Giovanni Cardone Luglio 2023
Fino al 24 Settembre 2023 si potrà ammirare Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi di Macerata la mostra Sante Monachesi tra Macerata e Parigi a cura di Maurizio Faraoni si avvale del supporto scientifico di Donatella Monachesi che racconta il legame del celebre artista maceratese con la città di Parigi. Con il patrocinio della Regione Marche, della Provincia e dell’Accademia di Belle Arti di Macerata. Il percorso espositivo, attraverso una selezione di oltre 60 opere tra disegni e pitture, ripercorre gli anni in cui l’artista lascia la sua città alla volta di Parigi presentando una serie di documenti d’archivio, foto, lettere, sculture, disegni inediti, dipinti, alcuni dei quali esposti nella galleria Silvagni nel 1950 e che ritraggono i famosi “Muri ciechi”, opere pittoriche in cui Monachesi trasforma e reinterpreta i profili ciechi delle facciate parigine, chiaro esempio del “minimalismo dell’autore”. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Sante Monachesi e il Futurismo apro il mio saggio dicendo : Scopo primario del presente saggio quello di mettere in luce la germinazione diretta della Poesia Concreta dal Futurismo italiano e, nella fattispecie, dalla seconda fase di quell'avanguardia guidata da Filippo Tommaso Marinetti e che, dai più, viene ricordata come Secondo Futurismo.

La complessità di uno studio trasversale che intende illustrare gli elementi di continuità da un movimento il Futurismo all'altro la Poesia Concreta richiede un'analisi comparatistica di opere pittoriche, poetiche, scultoree, grafiche, architettoniche e artigianali realizzate, perlopiù, dagli anni Venti agli anni Quaranta del secolo scorso. La proliferazione, in varie città italiane, di compagini futuriste, spesso disomogenee e difformi, dà luogo a difficoltà metodologiche e interpretative nei critici, i quali si concentrano di frequente su un singolo gruppo o su un solo autore. Ciò che, d'altro canto, non possiamo dimenticare, è che gli artisti comunicano, si influenzano e sperimentano sulla base di idee comuni, di accesi dibattiti e di spunti provenienti talvolta da un'esposizione, talaltra da un articolo di giornale. Ecco perché è necessario occuparsi, per quanto concerne il Secondo Futurismo, di più forme d'arte, muovendosi in un contesto di intermedialità che costituisce la base fondante la Poesia Concreta. La citazione in esergo, tratta da una pubblicazione curata da Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, mostra una problematica evidente per chi vuole avvicinarsi al Secondo Futurismo. Già nel 1960, Crispolti, Benoldi e Pistoi che hanno il merito di aver sollevato il velo di quella che Salaris chiama «rimozione» verificatasi nel secondo dopoguerra rilevano alcune criticità. La prima questione concerne la periodizzazione: fissare un termine cronologico spartiacque tra due fasi distinte, senza incorrere in forzature imposte dalla mentalità critica che, ovviamente, osserva a posteriori, è impraticabile. A questo dobbiamo aggiungere che il Futurismo abbraccia svariati ambiti della vita quotidiana dal cibo all'abbigliamento, dallo sport al linguaggio, dalla pittura alla tecnica, dalla musica al teatro per cui i limiti temporali individuabili per un settore possono non essere validi per un altro. Ad ogni modo, si fissa tradizionalmente il 1918 come anno di inizio di questa seconda fase futurista, in corrispondenza con la fine del primo conflitto mondiale . Nel primo dopoguerra, in Europa si diffonde l'esigenza di riportare l'ordine, di ritrovare stabilità e, in campo artistico, di recuperare il legame con la tradizione. Il Futurismo, quindi, come le altre avanguardie, vive un periodo di crisi a causa di quella guerra tanto propagandata negli anni precedenti. Il cosiddetto rappel à l'ordre è una tendenza che si diffonde gradualmente negli anni del primo dopoguerra, per cui la scelta del 1918 come momento incipitario del Secondo Futurismo è più legata a un fatto storico-politico che artistico. In modo alquanto trasversale, invece, si crea una spaccatura nel movimento già nel 1914, quando Ardengo Soffici e Giovanni Papini capeggiano l'ala più moderata del movimento, opponendosi allo spregiudicato sperimentalismo di stampo boccioniano. I transfughi, a cui si aggiungono Carlo Carrà e Italo Tavolato, chiudono l'esperienza di «Lacerba» e si ritrovano a condividere quella di «Valori Plastici», ma sostanzialmente la rottura non modifica le linee teoriche e operative all'interno del Futurismo. Il manifesto che più di ogni altro scuote il panorama dell'avanguardia in Italia, risale al 1915 e ci riferiamo a Ricostruzione futurista dell'universo, firmato da Balla e Depero. Negli anni seguenti, vengono pubblicati numerosi testi programmatici che dimostrano un certo cambio di passo, ma è nel primo dopoguerra che si consuma una cesura con la prima fase del movimento. Nel 1919, infatti, Marinetti pubblica Les Mots en liberté che, negli otto testi teorici riprodotti, riassume i principi del paroliberismo. Come giustamente rileva Spignoli, a partire da questo volume Marinetti esplicita le divergenze intercorrenti tra le “parole in libertà” e le tavole parolibere. In quest'ultime, nello specifico, la parola è un oggetto plastico dal valore e letterario e visuale, proponendosi come un mezzo espressivo ibrido.

