Giovanni Cardone Novembre 2022
Fino al 12 Marzo 2023 si potrà ammirare a Palazzo Reale di Milano la mostra Bosch e un altro Rinascimento a cura di Bernard Aikema ,Fernando Checa e Cremades Claudio Salsi. Milano per la prima volta, sotto la direzione artistica di Palazzo Reale e Castello Sforzesco, rende omaggio al grande genio fiammingo e alla sua fortuna nell’Europa meridionale con un progetto espositivo inedito che presenta una tesi affascinante: Bosch, secondo i curatori, rappresenta l’emblema di un Rinascimento ‘alternativo’, lontano dal Rinascimento governato dal mito della classicità, ed è la prova dell’esistenza di una pluralità di Rinascimenti, con centri artistici diffusi in tutta Europa. L’ esposizione è promossa dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Castello Sforzesco e realizzata da 24 ORE Cultura Gruppo 24 ORE con il sostegno di Gruppo Unipol, main sponsor del progetto. Come afferma l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi: “È anche attraverso lo scambio di opere d’arte che l’arte e la cultura svolgono il loro ruolo di vettori di crescita e di strumenti di relazione tra le città e le nazioni, portando avanti il processo di arricchimento di un Paese . Il progetto di questa mostra è il frutto di un processo di cooperazione internazionale durato cinque anni, che ha prodotto un’esposizione preziosa dal taglio assolutamente originale, in grado di raccontare ai visitatori un Rinascimento diverso rispetto a quello che ha visto i propri fasti in Italia tra il Quattro e il Cinquecento, creando orizzonti nuovi di conoscenza e bellezza”. Il percorso espositivo presenta un centinaio di opere d’arte tra dipinti, sculture, arazzi, incisioni, bronzetti e volumi antichi, inclusi una trentina di oggetti rari e preziosi provenienti da wunderkammern. In questo ricchissimo corpus spiccano alcuni dei più celebri capolavori di Bosch e opere derivate da soggetti del Maestro - mai presentate insieme prima d’ora in un’unica mostra.
Bosch è infatti autore di pochissime opere universalmente a lui attribuite e conservate nei musei di tutto il mondo. Proprio perché così rari e preziosi, difficilmente i capolavori di questo artista lasciano i musei cui appartengono, e ancora più raramente si ha la possibilità di vederli riuniti in un’unica esposizione. Proprio per la fragilità e la peculiarità dello stato di conservazione, alcune opere dovranno rientrare nelle loro sedi museali prima della chiusura della mostra. Si tratta delle due opere del Museo Lázaro Galdiano di Madrid (Meditazioni di san Giovanni Battista e La Visione di Tundalo) che potranno essere visitate dal pubblico fino al 12 febbraio e delle due opere prestate dalle Gallerie degli Uffizi (l’arazzo Assalto a un elefante turrito e Scena con elefante) che rimarranno in mostra fino al 29 gennaio. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Hieronymus Bosch apro il mio saggio dicendo : Le opere d'arte su larga scala di Bosch, come The Garden of Earthly Delights, forniscono un piacere visivo per lo spettatore in un modo che nessun altro artista ha raggiunto. Considerare il suo lavoro rispetto ad altri nomi famosi del XV e XVI secolo, era davvero unico in così tanti modi e il suo lavoro continua ad attirare il rispetto di accademici d'arte, designer e artisti dei giorni nostri. In effetti, una recente mostra retrospettiva della sua carriera nei Paesi Bassi si è rivelata uno degli eventi artistici più visitati della sua storia. Lo stile di questo artista non si adatta né ai pittori su tavola fiamminghi di questo periodo, né a quelli che furono influenzati dall'impatto del Rinascimento italiano mentre si diffondeva nel resto del continente. Albrecht Durer definì notoriamente Bosch come un pittore di sogni, sottolineando quanto fosse diverso da tutti gli altri in quel momento. Anche un artista creativo e ambizioso come lui è rimasto davvero sbalordito da alcuni dei risultati forniti da questo collega nordeuropeo.
I dipinti di Hieronymus Bosch continuano ad affascinare gli amanti dell'arte e gli studiosi a 500 anni dalla morte dell'artista. Il suo lavoro è stato descritto come molte cose, dall'eretico al pornografico e al fantastico, ma in tutto il suo lavoro le scene sono dettagliate e complesse e lo spettatore può vedere di più più a lungo guardano. Poiché poco è stato registrato su Bosch e sulla sua vita, è difficile capire con una certa certezza cosa abbia influenzato il pittore. Quello che si sa è che suo nonno, suo padre e gli zii erano tutti pittori, ma nessuna opera d'arte sembra essere sopravvissuta di questi membri della famiglia. Il padre di Hieronymus, Anthonius van Aken, è registrato come consulente artistico dell'Illustre Confraternita di Nostra Beata Signora, un ordine religioso in una città vicina. Questo coinvolgimento della famiglia con la religione avrà fornito a Bosch una visione profonda della Bibbia. Ci sono pochi lavori che possono essere attribuiti a Hieronymus Bosch con assoluta certezza. Sono state firmate solo sette opere e non ha datato nessuna delle sue opere, quindi la maggior parte delle informazioni che abbiamo è stata concordata mettendo insieme i documenti che circondano l'artista. Ha prodotto trittici, dittici e polittici con alcuni pannelli singoli, e quasi tutti sono stati dipinti ad olio su quercia. Le scene raffigurano storie religiose, ma con qualità oniriche e fantastiche che possono essere macabre e inquietanti. Poiché molti dei suoi dipinti sono composti da più parti, le scene raccontano una storia di avvertimento. I pezzi spesso ritraggono un ideale, seguito dalla realtà, ad esempio, o un prima con una scena successiva. Sono stati descritti come un avvertimento di ciò che accadrà se l'uomo cederà alla tentazione. Di Hieronymus Bosch non è certo nemmeno l’anno di nascita. Pare si sia trattato del 1453, quando alla famiglia del pittore Anthonis Van Aken si aggiunse il neonato Jeroen. I Van Aken abitavano a s’Hertogenbosch, una florida cittadina del Brabante settentrionale, conosciuta anche come Den Bosch o Bois-Le-Duc o Bolduc: oggi è ricca città olandese di circa 140 mila abitanti, facilmente raggiungibile da Amsterdam in auto in meno di un’ora e mezzo e da Bruxelles in meno di due ore. Lodovico Guicciardini, mercante con la passione della scrittura e discendente del più celebre Francesco, nel 1567 diede alle stampe Descrittione di Lodovico Guicciardini patritio fiorentino di tutti i Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore. Dunque una cittadina difesa da ottimi cavalieri e fanti, ma soprattutto ricco borgo mercantile, artisticamente dotato. Tra i prodotti più richiesti di s’Hertogenbosch le stoffe, i coltelli e le spille preziose. Una breve visita nell’odierna cittadina del Brabante restituisce un’immagine di ricchezza e di tranquillità: oggi l’agricoltura è molto curata e profittevole, l’artigianato di qualità continua a sfornare prodotti molto richiesti e la vita in città sembra scorrere serenamente intorno alla monumentale bellezza della Cattedrale di San Giovanni, la testimonianza gotica maggiormente considerata nei Paesi Bassi. Il più celebre personaggio storico della città è Bosch, cui è dedicato un interessante Jheronimus Bosch Art Center, con riproduzioni in varia grandezza delle sue opere. Tuttavia è tra i personaggi celebri della città di Antwerpen -Anversa che lo stesso Guicciardini nomina Bosch, annoverandolo tra i grandi artisti che ivi hanno dimorato: la notizia non è certa ma è assai probabile. Jeroen Van Aken apparteneva a una famiglia di pittori molto considerati: il nonno, Jan, è il certo autore dell’affresco di una Crocifissione datato 1444 della cattedrale di s’Hertogenbosch, e alcuni critici gli attribuiscono altre opere affrescate. Il padre di Jeroen, Anthonis, gestiva una rinomata bottega pittorica, che alla sua morte (1478) passò al figlio Goessen, maggiore di Jeroen di dieci anni. L’apprendistato di Bosch si svolse probabilmente ad Antwerpen, da cui sarebbe tornato alla fine degli anni ’70 del 1400 per sposare la ricca borghese Aleyt de Meervenne. La famiglia della sposa gli spalancò le porte della società benestante di s’Hertogenbosch, eliminando le preoccupazioni economiche dalla vita del pittore il quale, nel frattempo, aveva adottato lo pseudonimo Bosch per sancire il suo distacco dalla famiglia d’origine e per omaggiare la sua città. Tra il 1468 e il 1516 Bosch figura ripetutamente nei registri della Confraternita di Nostra Diletta Signora (la Madonna) come un adepto d’importanza o “notabel”, titolo attribuito solo circa a un centinaio di persone dell’alta borghesia cittadina.
