È cosa risaputa che
Maurizio Cattelan, strategicamente (e forse per timidezza), evita di fare conferenze e di presentarsi a ritirare premi. Non ho mai assistito a una conferenza di Cattelan e sono quasi sicuro che non ne abbia mai fatte. All'inizio era
Massimiliano Gioni (
l'attuale direttore della sezione Arti Visive della Biennale di Venezia) a presentarsi come
alter ego dell'artista.
Credo che in diverse occasioni, soprattutto all'estero, molti abbiano pensato che quel ragazzo a modo, intelligente, fosse davvero Maurizio Cattelan. Certo era un po' più giovane, meno bizzarro di quanto ci si potesse aspettare, ma ciò che diceva era così convincente e puntuale che la conferenza diventava, in ogni caso, interessante.

Per quanto riguarda i premi credo che l'unica volta in cui l'artista si è presentato personalmente a ritirarne uno sia stato in occasione della Laurea
Honoris Causa in Sociologia conferitagli dall'Ateneo Trentino, su suggerimento dell'allora Direttore della Galleria Civica di Trento
Fabio Cavallucci. In quell'occasione si presentò con la toga, ma allo stesso tempo con una vistosa ingessatura (dovuta a una frattura?) e impossibilitato a parlare. Al suo posto pronunciò il discorso Cavallucci, che immagino l’avesse anche scritto, oltre che letto. Naturalmente durante la successiva festa, come d'incanto, sparì ogni traccia di fratture e di gessi.
Sarebbe facile limitarsi a leggere la sua propensione a farsi sostituire come una semplice goliardata, figlia della sindrome di Peter Pan che spesso affiora nella nostra società, una
boutade in stile dadaista. Credo, invece, che sia più corretto considerarla espressione della sua strategia artistica, tesa a mettere in crisi le istituzioni e i poteri che le supportano, incentrata sull'
uso dell'ironia e del sarcasmo quale arma sovversiva.
L'azione bolognese è, quindi, parte integrante della sua poetica, che intende
confondere l'interlocutore giocando con una comunicazione che si muove su più livelli, innesca un
cortocircuito tra cultura alta e trash, dà vita a una verità che si interseca sempre con la farsa.
Uno degli aspetti che, però, mi lasciano perplesso e inficiano in parte la lettura che ne sto dando, è che ormai non possiamo più contare sull'effetto sorpresa, dato che
il suo gioco è totalmente scoperto. Dopo aver visto Gioni, Elio e tanti altri, apparire al suo posto forse
l'unica vera sorpresa sarebbe stato vedere Maurizio Cattelan che ritirava il premio, affermando un po' ipocritamente di essere indegno di riceverlo, come avrebbe fatto il più accademico e conformista tra gli artisti.
Onde evitare qualsiasi malinteso, ribadisco che ritengo Maurizio Cattelan uno degli artisti più interessanti del panorama internazionale, ma penso anche che a volte
il suo voler rimanere fedele a un cliché non gli permetta di evolversi. Ed è in situazioni come quella del premio Alinovi-Daolio all'Accademia di Bologna che la sua strategia rivela il suo punto debole. Soprattutto, rende evidente
l'incapacità dell'artista di mettere in crisi il personaggio che si è costruito. Oltretutto sono anche convinto che tale pericolo non sfugga al suo sguardo indagatore, dato che ha già dichiarato di essersi ritirato e che non farà più l'artista.

Ciò che, al contrario, trovo sorprendente è la reazione del professor Barilli.
Renato Barilli è stato uno dei primi che ha creduto nel lavoro di Maurizio, invitandolo su suggerimento di
Roberto Daolio - che forse potremmo individuare come vero "scopritore" (insieme a
Gino Gianuizzi) dell'artista padovano - alla mostra
Anni Novanta, nel 1991.
Il suo calcio balilla giocato da 11 italiani contro 11 immigrati (sponsorizzati dalla fantomatica ditta di trasporti Rauss) credo sia stato tra i lavori più incisivi della mostra e dell'intero
corpus di opere di Cattelan. Barilli in seguito ne ha seguito il percorso scrivendo più volte al riguardo. Inaspettata, quindi, la sua reazione, le sue parole, il suo tentativo di interrompere le scenette del duo di MTV.
Maurizio Cattelan è (anche) questo e il professor Barilli lo sa bene. Se lo si invita non ci si può sorprendere se decide di sfoggiare l'usuale abito di
Lucignolo/Cattelan.
Quella è la sua storia, da cui, appunto, non riesce ad evadere.
Meno sorprendente, invece, è la reazione dell'uomo Barilli, che pensava di coinvolgere Cattelan in una
celebrazione postuma di Roberto Daolio (che ci manca ogni giorno di più), suo allievo, amico e a volte compagno di avventure artistiche. Barilli probabilmente sperava che in questa occasione Cattelan volesse ricordare
Daolio e Francesca Alinovi (della cui morte ricorre il trentennale). Ma
the show must go on, e Cattelan è sempre Cattelan, e dobbiamo essere coscienti (se decidiamo di invitarlo a tenere una conferenza o per conferirgli un premio) che lui si comporta in questo modo anche quando, forse, potrebbe farne a meno.
Roberto Pinto, 28/10/2013