Giovanni Cardone Marzo 2022  
Fino al 2 Maggio si potrà ammirare presso la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone la mostra Punto, linea e Superficie . Kandinsky e le avanguardie  a cura di Elisabetta Barisoni. Promossa dal Comune di Monfalcone in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e con il supporto di diverse importanti realtà del territorio, quali la Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia, Promo Turismo FVG, Banca di Credito Cooperativo di Staranzano e Villesse , Il Piccolo e Messaggero Veneto,  Nord Composites Italia e Pragotecna . Come sottolinea Anna Maria Cisint Sindaco del Comune di Monfalcone :  “Con Punto, linea e superficie. Kandinsky e le avanguardie, il Comune di Monfalcone ha voluto completare la stagione espositiva 2021 e di inizio 2022, segnando nel modo migliore l’azione di riqualificazione della Galleria comunale che è stata portata avanti negli ultimi cinque anni. Il grazie della città alle istituzioni, ai curatori e agli esperti che hanno lavorato per la miglior riuscita di questo grande evento che conferma Monfalcone e la sua Galleria comunale si vertici nazionali e internazionali dei grandi appuntamenti espositivi, nel quadro di una politica culturale volta al rilancio e allo sviluppo anche in questa dimensione della nostra città”. Come afferma Gabriella Belli Direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia : "Questa esposizione è costruita con i capolavori delle collezioni della Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro, uno dei nostri undici straordinari Musei, per raccontare l’affascinante viaggio dell’arte astratta dalla sua nascita al nostro contemporaneo. Molte di queste opere sono state acquistate dal Comune di Venezia in diverse edizioni della Biennale, altre sono state donate alla Galleria dagli stessi artisti premiati, a testimonianza di una lunga storia di stima e gratitudine che lega i Musei alla città e alle sue Istituzioni culturali, ai collezionisti, ai mecenati e agli artisti. Ca' Pesaro è custode dell’arte del proprio tempo e qui naturale protagonista di un'importantissima azione culturale". Mentre infine la curatrice Elisabetta Barisoni e responsabile della Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro dice : “Dopo la prima parte dedicata alla Nascita dell’astrazione la mostra presenta, sempre attraverso i capolavori di Ca’ Pesaro, Le avanguardie astratte e surrealiste. Sulla linea tracciata da Klee e Kandinsky, durante gli anni Venti si inseriscono le sperimentazioni del Surrealismo di Joan Miró, Max Ernst, Antoni Tàpies, la scultura astratta di Arp e di Alexander Calder, le analogie cosmiche di Enrico Prampolini e le forme musicali di Luigi Veronesi. La terza parte della mostra esplora la persistenza dell’Astrazione nel secondo dopoguerra. Negli anni Quaranta la lezione di Kandinsky si declina nel mondo inglese con l’esperienza di Ben Nicholson, nelle esperienze internazionali dell’Espressionismo astratto e in Italia del Fronte Nuovo delle Arti e dell’Astrattismo segnico. Da Emilio Vedova a Mario Deluigi e Tancredi, da Karel Appel a Mark Tobey, le forme dell’astrazione nella seconda parte del ‘900 si collocano a metà tra Informale, suggestione lirica e gestuale. La mostra si chiude con una preziosa selezione di scultura, La scultura verso il minimalismo, che completa il percorso con capolavori di Mirko Basaldella, Eduardo Chillida, Luciano Minguzzi e Bruno De Toffoli, a testimoniare la persistenza del dialogo tra astrazione e biomorfismo verso gli anni Cinquanta. Infine la ripresa di un’astrazione radicale, quasi ascetica, si fa strada con le esperienze minimali di Richard Nonas e di Julia Mangold, che introducono il visitatore nel pensiero degli anni Settanta, alla ripresa di una nuova vita dell’arte e delle forme astratte”. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Kandinsky che è divenuta modulo monografico e seminario universitario e sull’ Astrattismo, una delle avanguardie ancora presenti nell’arte contemporanea apro questo saggio dicendo :  Wassily Kandinsky -Vasilij Vasil'evi? Kandinskij nacque a Mosca, in Russia, nel 1866 e si distinse nel secolo successivo divenendo uno dei più importanti Maestri dell’arte, padre dell’astrattismo, famoso per le sue teorie sul rapporto di musica e colore. Affetto da sinestesia, come molti altri rinomati artisti, tra cui Mozart, Kandinsky approfondì l’analisi pittorica, prendendo le distanze dal movimento impressionista francese, si pose in “ascolto” della forma e giunse a nuove straordinarie scoperte, che permisero grandi avanzamenti sia in campo didattico sia espressivo. Punto, linea, superficie è un saggio di estetica, un vero e proprio contributo all’analisi degli elementi pittorici, pubblicato inizialmente nel 1923, come raccolta delle lezioni teoriche tenute da Kandinsky nel 1922 alla Bauhaus. Il trattato esamina aspetti di pittura e geometria, che trascendendo la forma, identificano più ampie riflessioni di carattere filosofico estetico. Ciascun elemento concorre a creare una grammatica, che pone le basi per una rigorosa scienza dell’arte, obiettivo ultimo dell’artista e teorico russo. Tale riflessione matematica, non è tuttavia sprovvista di poetica, che al contrario trabocca da ogni dove, richiamando spesso alla memoria concetti di estetica platonica e aristotelica. Punto, linea, superficie segue e completa l’indagine teorica di Lo spirituale nell’arte, testo in cui Kandinsky espone i suoi concetti sul colore, intravedendo un nesso strettissimo tra opera d'arte e dimensione spirituale. Argomentazioni che riprende parzialmente ed espande in questo saggio, rinnovatore per la teoria dell’arte del tempo, che riveste un valore capitale ancora oggi all’interno dell’arte contemporanea, nonostante certe riflessioni possano sembrare sorpassate. Grazie alla teorie di Kandinsky, artisti come Piero Manzoni, Lucio Fontana, Bonalumi, Scanavino, Jackson Pollock, Twombly, Hartung, e molti altri, possono essere compresi maggiormente ed apprezzati a fondo. Gli elementi formali che caratterizzano le loro opere, ad esempio il taglio lineare, lo spazio vuoto, il gesto pittorico con il suo tratto più o meno marcato, sono celebrati da Kandinsky, che li raccoglie in questo libro, esaminando la metafisica della loro forma, elencandoli come in un dizionario per la corretta lettura dell’opera d’arte. La straordinaria rilevanza di queste nuove teorie influenzò in modo determinante lo sviluppo dell’arte, ma pose anche le basi per espressioni di carattere più moderno, come ad esempio la grafica. L’artista russo non si limitò ad analizzare l’opera d’arte, il suo insegnamento permise di creare un nuovo dialogo tra artista, opera e pubblico, fornendo la “possibilità di entrare nell’ opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi”. Se la superficie è il supporto materiale destinato a ricevere il contenuto dell’opera, la forma, per Kandinsky, trascende la geometria, la scienza matematica, ed abbraccia il suono. In quegli studi egli mirava a determinare la natura e le proprietà degli elementi essenziali della forma, innanzitutto il punto, la linea e la superficie. Quando il pittore tocca la tela per la prima volta, si genera un punto, che è il primo nucleo del significato di una composizione ed è statico. La linea, al contrario, è dinamica ed è la traccia lasciata dal punto in movimento. Essa può assumere orientamenti e spessori diversi, passare da orizzontale, verticale a diagonale, ma può anche essere spezzata, curva, mista. Ad ogni tratto, ad ogni linea, sono associate delle tensioni spirituali: quelle dell’artista, che compie il gesto e quelle delle emozioni suscitate nell’osservatore esterno. Tensioni drammatiche, se la linea è spezzata, più liriche se è curva. Sul ‘Bollettino n. 27’ della Galleria del Milione, intitolato Kandinsky presenta 45 acquerelli e 30 disegni dal 1924 al 1933 per la prima volta in Italia, sono riportate, in ordine, una notizia biografica di Kandinskij, l’elenco delle sue opere in mostra commentato, come si legge poco sotto, da due testi25 di Will Grohmann, una notizia bibliografica di e su di lui, alcune righe intitolate Dichiarazioni di Kandinskij, un riferimento alle precedenti grandi esposizioni dell’artista assieme a un elenco delle collezioni pubbliche e private in possesso delle sue opere, e alcuni interventi critici e di omaggi a Kandinskij, tra i quali quello di Alberto Sartoris, che della mostra fu promotore. Torinese di nascita e risiedente in Svizzera, Sartoris accanto all’attività progettuale in ambito architettonico svolge attività teorica e si dedica anche all’organizzazione di mostre e alla promozione dell’arte astratta e futurista. Il carteggio tra questi e Kandinskij era iniziato stando all’archivio di lettere e documenti conservati a Parigi  il 7 agosto 1933. L’architetto gli scrive a Berlino per ringraziarlo del ‘Cahier 14 di Selection’ che Kandinskij gli ha inviato, e gli comunica che probabilmente uscirà un saggio su di lui presso la rivista ‘Crèer’. Sartoris dichiara già in quella prima lettera di essere rimasto profondamente colpito dall’opera dell’artista e che, aggiunge, spera di poter giungere a Berlino per conoscerlo di persona.
