Giovanni Cardone Febbraio 2022  
Fino al 1 Maggio 2022 si potrà ammirare la mostra al Museo di Capodimonte di Napoli Cecily Brown in The Triumph of Death a cura di Sergio Risaliti e realizzata dal Museo di Capodimonte e dall’associazione Amici di Capodimonte in collaborazione con la galleria londinese Thomas Dane Gallery. L’esposizione si inserisce nel ciclo “L’Opera si racconta”, mostre focus finalizzate a mettere in risalto singoli capolavori della collezione permanente, ma non solo, raccontati in una chiave nuova, spesso in dialogo con altre opere, per svelarne la complessità e il proprio contesto di origine. Dal 2017 ad oggi sono state esposte, nella sala dedicata al primo piano del Museo e Real Bosco di Capodimonte, La donna con il liuto di Vermeer, Il Cristo in croce di Van Dyck, La Parabola dei Ciechi di Pieter Brueghel il Vecchio, La Sacra Conversazione di Konrad Witz, Letizia Ramolino di Antonio Canova, quest’ultima con un restauro in mostra che il pubblico ha potuto seguire e apprezzare in tutte le sue fasi, Michelangelo sul letto di morte di Vittoria Colonna di Francesco Jacovacci, opera anch’essa oggetto di un restauro sostenuto dall’associazione Amici di Capodimonte Ets. Come dice Sergio Risaliti : “Nei disegni, esposti a Capodimonte, variano di continuo le figure, si accumulano e infittiscono i dettagli, oppure l’immagine si svuota, mentre la figura dello spettrale cavallo della Morte è un tema sviscerato a fondo con cromatismi diversi e un andamento della linea che muta ad ogni nuova invenzione, calcando ora su questa, ora su quella temperatura emozionale. Cecily Brown è un’artista che sa reinventare il rapporto tra arte contemporanea e grande tradizione figurativa senza indugiare in sterili citazioni. Ha spesso dichiarato che ama dipingere le figure in movimento, la tensione e la violenza, ma anche l'eccitazione e il colore. Per lei il confine tra astrazione e figurazione è molto labile. I suoi dipinti, impastati di energia, generano immediatamente empatia in chi li guarda, grazie a pennellate vorticose che tracciano linee sinuose e disegnano forme semi astratte. Il risultato è una composizione colma di armonia ed equilibrio, ma allo stesso tempo profonda e stratificata. Corpi, oggetti, animali e vegetazione si confondono e si fondono in una danza caleidoscopica di colori e pennellate che hanno ritmi e direzioni diverse. Una freschezza di ispirazione e trascendenza gestuale che l’artista mantiene sempre viva, ritornando più volte sul dipinto o lavorando su più tele in modo da poter sperimentare diverse possibilità compositive”.  Mentre Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte afferma : “Per la prima volta nella sala de ‘L'opera si racconta’, viene esposto l'immenso dipinto di Cecily Brown, cinque metri per cinque, grande quasi quanto l’affresco di Palermo, sua musa ispiratrice, esprime come la pittura racconti sempre la storia della pittura, e come la peculiarità del suo sguardo colto reinventi la storia del Trionfo della Morte. Poche opere come l'affresco di Palazzo Abatellis meritano la solenne denominazione di ‘trionfo’. La morte trionfante dell’opera di Palermo sembra calpestare la giovinezza e l'amore. Nell’affresco siciliano un grande cavallo bianco con le costole visibili sotto la pelle è cavalcato da uno scheletro armato di arco e frecce, come Cupido, ma sono frecce per uccidere, mentre una falce pende dal lato della sella. Il cavallo e il suo cavaliere calpestano i morti che hanno trucidato sotto i gli zoccoli, saccheggiando i divertimenti dei giovani riccamente vestiti che ballano e si corteggiano al suono di un liuto. Quando un'artista come Cecily Brown, immersa nelle immagini e nella pittura, afferra un'opera d'arte e le restituisce la propria eco, corpo a corpo con la pittura, è capace di trasformare la scena in un vivace balletto, una gioiosa danza macabra dove il cavallo della Morte fa un lungo sorriso e muta in un cavallo di un circo fantastico”.  