La Confraternita si occupava prevalentemente di opere di carità e di pratiche devozionali, ed ebbe un ruolo importante nell’apertura di case d’insegnamento ispirate dalla “devotio moderna” della Congregazione dei Fratelli della Vita Comune. Questo gruppo sorse dalle predicazioni di Jan van Ruysbroek e del suo discepolo Geert Groote, fortemente polemici con gli eretici (in particolare con la setta degli Adamiti, propugnatori di un ritorno al cristianesimo puro e primitivo) e con il clero corrotto (si tratta insomma di un gruppo di riformatori precedenti Martin Lutero). Nell’ambito della Confraternita si ritiene che sia stato scritto il volume Imitatio Christi, l’opera religiosa della letteratura cristiana occidentale più diffusa dopo la Bibbia. Tra il 1480 e il 1485 Erasmus da Rotterdam passò tre anni nella casa d’insegnamento della Confraternita di s’Hertogenbosch. Nel 1504, Bosch ricevette 36 “livres” per una tavola dipinta commissionata da Filippo il Bello, figlio dell’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano I d’Asburgo. In quel periodo Bosch figura ripetutamente nei documenti contabili della sua città come grande contribuente.
Nel 1516, in data 9 agosto, i registri della Confraternita di Nostra Diletta Signora riportarono la morte di “Hieronymus Aken, alias Bosch, insignis pictor”. Questo è quanto sappiamo della vita di Jeroen Van Aken, detto Bosch. Salvo quelle menzionate conosciute universalmente , non esistono testimonianze certe su di lui, né il pittore ci ha lasciato lettere o altro tipo di documento autografo che possa consentire di risalire direttamente alla sua vita. In assenza di rinvenimenti documentali, tutto ciò che gli storici dell’arte hanno potuto ipotizzare si basa su indagini indiziarie, nessuna delle quali permette di dire una parola definitiva su questioni di volta in volta grandi e piccole. Ad esempio, nessuna prova esiste di viaggi compiuti da Bosch nel corso della sua esistenza. Ciononostante alcuni interpreti considerano probabile almeno un viaggio, in Italia. Gli indizi proverrebbero dalla presenza di elementi italici nei dipinti di Bosch successivi al 1500 e alla rapida comparsa nel Palazzo Ducale della Serenissima Repubblica di Venezia di grandi dipinti del pittore fiammingo . Si tratta di indizi in ogni caso non risolutivi. La potenza dell’opera complessiva di Bosch rappresenta un enorme caso per la storia iconografica dell’umanità. Vorrei in questo scritto riferirmi però unicamente a un suo dipinto, quel Trittico del Giardino delle delizie esposto al Prado di Madrid che, forse ancor più di altri capolavori di Bosch, si presta a lasciarsi osservare come un concentrato iconografico di misteri, bellezze e atrocità, in un’esplosione di complessità grafica talmente eclatante da porre il problema delle fonti d’ispirazione dell’autore. Dal punto di vista materiale, il Trittico è un dipinto su supporto ligneo: aperto, misura 220 centimetri di altezza per 389 di larghezza . Il primo pannello, quello di destra (97 centimetri di larghezza), è chiamato La creazione di Eva (o Il Giardino dell’Eden). Quello centrale (195 centimetri di larghezza) dà nome all’intera opera: si tratta de Il Giardino delle delizie. Il pannello di sinistra (97 centimetri) è conosciuto come L’Inferno Musicale. Chiuso, il Trittico ha una larghezza di 194 centimetri e presenta sulle ante richiuse un quarto dipinto, da cui prende le mosse la lettura dell’intera opera: si tratta, secondo tutti gli specialisti, del Terzo giorno della creazione del mondo, un’immagine affascinante dipinta con la tecnica della grisaglia, cioè con sfumature a monocromo di bianco e grigio. La scheda dedicata al Giardino delle delizie nel sito del Museo del Prado avvisa che è un’opera moralistica e una delle creazioni più enigmatiche, complesse e belle di Bosch, realizzata nell’ultimo periodo della sua vita. Fu acquistata nell'asta dei beni del priore don Fernando, figlio naturale del granduca di Alba, e fu portata da Filippo II all'Escorial nel 1593. Fa parte del deposito del Patrimonio Nazionale presso il Museo del Prado dal 1939. Le notizie sull’acquisizione spagnola del dipinto sono certe. La questione della datazione è invece più problematica, perché l’analisi dendrocronologica del supporto ligneo ha rivelato che si tratta di un reperto databile intorno al 1465. L’usanza del tempo era di far asciugare il legno per molti anni, solitamente anche più di dieci e talvolta venti. Tuttavia un singolo particolare del dipinto un ananas, evidentemente importato in Europa dopo i primi viaggi transoceanici conforta l’opinione degli studiosi che, in seguito a osservazioni stilistiche sui diversi periodi dell’arte di Bosch, datano il Trittico tra gli ultimi anni del 1400 e i primissimi anni del 1500.
