Sono stati questi i criteri ispiratori dell'incantevole mostra parigina curata da
Dominique Cordellier. A conferma del principio che una mostra, più che mostrare, debba dimostrare, l'esposizione, superando le pur alte aspettative apre un nuovo capitolo sull'arte di
Francesco Mazzola. Se è motivo di rammarico il fatto che la mostra abbia chiuso i battenti senza avere un seguito in Italia, siamo confortati dalla documentazione resa dal catalogo, i cui saggi a cura di
Dominique Cordellier, Laura Angelucci, Roberta Serra e
Laurence Linares offrono in serrata e sapiente sequenza le ragioni
stilistiche e le tecniche grafiche di
Parmigianino, completate dalle note relative alla provenienza dei disegni del maestro conservati al
Louvre; a seguire, il catalogo delle opere esposte declina nelle schede un'aggiornata ed esaustiva indagine storico-artistica. Un lavoro monografico più che un catalogo, dove la rigorosa esegesi scientifica si coniuga alla passione.
Il nucleo della mostra è costituito dalla raffinata collezione conservata presso le
Cabinet des dessins del
Louvre, il fondo in assoluto più ricco di disegni di Parmigianino, formato da centottantun fogli autografi e venti attribuiti, cui si aggiungono le circa centocinquanta copie di scuola ad imitazione dell'artista. Già a partire dal 1964
R. Bacou aveva classificato ciò che il fondo doveva al
Cabinet du roi, alle confische rivoluzionarie, ai bottini di guerra del Direttorio e alle donazioni dei collezionisti amici del Louvre. Mezzo secolo più tardi il quadro storico non mutava in linea generale, ma una serie di dettagli consentiva ulteriori precisazioni.
Sorte comune ai visitatori all'interno del percorso è l'inseguire il fascino che trascorre dalle opere al ritmo che ne orchestra la collocazione, e l'incanto fa dimenticare le grandi mostre dedicate al maestro emiliano nel corso di tutti questi anni, a partire dal 2000. Nelle sale sembra rivivere a piena evidenza la personalità del
Mazzola, e non soltanto grazie alla presenza di tanti capolavori, o alla proposta di nuove opere grafiche, ma pure in virtù della ricerca rigorosa che, nel rendere ragione della rassegna dei documenti figurativi, ne valorizza la qualità.
Parmigianino era prima di tutto un disegnatore; questo
D. Cordellier lo sa bene, e proprio da tale disposizione mentale fa rivivere i tratti e i pensieri più autentici che il Maestro avrebbe esteso all'arte pittorica e incisoria; ai medesimi s'ispira il percorso espositivo che si snoda in uno spazio relativamente piccolo, se rapportato alla consistenza anche qualitativa delle testimonianze grafiche, alle quali, in un rimando costante alle prove pittoriche, vengono assegnate in alcuni casi nuove datazioni del tutto condivisibili.
L'occhio scorre fra i brani e identifica entro il nitore formale della rassegna un criterio-guida; il visitatore, specialista oppure no, viene indirizzato alla lettura della personalità di
Parmigianino. Questo è il primo, ma non certo l'unico, grande merito di
D. Cordellier. La grazia abbiamo detto in apertura; scaturisce naturalmente dai testi esposti, ma non si limita ad una mera esperienza visiva; una sequenza di capolavori riuniti non è infatti una credenziale sufficiente per giustificare una mostra, nonostante la perdurante consuetudine di questi ultimi anni. La grazia trascorre dai brani del
maestro all'allestimento e alle ragioni del curatore che ne diviene con
Parmigianino divulgatore. La grazia, e la passione vorremmo aggiungere, sono sostenute dalla mole di lavoro filologico che determina un percorso intelligentemente ragionato, ricco di sorprese che sanciscono l'evidenza di nuove acquisizioni, come di sviluppi storico-artistici ad oggi ignorati.
