di questo secolo: egli è uno degli scrittori che più hanno agito su un vasto pubblico, specie tra anni Cinquanta e Sessanta, una immagine corrente della problematica culturale contemporanea, un vero e proprio modello di comportamento intelletuale." Sulle pagine successive del presente capitolo presentiamo alcune opere di Moravia, anche se non verranno studiate con l'attenzione che prestiamo agli Indifferenti, primo romanzo di Moravia pubblicato nel 1929. Perciò preferiamo non fermarci almeno per ora sugli Indifferenti. Non possiamo fare a meno di notare le altre opere perchè anche esse sono molto importanti nella carriera letteraria di Moravia. Il secondo romanzo di Moravia del 1935 si chiama Le ambizioni sbagliate. La scrittura del romanzo durò cinque anni e lo rifece almeno sette volte. Come se Moravia volesse raggiungere il livello di Dostoevskij. Il romanzo è pieno di citazioni tratte da Dostoevskij. I protagonisti sono Andreina, la prostituta, e Pietro Monatti, il giornalista. Pietro cerca di proteggere Andreina davanti a se stessa. Il romanzo satirico del 1940, scritto come una critica del fascismo si chiama La mascherata. Il protagonista del romanzo, dittatore sudamericano, Tereso Ardengo viene paragonato a Mussolini. Dopo il romanzo Moravia era censurato e continuava a scrivere nei giornali solo sotto il pseudonimo di Pseudo. La Morante, la sposò a Capri nel 1941, vi iniziò la scrittura del romanzo Agostino, in cui descrive l'adolescenza di un ragazzo. Il romanzo La disubbidienza scritto nel 1938, ma pubblicato dieci anni dopo, è situato nel mondo borghese. L'amore coniugale scritto nel 1941 e pubblicato nel 1948, parla d'un rapporto coniugale tra Silvio, un'intellettuale, e Leda, sua moglie. Il libro La Romana (1947) appartiene sicuramente alle sue opere più famose e magari anche meglio riuscite. Moravia influenzato dal neorealismo, raccontò la storia di una ragazza sedicenne, di nome Adriana, che a causa della miseria diventa una prostituta. I temi principali sono l'indifferenza e la noia. Nel 1951 uscì Il Conformista. Tre anni dopo Il disprezzo, dove Moravia parla dell'allontanamento di una coppia, Riccardo Molteni e sua moglie. Il tema del romanzo fu ispirato dai problemi esistenti tra Moravia e Elsa Morante, sua moglie. Un altro romanzo da non dimenticare è La Ciociara del 1957. Anche nella Ciociara vi è presente un'esperienza personale, il ricordo dei nove mesi trascorsi in montagna insieme a Elsa Morante durante l'occupazione tedesca di Roma nel 1943. Le prime pagine sono state scritte già nel 1946, ancora prima della Romana, ma tutto il romanzo è stato finito dieci anni dopo. La storia è situata nel periodo tra il 1943 e il 1944 in Italia, il periodo della fine del regime fascista. La protagonista, e nello stesso tempo anche la narratrice, è Cesira, una giovane vedova vivente a Roma con sua figlia Rosetta. Il romanzo è pieno di scene violente; critica la guerra, che distrugge la vita, rompe i valori personali della gente. Moravia nel romanzo usa i tratti caratteristici del neorealismo . Dopo aver scritto Gli indifferenti e Agostino, La Ciociara rappresenta il terzo colmo nell'opera di Moravia. L'ultima fase della sua arte letteraria inizia con La noia del 1960. Moravia ritorna ai temi del passato trattati già negli Indifferenti, L'amore coniugale e nel Disprezzo. Il protagonista è un pittore, Dino, che non riesce a sedurre la modella Cecilia. Dino si accontenta almento del ruolo di voyeur e con la possibilità di spiarla. Il tema del voyeurismo viene usato spesso nei romanzi più tardi di Moravia. Per concludere la veduta generale all'opera letteraria di Moravia ci limitiamo all'elencazione di altre sue opere e su poche righe chiudiamo il capitolo. L'automa (1963), Una cosa è una cosa (1967), Il paradiso (1970), Boh (1976), La vita interiore (1978), L'uomo che guarda (1985), Io e lui. (1971). Non possiamo scordare di nominare anche i suoi scritti di viaggi: Un'idea dell'India (1962), La rivoluzione culturale in Cina (1968), A quale tribù appartieni? (1972), Lettere dal Sahara (1981) e Passeggiate africane (1987). I drammi: Beatrice Cenci (1955), Il mondo è quello che è (1966), Il dio Kurt (1968), La vita è gioco (1969) e La cintura (1984). Tra l'altro scrisse anche vari saggi: Un mese in URSS (1958), Al cinema (1965) e molti altri. Come ho già detto precedentemente Moravia si ammalò presto di una forma della tuberculosi ossea che lo costrinse a stare a letto per alcuni anni. Moravia stesso racconta in un libro: "già quando avevo nove anni nei miei quaderni c'era già lo schema degli Indifferenti". Nel 1922, quando aveva compiuto gli studi irregolari, leggeva molti libri di scrittori famosi come per esempio Dostoevskij, Rimbaud, Goldoni, Proust, Kafka, Freud, etc. e gli autori del teatro classico come Shakespeare o Molière.
