Giovanni Cardone Ottobre 2021
Fino al 12 Dicembre 2021 si potrà ammirare presso la Fondazione Magnani – Rocca la mostra di Joan Mirò ‘Mirò. Il Colore dei Sogni’ a cura di Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione e col contributo di studiosi spagnoli e italiani. La mostra, realizzata in collaborazione con Fundación MAPFRE di Madrid, attraverso cinquanta opere fra gli anni Trenta e gli anni Settanta per la gran parte a olio su tela, propone un percorso che, orchestrato come una partitura musicale, evidenzia la sfida continua operata dall’artista nei confronti della pittura tradizionale. Come dice Stefano Roffi: “con opere come Cheveaux mis en fuite par un oiseau dove Mirò letteralmente massacra la pittura comunemente intesa con un certo parallelismo con l’Espressionismo americano nell’idea che la pittura dovesse essere un getto continuo scaturito da una profonda esplosione creativa pur garantendo alle proprie forme una dirompente integrità individuale malgrado le metamorfosi subite”.
“Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni”: così il poeta Jacques Prévert descriveva Joan Miró, celeberrimo artista spagnolo vissuto in una delle epoche più fervide della storia dell’arte. Arte, la sua, fondata non tanto sull’immagine tradizionale, quanto su sensazioni, emozioni immediate e suggestioni: colori brillanti
e forti contrasti, linee sottili e soggetti allucinati e onirici. Da una mia ricerca storiografica e scientifica tratto da una dispensa universitaria che scrissi su Joan Mirò dato che faceva parte del modulo monografico di quell’anno dicendo che Mirò: è stato uno degli artisti più celebrati del XX secolo. Era una luce di primo piano del
movimento surrealista e in seguito sviluppò uno stile idiosincratico altamente riconoscibile. I conflitti mondiali rappresentarono un momento di rottura e di riflessione intellettuale generando un sentimento di orrore e di sfiducia nei confronti della razionalità fino ad allora considerata fondamentale per il progresso dell’umanità. I cambiamenti si ebbero non solo a livello storico, ma anche a livello culturale. L’arte non rimase indifferente di fronte a questi tragici eventi cercando, come sempre accade nei momenti di rottura, una soluzione che potesse testimoniare della condizione esistenziale dell’uomo. Si affermarono così le prime
“Avanguardie artistiche”. I vari movimenti e le tendenze artistiche che si susseguirono proclamarono, in modo dogmatico, la verità assoluta della propria visione. Il 28 giugno del 1914 uno studente bosniaco uccise a Sarajevo il granduca d’Austria. L’attentato fu il fiammifero che accese una miccia già innestata: con la scusa di arginare localmente la questione balcanica, l’impero austro-ungarico dichiarò immediatamente guerra alla Serbia. I Serbi furono sostenuti dalla Russia la quale mobilitò le proprie truppe, avvicinandole ai confini. Ai Russi era legata diplomaticamente la Francia e a quest’ultima l’Inghilterra, mentre la Germania era alleata dell’Austria. I tedeschi si schierarono in pochi giorni a fianco dell’Impero e mossero guerra alla Russia e alla Francia provocando l’intervento degli Inglesi. A maggio dell’anno successivo anche l’Italia intervenne dichiarando guerra all’Austria. Tra il 1914 e il 1918 esplose il primo grande conflitto mondiale. Nel gennaio del 1916 i tedeschi cercarono di forzare il fronte francese a Verdun, ma incontrarono una straordinaria ed inaspettata resistenza. Nella pianura francese gli eserciti combatterono una delle più estenuanti e sanguinose battaglie che la storia ricordi, una guerra che durò nove mesi lasciando sul terreno più di settecentomila morti. Ma la guerra non fece vittime solo al fronte: anche lontano dai campi di battaglia il solo sopravvivere diventò infernale: tutta la popolazione era piegata dalla fame, dagli stenti e dal dolore delle perdite, migliaia i feriti, i mutilati e i prigionieri. L’unica isola di pace in mezzo alla tempesta bellica fu la Svizzera che, mantenendosi neutrale, divenne un approdo sicuro per i profughi e i disertori di tutti i paesi; vi trovarono riparo anche i comunisti russi che stavano organizzando la rivoluzione.
