Giovanni Cardone Maggio 2025
Fino al 30 Settembre 2025 si potrà ammirare nelle sale di Casa Alberobello – Bari una mostra unica nel suo genere “Banksy e altre storie di artisti ribelli”, che racconta il mondo attraverso gli occhi di alcuni tra i più influenti artisti viventi, a cura di Piernicola Maria Di Iorio. L’esposizione in esclusiva per il Locus Festival 2025, è prodotta e organizzata da Bass Culture e Piuma, con il patrocinio del Comune di Alberobello. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla Street Art e sulla figura di Banksy apro il mio saggio dicendo: È molto difficile stabilire dove e quando sia nato il graffitismo, l’arte murale, o, come viene definita oggigiorno, la “street art”. È addirittura molto difficile assegnare a questa o queste pratiche un nome che venga riconosciuto globalmente dagli stessi artisti e dagli spettatori. Street Art: Complesso di pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali che intervengono nella dimensione stradale e pubblica dello spazio urbano, originariamente provviste di una fisionomia alternativa, spontanea, effimera e giuridicamente illegale salvo poi essere, in una fase posteriore, parzialmente sanzionate e fatte proprie dalla cultura popolare di massa, dal mercato e dalle istituzioni, prospettiva che contribuisce a rendere molto problematica a oggi una puntuale individuazione del campo, che rimane estremamente liquido e aperto a molteplici visioni. “Enciclopedia Treccani s.v. street art” Secondo questa definizione, all’interno del termine Street Art risiedono anche pratiche quali il graffitismo e il writing in tutte le loro sfaccettature, dal momento che anch’esse potrebbero essere definite come “pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali”. Nonostante ciò, però, non tutti sarebbero d’accordo nell’includere quei terribili scarabocchi disegnati sui muri delle nostre case all’interno del grande mondo della street art. Quindi posto una domanda come definire questi movimenti?

La stessa Treccani afferma la difficoltà di offrire “una puntuale identificazione del campo” e di conseguenza spetta ad ogni singolo creatore o fruitore di queste “opere” stabilire se siano artistiche o meno, se siano belle o brutte e siano giuste o sbagliate. Dovendo cercare le origini della street art non si può che risalire a tempi antichissimi in cui l’uomo dipingeva le ruvide pareti di grotte e caverne. Vista la principale attività del tempo le immagini rappresentate erano soprattutto scene di caccia o animali stilizzati i cui significati erano probabilmente magici e propiziatori. Tra i più illustri esempi ci sono la grotta di Altamira con dipinti di circa 18.500 anni e le famosissime grotte francesi di Lascaux e Pech-Merle che oltre ad avere raffigurazioni create circa 25.000 anni fa, al suo interno sono visibili alcune impronte in negativo di mani ottenute attraverso la colorazione della parete attorno alla mano appoggiata. Parlando di mani bisogna anche ricordare le famosissime rappresentazioni di mani in negativo della Cueva de las manos in Argentina . Volendo fare un paragone si potrebbe ironicamente affermare che queste rappresentazioni di mani siano le prime forme di firma individuale di uomini che anticiparono il fenomeno moderno del tagging . Ovviamente, altri illustri esempi possono essere ritrovati in Africa come nelle grotte di Laas Gaal in Somalia con dipinti risalenti al IX-VIII millennio a.C. o in Sudamerica come nel Parco nazionale Serra da Capivara dove sono rappresentate circa 30.000 figure dipinte su roccia, le più antiche datate 26.000 – 