Giovanni Cardone Novembre 2022
Fino al 7 Maggio 2023 si potrà ammirare a Palazzo Albergati di Bologna la mostra Jago, Banksy, TvBoy e altre storie controcorrente propone un percorso espositivo che ruota intorno ai tre artisti più discussi ed amati degli ultimi anni. La mostra è curata da Piernicola Maria Di Iorio è prodotta e organizzata da Arthemisia con il patrocinio del Comune di Bologna, con la collaborazione di Piuma, Pop House Gallery e Apapaia. La mostra vede come sponsor Poema, come mobility partner Frecciarossa Treno ufficiale e Cotabo, come media partner Urban Vision ed è consigliata da Sky Arte. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulle figure controverse e dibattute Jago, Banksy, TvBoy apro il mio saggio dicendo : Sicuro talento nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione, Jago arriva direttamente al cuore del pubblico che lo ama, anzi lo adora. Paragonabile in tal senso a una rockstar, trasmette l’amore per l’arte ai giovani: le dirette streaming e le documentazioni foto e video – attraverso le quali coinvolge il suo pubblico sul web – raccontano il processo inventivo di ogni opera e il percorso condiviso consente una diretta partecipazione dei suoi followers al singolo passaggio esecutivo. Nelle sue opere, utilizza anche elementi tragici in un costante gioco di rimandi, con una visione sempre tesa alle tematiche del presente, suscitando provocatoriamente negli spettatori riflessioni sullo status dei nostri tempi. La genialità di Jago viene documentata per la prima volta in una mostra che riunisce una serie di opere realizzate fino ad oggi, dai sassi di fiume scolpiti (da Memoria di Sé a Excalibur), fino alle sculture monumentali di più recente realizzazione (come Figlio Velato e Pietà), passando per creazioni meno recenti ma più direttamente mediatiche quali il ritratto di Papa Benedetto XVI (Habemus Hominem).
Guardando la mostra di Jago ti accorgi che la sua ricerca fonda le sue radici nelle tecniche tradizionali e instaura un rapporto diretto con il pubblico mediante l’utilizzo di video e dei social network, per condividere il processo produttivo. Jago incarna la complessa figura dell'artista che si affida solo a sé stesso senza mediazioni, assumendosi per intero il compito di dialogare con il mondo. Attraverso le sue opere fornisce al pubblico una lettura personale della storia, risignificandola e utilizzando un materiale nobile come il marmo, appartenente alla tradizione, e procedimenti esecutivi classici dal disegno al modello, dal bozzetto d'argilla al calco in gesso, insieme all'adozione della figura umana come soggetto prevalente. Nella puntuale ricerca di stimoli sempre nuovi, emerge in Jago un preciso interesse per elementi apparentemente inanimati da valorizzare, tale è il caso del sasso, scarto del processo di cavatura del marmo estratto nel fiume. Nelle sue opere l’artista utilizza anche elementi tragici in un costante gioco di rimandi, con una visione sempre tesa alle tematiche del presente suscitando provocatoriamente negli spettatori riflessioni sullo status dei nostri tempi. C'era un tempo nel quale il corpo scolpito restituiva al suo creatore la misura di un rapporto tra il sé, l'altro da sé e la storia di un'arte tutta in divenire. Oggi, la figura ri-creata sembra impotente a rappresentare altro rispetto all'annoiato e decaduto epigono di racconti finiti, o a mutuare forme proprie a linguaggi propri di arti visive contemporanee. Da questo punto di vista di Jago è un unicum, un punto esclamativo lanciato nello stagno dell'apatia nella quale pare immersa l'arte figurativa . I suoi lavori costituiscono illuminanti chiavi di lettura contemporanee di un soggetto universale nell'arte, perché connaturato all'esistenza, affrontato con una tecnica del tutto innovativa . La ricerca di Jago inizia a sostanziarsi di elementi che permangono alla base della scultura , adattata ai nostri tempi. Il corpo è fatto della stessa materia vitale di cui si compone l'universo.