Alla prima generazione di poeti futuristi Aldo Palazzeschi, Paolo Buzzi, Corrado Govoni, giusto per citarne alcuni succede, quindi, una compagine di artisti che innesta operazioni pittoriche in poesia e viceversa. Prendendo in considerazione questi movimenti tellurici, dunque, avremmo necessità di sezionare la parabola futurista in tre o, addirittura, quattro fasi, ma restando fedeli al concetto di generazione la prima compagine nasce tra gli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento, mentre la seconda tra gli anni Novanta del diciannovesimo secolo e gli anni Dieci del Novecento sarà comunque utile una cesura, pur sempre arbitraria, tra due momenti. Tra il 1919 e il 1920, dunque, si rileva il momento incipitario di una nuova fase futurista – il Secondo Futurismo, appunto che si contraddistingue dalla precedente, innanzitutto, per la penetrazione nel tessuto sociale e culturale, modificatosi a causa del conflitto bellico. In generale «si passa da una condizione di radicale antitesi alla società “passatista”, condotta in nome di una palingenetica proiezione totale nel futuro , a una condizione di dialogo con una società in radicale trasformazione» . Quest'apertura si manifesta anche nei confronti delle avanguardie europee, in particolare con il Neoplasticismo Carlo Belli pubblica Kn nel 1935 ed è a capo del movimento neoplastico italiano derivante dal De Stijl olandese il Costruttivismo , il Surrealismo e, come suggerisce Crispolti, con la Metafisica. Il termine ante quem è,senz'altro il 1944, anno di morte di Marinetti ma il periodo del secondo dopoguerra funge da raccordo tra il Futurismo e le Neoavanguardie. Altra annosa questione è il policentrismo che caratterizza questa seconda fase futurista: Roma, Milano e Torino rappresentano le officine in cui giovani e meno giovani artisti danno nuova linfa al movimento che, secondo Crispolti, conosce «un'apertura europea» da cui «l'Italia avrebbe dunque poi mantenuto una qualità alla pari della migliore cultura europea» . A Roma, artisti della nuova leva come Ivo Pannaggi che fa ritorno nella sua città natale, Macerata, già nel 1922 Mario Bartoccini, Nino Caliari e Pino Masnata si raccolgono, nei primi anni Venti, attorno a personalità rilevanti come Giacomo Balla e Anton Giulio Bragaglia. Proprio le loro Case d'Arte, la Galleria Futurista di Sprovieri e, soprattutto negli anni Trenta, la Camerata degli Artisti rappresentano dei centri espositivi di grande risonanza a livello nazionale, per non parlare delle Quadriennali romane che concedono particolare attenzione ai risultati futuristi. Gli artisti che, però, operano a Roma fungendo da vere e proprie figure-guida per la seconda generazione sono Fortunato Depero ed Enrico Prampolini, e finiti da Duranti «futuristi di transito». Il primo che si ricorda principalmente per la sua attività nei settori del design e della pubblicità arriva nella capitale per visitare la mostra di Boccioni presso la Galleria Futurista di Giuseppe Sprovieri nel dicembre 1913; il secondo si accosta al movimento in seguito alla Prima esposizione di pittura futurista nel febbraio dello stesso anno. Già nel 1918, Prampolini pubblica il manifesto Bombardiamo le accademie ultimo residuo pacifista. Nel 1922, inoltre, edita L'estetica della macchina e l'introspezione meccanica nell'arte su «De Stijl», affermandovi con forza il mito della macchina, detto “macchinolatria” o il “macchinesimo”.
