Di Giovanni Cardone Giugno, 2021
Fino al 13 Settembre 2021si potrà ammirare la mostra Raffaello a Capodimonte : l’officina dell’artista a cura di Angela Cerasuolo e Andrea Zezza . Questa mostra rientra tra le celebrazioni per i 500 anni dalla morte dell'artista e si propone di valorizzare il patrimonio raffaellesco del Museo di Capodimonte che è molto più ricco e vario di quanto si possa pensare. Il percorso di visita offre al pubblico le novità emerse dalla campagna di indagini diagnostiche condotte nel Museo, grazie a importanti collaborazione istituzionali, che hanno permesso un approccio originale sia alle opere d'arte, sia al lavoro della bottega dell'artista e a quelle dei suoi seguaci, mettendo in luce il complesso lavoro che sta dietro la creazione di originali, multipli, copie, derivazioni. Come afferma il direttore del Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger : “ Una mostra dovuta non solo per l’importanza nel mondo di Raffaello ma anche per l’importanza di Raffaello qui a Capodimonte, per valorizzare la sua collezione”. Mentre Angela Cerasuolo dice : “ Ringrazio il direttore Bellenger per averci dato la possibilità di lavorare a questa mostra che ci ha consentito di mettere insieme gli studi che stiamo portando avanti da molti anni e che ci ha dato la possibilità di lavorare con diverse istituzioni. La cosa meravigliosa è che i risultati si sono rivelati in totale armonia per il maestro dell’armonia che è Raffaello e la ricchezza di queste opere con tutto quello che ci dicono è finalmente davanti ai nostri occhi in tutta la sua evidenza”. Visitando la mostra ti accorgi del grande lavoro fatto dalle maestranze del Museo di Capodimonte sono rimasto ammirato dalle opere di un ‘Genio’ senza tempo. Possiamo dire che il Vasari in uno dei suoi scritti su Raffaello dice che negli ultimi momenti della sua vita Raffaello li abbia dedicati a dipingere il volto di Gesù trasfigurato, il più bello della storia dell'arte. È davvero suggestivo pensare che questo giovane e bellissimo uomo, divino in certi aspetti, concluse così il suo immenso percorso artistico, dipingendo la vittoria sulla morte, l'infinito che trionfa, l'Amore eterno. I seguaci e i contemporanei che conobbero di persona Raffaello lo paragonarono addirittura a una reincarnazione di Cristo. Questo per le vette artistiche che riuscì a toccare e le composizioni eterne a cui diede vita, per il suo essere come un principe, bellissimo, divino, perché si spense in giovane età di Venerdì santo, lo stesso giorno in cui venne al mondo.  Io che ho visto questa bellissima esposizione sulla pittura raffaellesca e sulle sue influenze, insieme ai curatori i quali mi hanno spiegato come è nata l’esigenza di portare alla luce le opere del grande maestro del Rinascimento, mi hanno detto che solo attraverso un attento restauro delle opere puoi capire la sua pittura e la sua personalità, tutto questo mi dice uno curatori parte dall’officina del Museo di Capodimonte. In uno scambio di battute con uno dei curatori gli ho detto che io credo che Raffaello sia tra i più grandi artisti di tutti i tempi, invece Andrea Zezza mi dice ; “molti studiosi lo considerano come un esempio perfetto della pittura del Rinascimento italiano”. Possiamo dire con certezza che i suoi dipinti sono caratterizzati da un giusto equilibrio compositivo e da una raffinata ricerca formale egli ha saputo creare opere così serene e concluse, prive dell'ambiguità leonardesca e del dramma michelangiolesco, tali da apparire inafferrabili e divine. Nella sua attività Raffaello fu aiutato da un bell’aspetto, una personalità amabile, educata e raffinata, ma essendo anche molto ambizioso seppe unire a queste sue doti naturali anche un talento straordinario e una capacità organizzativa, di tipo imprenditoriale, quasi moderna tale che in pochi anni di carriera riuscì ad ottenere grandissima fama e notevole ricchezza. Neppure Leonardo e Michelangelo erano riusciti ad ottenere altrettanto. Di eccezionale apertura mentale, Raffaello continuò anche in età matura a migliorare la sua formazione artistica seguendo più strade, interessandosi alla cultura del suo tempo e studiando altri artisti.
