Il dipinto San Vittore di Francesco Cozza, 

nella Chiesa di San Nicola ex Aleph di Roccella Jonica,
al tempo di Gregorio Carafa (1615-1690) 

 
L’opera San Vittore che libera la città dai Saraceni (olio su tela, cm. 274x2,23, firmato e datato in basso a sinistra), attribuita al pittore Francesco Cozza (Stignano 1605 – Roma 1682) fu identificato per la prima volta da un illustre studioso calabrese, Emilio Barillaro (San Giovanni di Gerace 1904-1980)  e resa nota nella sua Guida Artistica della Calabria, segnalandola come “pregevole opera di stampo pretiano”1. Altre ricerche più recenti sul dipinto sono state condotte dalla studiosa Rosa Maria Cagliostro (1999) e da Giuseppina Di Marco (2006) e infine da Fabio De Chirico (2009).2
 
Più o meno concordemente si riporta la datazione verso il 1667, inizialmente già indicata dal Barillaro. La Di Marco ci informa inoltre che: “Il restauro cui la tela è stata sottoposta nel 1991 e ha portato alla luce tracce della firma e della data soprindicata”.3
Notevole pittore del XVII secolo, Francesco Cozza ha svolto la sua attività prevalentemente a Roma, dove andò giovanissimo nella bottega di Domenico Zampieri, già noto come il Domenichino (1581-1641), ed è stato contemporaneo di personalità artistiche che ebbero maggiore e precoce fortuna critica, quali Guido Reni (1575-1641), il Guercino (1591-1666), i fratelli Gregorio (1603-1672) e Mattia Preti (1613-1699), con i quali dovette avere scambi  culturali nei diversi cantieri sia a Roma che nel Lazio.
Nonostante il Cozza sia stato comunque citato negli studi più antichi, da Lione Pascoli, suo primo biografo nel 1736, da Domenico Martire nel 1677, da Cesare Malvasia nel 1690 e da Luigi Lanzi nel 1795-96 e negli studi pioneristici sui suoi lavori dell’illustre studioso calabrese Alfonso Frangipane (1881-1970), fondatore nel 1922  della famosa rivista d’arte e storia “Brutium”, al pittore  originario di Stignano o di Stilo (a seconda di quanto riferiscono fonti diverse) è stata dedicata la più completa monografia solo nel 2007, con la bella mostra tenuta a Roma a Palazzo Venezia4. E l’anno successivo, nel 2008, a Valmontone nel Palazzo Doria Pamphilj, si è tenuto un importante convegno di studi dedicato appunto a Francesco Cozza e il suo tempo5. Purtroppo in queste qualificate occasioni di studi scientifici non figura il nostro interessante San Vittore che libera la città dai Saraceni, ascrivibile, secondo il parere di coloro che l’avevano precedentemente esaminato, come ho detto in principio, agli anni della piena maturità del pittore, ovvero nel sesto decennio del secolo diciassettesimo, allorquando aveva compiuto, tra il 1658 e il 1661,  il grande affresco di uno dei Quattro Elementi, La Stanza del Fuoco, nel Palazzo Doria Pamphilj, dove  tra gli altri era presente anche Mattia Preti per affrescare La Stanza dell’Aria.
 
           * * *
Tornando al nostro dipinto che raffigura il Santo Cavaliere, antico protettore di Roccella Jonica, come si legge in un documento (prima del 1269): “De Collepetro Dominus Gualtierus habet in dominium Roccellam et S. Victorem”, secondo le antiche fonti6, non sappiamo quando esattamente venne commissionato, né, fino ad ora,  si sono trovati documenti che attestino la sua esecuzione (a Roccella o a Roma, dove certo è più probabile). Lo studioso Fabio De Chirico, che più recentemente gli ha dedicato maggiore attenzione nel suo testo San Vittore a cavallo di Francesco Cozza a Roccella Jonica7, ipotizza che l’opera dovrebbe essere stata commissionata da Gregorio Carafa, negli anni del suo priorato nel Baliato di Roccella Jonica del Sovrano Militare Gerosolimitano Ordine di Malta. Il Baliato fu costituito con bolla papale nel 1613 affinchè il principe di Roccella, Fabrizio Carafa (?-1629), zio di Gregorio,possa fundare et eregere in terra di Roccella una chiesa sotto il titolo di  Baglivato seu Priorato di Gran Croce di detta religione della Lingua seu Nazione Italiana, con ornare detta Chiesa dei debiti suppellettili et ornamenti necessari…”8 Gregorio nel 1632, alla morte dello zio Francesco Carafa, primo Priore di Roccella, diviene a sua volta Priore di questa città, essendosi già distinto nelle campagne militari per combattere contro i Turchi, assumendo dal 1656 la carica di Capitano Generale delle Galere nella marina del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Le sue gesta vittoriose contro la flotta turca lo porteranno successivamente ad assumere il titolo più elevato, ovvero Gran Maestro dell’Ordine e primo fra i cavalieri calabresi nel 1680.
 * * *
 La singolarità dell’iconografia del San Vittore
 