In risposta Kandinskij scrive del proprio dispiacere per il fatto che l’arte astratta in Germania, presso il nuovo governo, sia male accolta poiché non considerata arte ‘nazionale’, o addirittura segnalata come arte materialista, e che per questo egli non abbia occasione di esporre. Segue una lettera di Sartoris in cui annuncia che uscirà su ‘Ottobre’, ‘rivista della giovane generazione fascista italiana’, un suo studio sull’arte astratta e i doveri dello Stato al suo riguardo, che toccherà, dice, soprattutto l’Italia, la Germania e la Russia. Kandinskij, che vive ancora in Germania e non vuole essere accostato alla Russia sovietica, prega Sartoris affinché non lo definisca un artista russo ma sottolinei invece il legame della sua arte astratta il suo inizio come il suo sviluppo con la Germania. Per ricevere una risposta Kandinskij dovrà attendere qualche mese. Il 25 novembre Sartoris gli comunica di essere stato in Italia e di essersi adoperato affinché l’arte di Kandinskij possa essere mostrata anche al pubblico italiano: egli è amico del direttore della Galleria del Milione di Milano, Peppino (Giuseppe) Ghiringhelli, al quale ha proposto una mostra di Kandinskij per l’inverno. La proposta è stata accettata e Sartoris allega già alla lettera il contratto da firmare: a carico di Kandinskij sarà solamente la spedizione delle opere, mentre le altre spese saranno sostenute dalla galleria. Promette che la manifestazione avrà una vasta pubblicità e che egli stesso scriverà un articolo su di lui sul ‘Quadrante’, organo ufficiale degli artisti italiani d’avanguardia. Situata al numero 21 di via Brera, di fronte alla Reale Accademia, la Galleria del Milione era stata aperta nel novembre del 1930. Dai suoi inizi la galleria aveva aspirato a essere quello che oggi si chiamerebbe centro culturale nei locali della libreria si raccoglievano pubblicazioni e riviste europee e si organizzavano esposizioni di grafica, di disegni, di bozzetti teatrali e di libri. Nelle sale adibite a galleria si inaugurano mostre d’arte con frequenza in genere due al mese, accompagnate da un catalogo con riproduzioni e testi critici, fatto non usuale negli anni Trenta. L’attività espositiva del Milione non fu univoca e non coincise con l’astrattismo, ma dell’astrattismo definì e difese, in Italia, gli argomenti.  Da marzo del 1934 Kandinskij tratterà questa esposizione direttamente con Ghiringhelli. Il carteggio, nelle settimane che precedono la personale, aperta il 24 aprile, è fitto. I due discutono sul fatto che Kandinskij voglia inviare solo acquerelli e non tele per ridurre i costi, di come evitare le spese doganali  Ghiringhelli gli suggerisce di portare personalmente i quadri, dichiarandoli come opere non terminate  sulla possibilità di futuri guadagni con la vendita delle opere, e su aspetti riguardanti la comunicazione: il direttore della Galleria del Milione chiede che gli siano inviati dati e testi per il Bollettino e le sue precedenti monografie, in modo che possano essere, se non vendute, almeno mostrate ai collezionisti e ai giornalisti. La prima personale di Vasilij Kandinskij in Italia venne annunciata dalle pagine dell’Ambrosiano con poche righe e un sintetico profilo dell’artista. L’Ambrosiano, pubblicato per la prima volta come quotidiano il 7 dicembre 1922 a Milano, uscì, fino alla chiusura del giornale nel 1944, con sei pagine in tre edizioni. L’estrazione sociale e il tipo di lettore al quale esso si rivolgeva, come risulta dall’appello alla sottoscrizione per gli abbonamenti, rivolto a industriali, professionisti e artisti che nel giornale troveranno la più larga e pronta informazione specifica, era l’alta e media borghesia. Si differenziava dagli altri quotidiani d’informazione per l’ampio spazio dedicato agli argomenti culturali, al tempo libero e all’attualità varia, rispetto a quello riservato alla politica e alla cronaca. L’Ambrosiano si occupava costantemente dell’attività delle gallerie private milanesi e, saltuariamente, di altre città, anche straniere. Il critico d’arte dell’Ambrosiano, dal 1922 al 1939, fu Carlo Carrà. Egli ne sovrintese sino al 1929 tutta la parte artistica e recensì la totalità delle mostre. Dal ’30 in poi fu invece affiancato da diversi collaboratori, fissi e non, che allargarono il raggio delle opinioni presentate sul giornale. La Galleria del Milione era la più seguita, di cui, però, Carrà biasimava l’attenzione all’astrattismo negatore della realtà e delle cose. Di solamente alcune righe fu anche il commento di Alberto Sartoris presente sul ‘Bollettino’, peraltro pure l’unico suo sulla mostra dato che il promesso lungo articolo sul ‘Quadrante’ non venne pubblicato, nemmeno nei mesi successivi. Kandinskijscrisse a Sartoris “ha sorpassato gli uomini del suo tempo, la sua arte gli convita oggi a una più grande audacia e rivela una potenza plastica i cui fattori di creazione smarginano nei rigori funzionali dell’architettura moderna”. Non è il Kandinskij lirico ed espressionista di Monaco che la Galleria del Milione espose, ma il Kandinskij geometrico del Bauhaus: un repertorio di piccole geometrie, una declinazione di forme vaganti complicate invenzioni, sarebbero state definite in una nota sulla ‘Gazzetta del Popolo’ di Torino, libere nello spazio. E sarà proprio la nozione di spazio, più che la particolare liricità kandinskiana, a essere letta nelle opere dell’artista russo dagli astrattisti italiani. Alla fine del suo primo anno a Weimar Kandinskij aveva maturato un suo personale linguaggio artistico di elementi puramente geometrici. Settantasei sono gli acquerelli che l’artista russo dipinge nel 1924, e in essi elabora alcuni aspetti del suo stile. Per esempio, in Chiara lucidità le forme e le linee si distribuiscono in una complessa configurazione spaziale, talvolta intersecandosi e creando così figure geometriche più articolate. In Doppio suono marrone i colori si limitano essenzialmente ai marroni. La parola ‹‹Klang›› (suono), del titolo, è uno dei termini principali del dizionario kandinskiano, in quanto esso rimanda a quel fenomeno da lui definito come vibrazione interiore. Un motivo che Kandinskij introduce in questo acquerello è quello della freccia motivo già caro all’amico Klee, il quale pure insegna al Bauhaus ottenuta però dall’unione di triangolo e quadrato. Dell’anno successivo sono elencati solo ventidue acquerelli. Kandinskij sta lavorando a Punkt und Linie zu Fl?che. Il testo, nel quale l’artista esprime le concezioni che andava sperimentando nei suoi lavori come quelle intorno ai diversi tipi di linea (zig zag, diagonali, curve, angoli), all’energia e al ritmo, al valore del peso e della gravità è arricchito, oltre che da riproduzioni tratte da riviste scientifiche, da numerosi disegni illustrativi che Kandinskij fece appositamente per l’opera teorica. In Forme stabili, come suggerisce lo stesso titolo, l’autore vuole, sia attraverso l’uso di una gamma cromatica limitata, sia attraverso la scelta degli elementi visivi e la disposizione dei medesimi, comunicare un’idea di calma e di stabilità: sia le forme nella parte inferiore della composizione che l’immagine nel centro che richiama una torre sembrano essere fissate al suolo. Nelle ultime opere del periodo del Bauhaus, Kandinskij ricorre spesso alla tecnica a spruzzo. Profondo conoscitore della teoria dei colori, egli esplora le possibilità espressive del colore evasivo illustra la gamma di effetti che l’artista riesce ad ottenere mediante esperimenti con sfumature diverse all’interno di uno stesso colore e ombre contrastanti. Nei lavori dei primi anni Trenta Kandinskij da una parte sperimenta nuovi effetti prodotti combinando colori ad acquerello con colori ad olio e adoperando diversi media artistici, dall’altra esegue acquerelli che hanno affinità con i lavori dei colleghi e rappresentano, qualche volta, un’ironica replica dell’artista russo alla dichiarata predilezione del Bauhaus per le rigorose strutture spaziali: ne sono un esempio Ora su! con il suo piano piegato e le forme curve dei dardi in Tre frecce. Il 20 luglio 1933, sotto la pressione dei nazisti, era stata decisa la chiusura definitiva del Bauhaus e, durante l’estate di quell’anno, Kandinskij e sua moglie incominciano a capire di non potere rimanere in Germania. L’acquerello Situazione oscura, eseguito proprio a luglio, ben trasmette, sia per la scelta del titolo che per l’uso di una tavolozza scura, lo stato d’animo di quel periodo. In esso, inoltre, Kandinskij introduce quelle immagini di figure organiche che costituiranno l’iconografia del suo periodo parigino. Se poche sono le recensioni dedicate alla mostra milanese e perlopiù stringate, lunga e approfondita è invece quella che Dino Bonardi scrisse su ‘La Sera’, intitolata Artisti che espongono. Disegni e acquerelli di Kandinskij 5 maggio del 1934. Lucchese di nascita, Bonardi era redattore teatrale del ‘Corriere della Sera’ e critico d’arte del ‘Secolo’, oltre che di ‘La Sera’, e collaboratore dell’’Italia letteraria’ e d’altri periodici. Fino al 1925 era stato anche impegnato in politica con il Partito socialista. Egli, introducendo il suo articolo con una esposizione di Kandinskij era opportuna a Milano visto che, pure se forse non sufficienti ad illuminare tutto l’impeto del pittore verso lo spirituale, gli acquerelli e i disegni esposti alla Galleria del Milione di certo gioveranno come un primo avvicinamento al mondo superiore sognato dal grande pittore russo, riporta, in parte parafrasandole, un’attenta analisi delle idee espresse dall’artista, restituendone una lettura entusiasta. È, invece, un attacco diretto quello che venne sferrato dal ‘Selvaggio’, rivista diretta in quel momento da Mino Maccari, in cui, dopo una breve polemica contro i dirigenti del Sindacato degli artisti i quali sono accusati, invece di difendere e mettere in valore l’arte italiana, di permettere che cali in Italia l’ebreo russo bolscevico Kandinskij . Pubblicata a cominciare dal 1924, fin dal suo primo numero la rivista ‘Il Selvaggio’ aveva riportato la qualifica di Battagliero fascista ed era riconducibile al fascismo-movimento di cui costituisce una delle voci più originali e veementi.