Un testo sicuramente fondamentale di Prampolini, infine, è Al di là della nuova pittura verso i polimaterici, uscito nel 1934, a cui segue Arte polimaterica nel 1944. Nonostante numerosi viaggi e progetti sia in Italia che all'estero, Depero e Prampolini segnano il panorama futurista della capitale e, più in generale, del Paese. In Lombardia, tra Milano, Mantova e Pavia, si muovono artisti come Cesare Andreoni, Bruno Munari, Carlo Manzoni, Mario Duse, Ivanhoe Gambini e Bot, che firmano, nel 1931, il Manifesto degli aeropittori milanesi . Grafico, pittore, scenografo e designer, Andreoni, entrato a far parte del movimento nel 1926, ha numerosi contatti con Prampolini, Masnata, Tullio Crali e, negli anni Quaranta e Cinquanta, con Carlo Belloli. Quest'ultimo è sodale come vedremo anche di Munari, che contribuisce notevolmente allo sviluppo del Futurismo sul binario del visuale, attraverso le sue sperimentazioni grafiche, pittoriche, scultoree e poetiche . Crispolti rileva, infatti, che qui si assiste a «un particolare clima di progettualità, da ambientale a oggettuale, a grafica» che pone le necessarie premesse alla svolta neoavanguardistica degli anni Cinquanta e Sessanta. A Milano, specialmente, la relazione tra gli artisti – non solo aderenti al Futurismo – e la produzione industriale ha un notevole impatto sulla ricerca di nuovi linguaggi comunicativi, di apporti nell'ambiente urbano e di inedite corrispondenze tra architettura, pittura, scultura, design e grafica.

Qui si viene a formare, infatti, il Gruppo Futurista Milanese “Umberto Boccioni” a cui aderisce Belloli stesso nel 1943 che percorre proprio il binario della cooperazione tra settori diversi attraverso la ricerca e la sperimentazione. Nel capoluogo lombardo, ha sede, inoltre, la Galleria Pesaro che, tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta, accoglie numerose mostre collettive e personali, innestandosi in una fitta trama di gallerie d'arte tra cui citiamo la Galleria de' Il Milione e la Galleria Centrale - che, in questi anni, stimolano la riflessione sull'arte italiana ed europea. Nella Torino in cui «si mescolano fortissime componenti operaistiche e sindacaliste», invece, trovano il loro spazio Fillìa, Mino Rosso, Nicolay Diulgheroff, Pippo Oriani, Enrico Alimandi e Franco Costa. La prima rassegna della compagine torinese, che si autodefinisce Gruppo Artistico d'Avanguardia, si tiene nelle sale sotterranee del Caffè Teatro Romano a Torino tra marzo e aprile del 1924, accendendo i riflettori su una realtà piemontese di spicco. Fillìa, pseudonimo di Luigi Colombo, esordisce già nel 1922, entrando nella frangia anarco-comunista del Futurismo insieme a Tullio Alpinolo Bracci, con il quale edita il numero unico «Futurismo». In seguito, si dedica alla poesia, al teatro, alla pittura, alla ceramica e all'attività editoriale, fondando, tra l'altro, importanti periodici come «La terra dei vivi», «Città Futurista» e «La Città Nuova». Fillìa pubblica testi come La Nuova Architettura nel 1931, Futurismo, Il Manifesto dell'arte sacra futurista e La cucina futurista nel 1932, proponendosi in qualità di teorico di riferimento in svariati settori del movimento. Crispolti non ha dubbi nel dire che Fillìa «resta una delle personalità più vive in Italia nel decennio tra la seconda metà degli anni Venti e la morte, nel '36». Prendendo le mosse dai dettami boccioniani e accogliendo certe scoperte formali di Archipenko e Lipchitz, Mino Rosso riesce a trovare in ambito scultoreo la sintesi tra simultaneità futurista e impatto ambientale costruttivista. Realizza complessi plastici e aerosculture prevalentemente di bronzo, nonostante sia in grado di dominare materiali di varia natura, come il legno e l'alluminio. Diulgheroff si lega al gruppo nel 1926, portandovi elementi tipici della cultura figurativa costruttivista tedesca, grazie alla sua formazione avvenuta tra Vienna, Dresda e Weimar. Il substrato mitteleuropeo si connette, nella sua esperienza torinese, all'estetica della macchina prima - che lo conduce alla creazione di tele significative come L'uomo razionale del 1928 e all'aeropittura poi, in particolare dal 1932 . Tra Torino, Trieste e Savona, infine, opera Vittorio Osvaldo Tommasini, conosciuto come Farfa, che si dimostra estremamente originale nella produzione di cartopitture, poesie, cartelloni pubblicitari e ceramiche, su cui torneremo. Questi sono i grandi poli ma, come abbiamo accennato, il Secondo Futurismo risente di forti spinte centrifughe che diffondono le idee del movimento anche nei piccoli centri e nelle campagne. Mi riferisco, per esempio, al Gruppo Futurista Marchigiano «Umberto Boccioni» che si raccoglie, dal 1932, attorno all'opera di Sante Monachesi e Bruno