è una corposa retrospettiva che la
Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze dedica all’artista americano. La mostra è nata e si è sviluppata da un dialogo durato due anni tra la
Fondazione – diretta da
Arturo Galansino –
Kira Perov – a capo del
Bill Viola Studio, da oltre trent’anni braccio destro e moglie dell’artista – e lo stesso
Bill Viola.
La rassegna si
espande volutamente nello spazio e nel tempo; esce dalle mura di
Palazzo Strozzi per estendersi nella città – alcuni video sono, infatti, installati al
Museo dell’Opera del Duomo, a
Santa Maria Novella e agli
Uffizi – e nel territorio toscano, fino a Empoli e Arezzo. Questa scelta ha inteso valorizzare il rapporto privilegiato tra
Bill Viola e la città di Firenze. È qui che l’artista ha lavorato agli inizi della sua carriera quando, dal 1974 al 1976, è stato direttore tecnico di
art/tapes/22, lo straordinario centro di produzione video fondato e diretto da
Maria Gloria Bicocchi. È, inoltre, qui che è iniziata la sua relazione con l’arte rinascimentale che tanto profondamente permea e alimenta ancora oggi la sua opera. L’esposizione, infatti, stabilisce un dialogo visivamente diretto tra alcuni video di
Viola e i capolavori rinascimentali che li hanno ispirati.
"
Ero entrato nella chiesa di Santa Felicita, subito dopo Ponte Vecchio, a vedere la Deposizione. Fui molto colpito dai colori. Uscendo mi domandai, sinceramente, cos’avesse fumato il pittore per dipingere quei rosa, per dipingere quegli azzurri incredibili. Sembrava che avesse lavorato sotto l’effetto di LSD. Ma la Visitazione
no, non l’avevo vista (…). Il mio incontro con quel quadro è avvenuto anni dopo, in California. Una storia buffa. Ero andato in una libreria, cercavo un libro, non ricordo quale. Mentre stavo uscendo, vedo con la coda dell’occhio un volume appoggiato sul banco. Un nuovo testo su Pontormo. Sulla copertina era riprodotta la Visitazione
, mi colpirono i colori. Di quel quadro non sapevo niente, ma non potevo smettere di guardarlo. Ho comprato il libro e l’ho portato a casa. Ma aspettai mesi prima di prenderlo in mano. Alla fine, apro il libro, lo leggo, resto affascinato dalle idee, dai colori di quel pittore".
Nasce così l’idea per
The Greeting, creato per il
padiglione USA alla
46° Biennale di Venezia (1995). L’artista, da sempre affascinato dagli incontri fortuiti tra le persone che osserva agli angoli delle strade, desidera registrarli con la stessa intensità con la quale
Pontormo ha dipinto l’incontro tra Maria ed Elisabetta.
Nel video, due donne conversano davanti a una quinta metafisica di edifici industriali. Sono interrotte dall’arrivo di una terza che entrambe salutano,
ma che una sola conosce. Si alza una leggera brezza e la luce muta quando la nuova
arrivata si rivolge all’amica e – ignorando l’altra – le sussurra:"P
uoi aiutarmi? Ho bisogno di parlarti subito".
Con imbarazzo, vengono fatte le presentazioni. L’incontro delle tre donne viene
rallentato il più possibile in modo che ogni emozione che attraversa i loro volti, il linguaggio del corpo e il movimento della brezza che agisce sugli abiti costruiscano una narrazione emozionale. Tuttavia, complice il mistero contenuto nelle parole pronunciate dall’ultima arrivata, il senso dell’evento resta
sospeso; spetta all’immaginazione dello spettatore svelarne i motivi.