Come parte del tutto, è frammento senza volto, senza nome, sottratto all'identità e al tempo che lo hanno prodotto. Il corpo è parte dell'enigma irrisolto che sottende al mistero della vita e che coinvolge parimenti lo spazio che lo compenetra. "Madre Terra" potrebbe essere il nome destinato ad una di queste essenze impersonali sostanziate del colore della terra stessa. Il complesso tema di forze è leggibile in virtù del delicato equilibrio visuale fra dimensioni, distanze, direzioni, curvature, volumi e dinamicità. Ciascun elemento possiede una forma appropriata in relazione a tutte le altre, fissando così un ordine definitivo nel quale tutte le forze componenti si contengono a vicenda, nessuna di esse può imporre alcun mutamento nell'interrelazione. Il gioco di forze si trova in quiete apparente. Ma il corpo rimane l'elemento propulsivo, vitale, che rompe la permanenza, che è motore di cambiamento in questo senso, è la chiave di volta di queste composizioni. Il corpo di Jago è generato dall'espressività gestuale ed emozionale di se stesso. Il corpo, dunque, come forma simbolica, richiede una conoscenza che implica volontario avvicinamento, ricerca perseguita, lenta penetrazione è quella praticata dall'autore, è quella reiterata ad ogni rinnovato sguardo dello spettatore. Arrivati alla scoperta ci si accorge che quel corpo è parte di un tutto, arrivati al particolare, la visione è dunque la stessa del punto di partenza. A cambiare è l'esperienza. Comprendere l'opera, coglierla come totalità, è funzione di una rivelazione, l'immediatezza sospende la dimensione temporale, la visione logica dovrebbe restituirci il motivo di tale rivelazione. L'avvicinamento alla conoscenza necessita di un medium, di un linguaggio interpretativo. L'uomo ha bisogno di regolarità, la impone alla propria visione perché è funzionale, dal punto di vista conoscitivo. Questa rigidità dietro la quale si cela il dis-ordine, ci pone dinnanzi ad un interrogativo che per ora sembra rimanere irrisolto, ovvero di quale sia il rapporto tra le due tendenze cosmiche, quella volta al disordine meccanico e quella volta all'ordine geometrico. Talvolta, colate di sangue informale spezzano le griglie, è la vita che incombe, supera le costrizioni che la ragione prova ad imporsi. Ma Jago riesce sempre con maestria suprema ad imporre all'organizzazione della visione il proprio schema strutturale allo spettatore è restituito un punto di vista, l' osservazione è accompagnata. Guardando all'intera produzione di Jago sin qui svolta, colpisce la coerenza della ricerca nelle direzioni sopra dette, anzi i processi paiono chiarirsi e raffinarsi nel tempo. Accanto ad un procedere dalla semplicità alla complessità dello studio, si ha un procedere dalla confusione verso l'ordine nella consapevolezza dell'indagine. Con il tempo, lo sviluppo, la metamorfosi, presenta un moltiplicarsi di parti dissimili, ma anche un accrescimento della precisione con la quale tali parti sono contraddistinte l'una rispetto all'altra e ciò è più che evidente se confrontiamo la recente produzione con quella precedente . Le sculture di Jago sono raffigurazioni di enigmi da decifrare, restituiscono la presa di coscienza di una visione d'insieme della realtà, che presuppone il dettaglio, nel contesto metamorfico del presente ci svelano la cocente contemporaneità di un osservatore che ha colto l'unità di misura entropica del mondo ed insieme la sua imperscrutabile soluzione. Ogni volta che nasce una nuova opera, Jago torna a stupire e al contempo a emozionare. L’ultima sua creatura dall’aspetto monumentale ha richiesto moltissimo lavoro. Così come è stato per il Figlio Velato alla chiesa di San Severo. Infine guardando le opere di Jago sono rimasto meravigliato egli è riuscito ad unire tradizione e innovazione, davanti al Ritratto di Bebedetto XVI ho ricordato le parole del grande Michelangelo Buonarroti che diceva: “Se la scultura l’hai bene in mente essa è già li