20.000 anni fa. Tralasciando alcuni aspetti importanti della storia dell’arte che all’interno di questo elaborato non assume una rilevanza fondamentale al fine della comprensione di alcuni ambiti della street art, non bisogna dimenticare l’utilizzo artistico-espressivo dei muri nella civiltà egizia, in quella assira, in quella greca e romana e cosi via fino ai giorni nostri. Un accenno va però fatto in particolare all’Europa medievale dove veniva spesso utilizzato l’affresco per comunicare o semplicemente lasciare un messaggio alla comunità. Ancora più spesso questo tipo di arte veniva utilizzato a fini didascalici come nel caso di cattedrali e chiese dove si potevano, e si può tutt’ora, trovare raccolte di immagini che narrano scene della vita di Gesù. Se la norma era dunque dipingere all’interno non mancano esempi di affreschi e pitture murali anche all’esterno; esempio ne è la recentemente restaurata facciata di una casa a Mantova dipinta per mano di Mantegna o alcuni monasteri rumeni tra cui quello di Moldovi?a risalente al 1532. Anche all’interno del testo sacro, la Bibbia, troviamo un esempio di utilizzo di scrittura murale al cui interno è racchiusa una profezia decifrata da Daniele per il re Baldassarre. Anche in questo caso si può osservare come l’utilizzo della scrittura su parete non è fine a sé stesso ma ha un qualche scopo. Le origini dell’arte murale vanno ricercate soprattutto all’interno della cultura messicana post-rivoluzionaria, dunque intorno agli anni ’20 e ‘30 del secolo scorso. In questo periodo grandi artisti come Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros realizzano grandi opere che verranno riconosciute a livello internazionale. I tre artisti erano accumunati dalla voglia di creare un arte che fosse fortemente ideologica, narrativa, educativa e popolare, quattro caratteristiche tipiche della street art in generale, antica e contemporanea. Diego Rivera dopo una giovinezza tra Messico, Spagna e Italia nel quale conosce importanti artisti come Picasso e Modigliani che lo introducono alla scena artistica, nel 1922 si iscrisse al Partito Comunista Messicano e cominciò a dipingere i suoi murales sugli edifici pubblici di Città del Messico. Attraverso le sue opere ha la grande capacità di rappresentare vicende del suo popolo, dei peones e della loro schiavitù. Protagonisti dei suoi murales furono anche le tre figure fondamentali della rivoluzione messicana Hidalgo, Juarez, Zapata e in seguito anche Marx e Lenin; quest’ultima opera Man at the Crossroads, creata nel New York City's Rockefeller Center venne subito distrutta da Nelson Rockefeller per via della propaganda anti-capitalista rappresentata e lui venne licenziato. José Clemente Orozco fu anche lui, insieme a Diego Rivera promotore del cosiddetto Rinascimento Murale Messicano. Grande muralista, girò le più importanti città americane ed europee facendosi conoscere per le sue grandi opere. Differentemente dal suo compagno Diego Rivera era un personaggio pessimista e cupo che rappresentava le difficoltà e la sofferenza che ogni uomo deve patire per ottenere i suoi diritti. Questa sua visione della vita e soprattutto della rivoluzione messicana al quale è molto legato si traduce in dipinti il cui tema è sempre drammatico e i colori sempre forti e scuri. David Alfaro Siqueiros non fu soltanto un pittore ma anche uno dei 10 grandi protagonisti della rivoluzione messicana al fianco di Zapata. Dopo una serie di viaggi, torna in patria nel 1922 ed, insieme a Rivera ed Orozco, partecipa alla grande nascita della pittura murale messicana.