Per ottenere l’effetto di
slow motion scorrevole e uniforme che caratterizza le immagini
Viola ha utilizzato una macchina da presa ad alta velocità con pellicola da 35 mm in grado di catturare 300 fotogrammi al secondo (di norma sono 24). Si tratta di un effetto assolutamente inedito, data la strumentazione video dell’epoca. È questo, quello della continua sperimentazione tecnologica, un aspetto che la rassegna valorizza potentemente. La sequenza delle opere esposte compone un’eccezionale rappresentazione dei vari cambiamenti che hanno coinvolto negli ultimi quarant’anni la tecnologia del video e dei media. Scrive
Kira Perov:
"
La tecnologia per la creazione d’immagini si è sviluppata più velocemente di qualsiasi altra, e Bill ha passato la vita utilizzando questi strumenti e inventandone di nuovi per dare forma alla sua profonda, straordinaria visione".
The Reflecting Pool, nonostante risalga al 1977, è un’opera ancora oggi interessante poiché lascia lo spettatore molto perplesso circa le modalità della sua realizzazione. Il video mostra una vasca in un bosco e un uomo che compie un balzo sopra lo specchio d’acqua, immobilizzandosi in una posizione fetale. Quest’azione è come
congelata nel tempo. In modo graduale e quasi impercettibile, il corpo si dissolve. L’artista ha registrato separatamente una serie di riprese della vasca, poi ha montato e sovrapposto la sequenza al resto della scena. Queste riprese includono riflessi di persone e increspature dell’acqua che non sembrano avere un corrispettivo nella parte superiore dell’inquadratura. Nella vasca il tempo scorre in avanti e insieme all’indietro.
The Reflecting Pool è interessante perché rappresenta una sorta di manifesto della
pittura elettronica di
Bill Viola. Le immagini rendono evidentissimo l’uso creativo della tecnologia e l’
enigma del tempo, due elementi chiave nella ricerca dell’artista americano. Peccato che questa e altre opere risalenti agli anni settanta non siano esposte adeguatamente. Avrebbero probabilmente meritato un’installazione di tipo quasi archivistico e una fruizione intima da parte dello spettatore. Così come sono installate, invece – nella
Strozzina, al termine del percorso della mostra – sono immeritatamente penalizzate, complice la stanchezza e distrazione rumorosa dei visitatori.
La macchina da presa ad alta velocità è legata anche alla realizzazione di molte opere della serie
Passions, uno studio intimo sulle emozioni pensato e realizzato tra il 1998 e il 2002. L’artista si è, in questo caso, ispirato all’arte sacra del Medioevo e del Rinascimento e la serie intende mostrare la sopravvivenza di questa tradizione figurativa nel linguaggio contemporaneo delle emozioni. Per
Catherine’s Room (2001), ad esempio, un video in cinque pannelli che rappresenta la sequenza delle attività quotidiane e solitarie di una donna,
Viola ha tratto ispirazione da una tavola di
Andrea di Bartolo. Il dipinto, esposto a sottolineare un confronto diretto, mostra scene di vita di beate domenicane sotto le raffigurazioni delle stesse intorno a
Caterina da Siena. L’artista è rimasto affascinato dalla ripetizione dello spazio interno disadorno, dalla vita intima di donne sole, dal formato e dalla narrazione del quotidiano, tutti elementi che caratterizzano la rappresentazione delle predelle. I cinque schermi raccontano simultaneamente le attività della donna all’interno dello spazio. Ma alcuni accorgimenti scenici scandiscono la sovrapposizione di diverse temporalità. Come accade nella maggior parte delle opere di
Bill Viola, in cui il tempo è una sovrapposizione di soggettività e in cui vi è un intreccio di tempo e spazio – si tratta di un tempo a tutti gli effetti
fuor di sesto – anche qui osserviamo contemporaneamente diversi momenti del giorno che, poi, sono anche diversi momenti dell’anno e, in sostanza, della vita.