Dopo un ricovero nel sanatorio Codivilla a Cortina D'Ampezzo Moravia partì per Bressanone dove nell'ottobre del 1925 iniziò a scrivere Gli indifferenti. Moravia ricorda il momento in cui decise di scrivere Gli indifferenti: Una mattina, a letto ho iniziato Gli indifferenti con la frase esatta con cui restò: "Entrò Carla." Non sapevo ancora che cosa avrei scritto. Quella frase stava ad indicare la mia ambizione di scrivere un dramma travestito da romanzo. Cioè fondere la tecnica teatrale con la narrativa, un po' come faceva Dostoevskij con il quale allora mi identificavo. Hanno detto poi che era un romanzo di critica della società borghese. Può darsi ma io non ne ero consapevole. Avevo ambizioni puramente letterarie. E per il resto mi servivo del materiale che avevo sottomano. Cioè l'esperienza generica della vita di famiglia che non sapevo di detestare fino a quel punto. Le parole di Moravia possono spiegarci perchè ha scelto di situare il romanzo in una famiglia borghese. Semplicemente perchè conosceva tale ambiente dall'esperienza personale. Ci spiega anche la sua tecnica narrativa dove usa delle tre unità teatrali, l'unità del tempo, luogo e azione. La storia del romanzo si svolge in uno spazio di tempo molto stretto, inizia la sera verso l'ora della cena e finisce la sera di due giorni dopo. Anche la questione dello spazio dove si svolge la storia è semplice. Possiamo dire che la maggioranza delle scene si svolge nel salotto della villa della famaglia Ardengo. Ed il tema dell'intero romanzo, l'indifferenza, il tema della nostra tesi è analizzato più dettagliatamente nei capitoli successivi. La trama è creata dagli scontri tra i cinque protagonisti del romanzo. Moravia rivela in un libro di dialoghi che ha imparato a scrivere con Gli indifferenti. Per la prima volta per lui le cose sono diventate parole e viceversa. Il romanzo è stato riscritto tre o quattro volte. Il manoscritto degli Indifferenti non aveva la punteggiatura, la punteggiatura è stata aggiunta dopo che la scrittura del romanzo era finita, perciò risulta irregolare. La società di allora è descritta da Moravia come una società ambiziosa, ignorante, legata ai pregiudizi della borghesia. Era la piccola borghesia di un paese. Moravia crede che la malinconia e il furore siano presenti nella scrittura degli Indifferenti. Spiega anche il suo rapporto con Dostoevskij e l´influenza dai surrealisti . La scrittura del libro è durata due anni e mezzo. Quando Moravia ha visto che non aveva più niente da dire e soprattutto che la scrittura non poteva più essere migliorata e modificata, egli ha deciso di porre fine al romanzo. Il romanzo è diviso in sedici capitoli. Tutto si svolge in circa quarantotto ore. Nel romanzo riconosciamo cinque protagonisti. Subito nel primo capitolo ce ne vengono presentati quattro. Come abbiamo già detto prima, il romanzo comincia con la frase "Entrò Carla." Siamo all'ora della cena in un salotto di una villa. Sulle prime pagine siamo testimoni di una conversazione tra Carla, giovane ragazza, e Leo Merumeci, amante della madre di Carla. Carla parla della noia dei suoi giorni e Leo la persuade a stare con lui. Nel romanzo ci sono cinque protagonisti. Mariagrazia, una giovane vedova che ha due figli, Carla e Michele. L'amante di Mariagrazia, Leo Merumeci, un commerciante benestante di media età. Infine Lisa, un'amica di Mariagrazia e l'ex-amante di Leo, che ci viene presentata nel terzo capitolo. La famiglia di Mariagrazia si trova in una situazione finanziaria difficile. La famiglia è in rovina ma nessuno dei suoi membri si occupa di tale situazione. La villa, la dovrebbero cedere a Leo in pagamento dell'ipoteca. L'unico a parlare del problema è Michele. La madre conta sul proprio fascino e il buon rapporto con Leo. Ma Leo ha un'altra passione in