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“Senza la rivoluzione non ci sarebbe stata la pittura messicana”. Queste le sue parole sul quale basa tutta la sua arte. La sua idea era quella secondo cui l’arte ha lo scopo di parlare direttamente al popolo affinché quest’ultimo intervenga e cambi la società corrotta; proprio per questo motivo le sue opere trovano dimora lungo le strade, in luoghi aperti a chiunque e gratuiti; dell’arte devono poterne fruire tutti. Imprigionato più volte per i suoi ideali nel 1966 gli venne conferito il massimo riconoscimento governativo, il Premio Nazionale d’Arte. Questi tre artisti, Rivera, Orozco e Siqueiros, vengono considerati a livello internazionale come i precursori dell’arte murale moderna. Gli obiettivi e i temi delle loro opere differiscono sicuramente da quelli di oggi, ma la base rimane la stessa e le motivazioni anche: la voglia di esprimersi e la voglia di comunicare qualcosa a tutto il mondo; la voglia di protestare e di andare contro il sistema. Per quanto molte persone non lo vogliano accettare, anche la più piccola ed insignificante scritta che troviamo sui muri della nostra città, ha in fondo un perché e potrebbe essere ritenuta come una minuscola forma di protesta. Le prime forme di arte murale in Italia differiscono, in parte, da quelle della rivoluzione messicana. Per quanto anch’esse rappresentassero la cultura di un popolo e la situazione di uno stato, non provenivano da un movimento rivoluzionario bensì dal potere stesso. Durante il periodo fascista dal 1922 al 1943 è il regime che detta le regole e che vuole creare un’arte pubblica con forte rilevanza sociale, autocelebrativa e propagandistica. Nel 1933 il pittore nonché muralista Mario Sironi pubblica il Manifesto della pittura murale nel quale afferma: "La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori.” Questa un’altra frase indicativa dell’utilizzo dell’arte che veniva fatto nel periodo fascista: “Nello Stato Fascista l'arte viene ad avere una funzione educatrice. Essa deve produrre l'etica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comune. L'arte così tornerà a essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale.” Il Graffitismo, o meglio il writing, nasce negli anni ’70, come parte della sottocultura dei ghetti (conosciuta come Hip-hop), attorno alle città americane, tra le quali, la più importante, New York. Difficile stabilire una data precisa nella quale sia nata o un percorso ben definito che abbia seguito questa nuova pratica. Diverse ragioni rendono questo compito molto arduo: l’enorme numero di graffiti sparsi per il mondo; la lontananza di questa “arte” dai canali tradizionali e legali; la spesso repentina cancellazione. Nonostante i media e il senso comune non facciano alcuna distinzione, sarebbe più consono definire come due pratiche differenti il graffitismo e il writing. Molto vicine tra loro e spesso con fini pressoché identici, si differenziano principalmente per la forma e la tecnica utilizzata. Si potrebbe affermare che il graffitismo nasca a partire dal writing a seguito di una ricerca e uno studio più attento del lettering . La nascita del Graffitismo è dovuta alle problematiche socio-culturali di alcuni quartieri disagiati della New York degli anni ’70 e di altre metropoli; Come afferma Baudrillard le 14 scritte nascono a partire da spinte assai differenti: La tendenza ad affermare la propria esistenza o identità individuale, la protesta delle minoranze e qualche volta anche pretese artistiche. In questo periodo la forte emarginazione dei giovani dei ghetti, neri e latinos ha portato gli stessi a ribellarsi e a reagire alla forte repressione e discriminazione delle minoranze cercando una maniera per esprimersi, far sentire la propria voce e soprattutto protestare. Agli albori del graffitismo lo scopo principale di un writer era quello di bombardare (“Bombing ") più pareti possibili con la sua firma (“tag”). Il più famoso tra di essi è TAKI 15 183 al quale addirittura il New York Times dedicò un articolo rendendo cosi ufficiale la nascita del nuovo movimento. Non era però l’unico: la voglia di riappropriarsi di un’identità e di uno spazio urbano ha portato molti giovani a scrivere quante più volte possibile la propria tag in giro per il quartiere o per la città. Con il tempo, i cosiddetti writers cominciano a voler qualcosa di più e la tecnica viene affinata attraverso uno studio più attento del lettering. La semplice tag o scritta non basta più per poter prevalere e farsi riconoscere all’interno dell’enorme panorama venutosi a creare. Tra le migliaia e migliaia di “banali” scritte è necessario ora far risaltare la propria firma attraverso una più raffinata ricerca stilistica dei caratteri e utilizzando “attrezzi” che rendessero più appetibili le opere come la bomboletta spray. Esempi di lettering potrebbero essere il bubble style, bar style, computer style, 3D style o wild style che si differenziano tra loro in base all’utilizzo di, rispettivamente, lettere arrotondate, lettere squadrate, lettere “digitali”, lettere 3D o lettere di difficile comprensione ed intricate.

