L’esposizione, che ha tratto spunto dalle ricerche avviate nel fondo mediceo da Giulia Fusconi per uno studio monografico sull’artista di prossima pubblicazione (Il Liceo di Pallade. Pietro Testa, artista filosofo tra Lucca e Roma), ha scelto di ripercorrere le tappe evolutive del linguaggio figurativo di Testa e sondare la fortuna collezionistica delle sue opere in seno alle raccolte medicee, attraverso lo sguardo di Filippo Baldinucci (1624-1697), scrittore d’arte e primo ordinatore delle raccolte grafiche del cardinale Leopoldo De’Medici. La grande considerazione che Baldinucci ebbe per il Lucchesino si misura dalle parole con cui scelse di dare inizio alla biografia a lui dedicata nel Cominciamento e progresso dell’arte d’intagliare in rame del 1686:«[fu] uno de’ più eccellenti, e più infatigabili disegnatori, che avesse mai l’età nostra». Un giudizio che spiega l’acquisizione di ben quattordici disegni dell’artista,confluiti nelle strepitose collezioni dei Medici ed elencati da Baldinucci nel 1675 nella Listra de’ Nomi de’ Pittori, di mano de’ quali si hanno Disegni.
La carriera artistica di Pietro Testa, apprezzato dai suoi contemporanei soprattutto come incisore, fu piuttosto breve, a causa del probabile suicidio nelle acque del Tevere a soli trentotto anni. La sua vita fu segnata dal carattere saturnino e da una sete di ricerca che lo portò a concepire opere di notevole complessità intellettuale e di ardua lettura iconografica, che non sempre trovarono accoglienza favorevole presso la committenza. Fu per poco tempo allievo di Domenichino e poi di Pietro da Cortona, con cui ebbe uno scontro ferocissimo che stroncò ogni tipo di rapporto tra i due. Trascorse buona parte della vita a Roma, legandosi profondamente ad artisti quali Nicolas Poussin, François Duquesnoy e Pier Francesco Mola, al conoscitore e teorico dell’arte Giovan Pietro Bellori e a committenti del calibro di Cassiano Dal Pozzo e Vincenzo Giustiniani, ponendosi dalla parte della ricerca classicista di matrice antiquaria nella stagione del Barocco trionfante.
L’obiettivo di scorgere una via per coniugare Teoria e Pratica nella creazione artistica, attraverso un percorso di studio che, passando dall’osservazione dei grandi maestri del passato arrivasse all’imitazione della natura, per mezzo della padronanza delle ‘arti della matematica’, fu il motivo che spinse Testa a diventare un raffinato conoscitore dei testi della letteratura artistica e un attento lettore della filosofia antica.
Cercò le risposte negli scritti di Alberti, Armenini, Lomazzo, Kircher e Leonardo, così come nei trattati di Platone, Aristotele, Euclide e Vitruvio, che lo accompagnarono nello sviluppo di alcuni dei temi più ricorrenti della sua arte: la poetica degli affetti, il rapporto tra luce e ombra e tra disegno e colore, la corrispondenza tra pittura e poesia. La continua meditazione su tali argomenti, del resto, permea i soggetti che Testa inscena: dalle rappresentazioni profane e religiose alle allegorie intellettuali.
La mostra degli Uffizi rende possibile riconnettere le tappe della sua evoluzione grazie al confronto diretto con le opere – sia disegni che stampe – articolandosi in un percorso che si sintetizza magnificamente nelle tre perle dell’intera esposizione. Anzitutto nello studio a lapis e inchiostro bruno con Venere e Adone giacenti [inv. 1717 E], in cui, in uno scorcio boschivo animato da amorini e animali, emergono prepotenti le meditazioni sulla pittura veneta e l’accostamento alle squisitezze classiciste di Poussin e Duquesnoy. Un disegno questo che verrà poi anche inciso da Pietro, riscuotendo un ampio successo (fig. 2).
Poi, in uno dei disegni preparatori del cruciale Liceo della Pittura, in cui appare in primo piano Aristotele in mezzo ad altre figure in ascolto [inv. 775F]. L’acquaforte avrebbe dovuto forse far da frontespizio al trattato teorico di Testa, intitolato Della pittura ideale, un’opera che non fu mai pubblicata (fig. 3). Partendo dall’Iconologia di Cesare Ripa, Testa intese rappresentare il Liceo della Pittura come il luogo destinato all’apprendimento dell’arte, descrivendolo come il Tempio della Filosofia-Sapienza, in cui, contro un ampio porticato, si stagliano le personificazioni che alludono al sincretismo tra la filosofia platonica e quella aristotelica.
E infine nel tardo Suicidio di Didone [inv.779 F] (fig. 4), un tema che Testa affrontò rappresentando la morte anche di altri eroi classici, quali Sinorice, Camma e Catone. Tale tema costituì ad evidenza uno spunto per la riflessione dell’artista sul dolore e sull’inquietudine degli ultimi anni della sua vita. L’eroina, posta al centro della composizione, ormai trafitta dalla spada, racconta in un unico plateale e retorico gesto la tragedia dell’atto estremo della morte. In particolare quest’ultimo disegno – agli Uffizi è conservato anche il dipinto che da esso deriva – fu molto amato dai Medici,che ne acquisirono pure diversi studi preparatori, anch’essi presenti in mostra. L’opera, collocata ora al centro della sala, era tenuta in tanta reputazione da trovare posto nella ricca quadreria del Gran Principe Ferdinando, incorniciato affianco ad alcuni disegni ritenuti di Raffaello e Correggio, a dimostrazione del fatto che Testa, dopo la morte, seppe conquistarsi un posto di rispetto nell’albo degli artisti più amati di tutti i tempi.
Giulia Bonardi, 27/7/2013
Pietro Testa, artista filosofo del Seicento.
L’omaggio di Filippo Baldinucci
Dal 7 giugno all'8 settembre 2013
Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi
Via della Ninna, 5
Firenze 50122 Italia
Tel. +39 055 2388624
Orari di apertura
Martedì - Domenica
Dalle 8.15 alle 18.00
Biglietto
Ingresso con il biglietto della Galleria degli Uffizi
Didascalie delle immagini
1. Pietro Testa, Autoritratto, 1645-1648 ca, incisione.
2. Pietro Testa, Venere e Adone, incisione.
3. Pietro Testa, Liceo della Pittura,1638, incisione.
4. Pietro Testa, Didone morente, 1648-1650ca, inv. GDSU,
cat. F, n. 779, Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.