testa, quella di trovarsi un'amante più giovane; egli vuole possedere sia la casa dell'amante sia la figlia Carla. Il suo rapporto verso Carla è stato finora paterno. Ma la scintilla del desiderio amoroso arde anche dentro Lisa verso Michele. Il giorno dopo si festeggia il compleanno di Carla che compie i ventiquattro anni. Leo le fa bere del vino perché si disinibisca. Ma tutto va a finire con un fallimento perché quando finalmente arriva il momento in cui Leo potrebbe ottenere quello che vuole, cioè Carla, lei, ubriaca, vomita. Leo deve aspettare fino alla notte. Carla si incontra con Leo e lo accompagna a casa di lui. La ragione del comportamento di Carla non è un innamoramento o un desiderio amoroso ma il desiderio di cambiare la vita. Di distruggere la propria vita e se stessa a tal punto da poter e dover iniziare dallo zero. Invece Michele cerca una via d'uscita nel rapporto con Lisa.
Si rende conto di non essere capace di vivere come gli altri. Gli manca il sentimento, la passione, sente di essere privo d'affetto. L'unica cosa che prova è l'indifferenza. Non riesce né ad amare Lisa né ad odiare Leo. L'unica persona che non nota l'atmosfera descitta, che è ignorante verso gli avvenimenti, è Mariagrazia. Lei è affascinata da se stessa e crede che il mondo giri intorno a lei. Il giorno successivo, Lisa, a casa sua, rivela a Michele l'esistenza del rapporto tra Leo e Carla. Michele si accorge che non prova nessun sentimento, finge di odiare Leo e di amare propria madre. La situazione culmina quando Michele decide di dimostrare i sentimenti sinceri, quali sono amore e odio, va a casa di Leo e tenta di ucciderlo. Compra una pistola, entra in casa di Leo e quando spara non esce il fuoco perché non aveva caricato la pistola. Leo per risolvere la situazione chiede a Carla di sposarlo. Carla si riserva del tempo per decidere, torna a casa con Michele, ma non vede un'altra via d'uscita che sposare Leo. Il romanzo si chiude la sera, la madre, pronta ad uscire per un ballo mascherato, aspetta Carla. Mariagrazia non ha nessun sospetto, non ha notato niente di quello che accade intorno a lei, non vede l'ora di rivedere il suo amante, Leo. Carla decide di rivelare a tutti la notizia del matrimonio con Leo. Per delineare alcuni temi, per esempio l'indifferenza, bisogna riguardare la sua prima opera, Gli indifferenti, che contiene quasi tutta la dimensione dei motivi che sono all'origine delle opere successive. Un motivo nuovo nella letteratura italiana con il quale si presentò il giovane Moravia già nel 1929 fu l'analisi e la configurazione acre dell'ambiente borghese, visto nella sua crisi. L'indifferenza che rappresenta l'inerzia morale, l'incapacità di vivere, la superficialità, quella stessa con cui la società borghese si pone di fronte ai problemi della vita, ai valori più profondi e reali dell'uomo. Cesare Segre rivela l'opinione che nella composizione degli Indifferenti l'autore abbia individuato una zona bassa dell'esistenza, tutta fondata sul rapporto dell'uomo con la realtà. Il rifiuto della soluzione comune, tradizionale, della scelta di una vita normale e invece l'immersione nella diversità, nell'indifferenza. Non esiste nessuna fuga, si tratta della vita nella sua condizione finita, instabile, con un'accettazione delle condizioni concrete e limitate dall'esistenza umana. Segre spiega che ogni atto, ogni gesto compiuto ha un suo significato oscuro. Dice che per Moravia non esiste l'uomo in astratto ma esiste una personalità, una solitudine dell'esistenza che si scontra con un'altra solitudine immersa nella banalità quotidiana o identificabile mediante una sua particolare diversità . L'indifferenza si potrebbe definire come un atteggiamento spirituale, una grandissima aspirazione sempre destinata al fallimento, a fare della propria