ad aspettarti dentro la massa”. È addirittura molto difficile assegnare a questa o queste pratiche un nome che venga riconosciuto globalmente dagli stessi artisti e dagli spettatori. Street Art: Complesso di pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali che intervengono nella dimensione stradale e pubblica dello spazio urbano, originariamente provviste di una fisionomia alternativa, spontanea, effimera e giuridicamente illegale salvo poi essere, in una fase posteriore, parzialmente sanzionate e fatte proprie dalla cultura popolare di massa, dal mercato e dalle istituzioni, prospettiva che contribuisce a rendere molto problematica a oggi una puntuale individuazione del campo, che rimane estremamente liquido e aperto a molteplici visioni. Secondo questa definizione, all’interno del termine Street Art risiedono anche pratiche quali il graffitismo e il writing in tutte le loro sfaccettature, dal momento che anch’esse potrebbero essere definite come “pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali”. Nonostante ciò, però, non tutti sarebbero d’accordo nell’includere quei terribili scarabocchi disegnati sui muri delle nostre case all’interno del grande mondo della street art. Quindi come definire questo o questi movimenti? La stessa Treccani afferma la difficoltà di offrire “una puntuale identificazione del campo” e di conseguenza spetta ad ogni singolo creatore o fruitore di queste “opere” stabilire se siano artistiche o meno, se siano belle o brutte e siano giuste o sbagliate.
“Non esiste una definizione perché la street art non esiste oppure sono semplicemente tutti i metodi di espressione comunicativa effettuati in strada .Tutto quello che viene strutturalmente creato in strada è potenzialmente street art. Poi all’interno del grosso calderone possiamo fare mille suddivisioni, e ti assicuro che saranno diverse per ogni writer- street artist a cui chiedi.” Se oggigiorno la street art è cosi famosa è anche e soprattutto grazie ad internet. Come per ogni altro tipo di arte, dalla pittura alla musica, dalla fotografia al cinema, il web ha reso possibile una divulgazione che precedentemente non era neanche immaginabile. I social network in primis hanno dato grande visibilità a tutte quelle persone che altro modo non avevano per potersi far conoscere. Molti artisti contemporanei misurano la propria fama e la propria bravura in base a “likes” e visualizzazioni, raggiungendo cifre astronomiche. Ora è possibile ammirare opere provenienti da tutto il mondo seduti comodamente sul divano di casa. Questo nuovo tipo di fruizione ha totalmente cambiato le regole del gioco: non è più il gallerista a decidere chi avrà visibilità e chi no ma il pubblico stesso. Si parla di una sorta di processo di democratizzazione dove ognuno, su internet, ha le stesse possibilità degli altri. Con l’avvento di internet si viene anche a sviluppare sempre di più una nuova forma di street art più vicina alla concezione moderna: stencil, installazioni, adesivi, poster etc. Una realtà completamente differente da quella del writing vero e proprio; mutano i riferimenti culturali, le tecniche, gli stili e i supporti. Mutano le motivazioni e gli obiettivi. Non è più importante la firma e la riproduzione spasmodica della medesima; viene a mancare l’utilizzo di caratteri spesso criptici e comprensibili solo ai facenti parte del movimento e di conseguenza si modifica il rapporto con il pubblico; cambia il concetto di unicità dell’opera basti pensare agli stencil, riproducibili ipoteticamente all’infinito varia il rapporto con i canali dell’arte ufficiale e di conseguenza con le gallerie; si affina il mescolamento con linguaggi differenti quali grafica, fotografia, disegno ma anche musica o altri. Una grande differenza tra le due pratiche, writing e street art, è che mentre la prima può essere considerata una cultura a tutti gli effetti “che non può prescindere da fattori umani e passionali oltre a quelli prettamente