Proprio a Zurigo Hugo Ball, un giovane poeta tedesco, assieme a sua moglie inaugurò un locale d’avanguardia, il Cabaret Voltaire. Intorno a Ball si raccolse un gruppo di giovani provenienti da tutta Europa, tra i quali spiccavano il nome di Hans Arp, Marcel Janco e Tristan Tzara, due giovani rumeni che giunti a Zurigo per studiare. Il primo spettacolo fu una miscela esplosiva di canzoni francesi e danesi, danze popolari russe e incomprensibili versi rumeni. Una scelta azzardata che volle ribadire alla buona borghesia zurighese, accorsa in gran numero all’inaugurazione, il carattere internazionale del gruppo e l’estemporaneità delle attività che si sarebbero svolte da quel momento in poi nel cabaret, che avrebbero avuto il compito di scandalizzare e scuotere l’addormentato pubblico borghese. Questi eventi non vollero contribuire alla costruzione di un nuovo genere artistico, ma essere la manifestazione del desiderio di comunicare e rendere al tempo stesso visibile l’estremo disagio provocato dalla situazione contingente della guerra; furono di conseguenza una presa di posizione nei confronti della generale crisi della società, della cultura e dell’arte. Eventi che si dipanarono più per protesta che per un effettiva ricerca estetica risultando caratterizzati da quel tipico atteggiamento di contestazione giovanile che ritroviamo diffuso in tutte le avanguardie artistiche del primo novecento. Un atteggiamento riconducibile alla necessità di proporsi anche prepotentemente come la vera alternativa ai valori artistici e culturali dominanti, un’alternativa che doveva nascere dalla radicale rottura con le forme del passato, accompagnata dalla dichiarata volontà degli artisti di essere nemici di ogni accademismo e di voler capovolgere tutti i valori, al fine di poter promuovere l’auspicata ri-
formulazione dei linguaggi e dei contenuti dell’arte; tutto ciò avvenne al Cabaret Voltaire. La parola DADA apparve per la prima volta stampata nella rivista ‘Cabaret Voltaire’ il 15 giugno del 1916; questo semplice termine venne caricato dell’arduo compito di esprimere il disprezzo e il rifiuto di un’intera generazione. I dadaisti, ventenni durante la guerra, volevano protestare contro tutto ed erano disposti a farlo ad ogni costo e con tutti i materiali possibili.
Dada equivaleva ad un secco no e diventò il simbolo della contestazione totale. A Zurigo emerse, per le sue doti e per il suo carisma cerebrale, il rumeno Tristan Tzara che ne era diventato il leader, soppiantando il fondatore Ball che ne rimase comunque il filosofo; proprio in questo luogo si era concentrata la necessità di
incanalare l’energia vitale e la fantasiosa protesta dei primi mesi in una scossa che potesse meglio arrivare al pubblico. I dadaisti si proposero di sovvertire le regole dell’espressione e della comunicazione a tutti i livelli, da quello poetico a quello letterario e artistico, con ogni mezzo necessario. Per ottenere questo risultato iniziarono a stravolgere le tecniche artistiche tradizionali impadronendosi senza discriminazioni di quelle più recenti o ancor poco canoniche, come il collage appena riscoperto dai cubisti, reinterpretandole per renderle ancora più espressive. Per far ciò utilizzarono nuovi strumenti come la casualità, l’ironia e l’arbitrarietà che permisero loro di prelevare dalla sfera del quotidiano materiali e oggetti qualsiasi per utilizzarli in modo diverso. Gli artisti dadaisti rimasero legati ai codici dell’avanguardia precedente, dalla scomposizione dei cubisti alla deformazione espressionista. Teoricamente i dadaisti