Detta anche Aerosol-art si presenta inizialmente come un’evoluzione del writing per poi trovare una propria indipendenza e dignità artistica. Intorno al 1974 c’è poi un’ulteriore evoluzione che porta gli artisti ad incorporare all’interno dei loro lavori anche figure, personaggi e scenari extra-alfabetici divenendo cosi a tutti gli effetti una branca dell’arte. Nello stesso periodo, parallelamente comincia a svilupparsi una nuova tecnica che acquisirà poco a poco sempre più importanza fino a raggiungere il culmine con i lavori di Banksy di cui si parlerà nei capitoli successivi: la Stencil Art . Da questo periodo in poi, o meglio, dagli anni ’80 in poi, con la nascita di nuove tecniche e con lo sviluppo sempre più indipendente dal punto di vista artistico di queste pratiche, gli artisti stravolgono l’idea iniziale di writing e graffitismo puntando ad un pubblico. Mentre negli anni ’70 lo scopo principale di un writer era quello di bombardare con la propria firma più muri possibili per riappropriarsi dello spazio urbano e per acquisire una certa notorietà all’interno della subcultura dell’Hip hop, ora il writer cessa di essere solamente un writer e diventa un artista, con dei messaggi universalmente comprensibili e con la speranza di un riconoscimento a livello pubblico. È per questo motivo che, proprio in questi anni, cominciano a nascere le prime esposizioni il cui tema è proprio l’arte di strada. Questo ha consentito a Banksy di dipingere, negli anni, in luoghi molto sorvegliati e difficili da raggiungere: giunge sul luogo prescelto, sempre molto simbolico e mai a caso, applica la maschera sulla parete, dipinge e scappa, senza che nessuno abbia nemmeno il tempo di accorgersene. Durante un’intervista Banksy affermò: “È questa la chiave dei graffiti: l’ubicazione” . Come dargli torto? Per essere veramente efficace , la street art di Banksy deve essere collocata nel contesto giusto. L’arte di strada deve comunicare con il luogo nel quale viene creata, deve interagire con l’ambiente circostante; solo cosi il pubblico riuscirà a non vederla più come un semplice “disegno” esteticamente bello ma come qualcosa di più. Quando dunque le sue opere vengono rimosse dal loro luogo originale per poi essere vendute ed affisse ad una parete di qualche ricco salotto, perdono tutto il loro valore, perdono la loro anima. È cosi che con il tempo l’artista di Bristol decise di non firmare più le proprie opere; cosi facendo avrebbe, in primis, evitato un possibile arresto e soprattutto avrebbe evitato che le sue opere, rivolte a tutti, libere e gratuite venissero rimosse da qualche “businessman”: in assenza della sua firma infatti sarebbe stato difficile autenticare le opere; l’unico modo per farlo era, ed è tutt’ora, quello di rivolgersi all’agenzia Pest Control letteralmente “servizio di disinfestazione” che certifica le stampe e i dipinti autentici di Banksy. L’unico problema è che non vengono autentificati i pezzi di strada perché “i proprietari delle case tendono ad incazzarsi parecchio quando gli sparisce una porta perché c’era dipinto uno stencil”. Ogni pezzo di Banksy ha una fattore molto forte di critica verso un problema della società. Ogni sua opera apre un dibattito che potrebbe durare ore, questiona su argomenti fondamentali per il nostro tempo, mette in discussione ogni cosa. In base alle interviste effettuate risulta molto spesso che Banksy venga visto come una vox populi, come un Robin Hood contemporaneo. Non si sa chi sia; un uomo che ha mandato avanti la forza del suo messaggio a discapito della fama della sua persona. Un uomo che la gente apprezza per la sua presunta sincerità. Dico presunta perché nessuno sa in realtà quali siano i suoi scopi, cosa lo spinga a perseguirli e chi ci sia dietro alla maschera. C’è chi pensa che sia solamente un prodotto commerciale, che non sia più solo una persona ma che sia un’azienda. C’è chi dice che sia ricchissimo e che quindi non sia più coerente con quello che predica. Dicono che tutto ciò che ha fatto l’abbia fatto solo per la fama. Tutto ciò è possibile, anzi probabile; nessuno mette in dubbio che ormai non sia più solo uno: sarebbe impossibile aver creato questo impero da solo. Ma anche i cartoni animati e i supereroi sono finti; dietro