estetici, la seconda sembra esaurirsi nell’esecuzione asettica di singole opere nel tessuto urbano, senza alcun codice né quadro di riferimento condiviso”. “L’estetica era completamente diversa c’è stato un cambiamento di estetica così forte, così repentino, che il writer si è trovato davvero spiazzato, anche perché per il writer la street art era un sottoprodotto del writing, però questi sono arrivati, erano bravi, erano tanti, usavano lo spazio in modo molto diverso perché mentre il writer usa il muro come se fosse una tela, invece gli street artist dialogano con lo spazio e gli oggetti, usano la superficie.” Considerato da tutti lo street artist più famoso del mondo, Banksy, la cui vera identità rimane tutt’ora un mistero, cresce a Bristol ed inizia proprio qui, nella cittadina inglese, la sua attività artistica. Difficilmente si potrebbe racchiudere in poche decine di righe un profilo completo ed esaustivo di questo personaggio misterioso; neanche le decine di libri scritti sul suo conto sono stati probabilmente in grado di raccontare in maniera completa la sua figura. Probabilmente una delle sue opere più famose ed importanti, “Flower Thrower”, fatta nel 2003 a Gerusalemme, sul muro di un edificio privato, rappresenta al meglio il suo personaggio. Sottolineo la parola “personaggio” dal momento che, quando si parla di lui, nulla può essere dato per certo e di conseguenza si può solamente parlare di ciò che lui lascia e, soprattutto, vuole lasciar trapassare al pubblico. Quest’opera rappresenta un ragazzo con il viso coperto, un cosiddetto “delinquente”, che al posto di lanciare un sasso o una molotov, lancia un mazzo di fiori, unico elemento colorato del disegno. Racchiude in sé molti dei messaggi cosi cari a questo artista: ribellione al sistema, ironia, speranza, pace, arte, protesta. Non bisogna inoltre dimenticarsi del luogo nel quale è stata fatta, ovviamente, come nel caso di tutti i lavori di Banksy, non scelto a caso; si tratta infatti di Gerusalemme, dove nello stesso anno fu terminata la costruzione del muro che avrebbe separato i territori palestinesi da quelli israeliani, muro sul quale, per altro, Banksy realizzerà diversi murales anche loro a scopo di protesta. Questo murales ha fatto il giro del mondo ed è stato un simbolo per molti ragazzi, un simbolo di protesta e di speranza, un simbolo di manifestazione pacifica. Esempio ne è il ragazzo che il 31 Gennaio 2014, durante la manifestazione contro gli sfratti nel quartiere Lavapies di Madrid, lancia un mazzo di fiori a dei poliziotti in assetto antisommossa. Banksy diventò famoso grazie alla tecnica dello stencil, ovvero una maschera che viene realizzata tramite il taglio di alcune sezioni della superficie del materiale ad esempio un foglio di cartoncino per formare un negativo fisico dell'immagine che si vuole creare. Applicando della vernice o del pigmento sulla maschera, la forma ritagliata verrà impressa sulla superficie retrostante lo stencil, in quanto il colore passerà solo attraverso le sezioni asportate. Le caratteristiche principali di questa tecnica sono: la rapidità di realizzazione dell’opera una volta preparata la maschera e la possibilità di riprodurla, ipoteticamente, all’infinito. Questo ha consentito a Banksy di dipingere, negli anni, in luoghi molto sorvegliati e difficili da raggiungere: giunge sul luogo prescelto, sempre molto simbolico e mai a caso, applica la maschera sulla parete, dipinge e scappa, senza che nessuno abbia nemmeno il tempo di accorgersene. Durante un’intervista Banksy affermò: “È questa la chiave dei graffiti: l’ubicazione” . Come dargli torto? Per essere veramente efficace , la street art di Banksy deve essere collocata nel contesto giusto. L’arte di strada deve comunicare con il luogo nel quale viene creata, deve interagire con l’ambiente circostante; solo cosi il pubblico riuscirà a non vederla più come un semplice “disegno” esteticamente bello ma come qualcosa di più.