Dal 1925 il sottotitolo era cambiato in Battagliero squadrista e sopra portava il motto Marciare e non marcire. Lo stesso Maccari è tra i primi squadristi di Mussolini e più di una volta si vanta di essersi azzuffato con socialisti e comunisti, anche se il suo nemico principale non sembrano essere tanto né i socialisti né i comunisti, quanto piuttosto lo Stato liberale la vecchia classe dirigente giolittiana accusato di inadeguatezza sia per come era stata condotta la Grande Guerra, sia i trattati di pace di Versailles. Pur presentando contenuti dichiaratamente ortodossi e allineati con il regime, sotto la direzione di Maccari, dal 1926, la rivista la quale aveva aperto il primo numero con un articolo intitolato significativamente Addio al passato  aveva assunto un nuovo indirizzo, affrancandosi dalla politica per dedicarsi all’arte e alla letteratura. Kandinskij indirizza allora una lettera a Maccari, in italiano, in cui confuta, ordinatamente, le affermazioni false su di lui riportate nell’articolo. La lettera sarà poi pubblicata in un secondo articolo sul ‘Selvaggio’, seguita però da commenti ulteriormente offensivi punto per punto, a ogni smentita di Kandinskij segue lo scherno dell’autore o degli autori, poiché l’articolo, come il precedente, non è firmato che si concludono così. I due testi, intitolati Nuovi arrivi e Il coraggio delle proprie opinioni, rispettivamente del 15 maggio e del 30 giugno 1934  o come è indicato sulla rivista, anno XI, Kandinsky e l’astrattismo in Italia 1930 al 1950, assieme alla già accennata recensione di Dino Bonardi. Nel carteggio tra Kandinskij e Ghiringhelli, che continuerà fino al 1940, viene affrontata la questione degli attacchi lanciati all’artista da ‘Il Selvaggio’, ed è Ghiringhelli stesso che consiglia a Kandinskij di scrivere personalmente a Maccari una lettera di protesta. Al rinnovato attacco da parte della rivista, il direttore della Galleria del Milione tranquillizza Kandinskij sminuendo l’importanza che ‘Il Selvaggio’ e ciò che esso pubblica suscitano presso i lettori italiani. Nel frattempo esprime anche il proprio rammarico circa il silenzio di ‘Domus’ e di ‘L’Italia letteraria’, tra le cui pagine erano attesi interventi a proposito della mostra, che invece non usciranno mai. Tra le altre questioni trattate, ripetuti inviti da parte di Ghiringhelli a inviare dipinti ad olio, in modo da organizzare una seconda personale presso la galleria l’anno successivo  mostra che non si realizzerà e trattative sui prezzi di vendita degli acquerelli e dei disegni, i quali resteranno, per la maggior parte, invenduti. Importante è, infine, quanto scrisse Carlo Belli su Kandinskij nel sul celebre libro Kn, edito nel 1935 per le Edizioni del Milione e considerato il manifesto italiano dell’astrattismo. Nel testo si dice dell’opera di Kandinskij che l’oggetto è finalmente scomparso e che la sua pittura è tutta libera da questo peso››, ma, al contempo, l’arte del maestro russo è pur sempre lontana da Kn, poiché egli dipinge lo spirito anziché la pittura. Roveretano di nascita, Belli fu teorico dell’astrattismo, critico d’arte, giornalista, scrittore, musicologo e artista. Di lui, figura di spicco nel dibattito artistico degli anni Trenta, e delle sue riflessioni si parlerà più approfonditamente nei capitoli successivi: per il momento basti sapere che egli giunse a postulare un’arte fatta di opere che non portino titolo, senza firma degli autori, senza data e senza nessun riferimento umano, distinte una dall’altra con semplici indicazioni algebriche K, K1, K2, Kn. Il solo contenuto possibile della pittura è infatti, parafrasando le sue parole, quello che deriva dalla combinazione del colore con la forma, per questo l’equazione  che dà anche il titolo al suo libro “pittura = Kn, in cui K è la combinazione tra il colore e la forma, mentre n esprime il numero indeterminato di aspetti che tale combinazione può assumere”. In ogni caso, Kandinskij non condivise affatto il giudizio di Belli sulla propria arte. Tra la raccolta di lettere conservate a Parigi tradotte e pubblicate sempre nel catalogo Kandinsky e l’astrattismo in Italia 1930-1950, si ritrova anche il carteggio tra l’artista e Belli, che si avvia il 17 aprile 1935 con una lettera indirizzata da Kandinskij all’autore di Kn in risposta alla copia del libro regalatagli da Belli stesso. Da Neuilly-sur-Seine, Kandinskij, pur ringraziando il suo interlocutore italiano, gli esprime le proprie riserve circa il commento sulla propria arte: suo intento, infatti, non è mai stato quello di fare della pittura simbolista, o di offrire ‘ritratti’ della propria dimensione interiore, e che, anzi, per lui una pittura simbolista è una cosa disgustosa, poiché il suo unico sogno è ‘di fare della pittura che sia un essere vivente e basta!’.  La risposta di Belli è di giugno e in essa, oltre a ribadire la propria ammirazione per l’opera del Maestro russo, dichiara che il giudizio espresso non tocca il significato dell’opera in generale, ma ne concerne un solo aspetto, e adduce tale giudizio al fatto che gli italiani siano forse ancora affezionati a una pittura intesa nel senso tradizionale della materia, e che perciò mentre restiamo meravigliati di fronte alle vostre forme, siamo colti dall’impressione che esse non si coniughino con il colore, ma che “traducano”, “rappresentino”, “simbolizzino” uno stato spirituale. Promette poi, per quietare i timori di Kandinskij che i lettori di Kn s’intestardiscano nel voler trovare nella sua pittura dei simboli e decifrarli, che in una seconda edizione del saggio pubblicherà previo consenso la lettera di Kandinskij con le sue precisazioni. Il pittore russo, naturalmente, assentì. Il volume, tuttavia, non sarà ripubblicato prima del 1972. Benché, in occasione della sua mostra milanese, la rivista ‘Il Selvaggio’ gli avesse appioppato la fama di pezzo grosso dei sovieti in Russia in seguito scacciato dalla Germania dai nazi, Kandinskij, negli anni tra il 1931 e il 1933, aveva temuto l’eventualità dell’avvento al potere del Partito comunista tedesco assai più di quello dei nazionalsocialisti, soprattutto dopo l’incendio del Reichstag nella primavera del 1933. Di lì a poco il Bauhaus sarebbe stato definitivamente chiuso. Kandinskij, tuttavia, almeno fino al 1937, avrebbe continuato a restare ottimista, credendo che si trattasse di interpretazioni sbagliate che si sarebbero infine chiarite. In Italia, al contrario, ai suoi occhi Mussolini non solo aveva creato una nazione ordinata e dinamica, ma aveva anche promosso ufficialmente l’arte e l’architettura moderne. Riteneva, in sintesi, che la politica artistica fascista fosse orientata in senso progressista. Già nel luglio del 1932 egli aveva pregato Marinetti di intervenire, facendo leva sulla sua autorità di ‘futurfascista’, presso i nazionalsocialisti in aiuto al Bauhaus. Negli anni successivi, poi, Kandinskij avrebbe continuato la sua ricerca di alleanze italiane, sperando forse che il riconoscimento della sua arte nell’Italia nera lo riabilitasse agli occhi dei tedeschi. Per questo, in funzione politicopropagandistica, avrebbe chiesto prima a Sartoris di non metterlo in alcun modo in relazione con la Russia e, poi, interessandosi all’effetto pubblicistico che la personale alla Galleria del Milione avrebbe potuto indirettamente avere presso la stampa tedesca, dopo essersi sincerato, da Ghiringhelli, del fatto che la galleria milanese fosse effettivamente una galleria fascista. Nel 1935, anche se dell’iniziativa di Marinetti di un’esposizione ufficiale di Kandinskij a Milano e a Roma non se ne sarebbe fatto poi nulla, Kandinskij avrebbe scritto, ancora nella speranza di impressionare le autorità, ai suoi galleristi berlinesi, che a luglio era uscito su ‘Lavoro Fascista’, non una rivista d’arte ma un importante quotidiano politico, un articolo su di lui piuttosto lungo in cui veniva definito il più celebre pittore astratto di tutti i paesi. Intanto s’era avviata, già dal 1929, la corrispondenza tra Kandinskij e un altro suo importante se non il più importante interlocutore italiano, Giovanni Antonio Colonna, duca di Cesarò: rapporto, questo, che se pure si sarebbe rivelato controproducente dal punto di vista politico propagandistico, si trasformò nel corso degli anni in una affettuosa amicizia. Tra l’11 febbraio 1929 e il 10 giugno 1940  date, queste, con cui normalmente si usa indicare, rispettivamente, l’inizio e la fine degli anni Trenta in Italia