Cominciamo a osservare il dipinto. Il suo principium è il Trittico “chiuso”, una struttura come abbiamo visto piuttosto imponente . L’ipotesi più accreditata tra gli studiosi è che il mondo che Bosch ci consegna come creato nel terzo giorno sia quello della Genesi : “Poi Dio disse: ‘Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo e appaia l’asciutto.’ E così fu. Poi Dio disse: ‘Produca la terra della vegetazione, delle erbe che facciano seme e degli alberi fruttiferi. Fu sera, poi fu mattino: terzo giorno”. Stefano Zuffi ricorda che non sempre l’esterno del Trittico è riprodotto, nemmeno in molti libri d’arte. Tuttavia continua non va affatto dimenticato, perché è parte integrante dell’opera. “Con la tecnica della grisaglia, Bosch dà vita a un’invenzione straordinaria: un globo trasparente sospeso nell’oscuro universo, che si anima di vita”. La vita è precedente alla creazione degli animali e dell’uomo: l’artefice è rappresentato nella parte alta dell’anta sinistra, lontano, in una periferia del nulla scuro dell’universo, appena contornato da una luce biancastra. La terra è perfettamente sferica, come sigillata in un vetro che contiene anche scure nuvole da cui non piove nulla, e che però sovrastano questa specie di gioiello naturale, unica cosa vivente nel buio. I tratti di Bosch, la cui magia è aumentata dall’uso della tecnica della grisaglia, ci appaiono quasi come il bozzetto di un’immagine senza tempo: la sfericità e il contorno vitreo del pianeta lo assimilano anzi a un disegno fantascientifico. A richiamare l’essenza biblica dell’intento pittorico campeggiano due versetti in latino, uno sovrastante l’anta sinistra (“Ipse dixit et facta sunt”), l’altro l’anta destra. La caratteristica più sorprendente del Trittico chiuso deriva comunque dal contrasto tra l’oscurità in cui campeggia fantasmatico il globo trasparente e il successivo sfolgorio policromatico del Trittico aperto. Possiamo spingerci a immaginare l’effetto teatrale dell’apertura del grande dipinto, l’emozione dello spettatore del passato di fronte all’esplosione dei colori del Trittico dispiegato dopo la meditazione indotta dalla rappresentazione della creazione divina. Nonostante il primo pannello del Trittico, quello di sinistra, sia meno denso di particolari e meno affollato di figure degli altri due, non si tratta di un dipinto semplice da analizzare . In primo piano Adamo ed Eva, al centro il Creatore: in questo caso, diversamente dal Trittico chiuso, Dio è rappresentato dalla figura del Cristo, tema e costume medievale. La creazione di Eva è già avvenuta , perché l’artefice ne solleva delicatamente il corpo sostenendone il polso destro. In questo caso però il sostegno sarebbe più agevole se il palmo della mano del Creatore fosse rivolto verso l’alto: accade invece il contrario , come se la pressione esercitata sul polso di Eva la obbligasse invece ad abbassarsi, in vista di un omaggio deferente verso Adamo incoraggiato dal Creatore. L’intera figura di Eva è nuda e bianchissima, caratterizzata dalla postura (ascendente o discendente) con le gambe piegate pur in assenza di sforzo. I capelli sono biondi e lunghissimi. Il personaggio, nel suo insieme, è avvolto nella pudicizia e nel silenzio mistico dell’azione divina. Guarda in basso, rispettosa e timorosa. Adamo, alla destra del Creatore, è seduto sull’erba a rimirare con un certo stupore il miracolo.
Anche Adamo è bianchissimo: le sue lunghe gambe si allungano fino al Creatore, la cui veste è toccata dai piedi del primo uomo, come se questi cercasse un contatto e una protezione. Eva ha gli occhi chini e semi-chiusi, Dio guarda direttamente in volto chi osserva il Trittico e Adamo sembra guardare Eva. Il suo sguardo è aperto, sorpreso e insieme positivo. Mentre il Cristo-Creatore alza tre dita della mano destra in atto di benedizione, simbolo della trinità e numero del superamento della coppia, in basso rispetto ai lembi delle sue vesti sbatte le ali un uccello con tre lunghi colli e tre teste. Non è certo l’unica mostruosità del primo pannello. L’iniziale sensazione di pace del dipinto ambientato nell’Eden, dovuta alla centralità della composizione su descritta, si rompe di fronte al moltiplicarsi dei segnali di anomalia e di mostruosità, provenienti dal mondo animale. Alcune presenze sembrano uscire da una rivisitazione di repertori tardo-medievali come la giraffa del registro centrale, assimilabile a un’illustrazione presente nei Commentaria di Ciriaco d’Ancona , altre sembrano scaturire dalla fantasia febbrile dello stesso Bosch.Il significato generale della presenza di animali mostruosi sembra racchiuso in una convinzione: nemmeno l’Eden è alieno dallo strisciante protagonismo del male.
Nell’Eden esotico della creazione di Eva trovano posto giraffe ed elefanti, unicorni, capricorni e una serie di animali non classificabili. Le possibili esplorazioni sugli inserimenti zoologici di Bosch riconducono a tre percorsi. Il primo riguarda una sorta di incanto estetico del pittore per il lato fantastico della vita animale, sollecitato dai bestiari medievali, ampiamente circolanti in Europa. Il secondo si riferisce a un passo della Genesi (2:19-20): “Formati che ebbe il Signore Dio dalla terra tutti i volatili del cielo, li condusse ad Adamo, acciò vedesse come chiamarli; il nome infatti col quale Adamo chiamò ogni essere vivente, è il suo vero nome. E Adamo chiamò coi loro nomi tutti gli animali, e tutti i volatili del cielo, e tutte le bestie della terra. ” Gli animali “fantastici” di Bosch non hanno nome e tuttavia “esistono” e rivestono un ruolo non marginale nell’economia del dipinto: ciò potrebbe stare a significare che Adamo non ha dato loro il nome perché inadatti a rappresentare l’Eden, ovvero che nell’Eden di Bosch si crea lo spazio per una sgradita presenza senza nome. Al comando di Dio vi sarebbe dunque da registrare una violazione primigenia, il cui esito è una silenziosa invasione di bestie fantastiche, ma in più di un caso (rospi neri ad esempio: una delle trasfigurazioni medievali del demonio) accostabili al male. Sono fogli delicatissimi, riuniti per la prima volta a formare un unico corpus che ci porta più vicino all’artista e alle sue invenzioni, circa venti, oggi considerati autografi. Si posizionano all’inizio di una tradizione in cui la carta veniva usata come supporto per disegni o schizzi e costituiscono, per i Paesi Bassi, una vera rarità, dato che dei contemporanei di Bosch non è rimasto quasi nulla. Schizzi spontanei, dove si percepisce il desiderio di dar libero sfogo alla fantasia, di fissare delle idee. Il disegno dunque, per la prima volta analizzato come tale e non solo in rapporto ai dipinti, era per Bosch un mezzo per inventare o creare nuove forme. Questo fatto è ben illustrato da un foglio di recente attribuzione. È un Paesaggio infernale pieno di creature impossibili, proveniente da una collezione privata e presentato al pubblico per la prima volta. La scena è frenetica e caotica. Al centro una rete per le anime perse, date in pasto a un mostro demoniaco con una ruota gigante. Sopra vediamo esseri umani che pendono come batacchi per una campana, a destra un drago vomita anime in un calderone, sotto vi sono persone a cavallo della lama di un coltello. In basso una botte con un volto che conosciamo, piedi bestiali, gambe umane. In passato fu ritenuto un lavoro di bottega, ma i dettagli minutissimi che lo percorrono offrono un esempio unico di come Bosch lavorava a livelli diversi nel costruire i suoi paesaggi infernali. Grande inventore di personaggi inquieti, animali mostruosi, diavoli operai. Piccoli elementi di grande fascino, appena abbozzati, talvolta segni minuscoli ma efficaci, sono stati confrontati con altri di dimensioni maggiori (dipinti anche nel Giardino delle Delizie), e documentati in mostra con grande chiarezza. Tra gli altri straordinari studi si può ammirare la Adunata degli uccelli, (Berlino, Staatlichen Museen zu Berlin), nella quale Bosch dimostra di essere un attento osservatore della natura e dei suoi comportamenti, e ci sorprende con un campo di battaglia popolato da schiere di uccelli e di altri animali. C’è poi un foglio di otto piccole ‘streghe’, apparentemente figure uscite dalla vita di tutti i giorni che però hanno strani comportamenti: una viaggia su una pala per il pane, e ha un gufo appollaiato dietro di lei, un’altra cavalca la ruota di un carro, una terza tiene delle pinze enormi e così via. Una serie di ‘modelli’, non sono figure che interagiscono tra loro. La cosa singolare di questo foglio è che porta una firma in basso, Bruegel manu propria. Si ritiene che un proprietario di questo disegno, verosimilmente nel sedicesimo secolo, pensò fosse un lavoro di Bruegel e aggiunse l’iscrizione. L’opera di Bosch fu indubbiamente di grande ispirazione per molti pittori che seguirono, e fu ripresa anche da Bruegel tanto da creare simili confusioni. Ma il disegno forse più particolare e conosciuto di Bosch è un vero gioiello, e porta in alto un motto (scritto in latino), l’unica iscrizione su carta considerata autografa: povero è lo spirito che ricorre di continuo a invenzioni di altri senza concepire mai nulla di suo. È un piccolo foglio con al centro un albero cavo, spoglio. Al suo interno una civetta sproporzionata, forse, questa volta, simbolo di saggezza, ci osserva. Altri uccelli ignari della sua presenza sono posati sui rami alti. A terra una volpe.