Con grande forza, questa creatura terrificante si sbarazza dei vivi che incontra lungo il suo cammino, senza la minima apprensione. Uno degli elementi più sorprendenti nella tela di Cecily Brown è il simbolo della croce che divide formalmente il quadro in quattro pannelli, richiamando così l’affresco palermitano di 6 metri per 6,40, staccato dal cortile del palazzo Sclafani dopo i danni per i bombardamenti nel 1944, e diviso in quattro pannelli per essere restaurato, prima del trasferimento a Palazzo Abatellis. Sfortunatamente il taglio ne rese fragili i margini che col tempo si sono deteriorati. Cecily Brown integra brillantemente questa cicatrice nel suo lavoro e concettualmente la lega alle preoccupazioni contemporanee come la distruzione, il recupero e la ricostituzione. L’esposizione presenta anche una serie di disegni realizzati dall’artista dopo aver completato il dipinto. Questi lavori su carta ci mostrano come la curiosità e l’interesse di Cecily Brown per un soggetto continui ben oltre la creazione di una singola opera. I disegni ricordano, sia all'artista che allo spettatore, che c'è sempre più di una soluzione alla sfida della rielaborazione di opere iconiche della grande tradizione figurativa. In uno straordinario dipinto eseguito, dopo un viaggio in Sicilia che l’artista ha fatto nella primavera del 2019 quando ha visitato il noto affresco “Il Trionfo della Morte” della metà del 1400 situato presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. In una mia ricerca storiografica e scientifica sull’affresco Il Trionfo della Morte che mi riporta indentro nel tempo quando visitai Palermo : Nell’ammirare questa opere pensai all’idea che il Trionfo della Morte non sia solo una rappresentazione medievale di un Memento mori ma anche qualcosa di più di un mero mistero, ci è fornita dalla quantità di documenti riguardanti la più burocratica pignoleria sugli eventi che riguardano la costruzione del palazzo e la sua trasformazione in Arcispedale, ma nulla ci resta riguardo l’affresco e ai suoi committenti. Fatto che di per sé, fa riflettere sulle motivazioni dell’affresco stesso. Una descrizione preliminare del palazzo, certamente una delle dimore più grandiose dell’epoca, può far luce sul periodo storico e sulla sensibilità artistica della corte palermitana. L’affresco del Trionfo della Morte non illustra solamente un contenuto concettuale, ormai logoro, sulla morte; ma può anche offrire, se studiato nei suoi particolari, un momento di storia siciliana così strana, bella e complessa. In origine, l’opera faceva parte di una grande pittura murale che adornava i portici inferiori dell’atrio interno di Palazzo Sclafani . La costruzione si presentava come una robusta massa quadrangolare compatta; maestoso nelle dimensioni, era piuttosto raccolto nelle proporzioni . La parte inferiore era chiusa e severa tanto da presentare i caratteri di una fortezza con un solido muro a bastione; il Fazello lo descrisse come «grandissimo e maggior di tutte l’altre abitazioni private. Egli è di forma quadrangolare». Uno scalone laterale conduceva al piano nobile dove l’edificio si alleggeriva con numerose bifore incorniciate da arcate fatti di tarsie bicrome, richiamanti motivi decorativi di derivazione Normanna. Palazzo Sclafani era perfino più grande di palazzo Steri, proprietà dei Chiaromonte, con lato lungo di cinquanta metri contro quaranta, e non si preoccupava del contesto urbano precedente: era una tipologia residenziale prerinascimentale. Il suo anonimo architetto in questo modo espresse un carattere di estraneità al più minuto tessuto arabo presente, esaltando l’altezza geometrica del volume col ritmo costante dei vuoti, la cadenza delle paraste, la ricorrente archeggiatura a intrecci, il primo e il secondo ordine in altezza completamente chiuso all’esterno, come una fortezza impenetrabile. Il corpo di fabbrica racchiude al suo interno una corte quadrangolare, la quale risulta oggi notevolmente alterata rispetto all’impianto originario a cause delle numerose mutazioni avvenute nel corso del tempo, sia per adattare il palazzo alle diverse esigenze funzionali, sia a causa dei danni subiti negli anni. Il colore rosato della pietra, i bianchi e i verdi dei motivi decorativi, rendevano la costruzione meno cupa; mentre sul portale vi era un’edicola racchiudente gli emblemi della famiglia, quelli della città di Palermo, della Sicilia e del Regno d’Aragona . Infine, un’iscrizione che testimoniava la potenza e l’autorità di Matteo Sclafani, insieme alla firma dello scultore, Bonaiuto da Pisa .
