Nell’agosto del 1911 il più celebre quadro del mondo fu rubato dall’italiano
Vincenzo Peruggia, un imbianchino che lavorava al
Louvre, nell’intento di restituire all’Italia il famoso ritratto raffigurante
Lisa Gherardini, moglie del fiorentino
Franceso del Giocondo, donde la “
Joconda”, detta
Monna Lisa, come il più attendibile dei biografi del tempo, il
Vasari, nel 1550, ci ricorda:
“
Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie”.
Ma la straordinaria notorietà del ritratto deriva appunto dalla mattina (un lunedì, a museo chiuso) di quell’agosto 1911, quando il
Peruggia staccò l’opera dal
Salon Carré del
Louvre e se la portò via, indisturbato, sotto il soprabito. Da allora ad oggi questo ritratto ha acquisito una popolarità planetaria, ma pure lo sbeffeggiamento senza pari da parte di molti artisti del Novecento, da
Marcel Duchamp a
Andy Warhol, a
Jean Michel Basquiat, anche se fu il celebre critico
Bernard Berenson tra i primi ad ironizzare sulla fortuna del dipinto
“
Entrano nel museo docili al comando delle guide, corrono davanti al capolavoro, si inchinano davanti ad esso ed escono felici senza aver capito nulla”.
Anche lo scrittore inglese
W. Somerset Maugham, come ricorda nel suo testo
Purely for my pleasure, del 1962 (
trad.it. 2016, di
Paola Faini), rimase alquanto indifferente, se non proprio deluso, allorquando da ragazzo si trovò di fronte al quadro di
Leonardo:
“
Durante una vacanza feci un viaggio a Parigi, dove vivevano due miei fratelli, molto più grandi di me. Io avevo letto e riletto il saggio di Walter Pater su Monna Lisa, e quando per la prima volta visitai il Louvre tralasciai tutte le gallerie dei quadri per precipitarmi, pieno di eccitazione, nella sala del famoso ritratto di Leonardo. La mia delusione fu profonda. Era dunque quello il quadro descritto da Pater con parole così eloquenti e prosa tanto raffinata?”.
Chi scrive poi, immodestamente, dichiara la propria antipatia per questo dipinto di
Leonardo. E suppongo che anche
Gabriele D’Annunzio non nutrisse particolare ammirazione per quest’opera, di cui tuttavia dovette percepire il fascino del mito letterario che intorno ad essa si era creato. Difatti, tra le numerose donne da lui amate, quella che maggiormente lo aveva sedotto fu appunto una
Luisa, la nota
Marchesa Casati Stampa (1881-1957) con la quale ebbe un singolare carteggio tra il 1908 e il 1932
1. Ebbene apprendiamo proprio da questa corrispondenza che agli inizi del rapporto tra il
D’Annunzio e la
Casati, il primo vezzeggiativo con il quale il poeta si rivolgeva a questa
femme fatale, fu appunto
Monna Lisa, ma non per un riferimento diretto al ritratto leonardesco.
Giova ricordare innanzitutto, che l’eccentrica e stravagante marchesa aveva fra le molte, tante passioni, quella dei travestimenti, abbigliamenti fantasiosi ed esotici con i quali amava farsi ritrarre dagli artisti più famosi del suo tempo: dal surreale e simbolista
Alberto Martini al futurista
Giacomo Balla. Ma il più noto è
La Marchesa Casati con i levrieri, 1908, di
Giovanni Boldini, già in
collezione Rothschild, oggi in quella del compositore
Andrew Lloyd Weber. Il ritratto ebbe un’immediata notorietà a Parigi tra il 1908 e il 1909, tanto che un critico del “
Le Figaro” definì “anti-Gioconda” l’effigiata per sottolineare lo sguardo magnetico ed aggressivo tipico della nobildonna lombarda, dai grandi occhi bistrati.
L’appellativo “anti-Gioconda” fu formulato dal critico francese in occasione della pubblicazione a Parigi del primo manifesto futurista del 1909; e difatti
amica del
Marinetti2 e del futurismo la
Casati lo fu. Ecco dunque per
Gabriele D’Annunzio l’occasione per rivolgersi all’unica donna che l’aveva veramente “sbalordito” con il nomignolo
Monna Lisa fin dall’inizio del loro rapporto. E così dal primo biglietto su carta azzurra di Pineider inviato alla marchesa si legge: “
Grazie, gentilissima Signora, che vorrei chiamare «Monna Lisa». Domani verrò.”