volevano fare piazza pulita delle convenzioni estetiche tradizionali, abbattendo le gerarchie dogmatiche che separavano le arti tra loro, allontanandole dalla realtà e annullando il concetto tradizionale di arte, impegnandosi nella realizzazione di eventi ed oggetti che capovolgessero le regole del gusto e della percezione. Una scelta così estrema sembrò negare e condannare l’arte in sé, lontana e separata dalla realtà; invece i dadaisti la salvarono ripartendo da zero, facendola fluire nuovamente nella dimensione quotidiana della vita. Il dadaismo lottava contro l’eternità dei principi, contro l’immobilità del pensiero, contro ogni forma di regola e di costrizione, ricercando l’anarchia e non l’ordine, l’imperfezione e la bruttezza al posto della perfezione e della bellezza. Ma questo impeto distruttore, che tentava di sanare la frattura tra arte e vita, si concluse con l’autodistruzione del movimento. Se Dada finì per uccidere Dada, i fermenti di questo movimento impregnarono l’arte surrealista a cui molti artisti Dada, come Ernst e Breton, aderirono. La totale negazione Dada di ogni fede e principio nascondeva però al suo interno un disperato bisogno di avere qualcosa in cui credere. Si può quindi ritenere che la definizione data da Arp del dadaismo fosse giusta e in qualche modo conclusiva: Dada è stato la rivolta dei non-credenti contro i miscredenti. Bisogna aggiungere che in questi non credenti abitava, segreta, un’esasperata volontà di credere. Per i surrealisti la nuova fede è rappresentata dall’inconscio. La frattura tra arte e vita non è stata risolta, ma superata grazie ad una
nuova visione della realtà, ovvero una visione plasmata dall’inconscio. In essa il fortuito e l’erotismo assunsero un ruolo centrale. Eros e Thanatos, le pulsioni che Freud considerava il motore della psiche, divennero i soggetti dell’arte surrealista. Per attingere a questi fondamenti della vita psichica l’arte doveva scavalcare la coscienza e rivolgersi al sogno, all’allucinazione e al delirio.
L’immaginario doveva parlare con la voce dell’irrazionale. Vicini alla psicoanalisi freudiana che in quegli anni andava enunciando le sue teorie, i surrealisti vedevano nell’opera d’arte un modo per esplorare l’irrazionale. La “scrittura automatica”, descritta da Breton, divenne il cardine della tecnica surrealista; veniva proposta infatti una rilettura dell’esistenza che nasceva dalla creazione di nuove catene associative capaci di accostare realtà tra loro lontane. Come la parola, anche l’immagine surrealista nasceva da un automatismo che disegnava logiche associative ignote alla ragione; l’artista offriva così al pubblico una visione della realtà che sovvertiva l’ordine esistente, sostituendo ciò che era abitualmente conosciuto con una nuova dimensione abitata dalle “strane” immagini dell’inconscio. Il surrealismo nasceva dalla piena coscienza della frattura tra fantasia e realtà, tra mondo interno e mondo esterno, e dal privilegiare i primi rispetto ai secondi. Compito dell’artista era quello di superare tale frattura e non di risolverla; si doveva irrompere nella storia, liberando l’individuo dagli effetti perniciosi prodotti da questa scissione. Nell’ottica surrealista, la liberazione poteva avvenire soltanto recuperando la forza creativa. Il sogno entrava prepotentemente nella vita costringendo la coscienza ad assumere una diversa prospettiva. L'obiettivo dei surrealisti era quello di trovare un punto d’incontro tra il mondo del sogno e quello della veglia, un incontro che dava luogo a una sorta di realtà assoluta, un nuovo