vita una passione, oppure una tendenza ad abbandonarsi ad un ordine esterno di fatti quotidiani, minuti, senza mai tentare di realizzare il proprio destino. Per Moravia l'uomo è un individuo che ha coscienza della sua condizione, ma che in tale riconoscersi non afferra più il senso della propria esistenza. Ogni volta che un eroe moraviano prova un simile sentimento nasce l'idea della sfasatura, d'incapacità all'azione che è stata indicata con il termine d' indifferenza. L'indifferenza non è intesa come l'impassibilità, la freddezza oppure l'inerzia, ma come la coscienza di una aritmicità, rispetto al ritmo d'una vita naturale. Si tratta dell'incerta coscienza di sé che l'uomo soffre di fronte ai diversi aspetti della realtà. Come se esistesse una tendenza a registrare un nuovo atteggiamento morale. Non possiamo dimenticare anche il ruolo e il valore dell'epoca: "L'Europa all'inizio del secolo ha visto lentamente degradati i suoi principi di etica retta sulla razionalità, ha visto svuotati i suoi miti, quando è piombata nella disillusione e nella perplessità in cui due guerre l'hanno costretta, sovvertendo ogni mito e illusione in pura e tragica disfatta" . L'uomo perdeva la fiducia in una vita razionale, organizzata. Il mondo appariva come un insieme di individui svuotati, isolati, disperati e indifferenti. L'aspetto più tragico della crisi era la miseria spirituale e la solitudine. In alcuni romanzi Moravia tenta di rispecchiare la realtà del mondo in decomposizione. Il motivo di base delle successive creazioni quindi esiste in un nucleo negli Indifferenti. La figura di Michele, uno dei personaggi degli Indifferenti, è toccata dalla malattia detta l'indifferenza. Alla figura di Michele dedichiamo uno dei prossimi capitoli. Michele fa parte di una trasformazione, è il segno della consapevolezza di una società che perde contatto con la realtà di allora, di una crisi storica che perde i vecchi valori ma non ha i nuovi con cui sostituire quelli vecchi. I protagonisti dei romanzi, seppure sono di origine dissimile, nei tempi diversi e di caratteristica diversa, rappresentano in prevalenza tipi che si scontrano con un'angoscia e con una debolezza, con una fragilità morale . Di solito il problema riguarda i personaggi intelletuali, quelli che esprimono il punto di vista del narratore e ne assumono lo sguardo. Secondo Guido Guglielmi, "Se dovessimo definire l'atteggiamento di Moravia verso il suo personaggio, diremmo che è un atteggiamento di estraneità. Non c'è nessuna cordialità tra narratore e personaggio." Non è che il narratore si stacchi dalla manifestazione degli affetti, alla maniera dei naturalisti, ma è il personaggio che sembra essere privo di affetti e ciò raffigura una espressività negativa del mondo. Quel rifiuto di se stesso crea l'indifferenza che è presente in tutta l'opera di Moravia, anche se nelle opere più tarde si trasformerà nella noia. Un altro tema da notare è il tema della noia che Moravia affronta dagli anni Sessanta del Novecento. Il personaggio è turbato dal suo disadattamento alla realtà. La consapevolezza del fatto non può creare che uno stato infelice. Tanto è più infelice quanto più forte è la consapevolezza dell'uomo. Moravia vorrebbe notare la condizione falsa, inautentica dell'uomo che si scontra con il suo stato d'animo con il quale non riesce ad identificarsi. Si tratta di uno scontro tra la natura e la società che per esempio nella Noia (1960) si trasforma nella antinomia tra la natura e la storia. Per Moravia l'alienazione crea la crisi del rapporto con la realtà e tale crisi vede come si rispecchia nel mondo moderno. Il terzo tema da non dimenticare è il tema del sesso nell'opera di Alberto Moravia. La predominanza del tema del sesso nei suoi racconti è più che evidente rispetto agli altri