di Maria Cristina Bibbi

Fino al 10 Febbraio all’interno della rassegna artistico culturale “Milano e Leonardo del 500” il Museo Poldi Pezzoli propone una mostra, in cui viene eccezionalmente esposta a Milano, per la prima volta dopo quasi trent’anni, la Madonna Litta (1490 c.ca tempera su tavola 42x33cm), il celebre dipinto considerato fra i massimi capolavori del museo russo Ermitage (attribuito a Leonardo) insieme ad un nucleo di opere eseguite dall’artista e dagli allievi, che operavano nella sua bottega come Boltraffio (con la dinamica Madonna della Rosa, 1485-1490, a cui potrebbe contrapporsi negli anni ‘70 la statica Maternità dello scultore Venturino Venturi) e d’Oggiono (con la riflessiva Madonna delle Violette, 1498-1500).
La sua misteriosa attribuzione è oggetto di discussione da quasi duecento anni (nel 1813 il pittore Bossi è stato il primo ad esprimere dei dubbi, scrivendolo nell’inventario della collezione: “quadretto in tavola rappresentante la Vergine col Bambino della scuola di Leonardo da Vinci”).
Nel 1784 viene citato per la prima volta in un documento ufficiale.
Una volta entrato nella rimarchevole collezione Litta del duca Antonio Visconti Arese e conservato presso il palazzo di Corso Magenta a Milano, il dipinto, oltre a diventarne uno dei pezzi più rinomati, è considerato opera di Leonardo, mentre nel 1854 venne attribuito dal direttore della Gallery di Londra al pittore trevisano Bernardo Zenale.
Solo nel 1865, quando giunse nelle mani dello Zar di Russia per la cifra di c.ca 2,5 milioni di euro, viene confermata la paternità vinciana dell’opera.
Quello che sappiamo di certo è che l’opera è stata sicuramente commissionata da un collezionista dandy e facoltoso.
I pigmenti utilizzati sono infatti pregiati: il blu oltremare usato per dipingere il manto della Vergine e il cielo, che appare attraverso le finestre, è stato creato con la polvere di lapislazzuli, che alla fine del Quattrocento costava più dell’oro.
Il quadro sarà messo a confronto con una “limited selection” di dipinti, tra cui sette disegni (uno dei quali di Leonardo) e due incisioni degli allievi, che lavorarono nell’atelier del grande maestro, attivo nel capoluogo lombardo  tra il 1482 e il 1499, presso la corte di Ludovico il Moro degli Sforza.
Le ultime analisi comparative effettuate con strumenti tecnologici all’avanguardia, portano la maggior parte di critici e studiosi a convincersi sempre più, che questo capolavoro sia stato ideato dal genio toscano, ma realizzato da uno dei suoi allievi.
Leonardo è stato quindi molto probabilmente l’autore di questa tela, ma non il suo esecutore materiale, come testimoniano anche due bozzetti, che portano la sua firma (uno conservato al Louvre, l’altro al Museum di Francoforte). Sul dipinto potrebbe essere poi intervenuto, perfezionando alcuni dettagli. Resta fermo il fatto che, nel momento in cui si traduce un pensiero, un progetto in immagine, si stabilisce anche la paternità dell’opera stessa. Quest’ultima, dopo aver visto la luce e aver stregato tutti, continua nei secoli ad affascinare i suoi ammiratori.
Il dipinto pervaso di dolcezza e accudimento è un balsamo per il corpo e per lo spirito dell’osservatore: nella scena raffigurata, il pargolo reclama l’allattamento tramite le sue piccole mani che non hanno voce con un incipt silenzioso del suo gesto, ma che la Madonna capta. Vegliando su di lui, lo tiene al sicuro tra il mondo dei sogni e quello della realtà. Noi guardiamo questo elogio dell’intensità, che viene tramutato in essenzialità, come lo stessimo osservando attraverso l’occhio di una web cam.
Un’opera toccante quasi tattile, che parla al cuore di ognuno di noi.
Attraverso questo vis à vis, l’amorevole pargolotto si espone, entra in connessione con il mondo, che lo circonda e con noi osservatori. Guardiamo in punta di piedi questo tenero infante, che da di spalle al paesaggio che si intravede, cullato dalla brezza leggera proveniente dalle due finestre, mentre noi veniamo accarezzati dalla luce, che illumina la stanza. E’ raccolto nell’abbraccio protettivo della Madonna, che non ha timori e sa come affrontare le intemperie della vita.
Entriamo così nella sfera intima di una scena rappresentata con linee voluttuose e morbide, come se ci trovassimo dinanzi ad un’opera dello scultore Arnaldo Pomodoro.
Anche quest’ultimo, infinitamente curioso come Leonardo nei confronti del cosmo, ha perforato la sua sfera ed è andato al di là della forma, mostrando gli intrecci, che vi sono all’interno, svelandone gli ingranaggi, che altro non sono che il groviglio della vita; nel caso della Madonna Litta quest’ultimo è rappresentato da un cordone ombelicale invisibile, che dona nutrimento e linfa vitale al piccolo “mammolo” e illumina questa splendida e splendente opera.
 
 
 

Info

 
Leonardo e la Madonna Litta, Museo Poldi Pezzoli via Manzoni, 12, Milano
Dal 7 Novembre 2019 al 10 Febbraio 2020
Ufficio stampa Lucia Crespi
Via Francesco Brioschi, 21, 20136 Milano MI
Telefono: 02 8941 5532
Mail: info@luciacrespi.it
 
 
Novembre 2019