Due grandi orecchie ai lati del bosco, sette occhi sparsi nel prato sul davanti. Il bosco ha orecchi, il campo ha occhi, è un antico proverbio anche olandese ( campus have oculos, silva aures). Un dizionario tedesco del 1500 dedicato ai modi di dire lo spiega così: siamo sempre osservati e non dovremmo indulgere in comportamenti che vorremmo tenere riservati. Un invito alla discrezione? Non è solo questo. Il gioco di Bosch è più sottile e coinvolge l’individuo, l’artista con il suo credo annotato in cima al foglio, rimanda al nome della città, che significa bosco (tanto che aveva nel sigillo una pianta come emblema), al cognome scelto dall’artista, Bosch (bosco) e al titolo dato all’opera, nell’iscrizione in basso, Jero:bosch. Siamo dunque di fronte a un gioco concettuale, un magnifico autoritratto. È da più di un secolo che gli storici dell’arte cercano di fare ordine nell’opera di Bosch, e fino a sessant’anni fa gli venivano attribuiti quasi una quarantina di dipinti, e solo qualche disegno. La problematica è complessa: nessun dipinto è datato; Jheronimus proveniva da una famiglia di pittori che operavano in un contesto di bottega; nel XVI secolo le sue opere furono tanto popolari da essere spesso copiate, imitate o falsificate. Molte sono le copie e le imitazioni che portano la firma inscritta in gotico del pittore. Già nel 1560 Felipe de Guevara sollevava l’argomento nel Comentarios de la pintura (1560) “vi sono moltissimi dipinti in questo stile che sono falsamente iscritti con il nome Jheronimus Bosch”. Questo fatto, che dimostra quanto innovativa e apprezzata fosse la sua opera, ha però creato nei secoli molta confusione, anche rispetto alla sua immagine storica. L’obiettivo dei ricercatori del Bosch Research and Conservation Project è stato in primo luogo proprio questo: collaborare con tutti i musei, studiare l’opera in modo sistematico, e trovare delle risposte che, sfrondando tutto ciò che non risulta autografo, aiutino a ricostruire e a capire meglio il lavoro dell’artista nella sua complessità, al di là della fitta giungla di interpretazioni. Sono analizzati tutti i dipinti oggi ritenuti di Bosch e suoi venti disegni. Abbiamo poi l’analisi di nove dipinti che i ricercatori ritengono di ‘seguaci’, tra i quali va citata un’opera iconica spesso illustrata nei manuali di Storia dell’arte, la salita al Calvario o Cristo protacroce , Il prestigiatore e il frammento del Giudizio Finale sono inseriti nello stesso gruppo. L’estrazione della pietra della follia, I sette peccati capitali sono invece indicati come ‘bottega o seguaci’. Una vera rivoluzione, se si pensa che alcuni di questi erano ritenuti dipinti “giovanili”. I 20 disegni conosciuti costituiscono per la prima volta un corpus importante dell’opera e sono discussi separatamente, se pur nel contesto anche pittorico. Gli ausili tecnici oggi sono diversi, come per esempio la riflettografia agli infrarossi che aiuta a render visibili i disegni sottostanti, il cui studio, nel caso di Bosch, è stato fondamentale anche perché il maestro creava sovente in fase pittorica discostandosi dal disegno. Inoltre c’è l’analisi dei pigmenti, dei materiali, e la dendrocronologia, che fornisce la datazione del legno e del manufatto. Un altro punto di partenza di rilievo è stato il raffronto dei piccoli particolari, prendendo spunto dal ‘metodo Morelli’. Verso la fine dell’Ottocento lo studioso lombardo Giovanni Morelli , mise a punto un nuovo metodo di attribuzione dei dipinti antichi che si basava sull’analisi dei particolari più trascurabili, come orecchie, dita, unghie, in breve quei segni rivelatori che un artista produce senza pensarci troppo le sue teorie attirarono l’attenzione anche di Freud. I ricercatori hanno ripreso e sviluppato questa idea partendo dalle macrofotografie comparate; i risultati sono sorprendenti. Bosch, bottega o seguace? Gli interrogativi sono ancora molti, ma quello che più conta è che ogni epoca scopra un nuovo Bosch. Nel vedere il cuore dell’opera, sfrondata, si ha l’impressione di avere a che fare con un artista melanconico, un viandante che con le poche cose nello zaino sa osservare l’uomo e l’umanità intera, la natura, le cose. I suoi dipinti sono di raffinata eleganza, coraggiosa finezza; non c’è orrore nelle sue creature infernali, nelle mille invenzioni di creature ibride, scompaginante nelle reciproche proporzioni. Ha immaginato la calura dell’inferno ma ha dipinto cieli troppo veri tra fuoco e fumo per essere cieli immaginati, forse quell’inferno l’aveva vissuto da bambino (o ragazzo?) quando mezza ’s-Hertogenbosch fu devastata da un grande incendio. Era il giugno 1463. Quanti anni avesse non lo sappiamo. Il percorso si propone di illustrare lo strepitoso successo del linguaggio artistico di Jheronimus Bosch nell’Europa meridionale e addirittura oltre oceano, nel periodo compreso tra il Cinquecento e gli inizi del Seicento, con particolare riferimento alle tendenze del collezionismo dell’epoca, soprattutto in Italia e in Spagna. Così a Venezia l’unicità espressiva di Bosch venne prontamente colta da uno dei maggiori collezionisti del tempo, il letterato e cardinale Domenico Grimani. È grazie al suo gusto lungimirante e alla collezione Grimani, custodita nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, se oggi in Italia possiamo vantare ben tre opere di Bosch, tra le quali il Trittico degli Eremiti, ora esposto nelle sale di Palazzo Reale. Lo stesso si può dire della Spagna, dove, dal XVI secolo fino ad oggi, si trova la gran parte delle opere principali di Bosch, fra il Museo del Prado e il Monastero dell’Escorial. Non a caso sono autori spagnoli i primi e più impegnati critici di Bosch. Era questa in modo particolare l’area geografica e culturale in cui le opere dell’artista e dei suoi seguaci furono richieste. Potremmo affermare a questo proposito che il linguaggio boschiano, nei decenni successivi alla morte del Maestro, stava alla base di un’operazione imprenditoriale senza precedenti a livello europeo. In effetti la fortuna del linguaggio boschiano è all’origine di un vero e proprio ‘Rinascimento alternativo’, che risulta poco riconosciuto anche nella letteratura specialistica. La ‘moda’ delle immagini ‘alla Bosch’, affermatasi in Spagna e in Italia e successivamente nel resto d’Europa, si rifletteva in una serie di spettacolari opere d’arte realizzate in molteplici tecniche e di varie provenienze, tra cui si distingue lo strepitoso ciclo dei quattro arazzi dell’Escorial e l’arazzo con l’elefante del pittore francese Antoine Caron. Tutte queste opere attestano la diffusione mediterranea di motivi visionari e onirici, ispirati all’immaginario dell’artista fiammingo. Queste creazioni, a loro volta, stimolarono un nutrito numero di pittori e incisori di spicco. In particolare le stampe che diffondevano il linguaggio boschiano, tra cui emerge l’opera di Pieter Bruegel il Vecchio (il più importante seguace di Bosch) presente in mostra con una decina di incisioni derivate da sue composizioni. Le incisioni contribuirono in maniera decisiva alla diffusione del gusto per le immagini di incendi notturni, scene di stregoneria, visioni oniriche e magiche. Lo confermano opere come lo Stregozzo di Marcantonio Raimondi o Agostino Veneziano, il Mostro marino di Albrecht Dürer e il capolavoro letterario - editoriale di Aldo Manuzio, la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna e anche l’Allegoria della vita umana di Giorgio Ghisi. La proliferazione di oggetti rari, bizzarri e preziosi che caratterizza la moda delle collezioni eclettiche tipiche del gusto internazionale cinquecentesco viene evocata nell’ultima sala, allestita come una originale Wunderkammer, grazie alla collaborazione del Museo di Storia Naturale di Milano e delle Raccolte del Castello Sforzesco. La presenza studiata e calcolata di una trentina di oggetti da ‘camera delle meraviglie’ riporta a un confronto immediato e diretto con la rappresentazione caotica e irrealistica di uno dei capolavori più impegnativi di Bosch: Il giardino delle delizie, presente in mostra nella doppia versione di un dipinto coevo e di un arazzo.