3 D’Annunzio usò questo vezzeggiativo un paio d’anni, poi le si rivolse col più duraturo e classicheggiante “
Coré” (dal greco choré: ragazza, vergine), più consono al suo sensuale lirismo, e forse anche al più semplice e arcaico dialettale abruzzese: “core, core mio”.
Ma l’anti-gioconda, dieci anni dopo, nel 1919 fu ritratta da un altro celebre pittore, l’inglese
Augustus John (1878-1961),
The Marchesa Casati (
Art Gallery of Ontario, Toronto) che riprende, con una certa ironia,
Luisa Casati nella posa della Lisa leonardesca, tanto che la critica del tempo in Italia volle definirla come una “
coraggiosa ma alquanto immodesta sfida alla Monna Lisa di Leonardo” da parte dell’artista inglese. Ma da allora era già iniziata la stranissima fama del ritratto più dileggiato ed enigmatico del mondo.
Alla fine della prima guerra mondiale, il pittore
Augustus John4 (1878-1961), già noto come ritrattista e fine disegnatore, dopo aver prestato per due anni servizio come maggiore nell’esercito canadese per documentare attraverso le sue opere l’impegno di questo paese nel conflitto in Europa, ebbe l’incarico dal governo inglese di ritrarre i personaggi più in vista alla Conferenza della Pace a Parigi nel 1919
5; l’artista aveva studiato alla famosa
Slade School of Fine Arts a Londra dal 1894 al 1899, insegnato alla
Liverpool Academy tra il 1900 e il 1902, e poi di nuovo a Londra per unirsi al gruppo del
New English Art Club nel 1903. Inizialmente
influenzato da
Puvis de Chavanne e dagli impressionisti in genere, per la ritrattistica ha guardato maggiormente a
El Greco (per l’allungamento della figura), a
Goya e
Rembrandt per la resa espressiva e i forti toni chiaroscurali degli effigiati e dei suoi stessi autoritratti; si vedano per esempio i ritratti di
W.B. Yeats, 1907,
The City Art Gallery, Manchester; di
G.B. Shaw, 1915,
The Fitzwilliam Museum, Cambridge; di
T.E. Lawrence, 1919,
The National Portrait Gallery, Londra, e successivamente di altri noti personaggi della letteratura, come
Thomas Hardy, 1923;
James Joyce, 1930;
Dylan Thomas, 1936
6.
Negli stessi anni alcune opere di
John furono esposte anche in Italia per essere state incluse nelle
Biennali di Venezia del 1922, 1928, 1930 e 1932. Nel 1945 fu presente a Roma alla mostra di artisti inglesi contemporanei organizzata dal
British Council di Londra nella
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dove fu esposto il suo noto
Autoritratto con pipa del 1938, Londra, coll. priv
7.
* * *
Luisa Casati (1881-1957) si trovava a Parigi tra il 1918 e il 1919 e fu notata da Augustus John in un pomeriggio mondano ospite nella casa sugli
Champs Elisée di
Maria Ruspoli, duchessa di Gramont. Ricorda l’artista nelle sue memorie
“…
mi colpì l’ingresso di una signora dall’insolita eleganza. Era come se adombrasse tutti gli altri presenti […]. Ella portava un alto cappello di velluto nero ornato da un monile d’oro, dono di D’Annunzio; i suoi occhi enormi. Abbondantemente ritoccati col trucco scintillavano fra la cornice di riccioli tinti di arancione […]. I nostri sguardi si incontrarono. Prima di congedarmi ottenni di esserle presentato: era la marchesa Casati”.
8
“
I due divennero amanti – scrivono i biografi
Ryersson e
Yaccarino –
Il loro fu un rapporto breve ma intenso, che si sarebbe poi trasformato in un’amicizia che durò tutta la vita”.
9
Della
Casati John dipinse tre ritratti ad olio e un disegno: i primi due nell’aprile del 1919, il terzo presumibilmente nel 1942 (oggi conservato a Cardiff nel
Museo Nazionale del Galles), come risulta da un telegramma di
John di quell’anno, conservato nell’
archivio Casati.
10
Il ritratto
The Marchesa Casati, 1919, fu gentilmente concesso in prestito temporaneo dal 15 dicembre 2004 al 6 gennaio 2005 alla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna dall’
Art Gallery of Ontario, Toronto, è un olio su tela, cm 96,5x68,5, per esporlo in un confronto con il
Ritratto della Marchesa Casati, 1911-13, di
Giovanni Boldini (1842-1931)
11,
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, e
Signora in bianco (
Femme en blanc), 1912 c. di
Kees van Dongen (1877-1968)
12,
Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
L’opera di John fu acquistata dal museo di Toronto nel 1934, ed è proveniente dalla
collezione di Sir Evan Charteris, membro del
Trustee of “
un capolavoro da paragonare a Velàzquez, Giorgione, Tiziano (Lord Duveen, 1934), e viene giustamente considerato anche oggi il quadro “più famoso del museo canadese”
13.
