Scultore e orafo, nasce in Morciano di Romagna, 1926. Fratello maggiore di Giò Pomodoro. Famoso per le sfere di bronzo, il materiale preferito. Studia da geometra, per dedicarsi, quasi subito, alla scultura fin dagli inizi degli anni cinquanta. Ha lavorato con il materiale più vario: dapprima l’oro e l’argento, poi il ferro, il legno, il cemento, il piombo, lo zinco, lo stagno e il bronzo, che sarà la sua materia di base sia per le opere di piccole dimensioni che per le sculture monumentali.
Le sue opere sono presenti, oltre che in Italia, in diverse città del mondo: Copenaghen Brisbane, Dublino, Los Angeles, in California, nei Musei Vaticani e nei maggiori musei mondiali e all’ONU.
Numerose le esposizioni principali, i premi, le onorificenze e i riconoscimenti. Ha festeggiato il suo 96° compleanno.
Succede, in genere, a chiunque voglia carpire, se non quello recondito, almeno il significato più o meno immediato delle opere spesso enigmatiche dell’arte contemporanea, che si è presi come da una sensazione di inadeguatezza se non di smarrimento. In tal frangente, per fortuna, viene in soccorso Arnaldo Pomodoro, che, visto l’imbarazzo dell’osservatore di fronte alle sue sculture, si premura di fornirgli la seguente “chiave di lettura”: «
La scultura, quando trasforma il luogo in cui è posta, ha veramente una valenza testimoniale del proprio tempo, riesce a improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni di memoria».
Dal che, forse, si comprende subito l’”alone” d’intellettualismo che circonda la produzione di Pomodoro: le sue “Sfere”, i suoi “Coni” e le sue “Piramidi” – per entrare subito nel cuore dell’argomento – se lasciati lì, nella piazza, nel cortile, o nella sala del museo e se “visti” semplicemente come segni atti a decorare o arredare interni ed esterni, esaurirebbero la loro carica estetica a mere e insulse presenze di prestidigitazione scultorea. Pomodoro, a questo proposito, più in linea con Moore che con Rodin ma in sintonia con Brancusi, torna in scena con tutta la potenza della sua personalità per ribadire e gridare la “cifra” della sua poetica: ogni suo apporto deve, dunque, essere una “valenza testimoniale del proprio tempo”, specchio personale ed epocale dell’eternità del presente pur vissuto nella sua subitanea fuggevolezza nel passato. Non solo, perché c’è di più: l’opera, oltre che a “intrigare” e “interrogare” l’osservatore, deve, in qualche modo, entrare “in dialogo” anche col contesto (piazza, parco, giardino, cortile, sala) in cui è allestita, per assimilarsi con la natura (naturale o urbana) che la circonda.

L’”azione”dello scultore, ovvero il suo “fare”, acquisisce in tal maniera un significato demiurgico: imprimere nella materia, quale che sia, non solo l’impronta della propria genialità, quanto, soprattutto, l’”essenzialità significativa” del suo “esistere” quale oggetto estetico, capace di “sussurare” nel tempo messaggi il più possibile condivisibili di memoria e, soprattutto, di dignitosa e superiore bellezza.
Non è un affare dappoco riuscire in cotale impresa. Pomodoro, in un’intervista, lo afferma con chiarezza:
«So dire solo che la scultura moderna nasce non soltanto dallo scultore, ma dallo scultore che collabori strettamente con architetti e con urbanisti». Ecco, allora, spiegato l’arcano. Lo scultore non basta. O, perlomeno, uno scultore che non abbia la visione unitaria del contesto costruttivo scultoreo-architettonico-urbanistico è destinato a fallire o, di certo, a non riuscire a realizzare il manufatto in linea con il suo “esistere come valenza del proprio tempo” e “come capacità di improntare di sé un contesto”.
A questo proposito è fulgida testimonianza il “caso” del progetto del nuovo cimitero di Urbino (1979), elaborato insieme a un gruppo di architetti (Cremonini, Zini, Trevisi, Rossi), che, nel rispetto delle due citate “valenze”, Pomodoro aveva ideato, in termini di assoluta novità, come un cimitero “sepolto”. Nulla che potesse sembrare temerario o offensivo della quiete dei morti e della buona pace dei vivi.