modello di realtà: la sur-realtà. Breton introduce questo termine per la prima volta nel manifesto del 1924, ispirandosi al concetto di sur-naturalismo di Gerard de Nerval e al “drame surréaliste” di Apollinaire, che era stato il nume tutelare delle esperienze dell’avanguardia sia poetica che pittorica della generazione precedente. Nel primo manifesto del surrealismo, che segna la nascita del movimento, Breton dichiara: Io credo nel futuro risolversi di questi due stati, in apparenza così contraddittori, sogno e realtà, in una specie di realtà assoluta, di surrealtà se così si può dire Sovvertendo i rapporti tra le cose, i pittori surrealisti cercarono di provocare una crisi nella coscienza, aprendo in essa un varco da cui poteva irrompere una nuova visione del mondo che, osservato con occhi nuovi, rivelava un volto sconosciuto. La pittura surrealista tendeva anche al recupero e alla creazione di un mondo fantastico, in cui l’individuo poteva liberarsi da ogni inibizione. Il punto di partenza rimaneva comunque l’immagine. L’immaginario surrealista non voleva accostare fatti e realtà che si somigliavano, ma realtà tra loro distanti e spesso inconciliabili dalla coscienza. Lo scopo era quello di suscitare un violento choc in chi guardava per attivarne l’immaginazione. Nel primo manifesto del surrealismo, Breton definì il surrealismo come: Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero, con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale. Possiamo dire che lavoro di Mirò non è mai diventato del tutto astratto, ma le sue immagini erano spesso una rappresentazione alterata della realtà. Verso la fine della sua carriera guadagnò consensi per una serie di commissioni pubbliche che includevano
sculture monumentali e murales. Cresciuto a Barcellona, ??in Spagna, Joan Miró era figlio di un orafo e orologiaio. I genitori di Miró hanno insistito perché frequentasse un college commerciale. Dopo aver lavorato per due anni come impiegato, ebbe un esaurimento nervoso e fisico. I suoi genitori lo portarono in una tenuta a Montroig, in Spagna, per il recupero. Il paesaggio della Catalogna intorno a Montroig divenne molto influente nell'arte di Miró. I genitori di Joan Miró gli hanno permesso di frequentare una scuola d'arte di Barcellona dopo la guarigione. Lì, ha studiato con Francisco Gali, che lo ha incoraggiato a toccare gli oggetti che avrebbe disegnato e dipinto. L'esperienza gli ha dato una sensazione più potente per la natura spaziale dei suoi soggetti.I fauvisti e i cubisti influenzarono i primi lavori di Miró. Il suo dipinto Ritratto di Vincent Nubiola che era un professore di agricoltura presso la School of Fine Arts di Barcellona, ??in Spagna. Il dipinto è stato di proprietà di
Pablo Picasso . Miró ha tenuto una mostra personale a Barcellona nel
1918 e pochi anni dopo si è stabilito in Francia dove ha tenuto la sua prima mostra parigina nel 1921. Nel 1924, Joan Miró si unì al gruppo surrealista in Francia e iniziò a creare quelli che in seguito furono chiamati i suoi dipinti "da sogno". Miró ha incoraggiato l'uso del "disegno automatico", lasciando che la mente subconscia prendesse il sopravvento durante il disegno, come un modo per liberare l'arte dai metodi convenzionali. Il famoso poeta francese André Breton si riferiva a Miró come "il più surrealista di tutti noi". Ha lavorato con il pittore tedesco Max Ernst, uno dei suoi migliori amici, per disegnare le scenografie per una produzione russa del balletto Romeo e Giulietta .Poco dopo i dipinti dei sogni, Miró ha eseguito Landscape (The Hare
) .