The Marchesa Casati, 1919, fu esposto per la prima volta nel 1920 a Londra all
’Alpine Art Gallery: “La mostra personale di John, intitolata
War, Peace Conference and other Portraits, includeva un gran numero di quadri, compresi quelli della
principessa Martha Bibesco [dipinta anche da
Boldini nel 1911, n.d.r.], della
duchessa di Gramont [
Maria Ruspoli, n.d.r.] e dell’amico
T.E. Lawrence [
Lawrence d’Arabia, n.d.r.]. Quest’ultimo «andò più volte a vedere la mostra all’Alpine Gallery» e, affascinato dal ritratto della Casati, definì l’effigiata «donna vampiro», poi, correggendosi, disse che era una «Gorgone»”.
14
Già famoso, quindi, il ritratto
The Marchesa Casati fu poi esposto (ma finora non risulta nelle precedenti bibliografie del dipinto) alla “Mostra Individuale” di
Augustus John nel
Padiglione della Gran Bretagna alla
Biennale di Venezia del 1928, dove furono presentate dieci opere dell’artista ai nn. 10-19: il primo al n. 10 era il ritratto che stiamo esaminando, all’epoca ancora di proprietà di
Sir Evan Charteris.
15
Immediato particolare apprezzamento del dipinto venne dal celebre critico italiano
Ugo Ojetti (1871-1946) che dichiarò in un articolo sul
Corriere della Sera (1928): “
I quattro ritratti di dama, specialmente quello della Marchesa Casati in parrucca rossa, e della viscontessa Tredegard in verde su sfondo vermiglio sono i più belli di questa biennale. ”
16 Ojetti favorì la conoscenza della pittura di
John in Italia, come si evince dalla pubblicazione nel 1929 di un saggio di
Ettore Cosimati sul pittore inglese, apparso sulla famosa rivista “
Dedalo” appunto diretta e fondata da
Ojetti nel 1920.
17
Ancora una volta, in anni successivi, una risonanza dell’interesse per il ritratto Toronto sulla stampa italiana, in occasione di una importante mostra di
John alla
Royal Academy nella
Burlington House di Londra nel 1954, si ebbe su “Il Mattino d’Italia” di quell’anno, dove tra l’altro si legge: “
Il limite estremo del suo romanticismo è raggiunto dal ritratto della Marchesa Casati, coraggiosa ma alquanto immodesta sfida alla Monna Lisa di Leonardo.”
18
John, infatti, aveva concepito i primi due ritratti della
Casati ispirandosi, forse ironicamente (a mio avviso), al celebre ritratto di
Leonardo. Del primo, però, l’artista stesso “
si dichiarò insoddisfatto”, e così anche la marchesa-modella, che si rifiutò di pagare a John l’opera (che però si tenne) e la vendette “
a Gerard Napier Sturt, Lord Alington, un altro ammiratore inglese”.
19
Ma più che un riferimento iconografico leonardesco (sebbene
John ammirasse i capolavori del
Rinascimento italiano), a parere dello scrivente, l’artista nel concepire l’opera doveva essere stato influenzato dal soprannome “
Monna Lisa” che
Gabriele d’Annunzio aveva attribuito a
Luisa Casati negli anni 1908-1909.
Inoltre
John doveva essere anche a conoscenza del successo che aveva avuto un precedente celebre
Ritratto della marchesa con i levrieri,
20 dipinto da
Boldini nel 1908, che, come abbiamo visto, un critico de “
Le Figaro” definì “anti-Gioconda”, proprio per sottolineare quella sua certa aggressività dello sguardo.
2 Dunque proprio questi motivi, di cui forse si vantava la marchesa con il pittore
John, dovettero indurre a dipingere due volte
Luisa Casati con allusione alla posa e allo sfondo del ritratto leonardesco. In realtà, specie il ritratto Toronto, offre ben altre considerazioni sulla qualità della resa pittorica dell’eccellente effigiata.