L’opera pittorica del Trionfo era un completamento espressivo dell’edificio stesso e la conclusione ultima di un evidente sfida fra i Chiaromonte e gli Sclafani. Analogamente infatti molti anni prima, il conte Manfredi Chiaromonte tra il 1337 e il 1380, faceva decorare le pareti e i soffitti lignei del proprio palazzo con racconti dell’antico testamento, narrazioni di storia greca e romana ed infine con l’illustrazione delle imprese della propria famiglia . Mentre a palazzo Sclafani, l’affresco del Trionfo della Morte veniva situato al posto d’onore, con magnifica sistemazione d’ambiente, su una parete del portico. Questa però non era l’unica grande pittura murale che adornava i portici dell’edificio. Forse dipinti contemporaneamente, ma da diversi artisti, vi erano due altre opere che completavano il ciclo: il Giudizio Universale e il Paradiso. Si ipotizza la presenza di una terza opera, probabilmente una raffigurazione del Purgatorio o dell’Inferno, che completerebbe il ciclo. Si trattava di una antichissima concezione medievale, riassunta nei cosiddetti Quattro Novissimi, che rappresentavano gli insegnamenti della teologia cattolica e indicavano le cose ultime dal latino novissima cui l’uomo va in contro alla fine della sua vita: nessuno può sfuggire alla Morte, momento in cui sarà sottoposto al Giudizio, e le azioni compiute durante la vita verranno giudicate, indicando a ciascuno la destinazione finale e quindi la collocazione nell’Inferno o nel Paradiso . Ad oggi irrimediabilmente perduti, vi erano altri affreschi l’opera del Giudizio di Antonello di Crescienzio realizzato nel 1440 e poi distrutto nel 1713 come pare, alla destra del Trionfo mentre il Paradiso (in alto) e il Purgatorio o Inferno (in basso) posti frontalmente al Trionfo  erano di invenzione tardiva del pittore Pietro Novelli, dipinti attorno al 1634. Ad oggi, un pezzo dell’affresco strappato del Paradiso è ancora visibile nella biblioteca di Palazzo Sclafani . Questa dimora era di dimensioni inedite per un palazzo privato dell’epoca, tanto da farlo sembrare una reggia fortificata. Occorre immaginarlo nell’originario isolamento, in grande vicinanza del palazzo dei Normanni e della Cattedrale di Palermo, nell’assoluto dominio dell’ambiente urbano circostante. Con una fisionomia di dura fortezza ed elegante dimora, rappresentare il potere e la personalità della famiglia Sclafani. Gli affreschi che solitamente raffigurano la morte, come potrebbero essere quelli del Camposanto di Pisa o della Scala Santa del Sacro Sepolcro di Subiaco, tendenzialmente hanno come ruolo quello di far riflettere sulla tendenza filosofica e mistica dell’epoca medievale oltre che sui motivi religiosi. Gli eventi che narravano della Morte Nera spesso erano anche motivo di storie e sermoni durante le celebrazioni domenicali. Storie impressionanti che dovevano risuonare fra le grigie navate delle chiese e fra la coscienza delle persone. La morte doveva essere un monito onnipresente, da cui nessuno poteva fuggire. Il mistero del Trionfo palermitano viene infittito dalla leggenda che lo accompagna. La tradizione narra di uno straniero il quale “venne sconoxiuto ammalato in detto Ospedale, e, perché ricevette la benservita da esso, volse fare questa opera in segno di gratitudine e sua memoria”. Interessante la parola “sconosciuto” che rimarca l’innegabile mano “straniera” fatta di elementi catalani, borgognoni e a tratti napoletani e toscani per accostamento di temi trattati. Questi stili vengono fusi insieme nella più raffinata melodia e riassorbiti sotto la patina da cui fiorisce l’unita di stile, seppur in una «summa culturale» tra le più stupefacenti