Particolarmente famose erano le Wunderkammern degli ultimi sovrani Asburgo e in particolare di Rodolfo II d’Asburgo, il cui ritratto, il famoso Vertumno dipinto dall’artista milanese Arcimboldo (un eccezionale prestito del Castello di Skokloster, Svezia), è presente in mostra all’interno della wunderkammer riprodotta e rappresenta in pieno l’eclettismo tipico di questo gusto collezionistico. La magia e il sogno, con la loro natura imprevedibile e non dominata dalla razionalità, sembrano l’esito di una visione ‘in trasparenza’ della realtà quotidiana, che mette a nudo le inquietudini, le ossessioni e la natura contraddittoria dell’uomo e della società: un clima culturale che troviamo ampiamente diffuso alla vigilia di quelle svolte epocali che sarebbero state la Riforma prima e la Controriforma poi. Queste categorie figurative sono anche l’occasione per indagare le profondità del mondo interiore e le sue incongruenze e renderle oggetto di riflessioni apprezzate presso ambienti colti e curiosi e tra un pubblico non estraneo a propositi marcatamente morali. Le composizioni religiose e profane di Bosch sono anche dominate dal concetto di complessità del reale che, nella sua estremizzazione si popola di figure scomposte, di situazioni paradossali e illogiche, di esseri destrutturati, mostruosi e crudeli, ma anche di figure purissime di giovani ignudi che popolano la terra senza pudori: insomma un mondo capovolto. In questo universo la tentazione e l’errore sono sempre in agguato, pronti a rovinare l’uomo. L’uomo del Cinquecento era consapevole che le opere d’arte portavano messaggi simbolici che andavano interpretati in senso educativo e formativo e pensiamo che in questa dimensione accogliessero e apprezzassero questi soggetti con particolare favore. Il cosiddetto ‘mondo delle grottesche’ è l’altra faccia della stessa medaglia del fantastico in Bosch. La moda dell’arte ‘alla Bosch’ rimanda infatti a un interesse già affermato per le “mostruosità” e il “grottesco”, che apparve in maniera dirompente alla fine del Quattrocento in Toscana e in Italia settentrionale in dipinti, disegni, incisioni e bronzetti di ottima fattura e grande fantasia (Bernardo Parentino, Severo da Ravenna, Marcantonio Raimondi, Giorgio Ghisi), ma anche nella moda delle grottesche all’antica, che si diffuse nei primi anni del Cinquecento in Italia, Spagna e Francia. Alla fine del percorso un’opera audiovisiva di Karmachina, Tríptiko. A vision inspired by Hieronymus Bosch, con musiche di Fernweh, mette in scena un viaggio attraverso il mondo onirico del pittore fiammingo. Il titolo richiama il formato dell’opera principale da cui trae origine lo spettacolo, il Trittico del Giardino delle Delizie. L’opera alterna momenti più figurativi, dove è maggiormente evidente il rimando alle tavole di Bosch, ad altri più astratti, che evocano liberamente la natura visionaria e ‘lisergica’ dell’opera del maestro. I dipinti sono riportati in vita grazie all’utilizzo delle più innovative tecnologie: le opere pittoriche, rielaborate attraverso tecniche di animazione digitale, partecipano così alla costruzione di un racconto immersivo, suggestivo e ammaliante.
Il Percorso della Mostra è così suddiviso :
Introduzione alla mostra
Eccezionalmente in Italia, Milano celebra la figura di Jheronimus Bosch (c. 1450-1516), uno degli artisti più enigmatici e curiosi del Rinascimento, e la sua fortuna nell’Europa meridionale, riunendo nella suggestiva cornice di Palazzo Reale alcuni dei suoi rari dipinti autografi e diverse opere di suoi allievi e seguaci. Il nome “Bosch” non può non evocare scene di inferni popolati da creature mostruose, notti allucinanti illuminate da incendi e personaggi che oscillano fra il grottesco e il ridicolo. Sin dai primi commenti cinquecenteschi sulla sua opera, infatti, Bosch è stato definito un pittore di mostri ed incubi e la sua bizzarria, la sua eccezionalità sono sempre state riconosciute e messe in evidenza. Questo perché i suoi dipinti caotici, affollati da ibridi e chimere, offrono un’immagine molto diversa da quella di equilibrato classicismo e bellezza ideale che la tradizione storico-artistica associa al concetto di Rinascimento. Uno degli obiettivi di questa mostra è fornire una diversa prospettiva, che si discosti dalla concezione di un Rinascimento uniforme, monolitico e di stampo tosco-romano, ovvero quello descritto dalla narrazione vasariana. Si propone invece l’idea di un momento storico multiforme, in cui l’arte di Bosch sia rappresentativa di un Rinascimento “alternativo”, parallelo a quello classicheggiante; ma non solo, anche ad altri “Rinascimenti” – molteplici – che hanno caratterizzato centri e periferie artistiche in questi secoli di grandi scoperte e di curiosità culturale. I punti cardine della mostra sono gli esiti dell’impatto della cultura immaginativa boschiana e il contesto della loro recezione. Perciò, anziché una convenzionale presentazione monografica, si propongono sezioni tematiche e stimolanti confronti tra dipinti dell’artista e una varietà di pitture e oggetti d’arte. Sono presenti anche opere grafiche, fondamentali per la diffusione delle invenzioni dell’artista dentro e fuori l’Europa; una spettacolare serie di quattro arazzi “alla maniera di Bosch” che non è mai stata esposta integralmente fuori dalla Spagna finora; e si è ricreata un’ideale Wunderkammer, o camera delle meraviglie, la cui forma e contenuto rispecchia la varietà e la peculiarità di oggetti e personaggi riprodotti negli affollati dipinti boschiani. La fortuna di Bosch e del suo immaginario come fenomeno di rilevanza europea ha origine nei territori mediterranei, specialmente in Italia e in Spagna, dove il contesto artistico e culturale, già imbevuto di una tradizione del grottesco e del caricaturale, fornisce terreno fertile per l’apprezzamento dell’opera boschiana. È in Italia, nelle collezioni veneziane di Domenico e Marino Grimani, e nelle corti spagnole e centroeuropee degli Asburgo, la casata che nel XVI secolo dominava sull’Europa, che troviamo i più precoci esempi di un collezionismo affascinato dalle opere di Jheronimus Bosch, ed è in questi ambienti che prende forma il cosiddetto “fenomeno Bosch”, che avrà un impatto significativo sul “lungo Cinquecento” europeo. Concludiamo con un invito: non si può guardare un’opera di Bosch nel suo insieme, con sguardo distratto, e passare oltre, perché Bosch è un creatore di universi in miniatura, che possono essere osservati e studiati per secoli, senza mai smettere di sorprendere.