La scelta di rappresentare nel dipinto San Vittore che libera la città dai Saraceni probabilmente non è dovuta solo al fatto che il Santo era associato dai tempi di Gualtiero Da Collepetro al nome di Roccella, e divenuto poi patrono della città, la cui festa viene celebrata ogni anno la seconda domenica di agosto, ma è coincidente con il successo, come detto più sopra, delle gesta di Gregorio Carafa; (il Santo, come è noto, è molto venerato anche in Lombardia, essendo stato martirizzato a Milano, dove è sepolto nell’omonima chiesa).9 Gregorio Carafa  fu anche munifico cultore delle arti sia in Calabria che a Malta, di cui dà ampiamente conto il saggio di Fabio De Chirico. Basti pensare al suo sontuoso monumento funebre per la Co-Cattedrale di San Giovanni e il reliquario del Braccio di San Giovanni Battista alla Valletta (Malta) nel relativo museo di San Giovanni, entrambi eseguiti dallo scultore cortonesco Ciro Ferri (1634-1689); e il Carafa conferma anche la committenza per le decorazioni della volta della Co-Cattedrale a Mattia Preti, il Cavaliere Calabrese.
 
Il nostro dipinto rappresenta il Cavaliere nell’atto di trafiggere un moro, alludendo alla leggenda seicentesca del Draguth, che insieme ai pirati fuggì alla vista del difensore a cavallo con la spada sguainata sulla spiaggia di Roccella Jonica  che a mio avviso ben si connette storicamente alle vittorie di Gregorio Carafa sulla flotta turca nella seconda metà del secolo XVII.10
E, nel dipinto attribuito al Cozza, possiamo intravedere tutti i simboli sia del casato dei Carafa che del Priorato dell’Ordine di Malta. Difatti, in varie parti della rappresentazione, emergono dal fondo, quasi in trasparenza, ma ben distinguibili, gli elementi architettonici della Roccella d’allora (visibili ancora oggi), della Torre di Pizzofalcone, su cui svetta il vessillo dei principi, del profilo dell’antico borgo sormontato dal Palazzo, o Castello Carafa; la Cappella Carafa con i simboli del Baliatico (lo stemma dei Carafa della Spina intrecciato alla Croce di Malta), l’antica Chiesa dei Minimi con la Torre come era prima del terremoto del 1783.
                 
Si deduce da codesta descrizione che il San Vittore di Cozza non richiama solo antiche iconografie dei Santi Cavalieri, San Michele e San Giorgio, tanto per citare i più noti che sconfiggono il demonio o il drago, ma inserisce gli elementi realistici (le architetture roccellesi), su cui domina in alto a destra la Vergine col Bambino. Un quadro barocco, quindi, una macchina complessa a rappresentare la vicenda storica del patronato Carafa che si combina col Santo protettore della città.
 * * *
 Accettando dunque l’ipotesi della committenza di Gregorio Carafa per questo singolare dipinto del Cozza, e in assenza di documenti (sino ad ora) che ne confermino l’incarico, e volendo anche prescindere dall’attribuzione del dipinto al pittore di Stignano, che alcuni studiosi respingono, restano alcune osservazioni fino ad ora mai esplicitate: il Cozza negli anni assegnati alla datazione dell’opera, il sesto decennio del Seicento, era impegnato a Roma in riunioni all’Accademia dei Virtuosi al Pantheon (1667)11 e in quella di San Luca; e tra il 1667 e il 1672 lavora con Pietro da Cortona (1596-1669) per i disegni per le modifiche della cupola di San Carlo al Corso12. Ciò non può escludere che ricevuto l’incarico dal Carafa il Cozza abbia compiuto un viaggio in Calabria, sua terra d’origine, e in particolare a Roccella Jonica. Anche volendo considerare che gli artisti calabresi residenti a Roma o altrove avrebbero potuto inviare le loro opere nel paese natale (Mattia Preti da Malta spediva molte sue opere a Taverna), poteva il Cozza dipingere a memoria lo skyline di Roccella Jonica, la Cappella Carafa, la Chiesa dei Minimi ? Poteva avere dei disegni, certo, ma a Roccella doveva pur essere passato. Chissà? Su questo interrogativo concludo queste mie riflessioni sul San Vittore che libera la città dai Saraceni,  che ritengo possa considerarsi ritratto metaforico della gloria di Gregorio Carafa, di cui proprio quest’anno ricorre il quarto Centenario dalla nascita, avvenuta nel 1615 a Castelvetere, oggi Caulonia.