Tano , per poi trovare un esponente fondamentale nello scultore Umberto Peschi. Nel 1936, in verità, i tre si trasferiscono a Roma, dove aprono uno studio in via delle Colonnette, salvo poi far ritorno a Macerata. Estremamente attivi nell'organizzazione e promozione di eventi culturali futuristi, i tre artisti ottengono l'approvazione sia del pubblico che della critica, presentandosi come una valida alternativa alle proposte operative della comunità futurista romana. A ben guardare, in effetti, l'aeropittura marchigiana, sviluppatasi soprattutto a Macerata, un centro ben diverso dalle metropoli industrializzate, trova la sua peculiarità nel lirismo immaginativo delle visioni aeree. Dal punto di vista letterario, gli esponenti futuristi marchigiani più importanti sono senz'altro Giuseppe Steiner e Ivo Pannaggi: se il primo si dedica da principio alla realizzazione di tavole parolibere e approda con Stati d'animo disegnati a una combinazione di didascalie e disegni, Pannaggi compone visivamente gli enunciati, secondo i dettami della rivoluzione tipografica marinettiana. L'attività di Pannaggi, d'altronde, non si limita alla letteratura e, al contrario, trova i risultati migliori in architettura, in pittura, in scultura, in scenografia e in qualità di caricaturista. La sua arte è «internazionale nel proprio respiro, fra Futurismo romano e dialogo con il Purismo francese e il Costruttivismo russo-tedesco, e persino in riscontri d'interesse nell'ambiente dell'avanguardia nordamericana». È difficile, in effetti, etichettare Pannaggi come un futurista locale, proprio per la sua apertura internazionale che lo rende sostanzialmente ibrido. Altre linee di sviluppo sono percorse poi dai futuristi umbri, che hanno in Gerardo Dottori firmatario del Manifesto dell'aeropittura nel 1931 e del citato Manifesto dell'Arte Sacra Futurista nel 1932 il modello di riferimento. Oltre che per la sua attività di pittore, Dottori si ricorda anche per aver fondato, nel 1920, il periodico futurista «Griffa!» - di cui escono dodici numeri nell'arco dello stesso anno - con Alberto Presenzini Mattoli: la rivista, a ben vedere, si apre a variegate esperienze artistiche, tanto da organizzare a Perugia un'Esposizione umbra d'arte moderna nel 1920. Ottenendo una cattedra nel 1939 all'Accademia di Perugia, Dottori incide notevolmente sull'ambiente culturale della sua città e giunge a redigere il Manifesto umbro dell'aeropittura nel 1941 con Alessandro Bruschetti la cui pittura «si rivela oltremodo interessante anche per gli sviluppi polimaterici e purilumetrici» Vittorio Meschini e Giuseppe Preziosi. La caratteristica principale del Futurismo umbro è l'attenzione verso il sacro che si sostanzia in una più generale ricerca di spiritualità misticheggiante. Qui, d'altronde, si riscontra «una difficile interpretazione futurista del paesaggio, della dolcezza della natura, di ambienti dove il dinamismo è tutto interiore». Nel campo letterario, tra gli anni Trenta e Quaranta, si dedicano all'aeropoesia autrici come Leandra Angelucci Cominazzini e Franca Maria Corneli. Alfredo Gaudenzi, Tullio d'Albisola con le sue sperimentazioni nel campo della ceramica, della poesia, della grafica e dell'editoria e Dino Gambetti danno, invece, vitalità al Futurismo ligure, come testimonia la Iª Mostra di plastica murale di Genova, tenutasi nel 1934. Quattro anni prima, nel capoluogo ligure, i tre formano il Gruppo Sintesi con Riccardo Lombardo, Giacomo Picollo, Libero Verzetti, Lelio Pierro ed Edoardo Alfieri. In Sicilia, dopo la prima generazione – di cui nominiamo Federico De Maria, Guglielmo Jannelli, Ruggero Vasari e Armando Mazza abbiamo, per esempio, Adele Gloria, Giulio D'Anna e Giuseppe Bruno che ricercano un rapporto dialettico con i futuristi delle altre città. Dal punto di vista dei risultati in letteratura, Annamaria Ruta rileva che «non si sviluppò all'insegna della rivoluzione formale, della rottura dirompente del giuoco tipografico e visivo; in quei prodotti futuristici ci fu sempre la prevalenza dell'aspetto semantico». A Firenze, d'altro canto, in seguito alla chiusura di «Lacerba» - periodico legato alla prima fase futurista si anima un nuovo gruppo, non organicamente organizzato, tra i quali si annoverano, per esempio, Primo Conti , Neri Nannetti, Ottone Rosai, Emilio Pettoruti e Antonio Marasco pittore estremamente attento agli sviluppi del dinamismo plastico e, in seguito, grande amico di Carlo Belloli. Per quanto riguarda Napoli, invece, i tre protagonisti di spicco sono Francesco Cangiullo , poeta parolibero e precursore della Poesia Sonora, particolarmente importante per il suo «sperimentalismo interlinguistico», l'architetto e pittore Carlo Cocchia e il poeta Emilio Buccafusca.