Jheronimus Bosch e il fantastico
Con le sue scene infernali e oniriche, nel corso del Cinquecento la figura di Jheronimus Bosch viene associata a un Rinascimento fantastico, bizzarro e inusuale che coesiste con quello mimetico e classico, presentato da teorici e storiografi come il Rinascimento “ufficiale”. È il cronista Marcantonio Michiel a fornire la prima descrizione delle opere di Bosch come “inferni”, “mostri” e “sogni”, dimostrando come le sue invenzioni venissero recepite dagli spettatori fin dai primi anni del XVI secolo. Michiel si riferisce alle tavole nella collezione veneziana del cardinale Domenico Grimani, che quasi certamente possedeva il Trittico dei santi eremiti assieme ad altri suoi dipinti. Questa immagine di Bosch come artista fantasioso, o come “pictor gryllorum”, ovvero pittore di scene ridicole, viene adottata prima in Italia e in Spagna e poi nel resto d’Europa, cristallizzandosi per i secoli a venire. Il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio è un’opera magistrale che si può considerare emblematica dell’opera di Bosch, perché presenta tutte le caratteristiche associate al suo nome: i fuochi infernali che guizzano nella notte, le architetture contorte, ma soprattutto la miriade di mostri, ibridi e personaggi grotteschi entro scene inquietanti o stravaganti. Non è un caso che si parli di “immaginario boschiano” quando ci si riferisce a queste invenzioni fantasiose e grottesche. Elementi simili, ma più attenuati, sono presenti anche nelle Meditazioni di san Giovanni Battista, frammento di un altare più grande per una commissione prestigiosa. Qui è ancor più evidente come, per fruire appieno l’opera di Bosch, occorra avvicinarsi e osservarne i dettagli, scoprendo continuamente particolari nuovi e sorprendenti. Questo atteggiamento richiesto allo spettatore ne stimolava la curiosità, e lo portava a riflettere sul contenuto dei dipinti, che non si esauriva a un primo sguardo. L’opera boschiana, infatti, si presta a diversi livelli di lettura, sia moralistico-religiosi sia ridicoli e allegorici, invitando alla conversazione dotta per la sua pluralità semantica.
Classico e anticlassico tra Italia e Penisola Iberica
Nell’Europa meridionale la recezione dell’opera boschiana si lega all’aspetto fantasioso delle sue opere e all’utilizzo di un linguaggio visivo bizzarro che si discosta da quello considerato “classico”. Nell’immaginario comune, dovuto in gran parte alla narrativa del Rinascimento come italocentrico e classicista, Bosch diventa esemplare di un “altro Rinascimento”. Eppure, la dicotomia che nel Cinquecento oppone classico e anticlassico non era così radicale come afferma la storia dell’arte tradizionale. Ne è un esempio Leonardo da Vinci, artista paradigmatico del Rinascimento, che nel suo Codice Trivulziano, tra appunti e studi tecnici, inserisce dei volti caricaturali non molto differenti da quelli rappresentati da Bosch negli stessi anni. Una particolare versione del fantastico e del mostruoso che diventa popolare nel Cinquecento italiano è quella delle grottesche. Si tratta di una forma decorativa di origine classica, riscoperta negli affreschi della Domus aurea, che viene diffusa soprattutto attraverso le sue elaborazioni raffaellesche. Questo tipo di decorazione appare in Italia secondo forme e contesti molto diversi: come motivo a stampa nell’esempio di Nicoletto Rosex, in forma di arazzo su disegno di Perin del Vaga, su un prezioso scudo da parata milanese. Anche in Spagna il gusto per la decorazione fantastica e mostruosa è introdotto attraverso la grottesca, e precede l’interesse per l’opera di Bosch che caratterizzerà la corte asburgica di Filippo II. Uno degli artisti fondamentali per la diffusione di questa forma decorativa è Alonso Berruguete, autore del Retablo de San Benito. I motivi fantastici appaiono nell’architettura di altre città come Salamanca, per esempio la serie di capitelli mostruosi nel chiostro del convento di las Dueñas. Si sviluppano perciò molteplici interpretazioni del fantastico, che fanno capo a diverse tradizioni, ma che continuano a coesistere per tutto il XVI secolo. Così troviamo il boschiano scudo di Praga accanto alla postraffaellesca Rotella milanese, e assieme alle decorazioni all’antica italiane compaiono motivi “alla fiamminga” nei palazzi di Lagnasco, Sabbioneta e addirittura nella Casa dello Zecchiere a Milano.
Il sogno
Nell’Europa meridionale, il nome di Bosch viene associato fin dai primi decenni del Cinquecento all’invenzione pittorica di inferni, sogni e incubi. Questa interpretazione in chiave fantastico-onirica si sviluppa nel contesto di un rinnovato interesse letterario per il tema del sogno, alimentato dalla riscoperta di manoscritti antichi su questo soggetto. Un esempio è l’Onirocritica, trattato greco sull’interpretazione dei sogni di Artemidoro di Daldi in cui si descrivono le diverse tipologie di sogno e i loro simboli. Sulla scia di questi testi nascono opere visionarie e immaginifiche, in cui s’intrecciano elementi umoristici, erotici, filosofici e di critica sociale. Nel 1499 viene pubblicato un testo che avrà un grande impatto sulla cultura cinquecentesca, ovvero l’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, in cui si svolge un viaggio allegorico di stampo classico. Accanto a questo genere prende forma nel Nord Italia anche quello della letteratura maccheronica, in cui si utilizza un linguaggio misto di latino e dialetto per raccontare storie grottesche. Il Baldus, poema maccheronico di Teofilo Folengo, edito per la prima volta nel 1517, descrive un viaggio verso l’inferno ricco di dettagli ridicoli e bizzarri che rievocano sia le composizioni boschiane sia l’opera dei suoi imitatori riprendendo ad esempio l’immagine della landa desolata in cui spicca l’ingresso all’oltretomba raffigurato nella Discesa di Cristo al Limbo. Anche nella pittura e nella grafica italiana appaiono rappresentazioni a tema onirico che si rifanno a queste tradizioni letterarie e che recepiscono le invenzioni di Bosch. Un esempio fondamentale è l’incisione del Sogno di Raffaello di Marcantonio Raimondi, che rielabora gli incendi di suggestione boschiana, i mostriciattoli di grafica nordica e le creature ibride riprodotte in bronzetti e calamai cinquecenteschi. La fortunata incisione e le sue atmosfere da incubo vengono poi riprese da opere come il Sogno di Battista Dossi e l’Allegoria della vita umana di Giorgio Ghisi, che nella sua composizione rende ancora più esplicito l’aspetto “alla Bosch”, ispirando altri artisti attivi alla fine del secolo.
