Brevi note sull'opportunità (rectius, sulla necessità) di introdurre (anche in Italia) le “soglie di valore” comunitarie

Di Francesco EMANUELE Salamone


Se l'anno 2015 si era concluso con una grande incertezza normativa a seguito dell'entrata in vigore della l.n. 125/15, che ha ricondotto la materia della tutela dei beni librari alla competenza statale, il 2016 si è invece aperto con una grande novità: la possibilità di introdurre (anche in Italia) le cd. “soglie di valore” all'esportazione del libro antico.

Ed invero - a seguito di una proposta di legge avanzata nell'ambito del cd. “Decreto concorrenza” (n. 2085 A), ispirata alla normativa comunitaria in tema di esportazione dei beni culturali – la Commissione “Industria e commercio” del Senato ha ritenuto ammissibile e, successivamente, approvato a larghissima maggioranza l'emendamento che prevede la possibilità di subordinare l'esportazione di beni librari (esclusi gli incunaboli ed i manoscritti) di valore inferiore ai 13.500 euro ad un'autocertificazione in luogo dell'attuale attestato di libera circolazione.

In particolare, l'emendamento approvato “in Commissione” ed attualmente in discussione in Aula, modifica l'art. 65 d.lgv. 42/04, esentando dal rilascio del titolo autorizzatorio all'uscita dal territorio nazionale quei beni librari di valore inferiore ai 13.500. In tal caso, sarà comunque necessario che il richiedente l'esportazione presenti una dettagliata autocertificazione volta a comprovare il valore del bene “sotto soglia”.

Quali i vantaggi connessi all'introduzione delle soglie di valore (già previste a livello comunitario dal regolamento n. 3991/1992)?


- Il primo: tale misura allineerebbe non solo la normativa nazionale a quella comunitaria (ove, per il vero, le soglie di valore sono ancora maggiori: 46.598 euro, per i libri antichi) ma consentirebbe altresì al mercato antiquario librario di ripartire, dopo essersi lasciato alle spalle i terribili fatti dei Girolamini, che hanno letteralmente affossato il mercato italiano del libro antico.

E' infatti innegabile che, sul piano della concorrenza, una procedura onerosa ed incerta per l'utente (si pensi ai mille dubbi interpretativi e temporali dell'attuale sistema per l'esportazione di beni di interesse culturale) renda l'intermediazione alla vendita certamente più complessa rispetto a Paesi nei quali non vi sono limiti all'esportazione o, comunque, la burocrazia è certamente più snella della nostra.

Basti, al riguardo, pensare alla differenza fra l'esportazione in Germania (che non conosce l'attestato di libera circolazione) e l'esportazione in Italia, ove, in teoria, anche un libro dal valore di 10 euro, edito oltre 50 anni orsono e dotato di un qualche interesse culturale, necessita del rilascio dell'attestato di libera circolazione.
E' evidente – in tale situazione - come il libraio tedesco, non dovendo richiedere l'attestato di libera circolazione ed attendere mesi per il suo rilascio, sia certamente più agile (e, quindi, più appetibile sul mercato) rispetto al libraio italiano, che – invece – si trova letteralmente sommerso dalle lungaggini burocratiche, anche per beni di esiguo (se non nessun) valore culturale ed economico.
Con le soglie di valore, invece, si andrebbe a ridurre sensibilmente tale gap e, per l'effetto, si garantirebbe maggiore competitività al mercato italiano del libro antico!

- Il secondo: con le soglie di valore si decongestionerebbero altresì anche gli Uffici esportazione, il cui carico di lavoro maggiore è strettamente legato all'esportazione di beni di minore valore, quali quelli “sotto soglia”.
Congestione amministrativa che si è indubbiamente acuita a seguito del passaggio agli Uffici esportazione (già oberati) anche della materia dell'esportazione dei libri antichi, con l'entrata in vigore della l.n. 125/15.

Operativamente, con l'introduzione delle “soglie di valore”, si prevede infatti uno snellimento del 40% del carico di lavoro degli Uffici esportazione, atteso che – come detto - buona parte del lavoro svolto (in tema di libri antichi) dagli Uffici esportazione è rappresentato proprio da domande aventi ad oggetto beni librari di valore inferiore ai 13.500 euro, che rappresentano una grande fetta (in termini quantitativi) del mercato librario verso l'estero.
A parere dello scrivente, inoltre, l'introduzione delle soglie di valore rappresenterebbe l'unico modo per evitare la bancarotta amministrativa degli Uffici esportazione.

Ed invero, l'attuale sistema (se non verranno apportati gli opportuni correttivi) determinerà nel giro di pochi mesi una vera e propria congestione degli Uffici esportazione, che, per ragioni strutturali, non sono più in grado di sopportare l'immane carico di lavoro derivante dalle procedure per l'esportazione dei libri antichi, superiore a qualsiasi altra categoria di beni di interesse culturale.

In ultima analisi, con le soglie di valore, si avrebbe quindi non solo il vantaggio (immediato) di decongestionare gli Uffici esportazione, ma anche (e, forse, soprattutto) la possibilità di consentire a tali Uffici (affetti da un'atavica carenza di personale) di concentrarsi sui beni più importanti, realizzando una tutela non di quantità ma di qualità.