che debbano ricordarsi. Il Trionfo intercetta frequenze di una storia plurisecolare. Esso è rappresentazione di un mondo lieto, colto, raffinato specchio dei piaceri della vita – ma anche del suo opposto: rappresentazione dei grandi drammi sociali, di malattia e di morte. La scena è ambientata in un giardino, per la precisione un hortus conclusus, uno spazio fisico, delimitato e concreto, in cui i personaggi si muovono e recitano la loro parte. Oggi è un affresco staccato di dimensioni gigantesche: 600 cm di altezza per 642 cm di lunghezza e tutt’ora la figura della Morte domina fisicamente e moralmente la scena. La nera figura a cavallo rappresenta il fulcro dinamico di questo palcoscenico, da cui poi dipendono gli intrecci narrativi delle altre figure. In tutto, queste sono compresa la Morte stessa trentacinque, di cui dieci donne e ventiquattro uomini. Seguendo una lettura antioraria, il primo gruppo che ci appare sulla sinistra è quello dei mendicanti, di cui fanno parte tre donne anziane e sette uomini.
A seguire, al centro e sottostante il cavallo mortale, un cumulo di corpi; questi sono il gruppo del clero, formato di un imperatore d’oriente, un pontefice, un vescovo e dagli ordini dei predicatori. Infine, quasi a ricordare la comitiva eterogena del Decamerone, sono sette le dame e otto i cavalieri che adornano la scena con i loro ricchi vestimenti. Quella del Trionfo è una pittura fatta di contatto e di molteplici sguardi: di sbieco, frontali ed evasivi. Una convenzione pittorica, quella degli sguardi in cerca di uno spettatore, tutt’altro che consolidata nel primo Quattrocento. Tradizionalmente, i personaggi che guardano fuori dall’immagine sono per lo più gli autoritratti dell’autore o degli autori. In questo caso specifico, oltre ai due uomini sulla sinistra sopra il gruppo dei mendicanti che ci rivolgono lo sguardo, notiamo anche il suonatore di liuto al centro e la dama sotto di lui, che guardano con indolenza e sfida verso di noi. Il resto dei personaggi guarda altrove: la donna in fede fra il gruppo dei mendicanti, l’ancella pietosa che guarda i preti morenti, l’indigente cieco che affida il suo sguardo a un cane nervoso . Molti sono sguardi difficili da interpretare, come quello di due personaggi che guardano oltre l’affresco: il paggio che tiene a bada i cani  quasi a simboleggiare le passioni tenute a freno e il nobiluomo malinconico . E cosa dire del falconiere? Egli non mostra nemmeno il viso, si appoggia alla fontana voltandoci le spalle . Oltre la vista, anche altri sensi sono coinvolti: il tatto, l’udito e l’olfatto. Molte sono le mani che partecipano alla scena; mani non prive di sensualità, mani che esprimono stupore o repulsione. Mani che pizzicano corde, che stringono guinzagli e toccano i corpi morenti. Il contatto si percepisce anche dalla centralità data ai tessuti e alle tessiture, materiali che evocano appunto, il tatto . L’udito invece, è certo il senso più impegnato, dal suono dell’arpa e del liuto al lieve rumore del liquido zampillante proveniente dalla cascata, infine il freddo galoppare della Morte. Il giardino è comunque il luogo dei sensi, in quanto anche l’olfatto è coinvolto: sono centinaia le piante e le erbe che abitano l’affresco, così come l’ammaliante e repellente puzzo che i cani sentono oltre l’immagine . Consolidato il fatto che sia il cavallo a dividere imperiosamente la scena in quattro parti, l’immagine può essere a sua volta divisa in quattro grandi narrazioni: L’allegra brigata dei giovani, malinconicamente cullati dalla musica.  