La magia
Nel corso del Cinquecento si sviluppa una tematica artistica che resta in voga fino al Seicento inoltrato, ovvero la rappresentazione di riti magici e sabba infernali. Questi soggetti emergono in relazione alla ripresa dei processi per stregoneria sul finire del XV secolo e alla pubblicazione di manuali e trattati per riconoscere e punire le streghe. In questo genere di opere, sia pittoriche che grafiche, vediamo manifestarsi due tendenze particolari, una di stampo classicheggiante, e una invece legata all’immaginario del folklore. La prima tendenza fa riferimento alla cultura umanistica, e ritrae le maghe tratte dalla mitologia e dai testi antichi, focalizzando l’attenzione sull’aspetto seduttivo della narrazione e sull’erudizione delle fonti letterarie. La seconda è più strettamente legata all’elemento diabolico e misogino della stregoneria, che vedeva le donne come più prone a soccombere alle tentazioni del demonio. In questi casi le streghe hanno sembianze terrificanti e grottesche derivate dalle credenze popolari, come nella stampa denominata Lo Stregozzo, che ritrae una vecchia intenta a rapire e divorare i bambini. Nell’Europa meridionale le scene di magia e stregoneria riprendono sin dal primo Cinquecento aspetti grotteschi e mostruosi alternativi al canone classico, e tipici della pittura e della grafica d’Oltralpe. Il Garofalo, già nel 1528, rielabora modelli dei seguaci di Bosch, così come fa il fiammingo Gillis Coignet nella Scena di magia dipinta durante il suo soggiorno in Italia. Nel Seicento, artisti come Joseph Heintz il Giovane e Jan Brueghel il Vecchio sono esponenti di un revival boschiano destinato al collezionismo raffinato e che fa riferimento all’immagine dell’artista sviluppatasi attraverso la stampa e l’opera dei suoi imitatori.
Visioni apocalittiche
Nella dottrina cristiana, il giudizio universale sancisce la salvezza o la punizione eterna tra i tormenti dell’Inferno. Fra Medioevo e Rinascimento, la preoccupazione per la sorte ultraterrena dell’anima si esprime nella copiosa produzione di immagini del “giudizio finale”, ovvero il momento in cui Cristo separa i meritevoli dai peccatori. Questo soggetto è uno dei favoriti tra i committenti e i collezionisti dell’opera di Bosch, che ne possiedono diverse versioni. Una si trovava nelle mani di Filippo I d’Asburgo detto il Bello, padre del futuro imperatore Carlo V, mentre il Giudizio finale qui esposto apparteneva al cardinale Marino Grimani, nipote del collezionista veneziano Domenico Grimani, ovvero uno dei più precoci estimatori dell’arte boschiana in Italia e proprietario del Trittico dei santi eremiti. Nel comporre questo capolavoro assoluto dell’arte rinascimentale, Bosch fa riferimento a esempi sullo stesso tema realizzati dei maestri della pittura fiamminga del XV secolo, fra cui Rogier Van der Weyden, Jan Van Eyck e Hans Memling, ma ne esaspera il carattere immaginifico, popolando il trittico di mostri, ibridi e dettagli allucinanti che invitano lo spettatore ad avvicinarsi e a districarne il contenuto. L’iconografia boschiana del giudizio universale ha un impatto che si estende dall’Europa settentrionale e meridionale fino all’America latina. Mostri ripresi direttamente dal dipinto di Bosch appaiono nelle Tentazioni di sant’Antonio del pittore bresciano Giovanni Gerolamo Savoldo, pittori fiamminghi come Herri met de Bles II detto il Civetta e Pieter Huys rielaborano la composizione, ma è attraverso il mezzo della stampa e dell’emulazione dell’invenzione boschiana attuata da Pieter Bruegel il Vecchio che se ne favorisce la diffusione. Questo immaginario ha successo anche nelle chiese peruviane del XVII secolo, come nel caso dell’enorme Giudizio finale nel convento di San Francesco a Cuzco dipinto da Diego Quispe Tito, e dell’opera pittorica di Leonardo Flores.
Le tentazioni di sant’Antonio
Le molteplici versioni delle tentazioni di sant’Antonio realizzate da Jheronimus Bosch e dai suoi seguaci sono fra le più popolari a livello europeo. La più celebre tra queste è certamente il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di Lisbona, pezzo d’apertura della mostra del quale si contano almeno quarantuno repliche, che fornisce un esempio esaustivo della caotica fantasia associata alla figura di Bosch. Sebbene questo sia il più esemplare, l’artista tratta il soggetto con approcci diversi, come è evidente dalla tavola del Prado, in cui il santo è raffigurato isolato e in meditazione, in una composizione equilibrata ben lontana da quella di Lisbona. L’iconografia di sant’Antonio tormentato dai diavoli e tentato da donne sensuali ha un carattere morale, e offre agli artisti la possibilità di sperimentare con fantasiose combinazioni di mostri e chimere. Sono questi aspetti a rendere popolari le invenzioni boschiane, che però non sono l’unica fonte visiva di riferimento.
Per tracciare la fortuna del tema tra i Paesi centro-europei asburgici e l’Europa mediterranea, occorre infatti ricordare l’esempio dell’artista tedesco Martin Schongauer, il cui sant’Antonio trasportato in cielo dai demoni fa da modello sia allo stesso Bosch sia ai suoi imitatori, come il Maestro J. Kock e Jan Brueghel il Vecchio. Nel corso del Cinquecento, l’iconografia delle tentazioni di sant’Antonio si estende alle rappresentazioni di san Cristoforo e di san Giovanni Battista, ed è rielaborata secondo un linguaggio d’ispirazione boschiana anche dai suoi seguaci, tra cui Pieter Bruegel il Vecchio. Sono questi artisti a stabilire i canoni di un immaginario che soddisfi la domanda dei collezionisti di opere “alla Bosch”, che continua nel secolo successivo con le stampe di Jacques Callot e i dipinti Jan Brueghel.
La diffusione della stampa da Jheronimus Bosch a Pieter Bruegel il Vecchio
Gli aspetti che oggi consideriamo essere propriamente boschiani, dagli inferni ai mostriciattoli ibridi e alle scene grottesche, sono entrati nell’immaginario collettivo attraverso processi di selezione e ripetizione che hanno stabilito il “marchio” Bosch. Infatti, l’immagine di un artista non si definisce solo attraverso la sua opera, ma anche dal modo in cui quest’opera viene valutata, discussa e diffusa attraverso le fonti scritte e le fonti visive. Il principale mezzo di divulgazione dell’immaginario boschiano a livello europeo è sicuramente la stampa. Diversi incisori, in particolar modo fiamminghi, si cimentano precocemente in stampe che riproducono l’opera di Bosch, indicandolo chiaramente come inventore delle composizioni. Si sviluppa tuttavia anche un altro fenomeno, più complesso e interessante, il cui protagonista è Pieter Bruegel il Vecchio, in collaborazione con la casa editrice anversese Aux Quattre Vents di Hieronymus Cock. Bruegel, infatti, non copia dal suo predecessore, ma ne reinterpreta l’immaginario, preferendo l’emulazione all’imitazione. Facendo ciò, crea “nuovi Bosch”, rielaborando e accentuando gli aspetti ritenuti tipici dell’artista. Non è un caso che gli storiografi cinquecenteschi si riferiscano a lui come al “secondo Girolamo Bosco”, ritenendolo l’erede del pittore fiammingo. I disegni di Pieter Bruegel vengono incisi da Pieter Van der Heyden, che traduce in stampa molte delle sue reinvenzioni boschiane, a partire dalla serie dei Sette peccati capitali, ricordata anche da Vasari che ne riconosce sia l’inventiva sia l’intento umoristico. Grazie a questa operazione compiuta su più livelli – teorico, storiografico, grafico – il nome di Bosch rientra a pieno titolo tra gli artisti più celebrati e riconoscibili dell’arte neerlandese fin dal XVI secolo, e il suo “marchio”, o brand, si diffonde per tutta l’Europa e oltre, arrivando fino all’America Latina.