il Belpaese invase due nazioni inermi, partecipò a una guerra civile altrui, scatenò terremoti legislativi e sociali, ma soprattutto tentò freneticamente di trasformare in pochi anni il popolo italiano. Nel 1982 si tenne a Milano la rassegna Anni Trenta: arte e cultura in Italia, divisa in diciannove sezioni e allestita in quattro luoghi: la Galleria Vittorio Emanuele, Palazzo Reale, la Galleria del Sagrato e l’Arengario. Scopo della mostra era ricostruire il clima dell’epoca, dare una visione d’insieme degli anni del consenso. Non è oggetto di questa tesi ripercorrere la cronologia degli avvenimenti nel periodo del Fascismo italiano. Quello che qui ci interessa è ricordare quelle caratteristiche che gli furono proprie, quali la tendenza al protezionismo e al dirigismo economico, l’esterofobia, l’autocelebrazione, il culto del duce e della romanità. Tra il 1929 e il 1931 la propaganda del regime si era formata in un’organizzazione statale che di lì a poco si sarebbe trasformata nel ministero della Stampa e Propaganda e, successivamente, Cultura popolare  mentre attraverso l’ONP Opera nazionale dopolavoro, struttura creata già nel 1925 con il compito di unificare tutte le associazioni culturali e sportive sorte prima dell’affermazione del regime fascista la radio e il cinema avevano raggiunto una diffusione capillare. Coinvolgendo dentro un complesso schema organizzativo i lavoratori dei grandi centri industriali, i contadini dei borghi più sperduti, la popolazione femminile nelle condizioni di lavoro più disagiate, essa aveva non solo permesso la circolazione di informazioni, messaggi propagandistici e di nuovi stili di vita, ma aveva nel contempo sollecitato l’affermazione di una cultura folclorica come componente essenziale di una cultura nazionale.
Le pretese autarchiche nel settore della cultura avevano sì portato la produzione libraria a raggiungere una vetta mai toccata prima, ma l’organo della censura aveva esercitato pesantemente il suo controllo sia nella possibilità di espressione sia scoraggiando le traduzioni straniere. Tuttavia, gli anni Trenta furono anche un periodo di intenso dibattito critico, durante il quale ampio è lo spazio che i giornali dedicano all’arte, alle grandi esposizioni nazionali, alle mostre sindacali e alle iniziative private: a differenza di quanto avviene in Germania negli stessi anni, infatti, a nessun pittore viene proibito di dipingere. Risulta utile, piuttosto, tenere conto dell’attività svolta dal Sindacato degli artisti, simmetrica alla configurazione dello Stato fascista come organizzatore culturale e grande committente. Negli anni Trenta la politica di rafforzamento delle grandi istituzioni espositive già esistenti la Biennale di Venezia e la Triennale di Milano si integra con la creazione di nuove istituzioni quindi alle attività della Biennale di Venezia e della Triennale di Milano si affianca quella della Quadriennale di Roma, ed è frequente il ricorso a grandi mostre celebrative che stimolano l’incontro tra il grande pubblico di massa e il lavoro degli artisti entro termini e contenuti politici funzionali alla cultura di propaganda del regime. Negli anni del consenso, in breve, la preoccupazione più importante risulta essere quella di stabilire un rapporto tra artista e Stato. Tale atteggiamento porterà all’emanazione, nel 1942, della legge del due per cento: “Esigendo la collaborazione dell’artista nelle opere da tramandare al futuro , lo Stato, invece di promulgare i canoni astratti di un’arte ufficiale, riconosce legittima sul proprio piano storico e sulla propria linea d’azione l’arte che si fa oggi in Italia dagli artisti italiani.” Di conseguenza, gli anni Trenta sono segnati dalla presenza di movimenti e linee di ricerca che si contrappongono con specificità diverse: ogni gruppo si crede interprete del tempo nuovo e, almeno inizialmente, futuristi, astrattisti e razionalisti non si oppongono al Fascismo ma, al contrario, rivendicano l’aspetto innovativo del proprio lavoro come esito derivante dalla rivoluzione. Operanti sono tutti gli artisti del Novecento, i nuovi accademici che cercano di celebrare i fasti delle imprese del nuovo Stato fascista, e pure il futurismo non tralascia di proclamare una propria attiva presenza. Attivi sono, alla metà degli anni Trenta, i due nuclei di pittori astratti di Milano e di Como. Alla fine degli anni Dieci era nato il movimento, assieme all’omonima rivista, di ‘Valori plastici’. Mentre il movimento ebbe un ruolo antimodernista, in un richiamo alla tradizione italica e quindi alla cultura figurativa di matrice classica, la rivista, fondata a Roma dal pittore e collezionista Mario Broglio ed edita dal 1918 al 1921, era al contrario benché impostata su un programma antibolscevico densa di informazioni per quanto avveniva fuori d’Italia. Sul numero di gennaio febbraio 1920 della rivista venne pubblicato il testo teorico di Kandinskij Pittura come arte pura. Il testo di Kandinskij è stato ripubblicato nel catalogo della mostra Kandinsky e l’astrattismo in Italia 1930  e il 1950. Il primo astrattismo italiano non fu mai un movimento organizzato, né è dato trovare una comunione di intenti a livello di dichiarazioni programmatiche. Ci furono, piuttosto, luoghi di aggregazione, come il Milione di Milano e la città di Como, anche se sono rintracciabili generiche costanti in accordo, nell’Italia del ventennio tra le due guerre, alla diffusa aspirazione a una misura e un ordine di matrice classica e idealistica quali l’esigenza di geometria e quindi la difesa di una ‘regola’ contro il naturalismo e l’espressionismo. Protagonisti della prima mostra d’arte astratta in Italia tenutasi, tra l’altro, nello stesso anno della prima personale di Kandinskij  furono Gino (Virginio) Ghiringhelli  il fratello di Peppino e, insieme a lui, direttore della Galleria del Milione, Oreste Bogliardi e Mauro Reggiani. In quell’occasione i tre pittori firmarono una Dichiarazione degli espositori principalmente redatta da Ghiringhelli sotto l’influenza di Carlo Belli e del suo Kn), in cui, dopo aver premesso che le loro novità artistiche sono connesse alla necessità di una vita moderna, di una vita rivoluzionariamente nuova.  La diversità di caratteri tra la pittura degli astrattisti italiani e quella dei loro colleghi stranieri sarebbe quindi da ricondurre al clima mediterraneo e alla simpatia per il ciclo classico propria dei primi. In ogni caso, se di scarso rilievo furono le recensioni sulla prima personale di Kandinskij in Italia, sicuramente la visione diretta delle sue opere fu di primaria importanza per gli astrattisti italiani.  Egli era, certamente, già noto in Italia, grazie alla diffusione di riviste straniere quali, oltre ai ‘Cahiers d’Art’, ‘Cercle et Carré’ e ‘Abstraction-Création’, in cui era possibile trovare riproduzioni e scritti di Kandinskij e di molti dei protagonisti delle nuove esperienze: Mondrian, Pevsner, Arp, Moholy-Nagy, Vantongerloo, e molti altri. Alla mostra di Ghiringhelli, Bogliardi e Reggiani seguirono quella di Bogliardi, Ghiringhelli, Osvaldo Licini, Fausto Melotti, Lucio Fontana, Reggiani, Atanasio Soldati, Luigi Veronesi, nel 1935 a Torino, e la presenza, nello stesso anno, in una sala comune alla II Quadriennale di Roma, di Bogliardi, Ghiringhelli, Reggiani, Alberto Magnelli, Licini e Soldati. Nel 1939 Licini, Soldati, Mario Radice e Manlio Rho parteciparono alla III Quadriennale; infine, alla IV Quadriennale del 1943, i comaschi Radice e Rho esposero assieme a Carla Badiali e Carla Prina. Con i comaschi aveva avuto a che fare anche Magnelli, nel 1936, quando aveva partecipato alla Mostra di pittura moderna italiana, realizzata dalla Galleria del Milione. Le relazioni di quest’ultimo con l’Italia furono, però, soltanto occasionali, date le divergenze di pensiero con gli astrattisti milanesi per i quali, comunque, la Galleria del Milione andava già in quel momento perdendo interesse , e più in generale con la realtà italiana del tempo. Avevano intanto fatto la loro comparsa figure nuove, che contribuiranno a determinare il raccordo con l’astrattismo del secondo dopoguerra. Tra l’11 gennaio e il 9 febbraio 1947 nelle sale del Palazzo Ex-Reale di Milano venne allestita la rassegna Arte astratta e concreta, su iniziativa dell’architetto nonché pittore e incisore Lanfranco Bombelli Tiravanti con la collaborazione del designer grafico svizzero, ma attivo a Milano, Max Huber. La mostra, la prima di arte