si nasconde sempre qualche ricca e avida casa di produzione e nonostante questo continuano a farci sognare. Quindi perché dovremmo smettere di farlo? Dipingere Graffiti è il modo più onesto in cui puoi essere un artista. Non servono soldi per farlo, non è necessaria una formazione per comprenderli e non c'è alcuna tassa di ammissione. Due artisti le cui più celebri opere mai realizzate sono loro stessi: “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti” diceva Warhol e Banksy risponde: “Ognuno nella vita avrà 15 minuti di anonimato”. Figure geniali, capaci di creare un cocktail potente di celebrità, satira e voyerismo e che hanno saputo trasformare la loro arte in un evento straordinario. Si affronteranno, inoltre, i grandi temi comuni a entrambi gli artisti: la musica e il cinema, che costituiranno un faccia a faccia unico. Infine il percorso della mostra si conclude con che nei primi anni Ottanta con JonOne, uno dei primi e principali esponenti della graffiti art, che ha il grande merito di aver portato i graffiti da Harlem (NY) a Parigi e dalla strada alla tela. Passando per JonOne si arriva dunque alla scena europea, dove Blek le Rat e poco dopo Jef Aérosol hanno cambiato il volto delle città francesi con i loro innovativi
stencil. Considerato padre della Stencil Art, Blek le Rat con il suo famoso "ratto", simbolo della ribellione e della pervasività dell'arte urbana, ha influenzato generazioni di artisti fra cui Banksy. Il celebre artista britannico con le sue opere provocatorie e socialmente consapevoli, ha portato la stencil art dall'Europa all'attenzione globale. Le sue creazioni sono diventate iconiche, definendo la Street Art come una potente forma di espressione politica e sociale. Se si parla di arte e attivismo è impossibile non menzionare Shepard Fairey, aka Obey, le sue opere - fra cui il suo celebre ritratto di Barack Obama “Hope” e le sue campagne a favore dei diritti e della salvaguardia dell'ambiente hanno un forte impatto sulla cultura popolare e sulla politica. Il percorso espositivo continua con la “European Wave” portando all’attenzione del pubblico artisti contemporanei come D*Face, Invader, Alexandre Farto aka Vhils e The London Police. Questi artisti hanno portato la Street Art a nuove vette con stili distintivi e tecniche innovative. Ad essi si aggiungono poi i PichiAvo che combinano l’estetica classica con il linguaggio delle tag per dare vita a opere che fondono passato e presente in un dialogo visivo affascinante. Si possono inoltre ammirare pezzi unici e limited edition di Mr Brainwash e Pure Evil, artisti che portano un tocco pop alla Street Art, con opere che richiamano il lavoro di Warhol e aggiungono un commento contemporaneo sulla cultura delle celebrità e sulla società. Infine, la mostra dedica una sezione agli artisti italiani che hanno lasciato il segno sulla scena internazionale. Da Sten Lex con la tecnica dello stencil poster a Microbo e Bo130, Hogre, Orticanoodles e Biancoshock con le sue installazioni provocatorie, l'Italia ha dato un contributo significativo alla crescita e all'evoluzione della Street Art. Il legame con Napoli è la famosa opera la Madonna con la pistola situata in
Piazza dei Girolamini. L’immagine, che raffigura una Madonna con una pistola al posto dell’aureola, provoca una forte reazione e invita alla riflessione sui temi della religione, della violenza e della società contemporanea. Non dimentichiamo chi è Banksy considerato uno tra i maggiori esponenti della Street Art contemporanea, sicuramente il più popolare. L'artista e writer britannico, di età compresa tra i 45 e i 50 anni, è riuscito a mantenere segreta la sua identità. A partire dagli anni Novanta, i suoi graffiti, realizzati con la tecnica dello stencil, sono apparsi in spazi pubblici di tutto il mondo, da Londra a New York, da Berlino a Tokyo, e in molte città italiane, come Venezia, luoghi comunque animati da profonde contraddizioni. Critico nei confronti della cultura pop, della politica e dell’establishment artistico, la geniale ribellione di Banksy è abbracciata da figure influenti come Christina Aguilera, che colleziona le sue opere, e Justin Bieber che si tatua Girl with Balloon. La sua influenza supera i confini convenzionali dell’arte.