Egli prese contatto con i protagonisti del pensiero neoplatonico e strinse amicizia con letterati e intellettuali per arricchire al massimo la sua personalità, utilizzando e rielaborando le loro idee e saperi per dare così altra linfa alla sua già feconda creatività. Raffaello riuscì a fondere così la più alta tradizione quattrocentesca con gli elementi innovativi del ‘500 in una personale visione unitaria e, avendo inoltre grande padronanza dei mezzi espressivi, portò nelle sue opere un linguaggio chiaro, preciso e dallo stile inconfondibile. Per i pittori venuti dopo di lui Raffaello divenne quindi il modello assoluto a cui fare riferimento e fu considerato il creatore della pittura “all’antica”, influenzando profondamente sia l’arte del suo tempo che quella venuta dopo di lui, la corrente artistica che va sotto il nome di Manierismo. Lo stile perfetto di Raffaello, è stato oggetto di studio presso tutte le accademie d’arte fino alla prima metà dell'Ottocento, fu in seguito parzialmente criticato dalle nuove tendenze artistiche; tuttavia nel XX secolo la sua arte ha continuato ad esercitare notevole influenza su molti pittori odierni, citiamo tra questi Salvador Dalí. Raffaello venne alla luce in Urbino nel 1483 da una famiglia benestante, il padre era Giovanni Santi e la madre Maria di Battista di Nicola Ciarla; il bambino era figlio d’arte, perché suo padre era un noto pittore, padrone di una fiorente bottega. In seguito, nella maturità, egli cambiò il cognome Santi nella parola latina Santius, e firmò le sue opere sempre e solamente con il suo nome di battesimo in latino, Raphael. Il padre Giovanni Santi, (1440/1445 –1494), oltre che valente artista, era anche un uomo di lettere la cui personalità di umanista è testimoniata da una sua Cronaca rimata del 1492, scritta per le nozze del duca Guidobaldo ed Elisabetta Gonzaga in onore del padre dello sposo, il duca Federico da Montefeltro; il testo riporta alcuni giudizi molto interessanti sui pittori italiani e fiamminghi a lui contemporanei. Come detto prima, il Santi era un abile maestro pittore che con l’aiuto del suo allievo e collaboratore, Evangelista da Pian di Meleto (1460–1549), gestiva in Urbino una bottega molto affermata e manteneva frequenti contatti con la corte dei Montefeltro e inoltre con i Gonzaga di Mantova e altre città delle Marche. E’ quasi certo che Raffaello cominciò a studiare disegno e prospettiva con il padre e vide le opere di Piero della Francesca presenti in Urbino. Inoltre il piccolo Raffaello si trovò a vivere in un periodo in cui la sua città natale offriva una atmosfera artistica e culturale in pieno fermento. ll bambino, molto presto, perse prima la madre quando aveva appena 8 anni e, poco dopo, a 11 suo padre, che intanto si era risposato ed aveva avuto un’altra figlia, Elisabetta, ma con la famiglia furono frequenti le liti per motivi finanziari. Raffaello, ormai orfano di entrambi genitori, si recò a studiare nella bottega del Perugino (1448 o50 - 1523), al secolo Pietro Vannucci, che forse aveva già conosciuto al seguito del padre. Il Perugino, all’epoca, era considerato il migliore maestro d’Italia e in lui il ragazzo trovò la giusta guida per perfezionarsi nella pittura e studiare le nuove tendenze artistiche rinascimentali presenti nei suoi quadri. Infatti lavorando con il Perugino Raffaello riuscì a unire la luce e la monumentalità di Piero della Francesca con il naturalismo e lo stile lineare di Andrea del Verrocchio, adattandoli però alla grazia tipica della pittura umbra, che dipingeva figure aggraziate dentro grandi architetture e circoscriveva gli spazi del primo e secondo piano dall’orizzonte dello sfondo. A diciassette anni, Raffaello lasciò la bottega del Perugino con il titolo di Magister e il permesso di esercitare l'attività di pittore; a Città di Castello nella sua bottega iniziò a produrre opere con la sua firma divenendo uno degli artisti più rinomati del momento. Le sue prime opere presentano ancora le influenze tipicamente umbre della pittura del Perugino e del Pinturicchio, ma senza i loro elementi troppo decorativi e una plasticità maggiore nella costruzione delle figure. Di quel periodo sue opere sono il Sogno del cavaliere, lo stendardo di città di Castello, la tavola andata perduta dell’Incoronazione di S. Nicolò da Tolentino, la Resurrezione, (Museo di S. Paolo). A vent’anni, nel 1503, egli dipinse l’Incoronazione della Vergine (Musei vaticani), e la Crocifissione (National Gallery). In particolare nello Sposalizio della Vergine del 1504 (Pinacoteca di Brera), si nota come artista avesse raggiunto già la sua indipendenza e maturità artistica, capace di una Raffaello a dieci anni dipinto dal padre. Cappella Tiranni, Cagli3 concezione costruttiva