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Un discorso a parte, per esempio, meriterebbe il Circumvisionismo, una «tendenza spuria del Futurismo manifestatasi nel 1928 e sostanziatasi in alcune esposizioni di opere dei promotori di questo imprecisato stato d'animo, più vicino al Simbolismo e all'Espressionismo che al dinamismo plastico futurista». Un ultimo nodo problematico, che decidiamo di non affrontare nel dettaglio ma che, evidentemente, dobbiamo sempre tenere in considerazione per una visione completa di questo periodo storico, è lo sfaccettato quanto difficile rapporto tra la cultura e il regime fascista , che ha determinato la censura e l'autocensura, la politicizzazione di strumenti artistici, dubbi etici e, in definitiva, la netta divisione tra fascisti e antifascisti. È necessario capire, però, in quale panorama culturale trova spazio il Secondo Futurismo: «se da una parte la guerra ha bruscamente interrotto il dialogo, il dibattito culturale disperdendo ogni gruppo, dall'altra ha coinvolto gli artisti su un piano di contestazione morale di fronte alla società, alla storia, a se stessi che va anche oltre il previsto». L'assunto di Carrà sarebbe corretto, se non fosse che, proprio il Futurismo dimostra resistenza e flessibilità nel momento di crisi rappresentato dalla Prima guerra mondiale e vede, come abbiamo detto, il moltiplicarsi di gruppi. Eppure, il colpo subito dal movimento si assesta con vigore, tanto da doversi rinnovare sul piano comunicativo – si spengono i toni rivoluzionari – e stilistico. Per quanto concerne la pittura, nel 1922 si forma, attorno al salotto milanese di Margherita Sarfatti presso corso Venezia, il gruppo dei Sette Pittori Italiani, chiamato “Il Novecento” , costituito da Achille Funi, Leonardo Dudreville, Anselmo Bucci, Mario Sironi, Piero Marussig, Emilio Malerba e Ubaldo Oppi. La loro prima esposizione si attesta nel 1923 alla citata Galleria Pesaro di Milano, inaugurata da Mussolini, il quale ne apprezza la volontà di tornare alla tradizione pittorica antica e, in particolare, a quella trecentesca e quattrocentesca. Come rileva Crispolti, «nello schieramento del Novecento, attraverso l'intonazione metafisica di ogni paesaggio e di ogni natura morta e attraverso l'arcaismo dominante, si intravedevano, dunque, sia pure larvatamente, due tendenze fondamentali: una verso l'arte di regime, l'altra verso un'arte di evasione» . In opposizione ai Sette milanesi, operano i Sei di Torino, ovverosia un gruppo di pittori, allievi di Felice Casorati, che dal 1928 al 1931 si ritrovano a casa di Riccardo Gualino e realizzano tele che recuperano i Macchiaioli, l'Impressionismo e i Fauves, mostrandosi, quindi, in netto contrasto con la pittura classicheggiante dei “novecentisti”. Anche il Chiarismo milanese e mantovano si rifà all'Ottocento, scegliendo di dipingere su una base umida di bianco, per rendere i colori tenui e morbidi. Il gruppo romano denominato Scuola di via Cavour, con la sua evidente attitudine espressionista, si contrappone al ritorno all'ordine propugnato dai Sette Pittori Italiani. Dopo l'abbandono del Futurismo, inoltre, Carlo Carrà abbraccia la Metafisica, promuovendo un filone parallelo a quello novecentista che coinvolge pittori come Giorgio De Chirico, Filippo de Pisis e Giorgio Morandi. Dal punto di vista architettonico, tra le due guerre mondiali prende vita il Movimento Moderno, comprendente il Bauhaus, il Costruttivismo, il Neoplasticismo e il Razionalismo. Gli esponenti principali sono Le Corbusier e Walter Gropius, i quali ripensano gli edifici in termini funzionali ed economici, prestando attenzione ai metodi della produzione industriale. Nel primo dopoguerra, in particolare, il tema della casa per i lavoratori diventa centrale in tutta Europa, dando impulso all'edilizia urbana. Per quanto concerne l'Italia, il Gruppo 7 è un collettivo di sette architetti che viene a costituirsi al Politecnico di Milano