Jheronimus Bosch fra gli Asburgo e i Valois: la serie degli arazzi “alla maniera di Bosch”
L’arte di Bosch ottiene un particolare favore presso gli Asburgo, la dinastia che nel Cinquecento dominava sull’Europa. Allo stesso modo anche il re di Francia Francesco I di Valois, uno dei principali oppositori della casata asburgica, dimostra un interesse per l’immaginario boschiano, che continua per tutto il secolo con i suoi discendenti Enrico II ed Enrico III. Queste famiglie godevano di una grande influenza sia politica sia culturale sul territorio europeo, con esiti artistici di particolare rilevanza. Come esempio di questo esteso fenomeno, per prima cosa considereremo un gruppo di arazzi la cui storia produttiva e collezionistica manifesta l’apprezzamento per l’opera di Bosch di entrambe queste casate. La fortuna di Bosch in ambito asburgico si deve non solo ai regnanti, ma forse ancor di più a una serie di mecenati e collezionisti che facevano parte delle loro numerose corti. Qui ricordiamo in particolare il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, avido collezionista, il cui apporto alla casa degli Asburgo non si limita all’attività politica estendendosi a quella di consigliere artistico, fondamentale nell’educazione del re Filippo II di Spagna. L’interesse di Granvelle per l’arte di Bosch è dimostrato da un gruppo di quattro arazzi che riprendono le sue invenzioni, ma includendole in cornici architettoniche classiche. Gli arazzi derivano da Il giardino delle delizie, Il carro del fieno, Le tentazioni di sant’Antonio e San Martino e i mendicanti, e sono realizzati a partire da una serie, oggi perduta, commissionata proprio da Francesco I di Valois. La serie originale era stata intessuta prima del 1542, e comprendeva un quinto pezzo, non incluso fra quelli appartenuti a Granvelle, che rappresentava la scena dell’assalto a un elefante, tema di cui si discuterà nella prossima sezione. Gli arazzi della serie di Granvelle, come probabilmente quelli appartenuti a Francesco I, non copiano con esattezza le composizioni boschiane, ma in alcuni casi sembrano anche rielaborare e includere il linguaggio “alla Bosch” dei suoi seguaci.
L’assalto all’elefante: il quinto arazzo
La serie di arazzi “alla maniera di Bosch” appartenuta a Francesco I di Valois si completava con un quinto pezzo, il cui tema era l’assalto all’elefante. In particolare, questa scena non riprende una vera propria caccia, bensì una festa di carattere cortigiano in cui si inscenava un attacco a un elefante fittizio. Siccome l’arazzo originale è andato perduto e il gruppo in possesso del cardinale Granvelle non ne ha mai incluso una replica, il suo aspetto si può ricostruire solo attraverso due cartoni e diverse versioni a stampa, tra cui quella di Johannes e Lucas Van Doetecum qui esposta, testimoni anche della popolarità dell’invenzione boschiana. In questa sala non solo si mostrano assieme per la prima volta fuori della Spagna i quattro pezzi della serie, ma si vuole dare un’idea complessiva dell’originale gruppo di arazzi per Francesco I. Perciò si è cercato di integrare idealmente l’immagine dell’arazzo mancante attraverso il cartone degli Uffizi, che fa il paio con quello praticamente inedito di collezione privata, e attraverso il magnifico arazzo delle Feste dei Valois. Quest’ultimo fa parte di una serie commissionata da Caterina de’ Medici per onorare la casata dei Valois e, pur non avendo una relazione tematica o stilistica con gli arazzi di Granvelle, riprende in secondo piano il motivo boschiano dell’assalto all’elefante. L’iconografia dell’elefante rientra sia nel fenomeno rinascimentale del recupero di temi “all’antica”, sia nel gusto per l’esotismo extra-occidentale che si sviluppa nell’arte europea, e compare in diverse occasioni nell’opera di Bosch. Esistono anche corrispettivi scultorei di questo fenomeno, come il bronzetto tedesco di tardo Quattrocento qui esposto. La rappresentazione di un elefante poteva avere anche un significato ideologico, come nel caso della monarchia francese, che ne aveva fatto il simbolo del proprio re.
Bosch, la curiosità e il collezionismo enciclopedico
Nel Cinquecento, nel mondo delle corti si sviluppano forme di collezionismo enciclopedico, o “universale”. Queste collezioni prendono il nome di “camera delle meraviglie”, in tedesco Wunderkammer, e nascono con diversi scopi: in esse si tenta di catalogare il mondo visibile, si esprime lo status sociale del proprietario, e soprattutto si mira a stimolare il pubblico in vario modo, attraverso la curiosità e la varietà degli oggetti esposti. L’opera di Bosch riflette in pittura questo tipo di cultura internazionale di corte del XVI secolo. Quelli creati dall’artista sono infatti piccoli universi popolati da creature fantasiose e architetture bizzarre dove, tra un incendio e una chimera, si trovano anche particolari riprodotti con naturalismo quasi scientifico ed estrema cura per il dettaglio. Le opere del pittore si rivelano veri e propri microcosmi, specchio non solo del macrocosmo naturale ma anche dei sistemi di conoscenza dell’epoca. In questa sala si è cercato non di ricostruire un’antica collezione, ma di rievocare una Wunderkammer “ideale” organizzata secondo le categorie cinquecentesche, che ruota attorno al Giardino delle delizie di Jheronimus Bosch, il cui pannello centrale è qui presente in una rara copia d’inizio Cinquecento. Gli uccelli impagliati, esemplari della classe dei naturalia, si trovano riprodotti quasi esattamente nel Giardino delle delizie, così come gli strumenti musicali, esposti per la loro pregiata fattura a simboleggiare la vanitas, appaiono nel pannello laterale della stessa opera, raffigurante l’Inferno. I vari manufatti presenti rappresentano gli artificialia, ovvero gli oggetti creati dall’uomo, ed esprimono un gusto sia per il bizzarro, ritraendo mostri e chimere, sia per materiali pregiati come il corallo o l’avorio. In chiusura, due opere che possiamo definire mirabilia, mirate a suscitare sorpresa e perfino la risata: una riproduzione dell’automa diabolico della Collezione Settala e lo splendido Vertumnus di Giuseppe Arcimboldo, che ripropone una raccolta di meraviglie naturali nella forma del volto dell’imperatore Rodolfo II, ultimo grande collezionista del Rinascimento europeo.Per l’occasione 24 ORE Cultura ha pubblicato tre libri dedicati al maestro, tra cui il catalogo, nella veste di preziosa guida alla mostra, un grande volume d’arte a cura dei professori Bernard Aikema e Fernando Checa Cremades e, infine, una dissacrante graphic novel del giovane e talentuoso illustratore Hurricane. I volumi sono disponibili all’interno del bookshop della mostra, nelle librerie e online.
Palazzo Reale di Milano
Bosch e un altro Rinascimento
dal 9 Novembre 2022 12 Marzo 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.30
Giovedì dalle ore 10.00 alle ore 22.30
Lunedì Chiuso
Foto Allestimento mostra Bosch e un altro Rinascimento credit © Carlotta Coppo