grandiosa, una personale sensibilità coloristica e perfetta architettura del fondo. Alla fine del 1504 Raffaello si recò a Firenze per studiare le opere di Leonardo, Michelangelo e fra Bartolomeo, dai quali acquisì anche gli schemi compositivi; qui dipinse numerosi quadri sul tema della Madonna con il Bambino. Di ispirazione umbra è ancora la Madonna del Granduca mentre La belle jardinière e la Madonna del Cardellino mostrano l'influenza di Leonardo e la Madonna Bridgewater ‘National Gallery, Edimburgo’ invece quella di Michelangelo. Lasciando incompiuta la Madonna del baldacchino, Raffaello si trasferì a Roma per affrescare alcune pareti della Stanza della Segnatura, dove sul soffitto, in tondi e in scomparti rettangolari alternati, dipinse la Teologia, il Peccato originale, la Giustizia, Il Giudizio di Salomone, la Filosofia, la Contemplazione dell'Universo, la Poesia, Apollo e Marsia. Nel frattempo Raffaello, per soddisfare le richieste dei suoi numerosi clienti, sempre a Roma, aprì un attivissimo atelier per concentrarsi maggiormente sullo studio dell’arte classica romana e sulla progettazione delle opere. Infatti la gran parte della produzione pittorica degli ultimi anni, ideata da lui, fu però realizzata dai suoi allievi e collaboratori, tra questi vanno ricordati: Giulio Romano (Giulio Pippi), pittore e architetto, Giovanni da Udine, decoratore specializzato in grottesche e nature morte, Pietro Bonaccorsi, Polidoro da Caravaggio, Maturino Fiorentino, Baldassarre Peruzzi, Marcantonio Raimondi, Lorenzo Lotti scultore, orafo e architetto. Di questo periodo sono la Stanza dell’Incendio di Borgo, la Loggia di Raffaello e la Loggetta del Cardinal Bibbiena, nel 1511 la Stanza Vaticana, detta di Eliodoro, con le scene della Cacciata di Eliodoro, del Miracolo della Messa di Bolsena, della Liberazione di S. Pietro e i quattro episodi del Vecchio Testamento. Sempre durante il suo soggiorno a Roma, realizzò scene sacre e numerosi ritratti di personaggi. Tra i ritratti, in cui eccelleva per l'estremo realismo della rappresentazione e la capacità di introspezione psicologica, ci sono quelli di Giulio II e di Leone X con due cardinali. Tra i quadri di soggetto religioso in particolare è da ricordare la Trasfigurazione, rimasta incompiuta alla sua morte, completata poi da Giulio Romano nella parte inferiore e presa a modello dai pittori del Seicento, in particolare da Caravaggio e da Rubens. Nel 1514 dopo la morte del Bramante (1444–1514), il grande architetto che aveva già progettato San Pietro, Raffaello fu nominato dal Papa responsabile dei lavori per la costruzione di San Pietro e realizzò le logge del palazzo Vaticano nel cortile di San Damasco. Le opere architettoniche da lui realizzate come la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, la facciata di San Autoritratto 1518 Autoritratto 15044 Lorenzo e del palazzo Pandolfini a Firenze, sono spesso poste in secondo piano rispetto a quelle pittoriche; esse però sono altrettanto importanti per bellezza e originalità perché mostrano il genio dell’artista che, se pure influenzato dallo stile del Bramante, conservano quell'astratta armonia compositiva che è propria delle sue opere pittoriche. A 37 appena compiuti Raffaello, giovane, bello, protetto dal papa, stimato dagli uomini, amato dalle donne, era all'apice della gloria, ammirato dal mondo intero per la sua eccelsa bravura e per avere incarnato quell'ideale supremo di serenità e di bellezza tanto cercato nel Rinascimento italiano e poi esportato in Europa. Tra lo stupore e il cordoglio di tutti egli morì a Roma il 6 Aprile 1520, nel giorno del Venerdì Santo; si credette a lungo ed erroneamente che anche la data di nascita fosse avvenuta nel Venerdì santo e forse fu per questo che i contemporanei lo ritenevano una reincarnazione del Cristo soprannominandolo il divino. Il Vasari1 (1511–1574) lo ricordava come una persona dotato di tutta quella modestia e bontà di natura gentile.. d'una graziata affabilità e scriveva ancora che la sua morte era sopraggiunta dopo quindici giorni di malattia, iniziata con una febbre continua e acuta, causata da eccessi amorosi, e mal curata con ripetuti salassi. Marcantonio Michiel (1484–1552), letterato e collezionista d'arte, raccontò in alcune lettere il rammarico d'ogn'uno et del papa e il dolore dei letterati e dei segni straordinari che si avverarono come alla morte di Cristo: una crepa scosse il palazzo vaticano, forse per effetto di un piccolo terremoto, e i cieli si erano agitati. Un’altra tesi sulla morte di Raffaello crede che egli sia stato avvelenato con l’arsenico dall’invidia di alcuni pittori (Sebastiano del Piombo? Michelangelo?), gelosia, rancore o altro, come spesso avveniva a quei tempi per eliminare un avversario.