e che vede tra i suoi protagonisti, per esempio, Luigi Figini, Giuseppe Terragni e Gino Pollini. Costoro si fanno poi promotori del MIAR (Movimento Italiano per l'Architettura Razionale), formatosi dopo la “Iª Esposizione italiana di architettura razionale” a Roma nel 1928 e comprende una cinquantina di architetti – tra cui Alberto Sartoris, Mario Ridolfi, Mario Labò – aperti agli stimoli del Deutscher Werkbund e del Costruttivismo russo. Parallelamente, operano architetti legati alla tradizione ottocentesca e neoclassica come Giovanni Muzio, Emilio Lancia, Giuseppe de Finetti e Ottavio Cabiati. Un discorso a parte merita Gio Ponti, designer e architetto visionario, che cerca un connubio tra l'arte moderna e l'arte decorativa tradizionale.

Tra gli anni Venti e gli anni Trenta, il design italiano è ancora fortemente connesso all'artigianato e alla sperimentazione, definendosi, appunto, come arte decorativa. Bisognerà attendere il secondo dopoguerra per avere una svolta che avviene, in verità, anche grazie al Futurismo. Renato De Fusco evidenzia, infatti, due caratteristiche del design nostrano: il polimaterismo di matrice prampoliniana e «l'associazione a forme e motivi dell'avanguardia delle arti visive». Come abbiamo visto, Gio Ponti, Depero, Munari e molti altri si dedicano a vari campi artistici, tra cui il design che avrà un ruolo ancora più importante, con risvolti anche in letteratura, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, con l'esplosione delle Neoavanguardie. Riguardo alla scultura, invece, il primo ventennio del XX secolo è un periodo di sostanziale crisi, fatta eccezione per Umberto Boccioni145 e Roberto Melli. Lo scultore che più di ogni altro, in Italia, incarna il desiderio del ritorno all'ordine degli anni Venti è Arturo Martini che, in seguito ai contatti con l'ambiente di «Valori plastici», trae suggestioni egizie, greche, etrusche e recupera la purezza quattrocentesca, salvo poi trovare un equilibrio tra antico e moderno e, con questo, la maturità artistica negli anni Trenta. Altro scultore che si impone nel panorama nazionale nel periodo tra le due guerre è Marino Marini, che, una volta formatosi all'Accademia fiorentina, si dedica alla creazione di statue arcaizzanti che ritraggono, perlopiù, figure femminili e cavalieri. Il ritorno al primitivo caratterizza anche l'attività di Giuseppe Gorni socialista che opera in un ambiente politico ostile come quello fascista e di Costantino Nivola . Una certa opposizione alla restaurazione degli anni Venti, si riscontra a partire dal decennio successivo, soprattutto a Milano, dove Lucio Fontana, Luigi Grosso, Giacomo Manzù, Fausto Melotti e Luigi Broggini si affiancano alle posizioni anti-novecentiste assunte da Edoardo Persico e Giuseppe Pagano. Altrettanto anticonformista è Pericle Fazzini che opera, però, a Roma, in un clima molto più complesso dal punto di vista politico di quello in cui si esprimono i suoi colleghi milanesi. Questi artisti, molto diversi l'uno dall'altro, sono accomunati dal rifiuto dei canali ufficiali del regime e dalla ricerca di un nuovo linguaggio personale. Estremamente importanti per una panoramica culturale del periodo in oggetto sono le riviste che proliferano in tutta Italia e che sono specchio della magmatica situazione in cui si trova la compagine intellettuale. A Milano citiamo l'importante quotidiano «Il Popolo d'Italia» fondato da Benito Mussolini e la rivista «Campo grafico» di Attilio Rossi. Dal 1919 al 1922 abbiamo a Roma «La Ronda» di Cardarelli e Cecchi; nei medesimi anni vi si consuma anche la citata attività, molto importante, di «Valori Plastici», diretta da Carlo Carrà, Giorgio De Chirico e Alberto Savinio; dal 1919 al 1925, con una periodicità altalenante, a Torino viene pubblicata la rivista «L'Ordine Nuovo» di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti e Angelo Tasca accavallandosi, dal 1922 al 1925, a «La Rivoluzione Liberale» di