Le vittime dell’equus horribilis ossia i potenti della terra, i chierici e gli intellettuali. I mendicanti che implorano la morte. E infine, la Morte e il suo destriero. Per quanto riguarda la tecnica pittorica, non ci sono giunte notizie o descrizioni precedenti all’operazione di stacco che parlino della presenza di arriccio o sinopia. D'altronde il Trionfo della Morte è giunto sino a noi mutilo e privo di alcune parti costitutive essenziali; la gran parte delle notizie tecniche riguardanti l’opera ci è fornita dal libro di Maria Grazia Paolini riguardo le vicende conservative dell’affresco. Ciò di cui siamo certi è che, esattamene come un arazzo o un normalissimo affresco, l’elaborazione dell’opera è stata eseguita in giornate di lavoro, questo è plausibile visto i giunti che delimitano con precisione i contorni delle figure . Come riportato dalla Paolini «questo particolare, unito alla mancanza sul dipinto di tracce di riporto da cartone, avrebbe fatto comunque presupporre l’esistenza di una sinopia, qualora non fossero state trovate le tracce». Una prova ulteriore della mancanza di riporto da cartone è data dalla presenza costante del disegno preparatorio, dipinto con terre rosse e gialle molto liquide. Alcune giunzioni delle giornate sono ben visibili e leggermente distaccate fra loro, mentre altre, come quelle nella parte alta del dipinto, sono quasi totalmente invisibili. Certo è che la lacunosità del dipinto e la suddivisione in sei parti durante lo stacco, non permettono di avere una visione chiara delle successioni di stesura, se non quella tradizionale, generalmente adottata dall’alto verso il basso, da sinistra a destra. “Le prime stesure di intonaco sono fatte per bande di inquadramento laterale; in successione poi lo stelo della fontana, i cieli e le basi nerastre dei fondi destinati ad essere rifiniti a tempera, poi il cacciatore con i cani, la Morte e il cavallo, il gruppo intorno alla fontana, il gruppo con i due ritratti dei derelitti, e tra questi e l’ultima giornata segue il manto del vecchio con la barba bianca, vestito di rosso”. Probabilmente subito dopo è stato dipinto il gruppo con le dame e i cavalieri chiuso dalla giornata che delimita la veste damascata bianca della dama di profilo l’ultimo gruppo di giornate dovrebbe essere quello dei potenti stesi sotto il cavallo, dipinti dall’alto verso il basso, e concluso dalle vesti del benedettino che sembra essere l’ultima figura dipinta. La realizzazione pittorica del Trionfo della Morte è a buon fresco e la tecnica usata è particolarmente accurata, tanto da farci pensare a delle mani molto esperte. Inoltre, la disponibilità dei colori costosi utilizzati come l’azzurrite, il cinabro, il giallo di piombo e l’oro, fa pensare che si trattasse di un artista o più artisti ben conosciuti. Gli incarnati sono particolarmente interessanti visto che definiscono la condizione fisica e sociale dei personaggi: le dame e i cavalieri infatti hanno una carnagione perlacea e rosata, mentre i poveri hanno visi più colorati e contrastati. Per quanto riguarda i colori che adornano le vesti invece, questi sono precisi e coprenti, descrivono perfettamente la qualità dei tessuti o la preziosità delle pellicce. Vi sono moltissime rifiniture riprese a secco una volta completato l’affresco; queste sono principalmente le parti che descrivono il fogliame, il cielo, l’acqua della fontana, i damaschi, i veli bianchi, i gioielli e le parti in oro in generale. Fra i colori utilizzati vi sono: azzurrite, cinabro, malachite, ossidi di rame, giallo di piombo, cinabro. Mentre per le parti in oro che formano i diademi a rosette tempestati di perle e rubini, anelli di diverse fogge e colori, spilloni dorati, per via delle condizioni di conservazione delle