Questa tesi è nata quando nel 1722 il corpo di Raffaello fu riesumato e trovato perfettamente conservato, nonostante fossero trascorsi due secoli; per gli esperti ciò poteva essere avvenuto per la presenza dell’arsenico nel corpo, essendo il minerale un ottimo conservante. Assecondando il desiderio manifestato in precedenza da Raffaello, le sue spoglie furono coperte dalla tela della Trasfigurazione, il suo ultimo capolavoro rimasto incompiuto, e poi sepolte nel Pantheon, il monumento da lui tanto ammirato. Il cardinale e grande umanista Pietro Bembo, suo caro amico, fece scrivere sulla tomba questo epitaffio in latino: ILLE HIC EST RAPHAEL TIMUIT QUO SOSPITE VINCI RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI. It: Qui è quel Raffaello da cui, fin che visse, Madre Natura temette di essere superata, e quando morì temette di morire con lui. Il Museo di Capodimonte, infatti, conserva alcune opere autografe di grande rilevanza, che permettono di esemplificare i momenti principali della carriera del grande genio : L'Eterno e la Vergine, due frammenti della Pala di San Nicola da Tolentino (1500-1501) prima opera nota del diciassettenne Raffaello, dipinta per la chiesa di Sant'Agostino di Città di Castello, distrutta alla fine del Settecento, il Ritratto di Alessandro Farnese (1511 circa) il giovane cardinale che tanti anni dopo diventerà il potente papa Paolo III, il Mosé e il roveto ardente (1514) cartone preparatorio eseguito per l’affresco della volta della Stanza di Eliodoro in Vaticano, la Madonna del Divino Amore (1516-18) dipinto tra i più ammirati dell’artista nel corso del Cinquecento, poi caduto nell’oblìo e sottratto solo recentemente, anche grazie alle indagini scientifiche e al restauro, alla sfortuna critica in cui era caduto nel Novecento. Ma il Museo di Capodimonte conserva anche un’opera fondamentale di Giulio Romano, il principale allievo di Raffaello, la Madonna della gatta (1518-1520 ca.?), eseguita seguendo un modello del maestro, e di cui le indagini diagnostiche aiutano a comprendere meglio tanto la complessa genesi esecutiva, quanto le cause dei problemi che ne hanno resa problematica la conservazione. Una serie di copie, derivazioni, multipli, alcune delle quali forse elaborate nella bottega stessa dell'artista ‘Madonna del Passeggio, Madonna del Velo’, altre per mano di artisti di prima grandezza per committenti importanti, è il caso della famosa copia del Ritratto di Leone X di Andrea del Sarto dove la nozione di ‘copia’ costeggia quella di ‘falso d’autore’, e che secondo Vasari avrebbe ingannato lo stesso Giulio Romano o forse per esercitazione, come il San Giuseppe dalla Madonna del velo realizzato da Daniele da Volterra. Queste, assieme ad altre realizzate da più meccanici copisti ‘Madonna Bridgewater’ permettono di esplorare ad ampio raggio questo tipo di produzione, che costituiva larga parte dell'opera delle botteghe del Cinque e del Seicento e che oggi forma una parte enorme, anche se spesso trascurata, del nostro patrimonio artistico. Il percorso espositivo tracciato dai curatori della mostra è così diviso, nella sala cinque situata al primo piano del Museo è stata intitolata : ‘Una scuola eccezionale: maestri e fratelli maggiori’ dai dipinti di  Raffaello esposti apprendiamo che il grande maestro ad Urbino nello splendido Palazzo Ducale dobbiamo immaginare che lo frequentava da bambino è già lavorava con artisti fiorentini, senesi e fiamminghi. Qui Raffaello imparò presto ad avere uno sguardo aperto su ciò che vedeva intorno a lui. La città di Urbino è rappresentata, nella prima sala della mostra, dal Ritratto di fra Luca Pacioli con un allievo attribuito a Jacopo de' Barbari, pittore e incisore veneziano. Pacioli era francescano, matematico, allievo di Piero della Francesca e amico di Leonardo, qui è ritratto mentre illustra gli Elementi di Euclide. Sullo scrittoio di Pacioli si vedono gli strumenti del matematico. A destra, sopra la Summa de arithmetica di Pacioli, c'è un dodecaedro, uno dei cinque solidi regolari simboli degli elementi fondanti dell’Universo secondo Platone. I solidi platonici erano illustrati nel trattato di Piero della Francesca De quinque corporibus regularibus allora conservato nella biblioteca dei duchi d’Urbino. A quest’opera si ispirerà Pacioli nel trattato sulla sezione aurea, la Divina proportiione, che sarà illustrato da Leonardo. In alto è sospeso un solido di cristallo, un rombicubottaedro, riempito per metà di acqua, in cui si riflette tre volte un palazzo, forse il Palazzo Ducale di Urbino.