Presenta il paesaggio della Catalogna che Miró amava dalla sua infanzia. Ha detto che è stato ispirato a creare la tela quando ha visto una lepre sfrecciare attraverso un campo la sera. Oltre alla rappresentazione dell'animale, nel cielo appare una cometa. Per un periodo tra la fine degli anni '20 e gli anni '30, influenzato dalla guerra civile spagnola, il suo lavoro a volte ha assunto un tono politico. Il suo pezzo più esplicitamente politico fu il murale alto 18 piedi commissionato per il padiglione della Repubblica spagnola all'Esposizione Internazionale di Parigi del 1937. Alla fine della mostra nel 1938, il murale fu smantellato e alla fine perduto o distrutto. In seguito a questo cambiamento nel suo lavoro, Joan Miró è infine tornato a uno stile surrealista maturo e stravagante che avrebbe segnato il suo lavoro per il resto della sua vita. Ha usato oggetti naturalistici come uccelli, stelle e donne rese in modo surreale. Il suo lavoro è diventato anche noto per evidenti riferimenti erotici e feticistici. Miró tornò in Spagna durante la
seconda guerra mondiale . Dopo la fine della guerra, ha diviso il suo tempo tra Barcellona e Parigi. Divenne rapidamente uno degli artisti più celebri in tutto il mondo e Joan Miró iniziò a completare una vasta gamma di
commissioni monumentali. Uno dei primi è stato un murale per il Terrace Plaza Hilton Hotel a Cincinnati, Ohio, completato nel 1947. Miró ha creato un muro in ceramica per l'edificio dell'UNESCO a Parigi nel 1958. Ha vinto il Guggenheim International Award dalla Solomon R. Guggenheim Foundation. Il Museo Nazionale d'Arte francese ha condotto una grande retrospettiva sull'arte di Joan Miró nel 1962. Dopo il progetto dell'UNESCO, Miró è tornato a dipingere eseguendo sforzi di dimensioni murali. Negli anni '60 si dedica alla scultura. Una serie di sculture è stata creata per il giardino del museo d'arte moderna della Fondazione Maeght nel sud-est della Francia. Sempre negli anni '60, l'architetto catalano José Luis Sert costruì un grande studio per Miró sull'isola spagnola di Maiorca che realizzò un sogno di una vita. Nel 1974, alla fine degli anni '70, Joan Miró creò un vasto arazzo per il World Trade Center di New York City lavorando con l'artista catalano Josep Royo. Inizialmente si rifiutò di creare un arazzo, ma imparò il mestiere da Royo e iniziarono a produrre più opere insieme. Tra gli ultimi lavori di Miró c'erano sculture monumentali eseguite per la città di Chicago, inaugurate nel 1981 e Houston nel 1982. L'opera di Chicago era intitolata The Sun, the Moon, and One Star . È una scultura alta trantanove piedi che si trova nel centro di Chicago vicino a una scultura monumentale di Pablo Picasso. La scultura di Houston dai colori vivaci è intitolata Personage and Birds . È la più grande delle commissioni pubbliche di Miró e si trova a più di cinquantacinque piedi di altezza. Joan Miró ha sofferto di malattie cardiache nei suoi ultimi anni. Morì il giorno di Natale del 1983 all'età di 90 anni nella sua amata Maiorca. Joan Miró ha ottenuto il riconoscimento come uno degli artisti più influenti del XX secolo.
Era una delle luci principali del movimento surrealista e il suo lavoro ha avuto un impatto significativo su una vasta gamma di artisti
espressionisti astratti . I suoi monumentali murales e sculture facevano parte di un'ondata di importante arte pubblica prodotta nell'ultima metà del secolo. Miró credeva in un concetto che chiamava "assassinio della pittura". Disapprovava l'arte borghese e la considerava una forma di propaganda progettata per unire ricchi e potenti. Quando ha parlato per la prima volta di questa distruzione degli stili pittorici borghesi, è stato in risposta al predominio del cubismo nell'arte. Anche Miró non amava i critici d'arte e credeva che fossero più interessati alla filosofia che all'arte stessa. Il catalogo della mostra edito da Silvana editoriale presenta saggi di studiosi spagnoli,tedeschi e italiani; si segnalano quelli sul rapporto fra Miró e la musica, e fra Miró e l’Italia, entrambi a firma di Joan Punyet Miró, nipote dell’artista, oltre al saggio del curatore e a una particolare intervista che Miró rilasciò a Walter Erben nel 1959; inoltre, nella tradizione delle mostre e dei cataloghi della Fondazione Magnani-Rocca, Mauro Carrera indaga l’attività dell’artista come illustratore.
Fondazione Magnani – Rocca
Mirò. Il Colore dei Sogni
dal 11 Settembre al 12 Dicembre 2021
dal Martedì al Venerdì dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Lunedì Chiuso