Riggan Thompson deve la sua immensa popolarità (come il suo interprete, Michael Keaton, la deve al suo Batman) a questo supereroe alato e probabilmente senza macchia e senza paura: Birdman, appunto. Ma sono passati molti anni, la pelle si è fatta grinzosa per le rughe, i capelli diradati e la vita, in generale, piuttosto a pezzi (con molte macchie e molte paure). Riggan è in cerca di riscatto. Sta portando sulla scena di un teatro di Broadway uno spettacolo tratto da racconti di Raymond Carver e a questo spettacolo affida le sue residue speranze di rinascita. Non è facile. Intanto perché c‘è lui, il fantasma di Birdman ad incalzarlo, nel tentativo di persuaderlo della completa inutilità del tentativo, della bontà della scelta iniziale, della autenticità del suo essere un supereroe.
Autenticità, velleità, delusione, speranza, meschinità, vanità, identità, paura: sono queste le parole chiave di Birdman, l’ultimo film di Alejandro G. Iñárritu (al suo attivo Amores perros, 21 grammi, Babel, Biutiful). Un film sui travestimenti con cui ognuno deve prima o poi fare i conti, e chi più degli attori, saltimbanchi della vita, per loro un gioco di ruolo quanto mai pericoloso, sempre sul limite dell’abisso. La scena è la vita e viceversa, i fallimenti si giocano su piani continuamente intersecanti e confusi, ambigui, la maschera è l’autobiografia di chi la indossa.
Come regista e come attore Riggan non vale granché. Ce la mette tutta. Il suo disperato tentativo di riabilitarsi sulla scena è in realtà il tentativo di dare un senso alla vita. Separato (ma con rimpianti), con una figlia uscita da poco da un periodo di riabilitazione per abuso di droghe, una compagna, una giovane attrice che lo minaccia di essere incinta per suscitare in lui un rigurgito emotivo. E la sua pièce, l’affidare al palcoscenico la sua riabilitazione. La sua colpa da espiare: essere non un bravo attore, ma una celebrità, una gabbia che il fantasma di Birdman non fa che ricordargli mettendolo di fronte all’unico scopo che dovrebbe avere la via di un uomo: accettarsi. E ancora: non essere stato un bravo padre e un bravo marito (i piani che si confondono).

Intorno a Riggan-Birdman gravita un mondo di analoghi fallimenti. Gli attori, si sa, sono vanesi e insicuri, aggressivi ed elusivi. Mike (Edward Norton), suo antagonista sulla scena, si dichiara incapace di vivere nella vita reale le stesse emozioni che riesce a vivere sul palcoscenico. Il suo ostentato e infantile egocentrismo lo porta a farsi succube delle situazioni emotive, a non affrontarle mai, per poi voler fare l’amore davvero, sulla scena, con quella che è la sua compagna nella vita. Ed è un grande attore, un virtuoso, uno che crede nel Grande Teatro e che disprezza la povertà intellettuale del cinema che Riggan testimonia con la sua carriera di star hollywoodiana. Ma la sua superiorità è effimera e miserabile. La sua compagna Lesley (Naomi Watts) si domanda in lacrime “perché non posso avere rispetto di me stessa”? “Perché sei un attrice, tesoro”, le risponde la collega (per inciso la bravura di tutti gli attori del film è quasi imbarazzante: quasi che la forza della qualità voglia prendersi la sua rivincita sulla pochezza della realtà).

In questo mondo dove tutti sfuggono da se stessi e dalle responsabilità che ne derivano, non si salva nessuno, né la figlia di Riggan (trentenne senza arte né parte, fragile e perduta dietro la ricerca della precaria visibilità di un profilo Twitter con enne-mila followers o un pagina Facebook ricca di “mia piace”); né la puntuta, scostante, temuta critica teatrale del Times, che disprezza il mondo di Riggan dall’alto della sua torre d’avorio, la cui robustezza non può peraltro essere scalfita dalle deboli e ingenue rimostranze dell’attore (“scrivi solo qualche paragrafo e non rischi nulla, nulla, io sono un attore e questa opera mi è costata tutto!”).
Iñárritu costruisce il film come un unico filo che si snoda dal principio alla fine, in un rutilante, virtuosistico piano-sequenza interrotto di tanto in tanto in modo appena percettibile, quasi sempre per indicare il passaggio del tempo o l’entrata e l’uscita dal teatro o da un bar. Il mondo claustrofobico e iperreale del teatro, i suoi corridoi angusti, i praticabili sopra la scena, la platea vuota, lo sputare dell’attore in controluce, le assi di un palcoscenico onusto di storia viene accentuato da questa scelta, cui fa da contraltare sonoro un ossessivo ritmico assolo di batteria, che si alterna a brani di Tchaikovskij, Mahler e Ravel.

La padronanza della tecnica non è fine a se stessa: è come se lo spettatore fosse portato su un invisibile tappeto volante che tallona i protagonisti, braccandoli, partecipando in modo irriverente e indiscreto delle loro meschinità, accettandone tuttavia il punto di vista, che è proprio quello di Riggan-Birdman, i cui voli per i canyon delle Avenue di New York e i superpoteri (come spostare gli oggetti con la forza del pensiero, o restare sospeso a mezz’aria in meditazione) vivono solo all’interno della sua fantasia, ma anche nella scena, dentro la scena. Rivelando in questo modo una debolezza del regista che lo condurrà, proprio nel finale, a far convergere il punto di vista interiore di Riggan con quello del film, quando la figlia lo vedrà volare come l’uccello che in fondo è sempre stato (e il controcampo negato – stavolta non vediamo il volo dell’eroe – ci lascia con il sorriso della ragazza, che è il sorriso in cui lo spettatore incantato dalla magia del cinema si rispecchia).
E dietro, accanto, sopra a tutto il testo passionale e allo stesso tempo semplice e levigato come una lama di coltello di Raymond Carver, sull’amore, sulla felicità: “Volevo solo essere quello che tu volevi...e ora passo ogni ora a sognare di essere qualcun altro... qualcuno che non sono!”. Dal palcoscenico riaffiora il dramma dell’identità perduta, la confusione dei ruoli, il desiderio naturale, detto nel modo elementare con cui si esprimono i derelitti di Carver, di ottenere dalla vita quello che dovrebbe essere diritto di ognuno, come dice la citazione in esergo: “E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto?” “Sì” “E cos'è che volevi?” “Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra”.
Ezio Tarantino, 20/02/2015
BIRDMAN
di Alejandro González Iñárritu
con Michael Keaton, Edward Norton, Zach Galifianakis, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Naomi Watts, Emma Stone
119 min. - USA 2014