Piero Gobetti, il quale, dal 1924 al 1928 animerà «Il Baretti», insieme ad Augusto Monti, Leone Ginzburg e Giacomo Debenedetti; sono numerosi i periodici fiorentini a partire da «Solaria» , «Pègaso» di Ugo Ojetti che dirige anche «Pan». Per quanto concerne le riviste specificamente futuriste, Domenico Cammarota ne individua circa centotrenta, senza contare quelle legate, in modo più generico, al clima dell'avanguardia che dedicano dei numeri al Futurismo. L'analisi bibliografica di Cammarota coinvolge tutto il percorso del movimento, ma occorre precisare che la maggior parte dei periodici futuristi viene fondata tra gli anni Venti e gli anni Trenta. Il ritorno all'ordine si sostanzia, in letteratura, nel rilancio della narrativa quasi verista con autori come Bruno Cicognani e nell'apertura de «La Ronda», rivista romana animata da Emilio Cecchi, Vincenzo Cardarelli e Riccardo Bacchelli, per citarne solo alcuni. Il proposito comune è quello di riallacciare i rapporti con la tradizione, attraverso un equilibrio formale che guarda tanto a Manzoni quanto a Leopardi. Nel 1926, inoltre, Mino Maccari dà vita al movimento Strapaese - a cui aderiscono tra gli altri Leo Longanesi e Curzio Malaparte – di matrice patriottica, rurale e cattolica. Il gruppo si oppone, in verità, a Stracittà, una tendenza antiborghese e cosmopolita interna a «900», capeggiata da Bontempelli. Nello stesso anno, a Firenze, Alberto Carocci fonda la rivista «Solaria» ben più aperta agli impulsi della cultura europea e al ruolo civile degli intellettuali. In questi anni opera anche Pirandello che scrive numerose novelle, realizza drammi teatrali, tra cui spicca per la portata innovatrice Sei personaggi in cerca d'autore, e pubblica, per esempio, Uno, nessuno e centomila nel 1926. Sul versante della prosa abbiamo anche La coscienza di Zeno che esce a Bologna nel 1923 e che porta alla ribalta il tema della psicoanalisi. Non bisogna dimenticare, infine, l'uscita de Il Canzoniere di Umberto Saba nel 1921, la pubblicazione montaliana di Ossi di seppia nel 1925 e l'attività prevalentemente giornalistica di Ungaretti che prelude alla svolta poetica degli anni Trenta. A conclusione del decennio, se vogliamo seguire una banalizzazione cronologica, abbiamo Gli indifferenti di Moravia che agglutina i grandi temi della letteratura novecentesca, come l'incomunicabilità e la solitudine. Questo è il panorama multiforme e complesso in cui si muove la seconda generazione futurista, quella che deve fare i conti con il regime fascista da un lato e le spinte operaie dall'altro; quella che si frange in numerosi centri urbani e rurali per resistere alla diffusa volontà di superare le avanguardie; quella, in definitiva, che porta alla conclusione del movimento e che, al contempo, lo proietta negli anni Cinquanta e Sessanta. Ritorniamo, così, alla citazione in esergo. Nel suo Parnaso, Edoardo Sanguineti indica Farfa e Fillìa come poeti del Secondo Futurismo, rimandando direttamente all'antologia marinettiana Nuovi poeti futuristi. Se Govoni e Palazzeschi vengono collocati da Sanguineti tra il Liberty e il Crepuscolarismo, i poeti propriamente futuristi sono Marinetti, Enrico Cavacchioli, Luciano Folgore, Paolo Buzzi, Umberto Boccioni, Ardengo Soffici e, per la seconda generazione, Farfa e Fillìa. Tale impostazione, certamente limitata, individua come fil rouge la volontà, da parte di questi poeti, di «rimpiazzare lo scaduto sublime artigianale, precisamente, con un neo-sublime industriale». Nell'excursus compiuto dal critico da Pascoli a Pagliarani, ripercorrendo le tappe fondamentali della poesia italiana del Novecento fino ai Novissimi, manca ogni riferimento alla compenetrazione dei settori artistici e non viene citato il collegamento diretto, senza soluzione di continuità, tra il Futurismo e le Neoavanguardie. In un articolo su «Futurismo-oggi», infatti, Filippo de Pisis afferma: «ben lungi dal vero dunque sono coloro che