dorature non ci è permesso capire la loro tecnica. Curioso però costatare, che le dorature erano limitate alle parti basse del dipinto: gli ornamenti dei cavalieri dei due pannelli superiori sono dipinti a tempera con toni imitanti l’oro. Infine, bisogna tener conto dell’esecuzione a due mani dell’affresco. È chiaramente visibile una differenza di esecuzione di carattere tecnico, forse dovuta anche alla frammentazione estrema delle giornate che vedeva un artista impegnato a stendere la prima mano a fresco e l’altro a completarlo con stesure a tempera e finiture a secco anche preziose, richiedenti lassi di tempo non breve e la necessità di ripartire l’esecuzione. Del tutto palese nel differente trattamento pittorico delle figure, il tratto disegnativo delle teste dei due pittori così come il volto di profilo dell’accattone con le grucce  nel quale la trama degli aggetti, rughe, pieghe, il mirabile tracciato delle vene sulla fronte, pervengono a rendere oltre che fortemente espressivo, senz’alto originale, un modulo di repertorio . In generale in tutto il dipinto si possono riscontrare differenze di stesura con maggiore o minore evidenza soprattutto nei volti delle dame dove lo spessore rosato dell’incarnato è più o meno intenso. Infine afferma Cecily Brown : “È un onore enorme per me esporre una mia opera al Museo e Real Bosco di Capodimonte che vanta una collezione così straordinaria. Napoli è la mia città preferita, nel mio paese preferito ed è sempre un'emozione mostrare qui il mio lavoro. Sarà interessante vedere esposto The Thiumph of Death in Italia, stesso Paese in cui è situato l'affresco palermitano Il Trionfo della Morte”.  Sia nella sua versione originale che in quella rielaborata dall’artista, The Triumph of Death presenta la Morte come un cavaliere apocalittico in cima a uno spettrale cavallo bianco.
Cecily Brown è nata a Londra nel 1969 e ora vive e lavora a New York. L’artista è considerata una delle maggiori pittrici contemporanee, nota per la sua pennellata esuberante, la ricca tavolozza e l'intensa energia della sua pittura. Spesso trova ispirazione in opere iconiche – è il caso di The Triumph of Death - come strumento per esplorare temi contemporanei di grande attualità. Queste l’elenco delle sue mostre personali: Cecily Brown, Blenheim Art Foundation, Blenheim Park, Inghilterra (2020), We Didn't Mean To Go To Sea, Thomas Dane Gallery, Napoli, Italia (2019); Cecily Brown, Louisiana Museum of Modern Art, Humblebaek, Danimarca (2018); Triumph of the Vanities II, The Metropolitan Opera House, New York (2018); If Paradise Were Half as Nice, Instituto Tomie Ohtake, San Paolo. Ha esposto sue opere anche al Museo Oscar Niemeyer, Curitiba, Brasile; The Iberê Camargo Foundation, Porto Alegre, Brasile (2018). All’elenco si aggiungono: Cecily Brown: Rehearsal, MCA Santa Barbara, CA (2018); Cecily Brown: Shipwreck Drawings, the Whitworth Art Gallery, Manchester, Inghilterra (2017); Cecily Brown: Rehearsal, The Drawing Center, New York NY (2017); Madrepora, Thomas Dane Gallery, Londra, Inghilterra (2017).
Sue opere sono presenti nelle collezioni pubbliche dei seguenti musei: Solomon R. Guggenheim Museum, New York NY; Whitney Museum of American Art, New York NY; Tate, Londra, Inghilterra.
 
Museo Capodimonte di Napoli
Cecily Brown in The Triumph of Death  
dal 10 Febbraio 2022 al 1 Maggio 2022
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 8,30 alle ore 19.30
Mercoledì Chiuso
 
Didascalia opera: Cecily Brown The Triumph of Death, 2019
Olio su tela / oil on linen 535.94 x 535.94 cm. 211 x 211 in.
© Cecily Brown. Courtesy the artist and Thomas Dane Gallery. Photo: Genevieve Hanso