problemi. Moravia con la sua visione realistica passa dalle allusioni, dalla mezza luce in cui si poneva l'atto d'amore alla luce piena, al crudo e naturale sapore del corpo e dell'atto e dei gesti che partecipano al rito amoroso.41 Il sesso nella storia non ha un ruolo di collegare una situazione all'altra o di dare un passaggio per l'avanzamento della storia ma piuttosto aiuta a evocare, caratterizzare la storia e l'atmosfera del racconto, magari pone anche l'accento ai legami tra i personaggi. Per esempio, Carla negli Indifferenti, quando si scontra con il mondo della società della madre e di Leo, dà il proprio corpo in paga per essere salvata dalla propria solitudine. Da uno stato innocente, vago e irreale si trasforma in una forma della realtà le cui leggi non sono più quelle di un tempo, il sesso diventa una parte indispensabile della umanità, della personalità umana. Infatti quando Leo possiede Carla come se possedesse una cosa, passa poi ad altri atti comuni come mangiare, vestirsi, prendere un'altra donna. Carla consapevole di essere posseduta accetta tale comportamento perché lo trova necessario per poter passare ad una vita più vera, reale, la vita da Carla desiderata. La realtà non si possiede con il denaro, né con la rinuncia alla propria situazione e condizione. Siamo in mezzo ad una crisi, è solo l'illusione falsa dei personaggi che attraverso un tale comportamento, attraverso il rapporto sessuale, potrebbero riuscire a conquistare il mondo reale. Tutto il problema ha le radici nell'indifferenza e nella noia delle persone, nella loro diversità. Altri temi preferiti da Moravia sono l'incapacità dell'uomo di trovare il senso dell'esistenza, vivere la vita normale, stabilire un sincero e autentico rapporto amoroso. L'impartecipazione e la crudeltà sono altri due tratti caratteristici della narrativa moraviana. Il tema del sesso appare come motivo dominante dell'opera di Moravia. Il scrittore non si distacca dai temi morali, sociali e politici, quelli più cercati e richiesti nella letteratura moderna. "Il periodo romano, iniziato nel 1947, si conclude nel 1957 con La ciociara. Ma La ciociara a detta di Moravia era già in gestazione al tempo de La romana, anzi appena poco prima, nel 1946. Venne interrotto dopo ottanta pagine e ripreso quasi dieci anni dopo, fino alla stesura definitiva in cui apparve nel 1957. L'interruzione sta a significare che l'esperienza di cui Moravia voleva render conto ne La ciociara ( esperienza del suo rifugio a Fondi in casa Mosillo, con Elsa Morante, durante i nove mesi dell'occupazione tedesca di Roma dal settembre 1943 al giugno 1944 ) era troppo a ridosso dei fatti patiti e vissuti per essere resa con quel distacco necessario al giudizio sugli avvenimenti, ebisognosa dunque di una salutare decantazione." Come spiega Giancarlo Pandini, le figure di Cesira e di Rosetta sono costruite su un processo che parte dall'esperienza della guerra e dal pericolo della morte, il tutto attraverso il sacrificio personale e la violenza subita, fino ad arrivare alla brutalità del mondo travagliato dall'irrazionalità di un apocalitico sconvolgimento. Il romanzo La ciociara narra la storia di Cesira, una contadina proveniente dalla Ciociaria, al termine della Seconda guerra mondiale quando l'Italia è ancora occupata dai tedeschi i quali cercano di fermare l'avanzata degli Alleati. La protagonista è una giovane donna, semplice, molto furba però e determinata e vista la sua situazione economica assai preoccupante decide di trasferirsi a Roma per migliorare e cambiare la propria vita. Qui si sposa e mette al mondo la sua unica figlia, Rosetta. Successivamente il marito muore, la situazione a Roma peggiora, i bombardamenti aerei sono sempre più frequenti e Cesira prende la drastica decisione di lasciare la città ed il suo