Si offrono in una rapida e sintetica carrellata alcuni testi campione, qui attribuiti al maestro e forieri di oscillazioni di rotta per la civiltà artistica.
L'
Etude d'une tete d'homme, d'après l'antique (?), (FIG. 1- Inv. 10982, sanguigna, 137 x 95 cm, con annotazione a penna e inchiostro nero '
françois manzzuoli dit Le parmesan', proveniente dalla confisca degli emigrati nel 1793, collocato al
Louvre nel 1796-1797) è una fra le più affascinanti 'riscoperte' della mostra parigina. Considerato dai collezionisti del Settecento, come attesta la nota a penna, una prova del
Parmigianino, il disegno è stato successivamente classificato quale opera di un autore sconosciuto della scuola italiana. Spettava ad
A. E Popham nel 1950 il merito di identificare nella scritta antica una reale conferma dell'autografia del maestro emiliano, per essere poi ricollocato fra i disegni attribuiti a
Parmigianino da
R. Bacou nel 1970, ed infine ricadere, ad oggi, nell'oblìo. L'alta tenuta qualitativa del foglio non sfuggiva a
D. Cordellier, che, nel restituirlo prontamente a
Parmigianino, ne sottolinea con l'efficacia della tecnica a sanguigna, il risentito segno grafico, il fascino reso dalla fusione delle ombre in profondità, il plasticismo ancora, che ne accomuna i tratti ad un testo scultoreo: elementi tutti riconducibili all'arte di
Mazzola, come si evince ad un confronto con gli studi da lui svolti incontestabilmente prima della partenza per
Roma, nel 1524. L'uomo ritratto, che restituisce l'aspetto severo di un antico Romano, richiama qualche somiglianza con l'imperatore
Vespasiano (9-79 d.C), o
Tiberio (42 a.C. – 37 d.C.);
Parmigianino dovette ispirarsi ad una scultura, un busto a grandezza naturale con buona probabilità, fra le antichità che aveva occasione di visitare presso i collezionisti parmensi prima della partenza per
l'
Urbe.
Dopo la prima sezione della rassegna, posta nel cuore delle sale del
Louvre dedicate alla statuaria antica, della
quale questo ritratto sembra riprendere con rara intensità gli stilemi e i sentimenti, un altro autentico capolavoro balza agli occhi fra le prove cronologicamente successive, un ritratto nuovamente, un
Portrait d'homme (
FIG. 2 - Inv. 2773, a matita nera, stilo, con rialzi di biacca,
lavis beige, 342 x 292 cm, proveniente dalla confisca delle collezioni di
Ercole III d'Este a
Modena del 25-27 ottobre 1796 e collocato al
Louvre nel 1797). Non è difficile scorgere nel testo, di altissima qualità, le palesi consonanze con uno dei tributi più preziosi dedicati da
Parmigianino alla ritrattistica, comunemente noto come il
Ritratto di un collezionista presso la
National Gallery a
Londra. Ancora una volta va a
D.Cordellier il merito della scoperta di un nuovo disegno del maestro di Parma: il brano ritenuto nel 1796 di
Raffaello, è stato successivamente inventariato al Louvre come opera di un ignoto autore della scuola fiorentina del XVI secolo. Nonostante la classificazione nel 1970 fra le copie tratte da
Parmigianino ed il corretto riferimento al ritratto di
Londra, è sfuggito all'attenzione di tutti gli specialisti dell'artista. Non si trattava infatti di una copia, quanto di un cartone preparatorio per il celebre dipinto londinese in scala 1; il rilievo delle principali linee del disegno su di una pellicola di poliestere ha permesso di verificare, grazie alla sovrapposizione con il dipinto e con la sua radiografia, la loro perfetta coincidenza con i contorni del viso, del naso, della bocca e, soprattutto dei capelli; l'indagine condotta all'occasione ha permesso di verificare che, circa il cappello del protagonista, il calco non corrisponde alla versione definitiva, ma ad una redazione sottostante la pittura, visibile in gran parte ad occhio nudo, come annota
