
Bernardo Strozzi fu senza dubbio uno dei più grandi pittori del suo tempo, riconosciuto come tale non solo durante gli anni in cui fu attivo nella sua città natale, ma anche quando si stabilì a Venezia, dove non tardò a essere riconosciuto come il maggiore artista operoso nella città lagunare. Tuttavia il gran numero dei collaboratori di cui si circondò e che istruì per essere impiegati ad una intensa produzione di bottega, ha sortito l’effetto di generare un catalogo incredibilmente inflazionato da opere indegne di lui, col risultato di ridimensionare la valutazione dei suoi meriti e della sua pittura, così unica e inconfondibile.
Appena uscito per i tipi di Allemandi, il libro di Camillo Manzitti (tra i massimi conoscitori dell'arte genovese del Seicento) si propone di condurre una rigorosa revisione del corpus delle opere di Strozzi.
D. Prof. Manzitti, negli ultimi trent’anni il ruolo riconosciuto all’arte di Bernardo Strozzi sulla scena della pittura italiana del Seicento è cresciuto costantemente, guadagnando quella posizione di primissimo piano attestata da tutte le rassegne sull’arte genovese, da
Genova nell’età barocca del 1992 in avanti, ed evidenziata dalla grande mostra monografica del 1995. A che punto è, a suo avviso, la nostra conoscenza e comprensione di Strozzi?
R. A dire il vero, se si esclude in parte la generale sottostima che l’Ottocento ebbe per il Seicento, la fama di Bernardo Strozzi è stata nel corso dei secoli sempre assai alta, come dimostra anche l’interesse sempre mostrato dai molti incisori che in ogni tempo si dedicarono a riprodurre sue opere. Ugualmente significativo è il fatto che non vi sia praticamente Museo o collezione pubblica che non ne possegga qualche opera.
Alla fama del pittore contribuì sicuramente il fatto di avere lasciato la “provincia” per una città come Venezia, assai più incrociata dagli itinerari degli storici d’arte, e di averne rappresentato sicuramente il protagonista più talentuoso ed illustre del suo tempo.
Tuttavia, la conoscenza della sua pittura ha risentito profondamente di un grave processo mistificatorio, causato, all’origine, dalla spiccata vocazione imprenditoriale dello Strozzi, espletata con un’esasperata attività commerciale impressa alla propria bottega, ch’egli pagò con la persecuzione dell’Ordine dei Cappuccini, cui aveva aderito per scelta giovanile, e con la conseguente reclusione e la drammatica fuga a Venezia. Proprio la smisurata quantità di imitazioni e di copie che uscivano dalla sua bottega ha poi fornito terreno fertile all’incomprensione di chi ancora nel più recente passato gli ha dedicato i suoi studi.
D. Lei ha dedicato gran parte della sua vita di studioso alla pittura genovese del Seicento, ma finora di rado le era capitato di riservare a Strozzi attenzioni specifiche. Cosa l’ha spinto a dedicarsi a un catalogo ragionato del pittore? Come si colloca la sua monografia nell’ambito degli studi moderni sul pittore?
R. In effetti, il movente principale del mio lavoro risiede proprio nella necessità di ripulire il catalogo del pittore da un’inflazione di opere spurie, in una misura che non trova riscontro pressoché in nessun altro caso della storiografia artistica.
D. Ci sono, a suo avviso, aspetti della personalità artistica di Bernardo Strozzi che ancora reclamano più adeguate attenzioni critiche? Quali questioni consiglierebbe di approfondire a un giovane studioso che intendesse lavorare su di lui?
R. Certamente: l’inventario dei dipinti giacenti in lavorazione nella bottega al momento della sua morte, dove sono enumerate ben 215 opere, di cui solo 38 di sua mano, tutte le altre appartenenti agli allievi, suggerisce altre vie percorribili per chi volesse dedicarsi ad alcuni problemi ancora in attesa di soluzione. Per fare un esempio, penso soprattutto al campo della Natura Morta, di cui si riconoscono con una certa sicurezza ancora pochi suoi dipinti autografi, ma che dovette costituire un’attività tutt’altro che marginale se quell’inventario ne enumera ben 70 esemplari di bottega, la metà dei quali definiti copie tratte da originali del maestro. Addirittura tra questi copisti specializzati era segnalato come particolarmente prolifico, e probabilmente piuttosto abile, un certo Francesco Durello, nome a tutt’oggi del tutto sconosciuto.
D. Al termine della sua fatica monografica è cambiato qualcosa nella sua considerazione dell’arte di Strozzi o nella lettura del ruolo da lui ricoperto all’interno della pittura genovese, veneziana e italiana del XVII secolo?
R. Immergersi con tanta intensità nell’opera di un pittore sortisce quasi inevitabilmente l’effetto d’innamorarsene un po’ di più. Tuttavia non si può non riconoscere che l’opera di un artista come lo Strozzi, dotato di un talento pittorico quasi ineguagliabile, il cui magistrale sfruttamento di sue risorse naturali così rare si evidenzia dall’esame ravvicinato condotto sul particolare, non poté non influire sui caratteri stilistici che, dal punto di vista della tecnica pittorica, andavano caratterizzando l’evoluzione del linguaggio barocco nel suo complesso, e non solo quello genovese e veneziano.
Luca Bortolotti