L’idea di base del progetto prevede la creazione di una sorta di
puzzle di immagini in grado di tracciare un filo rosso che alimenti la
riflessione sulle conseguenze generate da alcune vicende cruciali del XX secolo, cambiando radicalmente il concetto di modernità e influendo sui modi dell’espressione artistica.
Partendo dalla
rivoluzione nel rapporto dell’uomo con la propria interiorità prodotta dalla psicoanalisi e dai mutamenti indotti dall’invenzione della fotografia, e attraversando fasi ed eventi drammatici della storia, a partire dai regimi totalitari e dall’annientamento dell’identità nei campi di sterminio, l
’esposizione accompagna il fruitore verso la contemporaneità, fino a raggiungere la realtà virtuale e collettiva della quotidianità creata dai nuovi mezzi di comunicazione. Nell’ampia prospettiva legata a questo enorme serbatoio di fatti e di eventi,
la mostra tenta di chiarire le reazioni dell’arte alle sollecitazioni esterne, prendendo come metro di misura uno degli strumenti espressivi più ricchi di implicazioni nell’ambito della ricerca sull’Io:
il genere del ritratto, appunto.
Gli artisti riuniti sono molti e rappresentano le maggiori avanguardie storiche della prima metà del Novecento, alcuni dei movimenti artistici nati nell’immediato dopoguerra, come il Nouveau Réalisme, fino ad arrivare alle esperienze statunitensi del Fotorealismo e dell’Iperrealismo. Le sale ospitano nomi di primissimo piano. Tra gli altri, sono presenti in mostra
Matisse, Bonnard, Modigliani, Magritte, Music, Valadon, Vlaminck, Severini, Bacon, Delaunay, Brancusi, Gonzalez, Derain, Ernst, Mirò, Leger, Adami, De Chirico, Picasso, Giacometti, Dubuffet, Fautrier, Baselitz, Marquet e Tamara de Lempicka. Queste personalità di spicco sono affiancate da un nutrito gruppo di artisti appena meno noti al grande pubblico: František Kupka, Raoul Dufy, André Masson, Max Beckmann, Henri Le Fauconnier, Emile Othon Friesz, Jacques Villon, Joseph Csáky, Henri Laurens, Juan Gris, Martial Raysse, Henry Manguin, Boris Grigorieff, Auguste Macke, Marie Laurencin, Cassandre, Errò, Chuck Close.
Il percorso della mostra si dipana attraverso cinque sezioni, il cui allestimento non segue un percorso cronologico ma una
divisione tematica.
La prima grande unità indaga l’importanza della teoria psicoanalitica e delle ricerche della fisiognomica nell’
Espressionismo tedesco e in quello francese dei
Fauves, prendendo spunto da un film celebre del 1926,
I misteri di un’anima diretto da
Georg Wilhelm Pabst, che mette in scena i turbamenti del protagonista e le sue fantasie omicide nei confronti della moglie, superate proprio grazie alla psicanalisi.
Le opere cercano di restituire il profilo psicologico di donne e uomini ritratti in momenti di grande valenza espressiva, da cui emerge una natura esistenziale duplice, potente e fragile allo stesso tempo. Le immagini sono qualificate da colori violenti, segni di quella attitudine espressiva, protesa verso l’emancipazione dalla tradizione, che ha caratterizzato le ricerche di tutte le avanguardie storiche.
L’indagine è costantemente centrata sul soggetto e sulla sua interiorità, come dimostrano paradigmaticamente opere quali
Yvette con vestito a quadri (1907-1908) di
Auguste Elysée Chabaud, e
Il rossetto (1908) (fig.1) del pittore ceco
František Kupka (1871-1957). La tela di Kupka nasce in un momento in cui l’artista è fortemente suggestionato dalle ricerche dell’Espressionismo tedesco, dalla linea quasi caricaturale e dal colore fortemente aggressivo delle donne di Kirchner, che egli “traduce” rappresentando un gesto semplice e dal taglio fotografico, che racchiude in sé una grandissima pregnanza psicologica.
La seconda sezione affronta il complesso tema dell’autoritratto, che ben si presta a scandagliare il sé, mettendo l’artista di fronte alla propria immagine. Così ad esempio accade nell’interpretazione surrealista de
Le Viol (1945, fig. 2), dipinto da
René Magritte (1898-1967). L’immagine, che Magritte replicò in più versioni, restituisce il volto di una donna trasfigurata, i cui lineamenti facciali sono stati sostituiti dai caratteri di un corpo femminile nudo. Il risultato è misterioso e angosciante: l’atto della violenza inflitta alla donna dall’uomo si pone tutta su un piano mentale, manifestandosi attraverso la rappresentazione esplicita dei suoi pensieri. Il desiderio ferino si riflette fino a stamparsi sul volto della donna, oggetto della fantasia, suscitando in chi osserva un forte senso di smarrimento giocato sul senso di colpa. Il dipinto, che ha suscitato molteplici interpretazioni da parte degli studiosi, anche alla luce delle indagini psicoanalitiche, è stato scelto non per caso come immagine emblematica della mostra.