* * *
Dipinto inizialmente a figura intera, il ritratto fu poi tagliato in basso dall’artista, lasciando la figura della donna a tre quarti sullo sfondo di cime montagnose che dividono la metà della tela, accentuando la posa seducente della marchesa che indossa un pigiama di seta bianca dall’ampia e orlata scollatura: il suo busto è racchiuso nell’intreccio delle sue stesse mani, il volto di rara intensità fissa il pittore senza diaframmi e senza i consueti artifici che contraddistinguono la maggior parte dei suoi ritratti in costumi storici o stravaganti. Ha notato giustamente
David Wistow, autore del testo
The Marchesa Casati and Augustus John, che John ha creato un forte contrasto tra il freddo dell’aria montana che emana il paesaggio alle spalle della donna e il leggero, intimo abbigliamento della
Casati: “
an incongruous, almost surrealistic juxtapositions […] – where exactly is she standing?”
John evidentemente la considera oltre i confini della terra: la
Casati è come una stella che sorge dalla sommità delle montagne: un significato, questo che sarebbe confermato, secondo Wistow, della esistenza nell’archivio della
famiglia John di un poema intitolato “
Casati at the Alpine Club”.
21 Interpretazione a nostro avviso molto convincente dell’inizio della passione tra il pittore e la modella. In definitiva non possiamo non concordare che la singolarità del ritratto Toronto, rispetto agli altri cento e più ritratti che la marchesa volle e ottenne durante la sua inimitabile esistenza, consiste nel vedere in quest’opera
Luisa Casati senza maschera e senza gli orpelli della donna fatale, “
più dannunziana dello stesso d’Annunzio nell’eccentricità” (
Castagnola, 2000), come si vede bene nel
Ritratto della marchesa con le penne di pavone di
Boldini o nell’altro di
Van Dongen, La Signora in bianco, una tipica signora
up to date, alla moda, che alcuni studiosi ipotizzano sia la
stessa
Casati (
Chaumeil, 1967;
Ryersson e
Yaccarino)
22.
Indubbiamente resta comunque il fatto che il ritratto eseguito da
John ha esercitato e continua ad esercitare una permanente forza d’attrazione per come l’artista sia riuscito a rendere così magnetica l’espressione di questa
femme fatale: “
E’ la sola donna che mi abbia mai sbalordito”, per citare ancora
d’Annunzio, o
Cocteau che affermò lapidariamente, “
Non piaceva, stupiva.”
Tuttavia sono giudizi di personaggi altrettanto eccentrici; viceversa ci appare particolarmente significativa la testimonianza poetica di un famoso ma insospettabile scrittore americano della
Beat Generation, Jack Kerouac (1922-1969), il quale, nel 1954, proprio mentre attendeva alla stesura del suo libro più famoso,
On the Road (edito poi nel 1957) e viveva in un sordido albergo di San Francisco, scrisse 80 brevi poemi dal titolo
San Francisco Blues che lui chiamò “
Coro”, e il “
Coro 74” così recita:
Marchesa Casati/ Is a living doll/ Pinned on my Frisco/ Skid row wall// Her eyes are vast/ Her skin is shiny/ Blue veins/ And wild red hair/ Shoulders sweet & tiny// Love her/ Love her/ Sings the sea/ Bluely/ Moaning/ In the Augustus John/ de John/ back ground (“La Marchesa Casati/ E’ una bambola viva,/ Appuntata al mio muro/ Dei bassi di Frisco// Ha gli occhi immensi/ La pelle lucente/ Vene azzurre/ E rossi capelli selvaggi/ Spalle dolci & sottili// Amala/ Amala// Canta il mare/ Blue malinconico/ Gemendo/ Sullo sfondo di/ Augusto John de John”).
Kerouac non ha mai conosciuto la Casati, ma “
a una parete della sua stanza al Cameo era appesa una riproduzione macchiata e strappata del ritratto della Casati, eseguito da Augustus John nel 1919.”
23
di
Mario URSINO
Roma, 11 dicembre 2016
Note:
1.
Gabriele d'Annunzio, Infiniti auguri alla nomade. Carteggio con Luisa Casati Stampa, a cura di Raffaella Castagnola, Archinto, Milano 2000
2. cfr. Carlo Carrà,
Ritratto di Marinetti, 1911
3. Gabriele d'Annunzio,
op. cit., p. 43
4. La più esauriente biografia dell’artista: Michael Holroyd,
Augustus John. The new biography, Londra 1997
13.cfr. Ryersson e Yaccarino, op. cit., pp. 141-142, e nota 54, p. 144
14.cfr. ibid.; riferisce John nelle memorie delle lettere a lui inviate da Lawrence: “Spero che ci sia il ritratto della Casati: la parola a cui cercavo di pensare mentre la guardavo è «donna vampiro», ma non riuscivo a pensare perché mi aveva raggelato. (Metafora confusa: forse la parola che cercavo era «Gorgone»”, p. 142