Cordellier, sulla superficie del ritratto. Né l'esame del cartone, incollato su una carta di doppiaggio, né quello del pannello dipinto permettono di chiarire come il disegno sia stato riportato dall'una all'altra redazione. Sulla prima, alcuni tratti, essenziali per la definizione delle forme, sembrano essere stati induriti dalla sottile ripresa della pietra nera, più scura di quella utilizzata in altre parti del disegno. E' possibile che il
verso del cartone sia stato sfregato con la pietra nera, o con il carboncino oppure polvere nera, e che
Parmigianino, in tal caso, abbia dovuto ripassare i tratti in esame nel
recto per trasferire le grandi linee del suo disegno sulla preparazione del pannello ligneo del dipinto, utilizzando una pietra dura, finemente tagliata, così come altri artisti si servivano di una penna. Tale metodo, simile a quello in uso per le copie a carta carbone, è
descritto dalle fonti antiche. In altri termini ci troviamo dinnanzi, come osserva
Cordellier, alla tipologia del cartone '
ben finito' , accuratamente dettagliato nei chiaroscuri e nei particolari, cui tutti i pittori più esigenti aspiravano per le loro opere. La produzione grafica di Parmigianino nota non conta ad oggi, per quanto è consentito conoscere, che altri due cartoni o disegni a grandezza naturale.
Né può mancare in questa carrellata un'ulteriore scoperta, questo foglio raffigurante
Due figure virili ignude, delle quali una tiene il membro in erezione dell'altra ( FIG. 3 - Inv. 6603, a penna e inchiostro marrone scuro, 180 x 89 cm, con la scritta sotto il disegno nel
verso Le Parmesan /Etude de deux figures / à la plume, proveniente dalla confisca degli emigrati nel 1793, collocato al
Louvre nel 1796-1797). Il disegno, inventariato in un lotto di centoquattro disegni riferiti alla scuola italiana, poi classificato da
F. Reiset fra le copie ispirate a
Parmigianino, è stato restituito all'artista da circa quarant'anni. Pare lecito immaginare che il soggetto del disegno abbia giocato un ruolo negativo sulla conoscenza e sulla relativa lettura dell'opera. Le due figure sono viste dal basso e il sesso sembra regnare, volutamente, sovrano nella scena; l'assenza dei volti o delle loro fisionomie contribuisce a non distrarre lo sguardo dalla scena
intima descritta. Nessun resoconto mitologico, ancora, viene a giustificare l'atteggiamento dei due uomini, né è possibile pensare ad una raffigurazione tratta dalla
paideia greca; qui
Parmigianino non sembra riportare alcuna referenza mitologica o culturale. In questo senso il disegno si dichiara erede diretto delle immagini licenziose create a
Roma dalla cerchia di
Raffaello, da
Giulio Romano soprattutto, pur ignorandone l'intonazione omosessuale, in questo brano come in tutto il catalogo grafico di
Parmigianino (come già si è avuto occasione di sottolineare), totalmente assente. Oltre ad una dichiarata oscenità senza precedenti, l'artista emiliano è qui debitore della cultura raffaellesca: i tratti dai contorni leggeri, semplicemente suggeriti talvolta, l'evocazione della trasparenza della luce sui corpi come nello spazio derivano dagli studi di
Raffaello sui modelli scolpiti, antichi o moderni. Circa la datazione del foglio la critica è divisa fra gli anni ultimi della stagione del maestro, dal 1535 al 1540, e i primi anni romani, dal 1524 al 1526, che, osserva
Cordellier, furono certamente per
Parmigianino quelli della rivelazione di tale soggetto.
Questa mostra e il suo catalogo, nell'illuminare tante zone d'ombra, si rivelano del tutto convincenti, e non soltanto riguardo le importanti scoperte; la riflessione e l'approfondimento metodologico sul catalogo dell'artista aprono un capitolo davvero nuovo.
Maria Cristina Chiusa