Note:
1)   Emilio Barillaro, Calabria. Guida artistica ed archeologica. Dizionario corografico, Cosenza, 1972, p. 329
2)   Fabio de Chirico, in San Vittore a cavallo di Francesco Cozza a Roccella Jonica. La committenza artistica di Gregorio Carafa (1615-1690) tra Calabria e Malta, in AA.VV. La Calabria del viceregno spagnolo: storia, arte, architettura e urbanistica, a cura di8 Alessandra Anselmi, Roma, 2009, pp. 292-298
3)   cfr. Giuseppina Di Marco, Il patrimonio artistico della Chiesa Scultura Pittura Argenti in AA.VV., Chiese di Roccella Jonica nello sviluppo urbano della città storia e restauri, a cura di Simonetta Valtieri, Roma, 2006, p.181
4)   AA.VV., Francesco Cozza (1605-1682), un calabrese a Roma tra Classicismo e Barocco, mostra a cura di Claudio Strinati, Rossella Vodret e Giorgio Leone, Roma, Museo di Palazzo Venezia, 23 novembre 2007 . 13 gennaio 2008, cat. Rubettino, Soveria Mannella (Catanzaro), 2007; cfr. anche Ludovica Trezzani, Francesco Cozza (1605-1682), collana di studi del Sei-Settecento, Roma, 1981
5)   AA.VV., Francesco Cozza e il suo tempo (1605-1682), Atti del Convegno a Valmontone, Palazzo Doria Pamphilj, 2-3 aprile 2008, a cura di Claudio Strinati, Rossella Vodret, Giorgio Leone, Rubettino, 2009
6)   Il brano citato è tratto dal Ms. Bonelli, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, IX. C. 14, p.749, reso noto nel 1980 nel dattiloscritto, nota 19, p. 121, dall’illustre studioso calabrese Gaetano Cingari (1926 -1994), e pubblicato postumo nel volume Roccella Jonica: profilo storico nell’età moderna, Reggio Calabria, Falzea, 2005, nel capitolo, Roccella San Vittore, Da Gualtiero De Collepetro  ai Ruffo.
7)   cfr. Fabio De Chirico, op. cit., p. 295
8)   cfr. Giuseppina Scamardi, Il patrimonio ecclesiastico dalla fine del Quattrocento agli inizi del Settecento, in Le Chiese di Roccella Jonica, op. cit., p. 143; v. anche Massimo Pisani, Gregorio Carafa Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta in I Carafa di Roccella, Electa Napoli, 1992, pp. 71-74; Filippo Racco, Una codificazione feudale del Seicento calabrese, nota 5: Priorato Gerosolimitano della Roccella, Edizioni Corab, Gioiosa Jonica, 2010, pp. 14-15
9)   cfr. Alfredo Cattabiani, Vittore, in Santi d’Italia. Vite, leggende feste patronati culto, Rizzoli, Milano, 1993, pp. 934-9
10) cfr Fabio De Chirico, op. cit., pp. 255-296
11) cfr. Vitaliano Tiberia, 2005, pp. 324-3215, cit. in Regesto Cronologico, a cura di Cecilia Perri, in cat.   Francesco Cozza, op. cit,, 2007, p. 281
12)  ibid, 1667-1672, p. 281

Didascalie delle foto:
Didascalie delle foto:
Foto 1. San vittorio di Francesco Cozza; foto 2 Chiesa di San Vittorio a Roccella Jonica, oggi ; Foto 3. Interno chiesa di san Vittorio ;
foto 4. Particolare del quadro di San Vittorio (Torre di Pizzofalcone; foto 5. Particolare del quadro (sfondo del Borgo con il Palazzo sormontato dal vessillo dei principi Carafa); foto 6. Particolare della Chiesa di San Vittorio nel quadro di Cozza ; foto 7. Ingresso Cappella Carafa
foto 8. Stemma Carafa della Spina nella croce di Malta; foto 9. Altare della cappella Carafa in foto d'epoca; foto 10. Particolare del quadro di Cozza (cappella Carafa del Priorato dell'Ordine di Malta di Roccella Jonica)
foto 11. Sepolcro di Gregorio Carafa nella Cattedrale di Malta dello scultore Ciro Ferri  ; foto 12. Reliquiario del braccio di San Giovanni (cattedrale di Malta) dello scultore Ciro Ferri

 Roma, 28 maggio 2016                                                                                                       di Mario Ursino