- Il terzo: con le soglie di valore si eviterebbe il cd. paradosso del “giallo Mondadori”.
Attualmente, infatti, nel nostro Paese, il privato, che intenda – ad esempio – esportare la prima edizione di un “giallo Mondadori” del 1964 (stampato in migliaia di copie e del valore commerciale di pochi euro), dovrebbe richiedere il previo rilascio dell'attestato di libera circolazione (atteso l'interesse culturale di tale edizione). Con le soglie di valore, invece, si andrebbe ad evitare il paradosso sopra descritto, atteso che tale bene – non superando la soglia di legge (13.500 euro di valore) – non sarebbe sottoposto al regime autorizzatorio dell'attestato di libera circolazione ma ad una mera autocertificazione.

Senza considerare i vantaggi, sotto il profilo pratico, connessi all'approvazione dell'emendamento de quo. L'attuale disciplina normativa prevede infatti che, anche per un libro del valore di 10 euro (quale può essere il famigerato “giallo Mondadori” di cui sopra), si debbano comunque sostenere le spese per le marche da bollo (16 euro) da apporre alla pratica per l'esportazione, arrivando all'altro paradosso per cui le spese della pratica per l'esportazione superano il valore del bene di cui si chiede l'uscita dal territorio nazionale!
Paradossi, quelli appena enucleati, che, con l'introduzione delle soglie di valore, sarebbero certamente (e, fortunatamente) scongiurati.

Esaminati i vantaggi (non pochi!) connessi all'introduzione delle soglie di valore, passiamo adesso ad analizzare l'altra faccia della medaglia, chiedendoci quali possano essere i rischi (apparenti) connessi all'introduzione di tali soglie.
 

Le maggiori critiche sono sostanzialmente due.


- La prima: si teme un forte rischio di (un italico) aggiramento della soglia di legge. I più “furbi”, in altri termini, per evitare di dover richiedere l'attestato di libera circolazione, dichiareranno che il valore del bene sia inferiore ai 13.500 euro, in modo tale da poter esportare sulla base di una mera autocertificazione.
Ebbene, tale (italica) obiezione pare non cogliere nel segno, atteso che il sistema congegnato dal citato progetto di legge prevede un meccanismo similare a quello della dichiarazione dei redditi, con controlli a campione e sanzioni severissime per i trasgressori, proprio allo scopo di intimorire i soliti “furbetti del quartiere”.
Peraltro, la logica da cui partire non dovrebbe essere quella secondo la quale l'utente voglia trovare un sistema per aggirare l'ostacolo, ma dovrebbe essere quella di un rapporto fiduciario fra utente ed Amministrazione, come accade nella maggior parte del cd. “mondo civilizzato”.
Appare quindi evidente, almeno a parere di chi scrive, come tale timore, frutto di un modo di vedere le cose penalizzante per l'onesto libraio antiquario, sia in realtà infondato nel merito, considerate le misure di controllo e repressione connesse alle dichiarazioni di valore non conformi al vero.

- La seconda: il valore culturale del bene prescinde, a volte, dal valore economico del medesimo e, quindi, non è possibile agganciare automaticamente l'esportabilità o meno di un bene al solo parametro del valore economico dello stesso.
Tale critica ha effettivamente un suo fondamento, anche se è bene osservare che - nella stragrande maggioranza dei casi - valore culturale e valore economico cammino sempre di pari passo.
E' infatti assi difficile che un ben che valga poche migliaia di euro abbia un valore culturale considerevole, tale da legittimarne il blocco all'esportazione.

Ad ogni modo, al fine di poter rispondere compiutamente alla predetta obiezione, è utile chiarire come l'emendamento in discussione preveda, comunque, che, ove il bene “presenti un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione”, anche a prescindere dal valore del bene, il competente ufficio  esportazione, qualora reputi che le cose possano presentare tale “peculiare” interesse, avvia comunque il procedimento di cui all'articolo 14 (la cd. “notifica”), “che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione”, bloccando quindi l'esportazione ove il procedimento di “notifica” si concluda con la dichiarazione dell'interesse culturale del bene “sotto soglia”.
In altri termini, è stata prevista dallo stesso emendamento che vuole introdurre le soglie di valore una clausola di salvaguardia, che tuteli quelle residuali ipotesi in cui, nonostante l'esiguo valore economico, il bene rivesta un considerevole interesse culturale. Pertanto, anche tale seconda critica, se esaminata a fondo, appare una preoccupazione priva di reale fondamento, attesa la succitata clausola di salvaguardia prevista dall'emendamento in discussione.
 
In conclusione, ad avviso dello scrivente, le “soglie di valore” sono quindi da ritenere non solo opportune, allo scopo di evitare il paradosso del “giallo Mondadori” ed allineare la nostra legislazione a quella comunitaria, ma – soprattutto – necessarie per evitare il default degli Uffici esportazione.

Peraltro, l'iper-tutela, in un sistema come il nostro in cui la “coperta è troppo corta”, rischierebbe di trasformarsi in una forma di ipo-tutela, in quanto tutelare “tutto e comunque” in un Paese, come l'Italia, che – purtroppo – non è strutturalmente in grado di farlo, rischierebbe di lasciare privi di tutela i beni librari più importanti.
È quindi essenziale, in ultima analisi, prendere atto che uno Stato, come il nostro, che non può tutelare tutto, abbia il dovere morale di concentrarsi nella tutela solamente di ciò che è veramente (e maggiormente) importante, verso la cui protezione dovrà quindi convogliare le sue (non ingenti) risorse.
           
Avv. Prof. Francesco Emanuele Salamone
Lemme Avvocati Associati
Professore a c. di Diritto penale dei beni culturali
Università della Tuscia
Consulente legale nazionale A.L.A.I.
 
Roma, 11.04.2017
 
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