Ha contribuito a consolidare il potere della Street Art all’interno del mercato internazionale dell’arte, e nonostante sia contrario alla commercializzazione dei suoi lavori, questi raggiungono prezzi stratosferici alle aste, guadagnandogli un posto nella lista delle 100 persone tra le più influenti del 2010 secondo Time Magazine, accanto a icone culturali come Barack Obama, Steve Jobs e Lady Gaga. Nel 2018, l'asta di Girl with Balloon è diventata sensazionale quando l’opera si è autodistrutta subito dopo essere stata venduta per 1,2 milioni di euro. Nel 2019, DevolvedParliament è stato venduto per 11,1 milioni di euro da Sotheby's. Banksy ha anche utilizzato la sua arte per scopi filantropici, donando i proventi della vendita di Mediterranean Sea View, 2017, a un ospedale palestinese. La sua reinterpretazione dell'opera di Monet, Show Me the Monet, è stata venduta per 8,4 milioni di euro nel 2020. Nel marzo 2021, Game Changer, dedicato all'NHS, ha raggiunto quasi 20 milioni di euro, con proventi a favore del servizio sanitario britannico. Nell'ottobre del 2021, Love is in the Bin, la Girl with Balloon stracciata, ha stabilito un nuovo record con 21,6 milioni di euro. L'acquirente di questa opera d'arte da record rimane sconosciuto. Importanti istituzioni museali come il British Museum, la Tate Modern e il Louvre hanno esposto i suoi lavori. E alla domanda se la Street Art potesse essere esposta in musei o gallerie, Bansky ha risposto autorizzando nel 2023, per la prima volta dopo 14 anni, una sua esposizione alla Gallery of Modern Art di Glasgow. Tra gli ultimi murales da lui rivendicati, c’è quello apparso a marzo 2024 a Finsbury Park, nell’area nord della capitale inglese, dove una ragazza brandisce un tubo che spruzza vernice verde a ricreare illusoriamente, la chioma di un albero spoglio che gli sta di fronte, un chiaro messaggio ambientalista. La mostra rappresenta una summa di quella che è l’arte contemporanea oggi, presentando al pubblico i lavori di artisti amatissimi come Banksy, TvBoy, Schifano, ma anche di altri nomi celebri e conosciuti a livello internazionale: da Warhol a DamienHirst, da MrBrainwash a Obey, da TakashiMurakami a LiuBolin, e poi Kaws, Accardi, Petrucci, Rizek.Tutti protagonisti di un’arte pubblica e sociale che è diventata ormai un linguaggio accessibile, diretto e di denuncia, in cui lo spettatore può immedesimarsi, perché parlano di una realtà che ci appartiene. Nel panorama dell’arte contemporanea, la ribellione ha assunto forme diverse: dalla contestazione politica alla sovversione del mercato, dall’occupazione degli spazi urbani al rifiuto delle convenzioni espositive. Al centro di questa galassia di insorti creativi, Banksy emerge come figura paradigmatica di un’arte che ha trasformato la disobbedienza in linguaggio estetico e l’anonimato in manifesto. La scelta di Banksy di nascondersi dietro uno pseudonimo non è mero espediente pubblicitario, ma posizione ideologica che ribalta il narcisismo tipico del sistema artistico contemporaneo. Mentre il suo volto rimane ignoto, le sue opere appaiono improvvisamente sui muri di Belfast, Londra, New York o Gaza, trasformando il tessuto urbano in una galleria democratica e accessibile. I suoi stencil – dalla “Flying copper” a “Bomb Love” – condensano critiche complesse in immagini immediate che parlano tanto all’intellettuale quanto al passante distratto. Il suo antagonismo si estende al mercato stesso dell’arte, con gesti clamorosi come l’autodistruzione di un’opera appena battuta