negozio e si dirige assieme alla figlia verso i suoi luoghi natali della Ciociaria perché ritiene che in campagna riuscirà a procurare gli alimenti primari per la figlia ed ad evitare il diretto contatto con la guerra. Durante il loro viaggio sono molte le persone che conoscono, ma il personaggio che risalta maggiormente è Michele, un giovane gentile, colto ed istruito che si differenzia tantissimo dalle altre persone della sua comunità. Nonostante si credesse che in campagna e tra i monti la guerra non si sarebbe fatta sentire, un gruppo di soldati sorprende tutti e portano con sé il giovane Michele affinché faccia loro da guida per i sentieri montani. Tutti rimangono straziati dall'accaduto e nel frattempo si diffonde la notizia sulla liberazione di Roma. Di conseguenza Cesira, decide di ritornare in città visto che la situazione è migliorata e non ci sarà più nessun pericolo. Madre e figlia si rimettono in viaggio durante il quale decidono di riposarsi in una chiesa sconsacrata nella quale accade poi un fatto che segnerà per sempre le loro vite. Infatti, un gruppo di soldati marocchini violentano le due donne. L'accaduto lascia in loro un trauma incancellabile, soprattutto nella giovane ed ingenua Rosetta. Saranno inutili gli sforzi di Cesira nel confortare la figlia la quale però si chiude in se stessa diventando apatica ed indifferente ,ma poi si ribella intraprendendo la strada della prostituzione. Il dolore della guerra non termina qui perché le due protagoniste vengono a conoscenza del fatto che Michele era stato ucciso dai tedeschi Il romanzo termina con il loro ritorno a Roma e con una vita ancora tutta da affrontare. Il mio intento in questa analisi è quello di dimostrare  quali forme narrative sia la più incisiva per la 'penna' dell’autore. Ho ritenuto potesse essere interessante riscoprire la forma narrativa del racconto attraverso l’attività letteraria di Moravia e in particolare analizzare come di questa vasta produzione vi sia una parte rimasta sconosciuta e inedita. Racconti che ci dimostrano come Moravia sia stato un grande lettore e un grande scrittore e che attraverso le pagine di quotidiani, almanacchi e riviste prima, e nei volumi usciti postumi oggi, catturi l’attenzione e l’interesse di chi si accinge alla lettura di queste storie. Nel 2017 la casa editrice Bompiani ha raccolto, in un prezioso volume, gran parte degli scritti sull’arte di Alberto Moravia, in cui la pittura la fa da protagonista. Dagli anni ’30 ai ’50 Moravia segue Enrico Paulucci e Carlo Levi nel periodo dei Sei, inizia il lungo sodalizio con Renato Guttuso che durerà tutta la vita, osserva con attenzione la situazione romana, da Giuseppe Capogrossi a Mario Mafai. Nella stagione successiva, nella Roma degli anni ’60, capitale dell’arte internazionale, scrive ripetutamente di Mario SchifanoGiosetta Fioroni, Titina Maselli e della fotografa Elisabetta Catalano cui si deve uno dei ritratti più intensi. Ama anche Antonio RecalcatiPiero Guccione e Fabrizio Clerici. Gli artisti in mostra sono i seguenti:  Gisberto Ceracchini, Carlo Levi, Enrico Paulucci, Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Giuseppe Capogrossi, Mario Mafai, Renato Birolli, Onofrio Martinelli, Fabrizio Clerici, Leonor Fini, Alberto Ziveri, Mino Maccari, Mario Lattes, Antonio Recalcati, Adriana Pincherle, Sergio Vacchi, Piero Guccione, Giosetta Fioroni, Carlo Guarienti, Titina Maselli, Mario Schifano, Elisabetta Catalano. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale che raccoglie le immagini delle opere in mostra e i saggi dei curatori.
 
GAM- Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea  di Torino
Alberto Moravia. Non so perché non ho fatto il pittore
dal 7 Marzo 2023 al 4 Giugno 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Lunedì Chiuso