astratta e concreta di carattere internazionale tenuta in Europa dopo la recente guerra e la prima in senso assoluto in Italia››, aveva lo scopo di ‹‹indicare all’attenzione degli artisti, dei critici e del pubblico, in particolare dei giovani, questo tipo di atteggiamento artistico, nel momento ancora poco conosciuto nella penisola.86 Erano presenti, tra le altre, opere degli stessi Tiravanti e Huber, di Arp, T?uber-Arp e Klee, del belga Vantongerloo, dello svizzero Max Bill, di Kandinskij  del quale erano presenti quattro lavori: Von-zu -Da-in , Streifen -Strisce , Quer- Diagonale  e Die -eigenwillige Linie La linea spontanea , degli italiani Licini, Rho, Veronesi ed Ettore Sottsass jr. Nelle prime pagine del Catalogo di questa mostra internazionale collettiva si avvertiva che con le opere esposte, seppure numerose, non si pensava certo di restituire un quadro esauriente di tutti gli aspetti assunti fino a oggi dall’arte concreta erano infatti assenti parecchi nomi celebri, quali quelli di Mondrian, Van Doesburg, Moholy-Nagy, Pevsner. Più importante sembra piuttosto chiarire l’equivoco circa i concetti di ‘arte astratta’ e ‘arte concreta’, che non vogliono dire la stessa cosa sebbene in Italia si fosse sempre detto arte astratta, e si comprendeva anche la concreta. Seguono quindi, in Catalogo, i testi Arte concreta di Kandinskij, Dall’arte astratta all’arte concreta di Max Bill, Per qualcuno può essere lo spazio di Sottsass e una brevissima riflessione di Vantongerloo. In Arte concreta testo che era stato pubblicato nel marzo 1938 sulla rivista ‘XX Siècle’ Kandinskij esprime convinzioni ripetutamente elaborate e riprese, a cominciare dall’idea, esaurientemente spiegata in Uber das Geistige in der Kunst, di una parentela di tutte le arti e in particolare tra la pittura e la musica, poiché in essa si manifesta ancora più in profondità. Proprio allora andava aggregandosi quello che sarà il gruppo Forma, composto da artisti romani, quali Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Antonio Sanfilippo, Achille Perilli e Giulio Turcato. Altri artisti furono invece tra i protagonisti del MAC, il Movimento d’Arte Concreta, nato nel 1948 a Milano: tra gli altri, Regina Cassolo Bracchi e Galliano Mazzon, già attivi negli anni Trenta, e i più giovani Gianni Monnet e Gillo Dorfles. Facciamo adesso un passo indietro, tornando al 1920. Nel testo Pittura come arte pura Kandinskij, dopo avere velocemente ripercorso le tre fasi d’evoluzione della ‘pittura odierna’, dichiara che la terza di queste fasi, quella della ‘pittura di composizione’, si può considerare come ‘definitiva’. Le idee e le convinzioni espresse in questo testo erano e sarebbero state riprese ripetutamente da Kandinskij nei suoi scritti, e non a caso si ritrovano anche nelle Dichiarazioni dell’artista che compaiono nel ‘Bollettino’ della personale al Milione del 1934. Luciano Caramel si serve delle parole stesse di Kandinskij per sostenere come sia proprio in esse che si deve cercare il senso dell’astrazione del Maestro russo, che non è quello di Belli e in genere degli astrattisti italiani da qui la decisione di aprire la mostra di Milano Kandinsky e l’astrattismo in Italia 1930 al 1950 con la Composizione VII conservata oggi presso la Galleria Tret’jakov di Mosca , capolavoro realizzato nel 1913 ma che sarebbe stato mostrato al grande pubblico italiano solo parecchi anni più tardi.
Se si fa eccezione delle poche opere esposte a inizio secolo e in occasione della XVII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1930, è infatti con il Kandinskij ‘più rigorosamente astratto’ degli anni venti-quaranta che il pubblico italiano fece per primo conoscenza, visivamente parlando. Ciò nonostante continua Caramel  e benché condividendone il rifiuto del naturalismo e del realismo legati a “finalità pratiche”, Belli non poté non considerare le Dichiarazioni dell’artista assai rischiose e divergenti rispetto all’impostazione teorica da lui espressa in Kn. La relazione tra Kandinskij e l’astrattismo italiano tra il ventennio 1930 al 1950, ma non certo limitandosi alla diretta correlazione, e tanto meno, alla dipendenza del secondo termine dal primo accanto ad una significativa quantità di opere del maestro russo quarantadue  lavori tra acquerelli, oli, pastelli e tecniche miste, realizzate negli anni del suo insegnamento al Bauhaus e successivamente durante il periodo parigino erano quelle degli altri cinquantadue  autori, ripartiti nelle due sezioni ‘Anni Trenta-prima metà anni Quaranta’ e ‘Seconda metà anni Quaranta-primi anni Cinquanta’. Ciò tuttavia non toglie che si possa provare a rintracciare una qualche parentela tra Kandinskij e le opere degli italiani. Caramel confronta, per esempio, il primo lavoro astratto del comasco Radice il quale visitava regolarmente le esposizioni della Galleria del Milione  Composizione S, realizzato nel 1934, con l’acquerello Lila-Violett di Kandinskij, esposto quell’anno a Milano. Ugualmente, accostando le opere Composizione n. 33  di Carla Badiali e Composizione 43 di Rho, rispettivamente a Deux tensions ‘Due tensioni’ e a Grün über Rosa ‘Verde su rosa’, Caramel individua una certa somiglianza per quanto riguarda l’articolazione strutturale. È, ancora, importante ricordare che alcuni esponenti dell’astrattismo e concretismo sopra nominati avevano avuto occasione di conoscere personalmente Kandinskij. È il caso, per esempio, di Licini, che già dagli anni Venti aveva risieduto a Parigi, dove era entrato in contatto con i principali protagonisti della scena artistica francese, quali Picasso e Modigliani, aveva esposto a mostre organizzate nei Salons d’Automne e nei Salons des Indépendants e s’era avvicinato al gruppo di Abstaction-Création. Uguale percorso aveva seguito Magnelli: al 1914 risale il suo primo viaggio a Parigi, mentre dal 1932 vi si stabilisce definitivamente. Egli fu uno dei primi artisti incontrati da Kandinskij al suo arrivo a Parigi da Berlino, e da allora tra i due iniziò un rapporto di amicizia. Frequenti viaggi nella capitale francese, negli anni Trenta, furono compiuti anche da Veronesi e da Soldati, i quali poterono così conoscere meglio le ricerche portate avanti dall’artista russo, oltre che intrattenere rapporti con gli animatori della vita culturale parigina. Rilevante è, infine, che un’opera  di Soldati realizzata nel 1948 porti lo stesso titolo di una di Kandinskij del 1937, Trenta. Fino a qua s’è parlato solamente della pittura astratta, ma sarebbe errato pensare che in Italia fosse l’astrattismo a dominare. Esso infatti rimaneva, come avrebbe ricordato Gillo Dorfes in un’intervista riportata nel Catalogo della mostra Wassily Kandinsky e l’arte astratta tra Italia e Franciaun linguaggio di nicchia, mentre era la figurazione a prevalere. Ancora in occasione della mostra di Ghiringhelli, Bogliardi e Reggiani alla Galleria del Milione nel 1934 era uscito un articolo sul quotidiano torinese ‘La Stampa’, firmato dal critico e storico dell’arte Marziano Bernardi, in cui l’autore si poneva in polemica con quei giovani che lavorano e combattono per l’arte astratta. Rifacendosi alle parole stesse dei citati pittori, Bernardi il quale, pur avendo attentamente seguito quelle correnti e quei movimenti operanti per un rinnovamento delle se non di aperta critica, per via della sua predilezione, mai venuta meno, per una pittura la cui funzione fosse rappresentare l’uomo e, attraverso l’uomo, le cose e il cui linguaggio, quindi, fa riferimento alla vita contingente  illustra al lettore il modo che hanno gli astrattisti di concepire l’arte e la storia dell’arte e, punto per punto, controbatte alle loro affermazioni. Chiamando in causa una recensione che fece Dino Bonardi in occasione di una mostra del tedesco Vordemberge-Gildewart tenutasi alla Galleria del Milione, nella quale il critico milanese scrisse che il linguaggio della pittura astratta è complicatissimo e in qualche modo musicale, Bernardi liquida questa idea che possa stabilirsi un’identità tra pittura e musica come un abbaglio gigantesco e una perdurante confusione tra i mezzi espressivi diremmo persino tecnici delle varie arti. La voce del critico torinese si sarebbe levata ancora spesso negli anni successivi, in occasione di varie mostre e avvenimenti circa l’arte astratta o, più precisamente, come si andava discutendo a partire dagli anni Quaranta, concreta, senza mai risparmiare né a essa né ai suoi difensori la sua verve polemica.