Jacopo de' Barbari dal 1500 si trasferirà in Germania. La sua lettera a Federico di Sassonia esalta il fondamento matematico della pittura, in profonda sintonia con il pensiero di Pacioli. Il quadro rappresenta bene la raffinata cultura di Urbino e di quella corte, dove Raffaello fu educato allo studio delle proporzioni armoniche e alla consapevolezza della valenza intellettuale del lavoro artistico. Seguono tre dipinti che esemplificano l’opera degli artisti che ispirarono il pittore agli inizi della sua carriera. La Natività di Luca Signorelli, allievo di Piero della Francesca poi aiuto del Perugino, era attivissimo tra Umbria e Toscana e lavorò a lungo a Città di Castello, città fortemente legata a Urbino. Luca non fu in senso stretto un maestro per Raffaello, ma disegni e opere giovanili mostrano l’ammirazione che il giovane provò per il suo stile, caratterizzato da figure fortemente plastiche e monumentali. La Madonna col Bambino di Perugino, maestro di Raffaello secondo Vasari, che adotta una peculiare ‘dolcezza nei colori unita’, qui è rappresentata in un arioso paesaggio nel quale si vedono arrivare i Re Magi. Il disegno utilizzato è alla base anche di altre opere del Perugino, la cui produzione matura è caratterizzata da una gestione del lavoro ‘preindustriale’, ampiamente affidata ad aiuti. Nell’Assunta di Pinturicchio la Vergine è raffigurata in una mandorla circondata da angeli con gli apostoli in basso, frequente nel tardo ‘400. Pinturicchio qui dà il meglio di sé nelle teste dei personaggi descritti con raffinatissima precisione, costruiti su tipi perugineschi, ma con un diverso senso decorativo tratto dall’antico. Raffaello dialogò fittamente con lui all’epoca della pala di Città di Castello. Mentre nella sale sei sempre al primo piano del Museo di Capodimonte è stata intitolata dai curatori ‘Raffaello a Capodimonte: dall’inizio alla piena maturità’. Possiamo dire che Raffaello ebbe sempre una straordinaria capacità di accogliere ogni stimolo dagli artisti con cui entrava in contatto, assimilandone i caratteri di stile e rielaborandoli per restituirli più vitali. La stessa abilità dimostrò nelle pratiche esecutive delle sue opere, dove dispiegò ogni mezzo che potesse rispondere alla sua ricerca. Il nucleo di opere raffaellesche del Museo di Capodimonte, visibile nella seconda sala di mostra, può dare un’idea della straordinaria versatilità dell’artista, del suo continuo sperimentare e del lungo cammino percorso nella sua breve e folgorante carriera che lo portò, nell’arco di vent’anni, ad aprire strade nuove in ognuno dei generi artistici che praticò, come si potrà osservare nei frammenti Eterno Padre e Vergine della perduta pala d'altare Incoronazione del Beato Nicola da Tolentino, nel Ritratto del cardinale Alessandro Farnese, nel Mosé davanti al roveto ardente cartone preparatorio eseguito per l’affresco della volta della Stanza di Eliodoro in Vaticano e nella Madonna del Divino Amore dipinto tra i più ammirati dell’artista nel corso del Cinquecento presentato in sala accanto al disegno preparatorio conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo di Capodimonte. Di assoluto interesse per i visitatori e gli studiosi la ricostruzione in sala della pala d'altare perduta qui proposta, nella sua integrità, sulla base dei disegni preparatori di Raffaello, su una copia parziale realizzata dopo la vendita e da osservazioni su elementi figurativi e materiali