all’asta o l’installazione non autorizzata di suoi lavori nelle sale dei più prestigiosi musei. Queste azioni mettono a nudo i paradossi di un sistema che trasforma anche la contestazione più radicale in merce di lusso, costringendoci a interrogarci sulla possibilità stessa di un’arte autenticamente sovversiva nell’epoca della sua riproducibilità economica. L’onda lunga della street art ha generato una comunità di artisti che, pur con approcci diversi, condividono la vocazione a sottrarre l’arte ai circuiti tradizionali. Obey (Shepard Fairey) ha trasformato la sua campagna “André the GiantHas a Posse” in un impero visivo che spazia dai manifesti politici al design commerciale, mantenendo però una coerenza tematica centrata sulla critica al potere. La sua immagine “HOPE” per la campagna di Obama rappresenta forse il momento in cui la street art ha definitivamente valicato il confine tra controcultura e mainstream. TVBOY traduce questa attitudine nel contesto mediterraneo, con interventi che trasformano l’attualità politica italiana ed europea in icone pop immediatamente riconoscibili. Le sue rappresentazioni di leader politici che si baciano o in pose provocatorie generano dibattito pubblico, dimostrando come l’azione artistica non autorizzata possa ancora innescare discussioni collettive. Mr. Brainwash, la cui storia è inestricabilmente legata a quella di Banksy attraverso il documentario “Exit Through the Gift Shop”, rappresenta un caso studio sulla mercificazione della ribellione. La sua rapida ascesa nel mercato dell’arte solleva interrogativi sulla facilità con cui l’estetica della contestazione può essere assimilata dal sistema che pretendeva di criticare; mentre Rizek esplora nuove frontiere espressive attraverso una ricerca materica che trascende i confini tra pittura e oggetto. La denuncia assume forme più sottili e sofisticate nell’opera di artisti che operano all’interno del sistema istituzionale. Damien Hirst ha fatto della provocazione la sua cifra distintiva, dalla famosa serie di animali in formaldeide alle pillcabinets, opere che sfidano tanto i tabù culturali quanto i limiti del mercato. La sua decisione di bypassare le gallerie vendendo direttamente all’asta un’intera mostra rappresenta una forma diversa di rivolta contro le convenzioni del mondo dell’arte. Takashi Murakami sovverte le gerarchie tra cultura alta e bassa, tra Oriente e Occidente, fondendo la tradizione pittorica giapponese con l’estetica manga e anime. Il suo “superflat” non è solo uno stile ma una teoria critica che legge la società contemporanea come appiattimento dei valori, dove l’arte si confonde con il merchandise e viceversa. La sua collaborazione con marchi di lusso come Louis Vuitton rappresenta non una resa al commercio, ma un’infiltrazione sovversiva nei circuiti del consumo globale. LiuBolin, l’artista cinese noto come “l’uomo invisibile”, ha sviluppato una forma di protesta unica: dipingendo il proprio corpo per mimetizzarsi completamente con lo sfondo, scompare fisicamente dentro le sue opere. Iniziata come reazione alla demolizione del suo studio da parte del governo cinese, questa pratica è evoluta in una critica globale ai meccanismi di cancellazione dell’individualità nella società contemporanea e la sua