Quando dunque le sue opere vengono rimosse dal loro luogo originale per poi essere vendute ed affisse ad una parete di qualche ricco salotto, perdono tutto il loro valore, perdono la loro anima. È cosi che con il tempo l’artista di Bristol decise di non firmare più le proprie opere; cosi facendo avrebbe, in primis, evitato un possibile arresto e soprattutto avrebbe evitato che le sue opere, rivolte a tutti, libere e gratuite venissero rimosse da qualche “businessman”: in assenza della sua firma infatti sarebbe stato difficile autenticare le opere; l’unico modo per farlo era, ed è tutt’ora, quello di rivolgersi all’agenzia Pest Control letteralmente “servizio di disinfestazione” che certifica le stampe e i dipinti autentici di Banksy. L’unico problema è che non vengono autentificati i pezzi di strada perché “i proprietari delle case tendono ad incazzarsi parecchio quando gli sparisce una porta perché c’era dipinto uno stencil”. Ogni pezzo di Banksy ha una fattore molto forte di critica verso un problema della società. Ogni sua opera apre un dibattito che potrebbe durare ore, questiona su argomenti fondamentali per il nostro tempo, mette in discussione ogni cosa. In base alle interviste effettuate risulta molto spesso che Banksy venga visto come una vox populi, come un Robin Hood contemporaneo. Non si sa chi sia; un uomo che ha mandato avanti la forza del suo messaggio a discapito della fama della sua persona. Un uomo che la gente apprezza per la sua presunta sincerità. Dico presunta perché nessuno sa in realtà quali siano i suoi scopi, cosa lo spinga a perseguirli e chi ci sia dietro alla maschera. C’è chi pensa che sia solamente un prodotto commerciale, che non sia più solo una persona ma che sia un’azienda. C’è chi dice che sia ricchissimo e che quindi non sia più coerente con quello che predica. Dicono che tutto ciò che ha fatto l’abbia fatto solo per la fama. Tutto ciò è possibile, anzi probabile; nessuno mette in dubbio che ormai non sia più solo uno: sarebbe impossibile aver creato questo impero da solo. Ma anche i cartoni animati e i supereroi sono finti; dietro si nasconde sempre qualche ricca e avida casa di produzione e nonostante questo continuano a farci sognare. Quindi perché dovremmo smettere di farlo? Dipingere Graffiti è il modo più onesto in cui puoi essere un artista. Non servono soldi per farlo, non è necessaria una formazione per comprenderli e non c'è alcuna tassa di ammissione. Due artisti le cui più celebri opere mai realizzate sono loro stessi: “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti” diceva Warhol e Banksy risponde: “Ognuno nella vita avrà 15 minuti di anonimato”. Figure geniali, capaci di creare un cocktail potente di celebrità, satira e voyerismo e che hanno saputo trasformare la loro arte in un evento straordinario. Si affronteranno, inoltre, i grandi temi comuni a entrambi gli artisti: la musica e il cinema, che costituiranno un faccia a faccia unico. TvBoy con la sua arte racconta l’attualità sui muri delle più grandi metropoli italiane e spagnole. Una visione non convenzionale che ha come obiettivo primo quello di suscitare una riflessione importante sui temi più salienti che il contesto socioculturale in cui siamo inseriti sta vivendo. Non a caso diventa famoso ai più, in Italia, nel marzo 2018 quando, pochi giorni dopo le elezioni politiche, realizza in via del Collegio Capranica, a Roma, Amor Populi, un murales che raffigura Luigi di Maio e Matteo Salvini che si baciano sullo sfondo di un cuore rosso. Provocatorio e sfrontato, Benintende aka TvBoy prosegue con la sua linea di pensiero, cavalcando l’attualità con opere che suscitano un certo shock da parte dei passanti: un invito a ragionare e a riflettere sui temi più caldi e più dibattuti. Scegliendo la strada come proprio spazio espositivo, considerato da lui stesso il luogo più democratico, TvBoy non solo si sottopone all’occhio attento dei passanti, ma anche a quello delle Istituzioni e della politica, coinvolgendo nelle sue opere i maggiori esponenti: da Salvini a Di Maio, passando per Trump, Greta Thunberg, Papa Francesco, Silvio Berlusconi e così via. Non stupisce dunque che molte delle sue opere, tra cui Amor Populi, siano state immediatamente rimosse. Una fama tenuta accesa dunque dalla stessa censura delle sue opere: Benintende in un’intervista spiega che la Streetart è un happening e la sua stessa rimozione ha un effetto positivo sull’opera stessa e sulla fame