Francis Bacon (1909-1992), invece, dopo le prime prove degli anni Cinquanta, è proposto al pubblico in un
Autoritratto del 1971: l’artista “estremizza” il suo volto, scomponendolo e ricomponendolo in una maschera dalle sembianze quasi animalesche, i cui unici connotati umani rimangono il colletto della camicia e la giacca che occhieggia appena nel campo visivo (fig. 3). Proprio negli anni in cui Bacon compone le sue teste bestiali, del resto, l’Europa assiste all’affermazione delle
teorie psicoanalitiche e della
psicologia del profondo, secondo la quale la ricerca dell’identità attraversa una fase di immaginazione e di autorappresentazione simbolica in sembianze animali. Per
Jung, in effetti, il ricorrere nei sogni di immagini in cui si assiste alla trasformazione di animali in esseri umani fa parte di un percorso che ha per scopo la costruzione dell’unità dell'individuo: «[...] La scimmia viene ricostituita al solo scopo di venir trasformata più tardi in essere umano. Il paziente [...] deve sottoporsi a una notevole trasformazione per divenire un uomo nuovo attraverso la reintegrazione della sua istintività, finora rescissa» (Carl Gustav Jung, Psicologia e religione, [1940] tr. it. di B. Veneziani, Milano 1977).
La terza parte dell’esposizione è intitolata Faccia e Forme. All’interno di questa sezione si collocano esperienze che hanno teso all’estrema semplificazione morfologica del volto umano, tanto da rigettare l’idea stessa di somiglianza rispetto al modello. Così accade ad esempio nella celebre
Musa dormiente dello scultore rumeno
Constantin Brâncusi (1876-1957) (fig. 4), che incarna la ricerca dell’essenza della forma attraverso il geometrismo puro delle sue linee, un linguaggio espressivo che l’artista matura anche grazie all’accostamento all’arte di Rodin. O ancora nell’altrettanto famosa
Jeannette IV (1910) di
Henri Matisse (1869-1954), che tradisce chiaramente le indagini dell’artista sull’arte primitiva (fig. 5).
Seguono, a conclusione della mostra, le due sezioni Caos e disordine e il Ritratto dipinto dopo la fotografia. Nella prima emergono figure rarefatte e scomposte, frutto della sintesi cui giunge la rappresentazione dell’uomo, sulla scorta delle ricerche delle avanguardie. Esempi cristallini di tale tendenza sono la
Donna con cappello (1938) di Pablo Picasso e
Il sorvegliante (1972) di Jean Dubuffet. Sul versante della scultura, invece, si impone l’esperienza dello scultore svizzero
Alberto Giacometti (1901-1966): il
Ritratto del fratello Diego (1954) (fig. 6) compendia il tema del passaggio breve e drammatico dell’esistenza attraverso l’ammasso di materia magmatica che costituisce la cifra riconoscibilissima della sua produzione.
_collezione del Centre Pompidou_ (fig_ 6).jpg)
Chiude, come detto, il
Ritratto dipinto dopo la fotografia che tematizza il confronto tra il segno umano e quello della macchina. Spiccano, tra i dipinti che ancora rientrano nel pieno clima delle avanguardie storiche, il
Ritratto di Erik Satie (1892-1893) di Suzanne Valadon, l’
André Rouveyre (1904) e il
Nudo sul divano (1912) di
Albert Marquet,
Kizette al balcone (1927) di
Tamara de Lempicka, il
Ritratto della Baronessa Gourgaud (1924) di
Henri Matisse e il
Ritratto di Lucie Kahnweiler (1913) di
André Derain. La riflessione sul rapporto tra la pittura e il mezzo fotografico non può lasciare fuori le ricerche più recenti, che sono esemplificate per il tramite di
Stravinsky (1974) di
Errò e di
Arne (1999-2000) del pittore statunitense iperrealista
Chuck Close (fig. 7).
Giulia Bonardi, 25/9/2013
Il volto del ’900. Da Matisse a Bacon. I grandi capolavori del Centre Pompidou
Milano, Palazzo Reale
25 settembre 2013 – 19 febbraio 2014
Piazza Duomo, 12 - Tel: 02.875672
Orari di apertura
A seconda della mostra.
Museo della Reggia: 9,30 -17,30 - Lunedì chiuso
Biglietto d'ingresso
A seconda della mostra
Didascalia delle immagini
1. František Kupka, Il rossetto (1908), collezione del Centre Pompidou.
2. René Magritte, Le Viol (1945), collezione del Centre Pompidou.
3. Francis Bacon, Autoritratto (1971), collezione del Centre Pompidou.
4. Constantin Brâncusi, Musa dormiente (1910), collezione del Centre Pompidou.
5. Henri Matisse, Jeannette IV (1910), collezione del Centre Pompidou.
6. Alberto Giacometti, Diego (1954), collezione del Centre Pompidou.
7. Chuck Close, Arne (1999-2000), collezione del Centre Pompidou.