sparizione visiva rappresenta paradossalmente la massima forma di presenza. Anche KAWS (Brian Donnelly) ha iniziato la sua carriera con atti di ribellione visiva, intervenendo illegalmente su manifesti pubblicitari per sostituire i volti dei modelli con il suo iconico personaggio dai teschi incrociati. La sua traiettoria, dai graffiti illegali alle sculture monumentali, dalle collaborazioni con Dior alle quotazioni milionarie, racconta come la ribellione possa evolversi senza necessariamente tradire se stessa. Questa generazione di artisti dissidenti si inserisce in una tradizione che ha in Andy Warhol uno dei suoi capostipiti. La sua Factory, le sue serigrafie e la sua elevazione di oggetti banali a icone d’arte rappresentavano negli anni ‘60 una sfida radicale alle convenzioni estetiche. La sua famosa affermazione “Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti” prefigurava con inquietante precisione l’epoca dei social media e della celebrità istantanea in cui operano gli artisti contemporanei. In Italia, Mario Schifano ha incarnato una forma di dissenso più esistenziale e meno programmatica. La sua vita febbrile, il suo approccio sperimentale ai media e la sua capacità di assorbire e reinterpretare tanto la cultura alta quanto quella popolare lo hanno reso una figura di riferimento per generazioni di artisti. Le sue opere – dai “monocromi” agli “schermi” – rappresentano un’appropriazione critica del linguaggio televisivo e pubblicitario che anticipa molte delle strategie degli artisti contemporanei. Nello Petrucci e Angelo Accardi, infine, rappresentano evoluzioni più recenti di questa attitudine ribelle nel contesto italiano. Il primo, con i suoi collage stratificati che fondono immaginari pop e riferimenti alla storia dell’arte, crea cortocircuiti visivi che invitano a una lettura critica dell’overdose di immagini contemporanea. Il secondo, con le sue composizioni surreali popolate da struzzi e personaggi incongrui, sovverte le aspettative narrative creando scenari che sfidano le logiche lineari del racconto visivo. La mostra
Banksy e altre storie di artisti ribelli ci insegna che la contestazione artistica è un equilibrio delicato tra compromesso e radicalità e la sfida principale è mantenere l’integrità della loro critica mentre navigano un sistema che tende ad assorbire e neutralizzare ogni forma di dissenso trasformandola in prodotto commerciale. L’indipendenza nell’arte contemporanea non si misura forse nella capacità di restare completamente fuori dal sistema – obiettivo probabilmente impossibile – ma di mantenersi in una posizione liminale, di confine, dove l’operazione artistica conserva la sua capacità di disturbare, interrogare e sovvertire anche mentre partecipa, inevitabilmente, ai meccanismi che intende criticare. In un’epoca in cui l’autenticità è diventata essa stessa un valore di mercato, questi artisti ci ricordano che la ribellione più profonda non sta nei gesti clamorosi, ma nella coerenza con cui si persegue una visione, nel coraggio di mettere in discussione continuamente anche le proprie posizioni, e nella capacità di trasformare la contestazione in un linguaggio visivo che possa effettivamente raggiungere e influenzare un pubblico più ampio possibile.
Casa Alberobello – Bari
Banksy e altre storie di artisti ribelli
dal 15 Aprile 2025 al 30 Settembre 2025
dal Martedì al Venerdì dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 16.00 alle ore 20.00
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00- Lunedì Chiuso
Foto dell’Allestimento della mostra Banksy e altre storie di artisti ribelli dal 15 Aprile 2025 al 30 Settembre 2025 courtesy Casa Alberobello – Bari
Banksy Grannies, 2006 Serigrafia Pop House Gallery
Banksy Donuts Chocolate ,2009 Serigrafia firmata Pop House Gallery