dell’artista. Non è tanto il messaggio, ciò che conta, ma quanto le emozioni che suscita ed è questo in fondo l’obiettivo di un’opera artistica, trasmettere attraverso varie forme di linguaggio, il proprio modo di vedere la realtà, letto dagli occhi dell’artista, sì, ma poi lasciato alla libera interpretazione dello spettatore. Proprio sulla fine del 2020 Benintende ritorna in scena a Milano con tre nuovi lavori di Streetart in una delle zone più popolari della città meneghina: i Navigli. Siamo ancora nel pieno della pandemia e l’artista decide di raffigurare il contesto sociale fortemente colpito da Covid-19: vediamo una signora con in mano un bastone pronta a distruggere una telecamera di sorveglianza e il claim “Milano resiste!”. Partendo dall’Ultima Cena, TvBoy racconta il DPCM per contenere il contagio inscenando Gesù in piedi con la mascherina che divide la tavolata a metà per distanziare i commensali, “Cena per sei”; sulla stessa onda anche la terza opera, dal titolo “Covid Cola”, riprende una vecchia pubblicità con lo slogan “Everyday is a 6 people celebration” e una famiglia di sei persone seduta a tavola con le mascherine. L’intento di TvBoy non è quello di andare contro la politica o di dare la sua personale opinione su ciò che accade nel nostro contesto sociopolitico, ma è utilizzare l’arte per suscitare nel pubblico domande, innescare un pensiero, una riflessione per sensibilizzare l’opinione pubblica su temi di attualità sociale, politica, culturale: l’arte come strumento socialmente utile per trasmettere speranza. La scelta dei temi da cui partire deriva dalla sua stessa sensibilità, non vuole essere un messaggio di propaganda nei confronti delle sue ideologie o andare contro la politica, ma semplicemente dare una scossa all’opinione popolare. L’arte per definizione è una forma di creatività che racchiude le più svariate tecniche: fortunatamente non esiste un unico linguaggio di espressione e neppure un unico codice di interpretazione.
L’arte rispecchia le opinioni, i sentimenti e i pensieri di un artista che trova la sua ispirazione partendo dal suo vissuto, dal suo bagaglio esperienziale profondamente contaminato dall’ambito sociale, culturale e politico del suo periodo storico. Partendo da questo assunto, la Streetart di TvBoy è un’opera d’arte che, sebbene non duri fisicamente nel tempo, fortunatamente gode di vita eterna nell’etere digitale.
La mostra suddivisa in quattro sezioni :
Prima sezione
Jago Artista che opera nel campo della scultura e della produzione video, Jago nasce a Frosinone nel 1987, dove frequenta il Liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti (lasciata nel 2010). La ricerca artistica di Jago affonda le proprie radici nelle tecniche tradizionali e instaura un rapporto diretto con il pubblico mediante l’utilizzo di video e dei social network, per condividere il processo produttivo. All’età di ventiquattro anni, su presentazione di Maria Teresa Benedetti, è selezionato da Vittorio Sgarbi per partecipare alla LIV Biennale di Venezia, esponendo il busto in marmo di papa Benedetto XVI (2009) che gli è valso la Medaglia del Pontificato. La scultura giovanile è stata poi rielaborata nel 2016, prendendo il nome di Habemus Hominem e divene uno dei suoi lavori più noti. Dal 2016, anno della sua prima mostra personale a Roma, vive e lavora in Italia, Cina e America. È stato professore ospite alla New York Academy of Art, dove tiene una masterclass e diverse lezioni nel 2018. A seguito di un’esposizione all’Armory Show di Manhattan, Jago si trasferisce a New York. Qui inizia la realizzazione di Figlio Velato, esposto permanentemente all’interno della Cappella dei Bianchi, in di San Severo Fuori le Mura a Napoli. Nel 2019, in occasione della missione Beyond dell’ESA (European Space Agency), Jago è il primo artista a inviare una scultura in marmo sulla Stazione Spaziale Internazionale. L’opera, intitolata The First Baby e raffigurante un feto, è tornata sulla Terra a febbraio 2020 sotto la custodia del capo missione, Luca Parmitano. Nel novembre dello stesso anno realizza l’installazione Look Down, immagine di un nudo infantile allora temporaneamente collocata in piazza del Plebiscito a Napoli, ora nel deserto di Al Haniyah a Fujairah (UAE). Il 1° ottobre 2021 installa invece l’opera Pietà nella basilica di Santa Maria in Montesanto, in piazza del Popolo a Roma. Nel 2022, sempre a Roma, Palazzo Bonaparte ospita la sua prima grande personale.