desumibili dai frammenti, come la dimensioni delle assi del supporto, le proporzioni delle figure, la costruzione prospettica dello spazio. L'Incoronazione di San Nicola da Tolentino, infatti, è la prima opera realizzata da Raffaello insieme a Evangelista da Pian di Meleto, già collaboratore del padre, per Città di Castello. Nei documenti Raffaello, diciassettenne, viene già definito “magister”. Nel 1789 la pala, danneggiata da un terremoto, fu venduta a papa Pio VI e ridotta in piccoli quadri. I due frammenti conservati a Capodimonte, ‘Eterno Padre e Vergine’ furono acquisiti a Roma nel 1799 per le collezioni borboniche, senza più memoria della loro provenienza, ricostruita solo nel 1912 con l’identificazione di un Angelo conservato a Brescia e dei frammenti napoletani, a cui si è poi aggiunto un Angelo acquistato dal Louvre nel 1981. E che dire della Madonna del Divino Amore? Oggi è ritenuta un capolavoro di Raffaello, dopo il restauro e le indagini che hanno rivelato novità tra le più spettacolari negli studi degli ultimi decenni. Dal Cinquecento all’Ottocento era stato considerato uno dei dipinti più preziosi della collezione Farnese, ammiratissimo e continuamente copiato. Poi però la critica lo aveva declassato, attribuendolo alla bottega; su questa decisione molto aveva influito la convinzione che il grande disegno conservato a Capodimonte fosse un cartone preparatorio, utilizzato per trasferire i contorni sulla tavola. Ma le indagini hanno chiarito che si tratta di una copia, poiché riproduce ogni dettaglio del dipinto finito. La riflettografia ha invece rivelato sulla tavola, al di sotto della pellicola pittorica, un disegno preparatorio con cui Raffaello ha apportato importanti modifiche alla composizione nel corso dell’esecuzione pittorica con un tratto straordinariamente libero e creativo. Il percorso espositivo si conclude nella sala sette sempre al primo piano dove i curatori hanno dato questo titolo meraviglioso, ‘Una straordinaria fortuna: derivazioni, variazioni, copie, repliche’. Le composizioni di Raffaello venivano già copiate e replicate prima della sua morte, ciò avveniva innanzitutto all’interno della sua bottega che egli aveva consapevolmente trasformato in una squadra in grado di promuovere e diffondere le sue invenzioni. Per questo il concetto di 'copia' in Raffaello è ricco di significati diversi, dalla replica alla contraffazione. Nella prima eccellevano i suoi stessi allievi, autorizzati a possedere ‘il marchio di fabbrica’, nella seconda si sfidavano seguaci e artisti anche di massimo livello. La duplicazione delle sue opere sarebbe proseguita nei secoli per la rapida elevazione del ‘divin pittore’ al rango dei modelli dell’antichità. Nell'ultima sala della mostra sono riunite le opere significative di quella straordinaria fortuna che le collezioni del Museo di Capodimonte possono documentare nella loro varietà, a cominciare dalla Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Giovannino, detta Madonna della gatta di Giulio Romano, principale allievo di Raffaello. L'opera, un olio su tavola del 1520 circa, è citata da Vasari una volta come di Raffaello un’altra come di Giulio Romano. Come opera di Raffaello sembra fosse stata acquistata dai Gonzaga, ma da almeno due secoli è considerata il capolavoro di Giulio Romano. Le indagini giustificano queste oscillazioni, mostrando il complesso iter compositivo che ha portato al suo aspetto attuale. Radiografie, riflettografie e MA-XRF rivelano una stesura estremamente stratificata, dove i volti delle figure principali, già dipinti negli strati inferiori in modo naturale e armonioso, appaiono trasformati nella stesura finale in modo più incisivo e caricato, tipico di Giulio Romano. Si tratta probabilmente di un’opera portata avanti da Raffaello prima di morire, lasciata incompiuta e poi terminata dal suo erede secondo il proprio gusto. La inusuale stratificazione è alla base anche della precaria conservazione del dipinto, in alcune parti significative