A un’opera del
primo Rinascimento, il meraviglioso affresco della
Pietà dipinto da
Masolino da Panicale a Empoli (1424), fa riferimento il potentissimo
Emergence (2002). Eppure, in questo caso, l’ispirazione non scaturisce direttamente dal rimando alla tradizione
alta. Inizialmente, Viola voleva solo rappresentare una donna nell’atto di sorreggere un uomo. In seguito, sfogliando libri su
Masaccio e
Masolino, l’artista ha incontrato una riproduzione a
colori dell’affresco staccato di Empoli. Ne ha fatto uno schizzo che, poco convinto, ha riposto su uno scaffale. La vista di una foto di cronaca, che ritraeva due donne nell’atto di tirare fuori da un pozzo il cadavere di un uomo, gli ha riportato alla mente l’opera di
Masolino e ha attivato una catena di rimandi che ha generato
Emergence. Qui, infatti, la forma del sepolcro rinascimentale si fonde con quella del pozzo. La presenza dell’acqua che sgorga erompendo dal pozzo-sepolcro è insieme un’immagine di morte e vita e innesca una narrazione, secondo una percezione del tempo tutta circolare, tra l’inizio e la fine della vita.
La genesi di
Emergence è significata anche perché consente di non ridurre l’arte di
Viola a un semplice rifacimento, a mo’ di
tableau vivant, delle fonti iconografiche rinascimentali.
Surrender (2001), ad esempio, mostra le immagini a mezza figura di un uomo e una donna. L’immagine sullo schermo inferiore è capovolta, quasi fosse un riflesso allo specchio di quella superiore. Le due persone s’inchinano come a cercare un contatto, ma incontrano uno specchio d’acqua in cui immergono i loro volti. Riemergono in preda a un’angoscia che s’intensifica lentamente ma inesorabilmente, fino a quando le immagini si dissolvono del tutto. Si comprende allora che a essere visibili erano solo i riflessi sul pelo dell’acqua, non i corpi reali dell’uomo e della donna. Il video fa evidentemente riferimento al mito tragico di Narciso, ma nell’angoscioso e lento dissolvimento delle forme si coglie la memoria delle terrificanti bocche spalancate di
Francis Bacon. E di
Francis Bacon viene in mente anche la tecnica. Da intendersi non in termini di tecnica pittorica, bensì di tecnica di
montaggio. Quella che ha fatto sì che l’artista potesse lavorare su una gran quantità di fonti iconografiche e di media differenti nello spazio e nel tempo. Anche l’arte di
Viola, fin dagli esordi, mette in atto una serie di modalità di montaggio, letterali e metaforiche. Che saldano la
Pietà di
Masolino con il
Marat di
David e le immagini di cronaca. Non diversamente da
Bacon – e da un altro grandissimo
montatore d’immagini qual è stato
Andy Warhol – l’arte di
Viola parla attraverso il tempo e lo spazio. Sussurra e, al contempo, grida alle orecchie dello spettatore una storia densa, universale eppure intima.
Molto altro si dovrebbe dire a proposito dei due maestosi capitoli della serie
Going Forth by Day (
The Path e
The Deluge), di
Inverted Birth e della serie dei
Martiri, dell’acqua e del fuoco. Ma sto correndo il rischio di diventare eccessivamente lunga e di scadere in una dimensione meramente narrativa. Laddove, invece, la bellezza e la potenza del lavoro di Viola risiedono anche in una partecipazione tutta soggettiva di fronte alle sue opere.
Nel 2002, quando la
galleria londinese Anthony D’Offay espose
Five Angels for the Millennium, fu necessario gestire l’afflusso impressionante di visitatori. Il giorno dell’apertura della mostra fiorentina io ho notato un
Palazzo Strozzi molto, troppo tranquillo. Questo mi ha consentito di trascorrere un tempo lunghissimo in compagnia delle opere di Viola. Non mi aspetto che vi si riversino flussi ingestibili di visitatori.
Ma, vedere tanto
Bill Viola tutto insieme e a contatto con tanti capolavori rinascimentali, è senz’altro un’opportunità! Mi auguro che in molti possano aver voglia di coglierla.
di
Giorgia TERRINONI Firenze 10 / 3 / 2017