Di questo, però, si parlerà più avanti: prima di chiudere il capitolo vorrei un momento tornare a quanto ricordò Dorfles nelle sopracitata intervista riportata in Wassily Kandinsky e l’arte astratta tra Italia e Francia riguardo al periodo del MAC, di cui il pittore triestino era stato uno dei fondatori nonché maggiori ispiratori sul piano teorico, e all’influenza esercitata da Kandinskij sui giovani artisti. Anche se la personale del 1934 organizzata alla Galleria del Milione era stata accolta con una certa freddezza dovuta, forse, proprio al fatto che fosse ancora la figurazione a dominare e il MAC, come movimento ma più in generale l’astrattismo italiano aveva un orientamento prevalentemente geometrico, fu proprio per la componente eterodossa dell’opera di Kandinskij, per la sua intenzione di andare oltre il geometrismo e per il fatto di non essere rimasto chiuso in un rigido schematismo che gli artisti italiani, Dorfles incluso, riconobbero la grandezza del Maestro russo. Se l’astrattismo fu un movimento di liberazione che permise di rompere con il realismo e di allargare gli spazi della creatività, il merito del MAC, utilizzando le parole di Dorfles, è stato quello, nel secondo dopoguerra, di avere liberato l’avanguardia artistica italiana dalle retroguardie postimpressioniste quali erano le correnti futuriste, il gruppo di Corrente e quello novecentista di Margherita Sarfatti che appoggiava l’arte figurativa e che era per questo totalmente da affossare. Sempre in quel periodo si erano avviati dei contatti, che si riveleranno importantissimi, tra Milano e Zurigo: più precisamente, per mezzo di Monnet, anch’egli tra i fondatori del MAC, teorico dell’arte concreta e che allora risiedeva a Lugano, il movimento poté beneficiare di un rapporto di amicizia e di collaborazione con Max Bill, in quel momento capofila della Konkrete Kunst zurighese, e con Max Huber, anch’egli svizzero ma che lavorava a Milano. Proprio per iniziativa di quest’ultimo era stata realizzata, nel 1947, la mostra Arte astratta e concreta di cui s’è già parlato. A proposito di quella esposizione che non vide ma della quale studiò approfonditamente il catalogo Perilli, artista romano di cui s’era accennato precedentemente come uno dei firmatari, in quello stesso anno, del gruppo Forma, aveva scritto un articolo, intitolato Astrattisti a Milano, che era stato pubblicato nella rivista del suddetto gruppo, ‘Forma 1’. In esso l’autore, definisce l’astrattismo come un movimento dai caratteri ‘tipicamente orientali’ l’orientale, per natura, tende al puro segno, al puro colore inespressivo, ma che ha saputo anche prestarsi alla civiltà fortemente meccanizzata degli occidentali. Della selezione di opere esposte in occasione della mostra milanese evidenzia, ancora una volta, la specificità dell’astrattismo di Kandinskij, che, a differenza di quello degli altri artisti presenti nei quali assume aspetti geometrici e razionali, è fantasia, musica, libertà di sentimento. Nelle ultime righe Perilli abbozza quel problema della forma che, se per gli astrattisti esso si risolveva estraendola da ogni problema spaziale e luministico, per gli autori di Forma questa, proprio in virtù della sua appartenenza alla realtà, doveva essere considerata nel suo ambiente. Gli artisti firmatari del gruppo Forma andavano infatti eseguendo, in quel periodo, opere ancora memori di un soggetto di partenza, da cui si procede per progressive semplificazioni astratteggianti, e il loro manifesto esprime una certa vicinanza con quanto affermò Kandinskij già nel suo testo Pittura come arte pura. Di questa vicinanza avrebbe detto esplicitamente Dorazio, un altro dei firmatari del gruppo Forma, del cui nome pure s’era fatta in precedenza menzione, in un suo saggio del 1950, ma di ciò si parlerà un poco più avanti dato che si è nel frattempo aperta un fase storica diversa: il regime fascista è crollato e la fine della seconda guerra mondiale ha imposto un cambiamento di scenari sul piano internazionale. Dopo la scomparsa di Kandinskij, avvenuta nel dicembre del 1944, interlocutrice degli italiani era diventata e lo sarebbe stata per quasi più di un trentennio Nina Kandinski. A Nina Kandinskij l’artista romano Piero Dorazio, all’epoca appena trentenne, aveva scritto già nel 1948, in occasione della XXIV Biennale di Venezia, tenutasi quell’anno, la prima del dopoguerra. Dopo una interruzione di sei anni la Biennale di Venezia aveva riaperto i battenti in un nuovo clima di libertà. Come si legge nelle pagine di Introduzione, la XXIV Biennale si assumeva il compito culturale programma che sarebbe stato ripreso anche nelle successive edizioni di far conoscere, per mezzo di mostre personali, retrospettive e collettive con interi padiglioni riservati solo ad essi, artisti e movimenti italiani e stranieri ancora poco o frammentariamente noti al pubblico.
Vennero quindi presentate, per quanto riguarda il rinnovamento della cultura artistica italiana, mostre di pittura metafisica e di artisti scomparsi negli anni tra le due Biennali; vennero esposte, nel padiglione degli impressionisti, un centinaio di opere di Monet, Manet, Renoir, Degas, ToulouseLautrec, Gauguin, Seurat, Van Gogh, furono organizzate personali di Chagall, Picasso, Kokoschka e una retrospettiva di Klee. Per completare il quadro dei movimenti artistici contemporanei le sale della Biennale ospitarono la collezione di Peggy Guggenheim, la quale, con opere di Dalì, Kandinskij, Ernst, Mondrian, Léger, Brancusi, Mirò, Pollock, Pevsner, ecc. offriva un campionario completo di tutte le tendenze e di quanto era stato creato dai maggiori artisti dell’età moderna. Le tre opere di Kandinskij che furono esposte nelle sale del Padiglione greco, utilizzato quell’anno per accogliere la collezione di Peggy Guggenheim, sono riportate, nel Catalogo, con il titolo e l’anno di esecuzione: Landschaft mit roten Flecken ‘Paesaggio con macchie rosse’ del 1913  una Composizione e Nach Oben  . Oltre a commentare la sala della collezione di Peggy Guggenheim con i tre bellissimi Kandinskij, Dorazio comunica alla vedova dell’artista che è sua intenzione organizzare una di lui mostra alla Galleria dell’Obelisco di Roma, con dodici gouaches o disegni e dieci dipinti ad olio, di cui si offre di scrivere la presentazione. Tuttavia di questa mostra non si sarebbe più parlato per un po’, mentre, nel frattempo, una vasta retrospettiva di Kandinskij veniva preparata in occasione della XXV Biennale di Venezia. In quell’edizione del 1950 la Biennale si impegnò, fondamentalmente, come si legge nelle pagine di Introduzione, a continuare il compito culturale che gli organizzatori avevano fissato come presupposto della medesima, ovvero quello di informare, sia pure succintamente, il pubblico italiano degli sviluppi dell’arte contemporanea. Si optò quindi per allestire contemporaneamente mostre dedicate al Futurismo, ai Fauves e al Cubismo, allo scopo di cogliere il processo storico dello svolgimento di quei movimenti. A cura della Germania venne preparata una mostra del Blaue Reiter, movimento che rappresenta il superamento del fauvismo e del cubismo in una sintesi astratta. Sempre nel 1950, nel maggio, erano inoltre stati pubblicati, nel primo numero di ‘Forma 2’. Quaderni tecnico informativi di arte contemporanea, edito dalla galleria-libreria Age d’Or di Roma, due scritti di Dorazio e Perilli, dedicati a Kandinskij. L’Age d’Or era stata fondata quello stesso anno dai due artisti romani e l’almanacco sarebbe dovuto essere pubblicato, nel loro proposito, mensilmente; ne uscì invece un solo numero, questo appunto, con i saggi dedicati all’artista russo riuniti sotto l’intestazione Omaggio a V. Kandinsky. Se il fatto del quadro rovesciato nello studio di Monaco sta cominciando a diventare un episodio da citare di prassi in qualsiasi testo circa la vita e l’evoluzione dell’opera di Kandinskij l’aveva scritto anche Estienne nella sua breve presentazione della retrospettiva dell’artista alla Biennale Dorazio precisa: Aneddoto questo assai diffuso e spesso sufficiente a pregiudicare la presenza di un’immagine fisica come conditio sine qua non alla pittura e a giustificare, di conseguenza, il gusto per la forma libera, l’automatismo espressivo e gli atteggiamenti più assurdi e romantici animati esaurientemente da una “libido” grafo-cromatica. La ragione d’essere della vicinanza tra la poetica plastica di Kandinskij e la concezione formalista della pittura condivisa dal gruppo Forma sta, dice Dorazio, nell’affermazione di Kandinskij circa la distinzione della forma nei due aspetti essenziali della forma disegnata e della forma dipinta. Nel terzo momento dell’evoluzione della sua personalità e della sua opera, quello della ‘pittura astratta’, Kandinskij avrebbe raggiunto, in virtù della sua conquistata padronanza dei mezzi plastici come elementi essenziali da organizzare e comporre nell’opera in ragione esclusivamente plastica, la sua ‘pienezza espressiva’ e, per il merito di essere arrivato a questo punto di frattura fra due cicli storici prima di altri contemporanei, l’importanza della sua figura nella storia dell’arte sarebbe paragonabile a quella di Giotto. In questa fase, prosegue Dorazio, ogni linea e ogni colore assume una funzione precisa e particolare ai fini della complessa orchestrazione poliritmica che risulta nella composizione generale, ma la fantasia dell’artista procede oltre e si aprono così successivi momenti dell’evoluzione del suo lavoro, fino all’ultimo periodo, quello dell’’arte concreta’. Ed ecco quindi l’eredità di Kandinskij: una forma pittorica nuova, una nuova unità formale prodotta da sintesi espressive, attraverso la pittura come testimonianza delle esperienze e delle conclusioni sulla natura dell’uomo moderno e sulla storia.