Seconda sezione – Banksy
Il carattere satirico con cui l’artista di Bristol, attento osservatore delle dinamiche sociali, affronta le tematiche attuali rende i suoi lavori unici. Terrorismo, crimini di guerra, la crisi economica, il bullismo, gli abusi sul lavoro sono argomenti ricorrenti nei notiziari, immagini e informazioni che quotidianamente giungono a noi ma che raramente permeano dentro di noi. Non è il caso però di Banksy, il mistero irrisolto dell’arte contemporanea della nostra epoca. In termini di forma Banksy utilizza i temi della vittimizzazione, con protagonisti che incarnano innocenza durante tutto il loro lavoro, per esempio, molte delle sue opere presentano figure di bambini, oppure della giovinezza e la maggior parte del pubblico può identificarsi con questi temi perché tutti possono relazionarsi con i concetti di innocenza e disincantato umorismo. Probabilmente lo street artist più controverso al mondo, con le sue opere Banksy ha creato una sottocultura a sé stante – carica di una visione dirompente e densa tenaci dichiarazioni politiche – capace di generare nuovi impatti ideali e simbolici in diverse città di tutto il mondo provocando punti di vista alternativi incoraggiando una nuova rivoluzione nel mondo dell’arte. Ciò che più sconvolge gli spettatori è la rapidità, l’immediatezza nel rappresentare questioni scottanti dell’attualità globale nelle sue opere – in modo brillante dettato dal british humor che lo distingue – trasformando muri, scale, pareti e angoli di strade anonime in spazi di riflessione e segnando, ineluttabilmente, anime e cuori delle persone. Mentre colpisce il mondo intero, la produzione artistica di Banksy crea un effetto a catena e stimola il microcosmo di giovani e artisti per continuare a portare avanti questo comportamento radicale, tenace. Come la società, l’arte si evolve e Banksy continuerà a fornire altre sorprese per l’arte e la società contemporanea!
Terza sezione – TvBoy
TVBOY è nato a Palermo nel 1980 e anche se è cresciuto a Milano forse è quel sangue siciliano che lo spinge a trasferirsi a Barcellona per amore. Una “fuitina” senza troppi drammi però, perché in poco tempo diventa uno degli street artist più riconoscibili. I suoi riferimenti culturali sono da ricercare proprio nel bombardamento televisivo che la sua generazione ha subito e dal quale TVBOY, giocando su questo concetto fin dal nome, ci invita a smarcarci. Nel 2007 è uno dei protagonisti della mostra “Street Art – Street View”, la prima esposizione di arte urbana promossa in Italia da un’istituzione, che in un certo senso farà arrivare a una diversa presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica si questo tipo d’arte. TVBOY (al secolo Salvatore Benintende) nelle sue creazioni guarda sicuramente alla Pop Art, ma anche al mondo dei fumetti e dei videogiochi. Ha invaso le strade italiane, e non solo, con i suoi famosi baci ideali tra icone contemporanee (spesso in contrapposizione) divenendo non di rado l’immagine più diffusa sui media per spiegare i cambiamenti politici e sociali. TVBOY incarna perfettamente la nostra contemporaneità, perché abbatte i confini tra discipline e ci spinge verso l’abbandono di una sterile visione del mondo per categorie, sia per le tecniche o gli strumenti che usa, sia per i contenuti che affronta, parlandoci di razzismo, discriminazione, ambiente, clima, cinema, sport, religione, violenza, sesso, morte, immigrazione, amore, amicizia, potere, eroi e arte. La sua forza è la produzione continua, esagerata, famelica. TVBOY ambisce a diventare un’enciclopedia per immagini della società contemporanea e ci sta riuscendo.