considerano il futurismo come un fenomeno transitorio e del tutto oltrepassato. L'opera del futurismo è tutt'altro che finita. Il futurismo non è affatto morto né poteva morire, è andato (e ciò è naturale) evolvendosi». Il mio intento è proprio quello di mettere in luce questa evoluzione del movimento marinettiano che va ad influenzare i movimenti degli anni Cinquanta e Sessanta. Le otto opere donate occuperanno una sezione della mostra, in stretto dialogo con la collezione permanente del Novecento. L’attività dell’artista sarà così documentata dagli esordi Futuristi al Neo Cubismo per approdare al movimento Agrà, abbreviazione di agravitazionale, da lui fondato all'insegna della libera energia espressiva, adottando forme nuove e materie lievi come l'evelpiuma e il perspex. Per approfondire la conoscenza del poliedrico e geniale artista Sante Monachesi, altre sue opere potranno essere ammirate in contemporanea a Civitanova Alta alla Pinacoteca Civica Moretti e a Macerata al Museo del Novecento di Palazzo Ricci a partire dalla metà del mese di luglio. Il catalogo (Sagep Editori) che accompagna la mostra raccoglie, oltre ai saluti delle autorità, i testi del curatore, quelli degli studiosi Lorenzo Cantatore, Paola Ballesi e Giulia Mastropietro che intervista Donatella Monachesi.
Biografia di Sante Monachesi
Nasce a Macerata nel 1910, dove frequenta la Scuola d’Arte Professionale. Nel 1936 frequenta il corso di scenografia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il volume di Boccioni
Pittura e scultura futuristeispira la sua produzione artistica degli anni Trenta; con le strutture "spiraliche" e "diagonali” in pittura e scultura, nasce la sua personalissima extra plastica futurista. Nel 1932 fonda con Bruno Tano e altri il Gruppo Futurista Umberto Boccioni. Movimento futurista delle Marche. È l’inizio di un intenso ritmo espositivo che vede Monachesi partecipare alle principali manifestazioni del terzo decennio: nel 1937 partecipa alla Esposizione Universale di Parigi; nel 1938 espone alla XXI Biennale di Venezia e alla Esposizione della Art Department della Columbia University di New York. Nel 1939 espone alla III Quadriennale di Roma, con la presentazione di Filippo Tommaso Marinetti. Dopo l’esperienza futurista proietta la sua ricerca nella elaborazione di una poetica figurativa attraverso larghi piani cromatici e sintetiche profilature che caratterizzano la sua pittura degli anni Quaranta e Cinquanta. Sono di questo periodo i temi pittorici più noti di Monachesi, ispirati anche al suo soggiorno a Parigi nel dopo guerra; quali i
Muri ciechi, le
Parigi, i
Fiori e le
Clownesses. Monachesi, sempre interessato alla ricerca, disponibile a nuove avventure estetiche e ispirato dai nuovi materiali plastici realizza, negli anni Sessanta, le opere in gommapiuma ed in polimetilmetacrilato. In sintonia con queste nuove scoperte sulla materia e sulla energia, attraverso, anche, la conquista dello spazio e lo sconvolgimento della gravitazionalità, fonda nel 1964 il movimento “Movimento Agravitazionale” e stila il primo manifesto “Agrà”. Un movimento in cui l’utopia diventa credibile espressione estetica e si concretizza nella levità delle forme con le opere”Evelpiuma”. Questa esperienza è documentata dalla mostra “
Legare e sciogliere”, l’Evelpiuma e l’Universo Agrà di Monachesi 1979, Parigi, Cappella della Sorbona. Negli ultimi anni, sempre attivo e pieno di curiosità per il futuro, continua la sua ricerca di scultore e pittore nella definizione di nuovi orizzonti per l’arte. La sua lunga carriera artistica è testimoniata da importanti ed approfonditi contributi critici sulla sua opera e da numerose mostre in Italia e all’estero. Muore a Roma nel 1991.
Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi Macerata
Sante Monachesi tra Macerata e Parigi
dal 29 Giugno 2023 al 24 Settembre 2023
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.30 alle ore 18.30
Lunedì Chiuso