Più breve è il testo di Perilli, ma non meno di Dorazio egli riconosce il peso dell’avventura pionieristica di Kandinskij, che per primo operò in quella direzione che, scomposto il paesaggio nei suoi elementi coloristici in modo che man mano iniziassero a muoversi e a sistemarsi non più in base a leggi naturali  ma per ragioni compositive e cromatiche, portò l’artista al rinnegamento della tematica basata sull’uomo e sulla natura. Perilli indica quindi Composizione 4 del 1911 come riferimento fondamentale per la comprensione dell’arte del maestro russo quadro-ponte tra due momenti spirituali, in esso il colore, che urge oltre il margine del naturale  per divenire su due piani macchia invano trattenuta dal nero inciso segno del disegno, è rivoluzione dell’inconscio e di poesia. Se il messaggio rivoluzionario di Kandinskij è in quegli anni legato alla Spiritualità nell’arte, il libro Punto e linea nello spazio corrisponderà invece a forme ‘concrete’ e il ‘quadroponte’ tra questi due altri momenti è Kleiner Traum in rot ‘Piccolo sogno in rosso’ del 1925, il quale reca in sé nel contempo il segno espressionista e l’avviso e l’influenza dell’epoca dei cerchi e forma della “grande sintesi”.Mentre, nel corso dell’estate di quell’anno, commenta la Biennale, Dorazio sconsiglia Nina, la quale gli aveva chiesto il suo parere e benché fosse stato lui stesso a proporglielo due anni prima, di organizzare una mostra di Kandinskij alla Galleria dell’Obelisco. Della galleria romana disapprova la linea espositiva o, meglio, l’assenza di una linea espositiva, definendola, insieme, realista, surrealista, laica, cattolica, d’avanguardia, ma riconosce che, commercialmente parlando, potrebbe essere una buona occasione. La personale romana di Kandinskij sarebbe stata realizzata nel 1951, per trasferirsi poi a Milano alla Galleria del Naviglio. A questo punto, però, è forse il caso di spostare qualche momento lo sguardo dalla cronistoria delle esposizioni di Kandinskij in Italia e allargarlo per cercare di cogliere, anche se assai sommariamente, il clima di quegli anni e, soprattutto, di conoscere alcuni dei principali animatori della vita culturale italiana che hanno contribuito ad aumentare la notorietà dell’artista russo nella Penisola. Da quando era stata fondata nel 1946 la prima aperta a Roma subito dopo la guerra da Gaspero del Corso, ex maggiore dell’esercito, e da Irene Brin nome d’arte di Maria Vittoria Rossi, cronista mondana, la Galleria dell’Obelisco era diventata un punto di riferimento per l’arte del secondo dopoguerra e sarebbe stata, durante gli anni Cinquanta e Sessanta, uno dei poli più attivi della capitale assieme alla Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis e in un contesto in cui restavano fondamentali l’attività della Galleria Nazionale d’Arte Moderna diretta da Palma Bucarelli e la prospettiva di confronto con l’arte d’oltreoceano rappresentata dalla Rome-New York Art Foundation. A Roma avrebbe operato, a partire dal 1955, anche la Galleria Selecta, la terza degli spazi espositivi fondati dal gallerista veneziano Carlo Cardazzo, il quale, già titolare della Galleria del Cavallino a Venezia e della Galleria del Naviglio a Milano, era in quel momento impegnato nel massimo di espansione della sua rete di gallerie anche se, delle tre, proprio la Selecta sarebbe stata la meno fortunata. Mentre lanciavano e rilanciavano in Italia e all’estero quell’immagine sfaccetta che era quel momento laboratoriale dell’arte italiana, in cui autori che sono espressione di diverse generazioni, poetiche e linguaggi stanno lavorando, essi hanno concorso in maniera decisiva a divulgare nella penisola il lavoro di artisti europei e americani di prima grandezza, dai protagonisti delle avanguardie storiche a quelli della nuova arte, da Kandinskij a Klee, da Picasso a Matisse, Mirò, Dalì, Arp, Chagall, Magritte, Moore, Rothko, Cy Twombly, De Kooning e molti altri, in una attività di promozione e valorizzazione dell’arte moderna assolutamente mirabile. Non solo intellettuali e artisti, ma l’intero Paese, tra le difficoltà e i drammi di una società che si rialzava faticosamente dalla catastrofe bellica, si riprometteva di superare il periodo buio del ventennio e della guerra per ricostruire il futuro, tra molte speranze e altrettante contraddizioni. La realtà che i filmati dell’epoca documentano, ancora nella metà degli anni Cinquanta, è una perdurante arretratezza nel Mezzogiorno, arcaicità nei paesini di montagna e povertà nelle periferie delle città che pure vedono crescere rapidamente la propria popolazione fino a cambiare dimensioni. Se la produttività industriale, nell’intrecciarsi di iniziativa privata e impresa pubblica, è aumentata esponenzialmente, inserendosi nel positivo trend internazionale, con i settori delle automobili, degli elettrodomestici, della siderurgia e della petrolchimica a fare da traino, per i lavoratori impiegati in quel ‘luogo-motore’ che era la fabbrica permanevano salari bassissimi e orari pesanti oltre al fatto che, se riconosciuti militanti comunisti, rischiavano il posto. A seguito dell’attentato al segretario del PCI Togliatti erano scoppiate numerose rivolte nelle città e in alcuni casi si era arrivati a scontri aperti tra le forze dell’ordine e i comunisti. Tra il 1948 e il 1953 tali fatti avevano portato a una pratica della democrazia che divideva i cittadini tra coloro ai quali potevano applicarsi in pieno tutte le libertà costituzionali e quelli che, legati ai comunisti e ai socialisti, subivano discriminazioni negli uffici e nelle fabbriche. I comunisti e l’ala estrema del movimento sindacale erano accusati di fomentare la ribellione contro il governo e le leggi molte delle quali sopravvissute allo Stato fascista, la Chiesa cattolica continuava a condurre una dura battaglia, fatta di discorsi e scomuniche, contro quanti professassero la ‘dottrina del comunismo’ e, a livello internazionale, l’Italia di De Gasperi aveva aderito, a fianco delle democrazie occidentali e degli Stati Uniti, al Patto Atlantico, il blocco politico e militare contrapposto all’Unione Sovietica e alle democrazie popolari dell’Europa orientale. Nel frattempo scioperi e manifestazioni di protesta – soprattutto da parte dei giovani operai per i quali le iniquità nelle fabbriche erano diventate sempre più intollerabili – seguitavano e ugualmente alta era la tensione nelle campagne. Tuttavia, pure nella generale impressione di una possibile guerra civile, riflessa anche dai giornali la polemica tra ‘L’Avanti’ del PSI, ‘L’Unità’ del PCI e testate che facevano capo ai grandi industriali quali ‘La Stampa’ e il ‘Corriera della Sera’ era assai dura e nelle disuguaglianze di opportunità, qualcosa si andava trasformando, sia nei costumi e nelle abitudini come conseguenza dell’entrata nelle case di frigoriferi, lavatrici, televisori e telefoni sia sul piano culturale e della mentalità: avanzavano la secolarizzazione e la scolarizzazione e si faceva strada sui mezzi di comunicazione di massa il mito americano di una società ricca ed evoluta. Gli artisti sentono l’esigenza di recarsi nelle campagne, per poter documentare la vita dei braccianti e il susseguirsi di accadimenti del periodo delle lotte contadine: se al centro dell’attenzione delle espressioni artistiche ascrivibili al realismo sociale vi è la figura del lavoratore, almeno in un primo momento i soggetti principali delle opere e degli studi erano stati il contadino e il mondo agricolo. Alle accuse di disinteresse per il sociale e l’umano, mosse alla pittura astratta da una parte della critica e degli artisti, già nel 1955 Emilio Vedova, partecipando al convegno Arte figurativa e arte astratta organizzato a Venezia, replicava difendendone invece l’impegno. E se ancora sul finire degli anni Cinquanta in Italia ad essere percepiti come rappresentativi della cultura nazionale erano modelli più tradizionalmente figurativi – basti il nome di Guttuso, con le sue grandi pitture dal tono espressionista-folclorico, in quegli stessi anni i musei americani accoglievano invece le opere degli esponenti della corrente informale come altissimi raggiungimenti dell’arte europea: significativo è il caso di Alberto Burri, la cui opera Grande sacco, esposta alla GNAM nel 1959, provocò dapprima scandalo e successivamente un’interrogazione parlamentare diretta a Palma Bucarelli. Per quanto riguarda la partecipazione italiana, alcune sale della Biennale del 1958 furono riservate ad antologiche di artisti scomparsi nel corso dell’ultimo biennio quali il comasco Rho ed Enrico Prampolini  mentre le restanti vennero organizzate in modo che alcuni sviluppi dell’attività artistica italiana contemporanea fossero nel contempo documentati e messi in raffronto con quelle di giovani artisti di altri Paesi. Presente in quella edizione fu, tra gli altri, Lucio Fontana, del quale furono esposte le numerose serie di opere dal titolo Concetto spaziale, realizzate nel corso degli anni a cominciare dal 1946. Già nel 1949 Fontana aveva allestito alla Galleria del Naviglio Ambiente spaziale a luce nera: le sale delle gallerie di Carlo Cardazzo del Naviglio come del Cavallino nella quale il giovane Renato Cardazzo aveva iniziato a svolgere il compito di assistente del fratello erano infatti stati, negli ultimi anni Quaranta, i luoghi espositivi e propulsivi di quel gruppo di artisti che si riconoscevano nello Spazialismo, fenomeno sorto parallelamente a quegli altri movimenti e raggruppamenti costituiti e che si stavano costituendo per affini propostiti estetici quali Forma e il MAC, i Nucleari e il già precedentemente menzionato Fronte Nuovo delle Arti. Il ciclo dei ‘tagli’ di Fontana lavori, eseguiti a partire dal 1958, che portano tutti il titolo di Concetto spaziale. Attese rispondono all’esigenza di trovare una nuova spazialità anche nell’arte, dopo che la scienza aveva indicato nuovi confini e nuovi concetti di spazio. La nozione einsteiniana di materia-energia, le leggi della fisica quantistica, il principio di indeterminazione erano infatti state alcune delle problematiche che più avevano animato a Venezia i quasi quotidiani incontri tra coloro che avrebbero in seguito aderito al movimento spazialista, nella condivisa esigenza di pensare altre relazioni con la natura e ricercare quindi una nuova sintesi, puntando verso nuove strade senza doversi rifare a grammatiche ormai consolidate ma sperimentando e configurando immagini di una nuova estetica dei processi fondamentali. Mentre il miracolo economico prosegue, alla soglia degli anni Sessanta una delle città che più riveste un ruolo finanziariamente egemone nel contesto nazionale è Milano, che vive un momento di grande trasformazione architettonica e urbanistica e diventa un laboratorio emblematico di ricerca e sperimentazione nel campo delle arti visive, le quali nel frattempo vanno maturando un dialogo anche con il design e la moda. Gli anni Sessanta sono il decennio delle grandi imprese editoriali d’arte con riproduzioni a colori: la Fabbri aveva iniziato, dal 1958 la pubblicazione dell’Enciclopedia Universale dell’Arte, a cui si sarebbero poi aggiunte le collane de I Maestri del Colore e di ‘L’Arte Moderna’, a partire, rispettivamente, dal 1963 e dal 1967. Anche gli interventi critici sul lavoro di Kandinskij si erano fatti, nel frattempo, più numerosi. La scrittrice, storica e critica dell’arte Marisa Volpi Orlandini dedicò, sul finire degli anni Sessanta, due testi al maestro russo. Specialmente in uno di essi, Kandinsky: dall’art nouveau alla psicologia della forma, pubblicato nel 1968, la studiosa insiste sul ruolo chiave che egli ha avuto nei recenti sviluppi dell’arte, per avere rivoluzionato non solo il linguaggio artistico ma anche l’idea stessa di pittura e delle sue possibilità comunicative. Seguendo storicamente il percorso creativo dell’opera di Kandinskij, nell’intreccio della cultura artistica europea, Volpi Orlandini dedica grande attenzione soprattutto alle aperture interdisciplinari che sottendono alla ricerca dell’artista, sviluppata all’insegna del sogno della grande sintesi. La pittura di Kandinskij viene quindi analizzata come un cammino prima verso la liberazione dalle convenzioni visive e poi verso uno stile aperto alle esperienze dell’arte contemporanea che, partendo da due premesse fondamentali, ovvero il concepire l’arte come un’esplorazione continua e l’avvertire nella produzione artistica e nella mitografia primitive e popolari le fonti essenziali per il suo rinnovamento, lo conduce alla fondazione di un linguaggio pittorico totalmente nuovo. Il secondo testo che Volpi Orlandini dedicò all’artista russo è del ’70 e si intitola Kandinsky e il Blaue Reiter. In esso la studiosa, sempre analizzando la pittura di Kandinskij nella sua fenomenologia storica e offrendo una riassuntiva descrizione dei momenti essenziali della storia dell’arte moderna che costituiscono lo sfondo dell’evoluzione dell’arte e del pensiero teorico del pittore russo il cloisonnisme di Pont-Aven, il cromoluminismo di Seurat, le poetiche simboliste e lo Jugendstill dei primi del secolo a Monaco con le contemporanee teorie di Theodor Lipps e di Wilhelm Woringer, si occupa più nello specifico di esaminare il periodo del Blaue Reiter: sono questi gli anni decisivi, dal 1908 al 1914, durante i quali, in collaborazione con Marc, Macke, Schoenberg, Burljuk, la Münter, Jawlensky, egli elabora quegli elementi che lo porteranno alla fondazione di un linguaggio nuovo. L’anno successivo al Blaue Reiter venne dedicata una grande mostra la prima, internazionalmente riconosciuta, che ne offrisse una completa rievocazione organizzata dall’Associazione Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea in collaborazione con i Musei di Torino e ospitata presso la Galleria Civica d’Arte Moderna. All’esposizione, intitolata Il Cavaliere Azzurro e aperta dal 18 marzo al 9 maggio, i visitatori poterono ammirare più di duecento opere: nella prima parte, che era stata pensata in modo da ricostruire l’iconografia dell’almanacco ‘Der Blaue Reiter’, erano presenti numerose statuette in legno di figure femminili ed equestri, maschere e idoli provenienti soprattutto dall’Africa e dall’Oceania, oltre che stampe popolari e xilografie bavaresi, russe, giapponesi; di seguito, una selezione di lavori di Gauguin, Cézanne, Henri Rousseau, Picasso, Emil Nolde, Matisse, Natalija Gon?arova e Michail Larionov, Robert Delaunay, Lyonel Feininger, Gabriele Münter, David Burljuk, Macke. Particolare rilievo venne dato al lavoro di Klee e di Kandinskij dei quali, oltre a quelle realizzate nel periodo del Blaue Reiter, la mostra comprendeva anche opere che documentavano i successivi sviluppi della loro carriera artistica dopo il 1914  e, per concludere, vennero scelte alcune opere di artisti quali Kupka, Licini, Soldati, Dorazio, Capogrossi, Maurice Estève, Mark Tobey e altri, come omaggio al Blaue Reiter e testimonianza della validità delle ipotesi di lavoro di Kandinskij e di Klee alle origini dell’arte astratta. Posso dire che Kandinskij, profeta e padre di tutta la pittura astratta, ancora verso fine degli anni Quaranta aveva rappresentato un punto di riferimento per quegli artisti che avevano aderito al MAC. Così era avvenuto l’incontro, durante gli anni Settanta, dell’architetto e designer milanese Alessandro Mendini con l’opera di Kandinskij, mentre egli era interessato a una ricerca decorativa basata sull’interpretazione di alcuni autori delle Avanguardie storiche. Lavorando a progetti che comprendono la realizzazione di pattern sia bidimensionali che strutturati in tre dimensioni, Mendini si appropria dell’alfabeto kandinskiano  colori o forme spaziali, se non particolari direttamente copiati da opere dell’artista russo per comporlo e ricomporlo con altri temi e stilemi storici in modo da formulare nuovi alfabeti visivi. Nel 1978 erano nati in questo modo, per esempio, il Kandissi e la Kandissa, dall’unione di segni e colori di Kandinskij con, rispettivamente, un divano del cubismo di Praga e una sedia Thonet.
 
Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone
Punto, linea e Superficie . Kandinsky e le avanguardie 
dal 18 Dicembre 2021 al 2 Maggio 2022
dal Lunedì, Mercoledì e Giovedì dalle ore 15.00 alle ore 19.00
dal Venerdì, Sabato e Domenica dalle ore 10.00 alle ore 19.00