Quarta sezione – Dall’anonimato al reale, nuovi concetti spaziali, ma senza limiti
Questa sezione mette insieme il sacro e il profano, giovanissime promesse e riconosciuti maestri, classicismo e sovversione: dall’anonimato al reale, nuovi concetti spaziali, ma senza limiti. Oltre il Barocco e il Rococò, i graffiti di Andrea Ravo Mattoni rendono vivi e presenti – ora e qui – i capolavori immortali dell’arte moderna normalmente esposti nei musei. Tecnica e dimensione sono la sua cifra identitaria, la bomboletta spray sostituisce il pennello e le tele diventano grandi pareti, una conversione unica che consegna i capolavori più importanti del classicismo italiano all’esterno consentendo a tutti di poter vivere il quadro senza alcun filtro e limitazione; esattamente l’opposto di quanto accade visitando i grandi musei, dove il flusso dei visitatori impone tempi di visione brevi e nega la possibilità di sostare a lungo di fronte all’opera. Il muro, massima espressione della Street Art diventa la cornice ideale per installare cartelli stradali e staccionate in legno; elementi che normalmente troviamo per strada diventano i protagonisti delle opere di uno degli street artist più famosi e controversi, Thierry Guetta, alias Mr Brainwash, che ha iniziato stringendo amicizia e filmando alcuni dei più influenti artisti del mondo, tra cui l’anonimo più famoso del Regno Unito, Banksy (seguito durante le sue incursioni alla Tate Britain e sul muro che divide Cisgiordania e Israele). Citazioni del mondo dell’arte, riferimenti al consumismo e alla cultura che ha dominato la nostra società negli ultimi decenni sono amalgamati con un’onnivora visione ultrapop generando, secondo lo stesso artista, opere che rendono le persone felici, portando gioia, colore e messaggi positivi. Una sintesi chiara per dire che la vita è bella! Un forte legame quello con la materia che controcorrente, e imponendosi sugli odierni abusi digitali, si colloca nelle figure in bilico tra sacro e profano di Pau. Intaglio della matrice, processo di stampa home made e ritocco a mano di ogni singola stampa con tecniche miste sono i processi con cui Pau realizza le proprie personali dee della Fortuna, un connubio ideale tra mitologia greca, superstizione e iconografia cattolica. Con Santa Suerte, la Giustizia, è rappresentata come dea bendata, a simboleggiare il principio della sua imparzialità, raffigurata come una donna che non può guardare in faccia nessuno; una visione di Giustizia che, quasi fatalmente, tende ad accomunarsi a quella della Fortuna! Quella mancanza di equità, tolleranza e giustizia che fa male, logora, non può entrare nelle nostre vite soltanto mediante rapide immagini al telegiornale o con vaghi titoli sui social. Con la visione disincantata e ironica di Laika, artista sincronicamente indipendente, misteriosa e libera, l’attenzione rimane viva, tenace come i suoi poster e adesivi, effimeri tableau vivant, che attraggono interesse e sguardi al nostro passaggio per strada. Lo so è “solo” un poster, ma si può dire molto con la carta, si può dire tutto! E infine un’immagine che non ha bisogno di presentazioni: tutto è speranza, Hope appunto, la più efficace illustrazione politica americana dai tempi dello Zio Sam realizzata da Obey che renderà memorabile la vittoria di Barack Obama, il primo afroamericano a ricoprire la carica di Presidente degli Stati Uniti d’America. Il catalogo della mostra è edito da Skira.
Palazzo Albergati di Bologna
Jago, Banksy, TvBoy e altre storie controcorrente
dal 11 Novembre 2022 al 7 Maggio 2023
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 20.00