gravemente sfigurato da antiche cadute di colore e da malaccorti restauri. In sala il dipinto è esposto in relazione a un disegno e un'incisione sullo stesso soggetto, conservati nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo di Capodimonte. Nell'ultima sala del percorso espositivo ci sono altre opere, tutte ritenute copie da composizioni di Raffaello ben note, ma molto diverse tra loro: la Madonna del Passeggio, la Madonna di Loreto (o del velo) e la Madonna “Bridgewater”. Le indagini e il restauro della Madonna del Passeggio hanno evidenziato un’opera dipinta in modo accurato e diligente con materiali e metodi non diversi da quelli usati nella bottega di Raffaello. Le indagini hanno rivelato poi punti di contatto con il dipinto ritenuto ‘originale’ oggi a Edimburgo, soprattutto con il disegno sottostante reso visibile dalla riflettografia, mentre tra i due quadri finiti ci sono analogie e varianti significative. Ciò porta a pensare che si tratti di una replica, di un secondo esemplare portato avanti da un collaboratore in modo parallelo all’‘originale’. Le altre due opere esposte in mostra, invece, mostrano chiaramente nel disegno sottostante un procedimento meccanico di trasposizione, più libero in un caso ‘Loreto o del velo’, più pedissequo nell’altro “Bridgewater”. In mostra c'è anche un'opera di Daniele da Volterra, olio su carta incollata su tela, del 1545-1550 circa, raffigurante San Giuseppe, copia parziale della Madonna del velo di Raffaello. Conclude il percorso espositivo di questa sala e della mostra il Ritratto di papa Leone X di Andrea del Sarto e da Raffaello. Questo dipinto ha lo strano destino di essere tra i più celebri del museo pur essendo una copia. Ciò avviene non solo per la sua qualità e per l’importanza del copista, che fu il migliore pittore fiorentino della sua generazione, ma anche per il lungo brano che gli dedicò Vasari, rendendolo un caso esemplare della difficoltà di distinguere gli originali dalle copie, se fatte da un pittore eccellente. La copia sarebbe stata eseguita per ingannare il duca di Mantova, che aveva richiesto in dono l’originale di Raffaello, e il risultato sarebbe stato tanto perfetto da ingannare anche il suo pittore di corte Giulio Romano, che pure da giovane aveva partecipato all’esecuzione del prototipo. Giulio una volta scoperto l’inganno non avrebbe cambiato idea, concludendo: “Io non lo stimo meno, anzi molto più, perché è cosa fuor di natura che un uomo eccellente imiti sì bene la maniera d'un altro e la faccia così simile”. Il Museo di Capodimonte nel 2018 ha avviato una importante campagna di indagini diagnostiche sui dipinti delle sue collezioni. Le indagini sui dipinti di Raffaello e del suo ambito sono parte di un programma di collaborazione ampio che include il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università della Campania Vanvitelli e il LAMS (Laboratoire d’archéologue moléculaire et structurale) di Parigi e che ha visto recentemente la partecipazione scientifica dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC) del CNR e i Laboratori Nazionali del Sud (LNS) dell’INFN di Catania ed l’Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche del CNR (SCITEC) di Perugia. La realizzazione delle indagini è stato un momento impegnativo ed emozionante dell’approccio alle opere che ha coinvolto un team multidisciplinare con varie professionalità. Il confronto ha aiutato da una parte storici e restauratori ad accedere alla complessa lettura dei dati scientifici, dall’altra ha portato i componenti del team scientifico ad affinare strumenti e metodi in funzione dei problemi conservativi e dei quesiti posti dalle opere esaminate, i risultati di queste indagini sono la base scientifica di questa mostra che si possono ammirare in un video. 
Museo di Capodimonte Via Miano, 2 – Napoli
Raffaello a Capodimonte : l’ officina dell’artista
Dal 10 Giugno al 13 Settembre 2021
Dal Lunedì alla Domenica dalle ore 8.30 alle ore 19.30
Mercoledì Chiuso