Al “mormorio segreto” delle sue Stele, delle sue grandi Sfere e delle sue Colonne avrebbe voluto aggiungere la “rimembranza” intima e altrettanto segreta, più colloquio che dialogo, con i propri cari estinti in un ambiente scevro da decorazioni e arredi commemorativi e distraenti, tipici dei camposanti “tradizionali”. Due profonde strade, in croce, scavate al sommo d’una collina a ciò predestinata, avrebbero dovuto contenere i loculi, uguali per tutti. Sopra le tombe, e sotto il cielo, la collina avrebbe continuato a nutrire la sua erba. Un cimitero troppo nuovo per gli urbinati, si scoprì anzi che fosse addirittura “ateo” e che, per di più, non consentisse di costruire cappelle familiari di fattezze più o meno corrispondenti alle proprie volontà. Il progetto naufragò tra il disappunto sincero di Pomodoro che in quel progetto aveva visto la possibilità non solo di innovare un intero comparto architettonico, ma di introdurre nel rapporto vita-morte un diverso sentire, una più avvertita sensibilità più vicina allo stesso sentimento e alla stessa fede religiosa.
Le vie dell’arte sono per fortuna infinite e il Nostro può ben far parlare, a dispetto del funereo naufragio, le sue più fortunate e bronzee “creature”, note in tutto il mondo: le grandi
Sfere.
In queste sculture si racchiude e condensa tutto la poetica, si vorrebbe dire, “teleologica” di Pomodoro: il “fine” della sua arte è ancorato ad un pensiero filosofico, soprattutto impregnato di mitologia classica, di cultura e sensibilità moderna. Le sue “Sfere misteriose”, come le declina lo stesso autore, non sintetizzano solo un oggetto unico nella sua forma, ma si aprono, un po’ alla maniera socratica, ad un nugolo di “domande” provenienti da chi le osserva. La geometria euclidea, così sontuosamente celebrata dal suo componente solido forse più rappresentativo, subisce tuttavia, per mano dello scultore, delle cesure, che appaiono come ferite, inferte al corpo solido e finemente levigato della sua superficie.
Tale superfiche possiede tra l’altro la capacità di riflettere, nella sua concavità, il mondo tutt’intorno. È un riflesso deformante, si capisce, e ciò altera quelle che possono apparire le visioni più scontate: un mondo riflesso che non è più il mondo reale. Il dualismo non potrebbe essere più evidente e più sconcertante, tanto da apparire quasi come l’apologia del pensiero umano, che si congettura e si struttura sulle linee diritte del ragionamento sillogistico e decade subito, però, nelle congetture sinuose del ragionamento probabilistico.
Le Sfere, nella multiforme produzione di Arnaldo Pomodoro (rilievi in argento, Tavole, Colonne, Cubi, Obelischi, Labirinti), non durano fatica a distinguersi, tentando, come subito fanno, un coro greco-romano a più voci, capace di assecondare pulsioni anche nelle tante sensibilità del mondo contemporaneo. La Sfera, dunque, può richiamare il mito di Atlante, il titano gravato dalla sfera celeste, può essere evocata e compresa nel complesso del Pantheon: è la forma, perfettamente circolare, insieme magica e spettacolare, che trova ospitalità nel moto creativo dell’architettura e, da ultimo, nell’arte scultorea.
E’ sorprendente verificare come in Pomodoro, da questo punto di vista, si possa legittimare la sua propensione all’arcaismo allorché si volesse “decifrare” o “leggere” il contenuto delle Sfere che appare dalle loro fenditure: il primo richiamo è alla composizione meccanica, ancora una volta euclidea, di cortei circolari di micro cuspidi geometrici; ma non basta perché la tenacia di un osservatore pensante si spinge fino a intuire, nella “successione di quelle note” l’estro di una composizione musicale; ovvero, in quella ordinata successione di ingranaggi meccanici l’alea di una macchina robotica. E’ questa “problematica”, che può apparire anche stucchevole e viziata da
non-sense, che attrae la curiosità e l’interesse dell’osservatore.
V’ha, tuttavia, un altro aspetto, non secondario, celato nell’ontologia della Sfera: il suo rapporto tra “forma” e “spazio esterno”. Alla prima percezione dell’oggetto-Sfera, non ancora avviluppata dalle successive “domande-risposte” circa i suoi significati, la Sfera comprende tutto: nel senso, cioè, che tu per primo – osservatore – sei inglobato nel suo essere, e lo stesso spazio esterno si annichilisce con te. È il momento topico dell’emozione estetica, l’attrattiva trascendentale che accompagna la visione della pura arte. Ed è anche l’attimo in cui, preciso nella sua trasparente verità, intuisci il significato forse più vero di questo manufatto. Esso, a conti fatti, può ben e finalmente rappresentare la “tensione” dell’uomo verso una “perfezione” (soprattutto “morale”?), quando nuclei, anzi, agglomerati di problemi insoluti tormentano il suo mondo interiore, fino a minacciare la presenza stessa del suo esistere, con le tante “lacerazioni” che minacciano la “Sfera” del suo mondo ideale.
Luigi Musacchio
dicembre 2022