D:
Due ex Soprintendenti di grande esperienza e prestigio come Andrea Emiliani e Nicola Spinosa ci hanno rilasciato delle dichiarazioni piuttosto critiche nei confronti della normativa con la quale il ministro Franceschini ha riordinato il settore dei beni culturali, specie per quel che riguarda la scelta dei direttori dei musei, il funzionamento dei segretariati regionali, la questione dell’autonomia e così via (cfr www.news-art.it …); tu come vedi la questione ?
R: Sul giudizio dei due studiosi credo che pesi anche la loro attuale condizione umana di uomini maturi e anziani, in particolare
Emiliani, o liquidati anzi tempo (
Spinosa), per cui probabilmente hanno maturato un rapporto conflittuale, frutto di un contenzioso non risolto con il governo attuale, ma come sarebbe stato con qualsiasi altro governo: non mi pare infatti che
Spinosa abbia mai lodato alcun governo;
Emiliani poi non mi sembra ormai tanto affidabile nei suoi giudizi, specie se consideriamo alcune sue perizie recenti che non fanno certo onore alla carriera anche illustre di un Soprintendente che peraltro ha il demerito di aver coniato il termine più brutto che esista nel campo della tutela dei beni artistici, cioè “territorio”. Del resto, questa persona che conosco da tanti anni anche nei miei confronti è stato insufficientemente gentile perché ha voluto ridimensionare l’evento che ho organizzato a Bologna, cioè la mostra
Da Cimabue a Morandi, dicendo che l’avevano fatta anche loro, il che è vero, ma 25-30 anni fa, quindi non c’era ragione di entrare in competizione; detto questo, mi sembra che ci sia un astio che connota i giudizi di entrambi, forse umanamente più comprensibile per quanto riguarda
Spinosa, ma comunque tale da rendere le considerazioni espresse nelle interviste alla vostra rivista contaminate in qualche modo da un disagio personale.
D:
Torniamo però alle questioni aperte della riforma ...
R: Nei fatti l’eliminazione delle soprintendenze è valsa soltanto a dare autonomia a 20 istituti che hanno dignità per essere musei autonomi. Il “territorio” che c’entra? Mi chiedo che rapporto c’è ad esempio tra le
Gallerie dell’Accademia di Venezia e il territorio veneto? Mah … , forse c’è qualche opera del territorio in
Accademia ma gran parte provengono dalle chiese, e per l’appunto sono lì ‘ricoverate’ come accadde a quelle che non dovevano esserci, come l
’Assunta dei Frari (si tratta del capolavoro di Tiziano conservato nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, ndA). Allo stesso modo la
Pinacoteca di Bologna, è un luogo dove sono state ricoverate opere che rischiavano di essere troppo esposte a furti o per mancanza di sicurezza, ma è un deposito di opere. Per cui paradossalmente l’esistenza stessa del “territorio” da cui queste opere provengono finisce per vanificare il museo perché non è un museo reale, ed infatti giustamente Bologna non è stata resa museo autonomo e quindi lì c’è la soprintendenza. Diverso il caso di Modena e Ferrara: lì ci sono raccolte nate da una storia che vede gli Estensi e le loro collezioni consolidarsi in importanti istituzioni, per cui magari Franceschini può aver sbagliato, ma in certi casi la divisione e la indicazione di alcuni musei come corpi autonomi non è di per sé sbagliata. E’ vero che si perde il rapporto con le soprintendenze ma rimangono però i direttori di poli museali (cioè i musei delle regioni), non solo quelli statali ma tutti, a coordinare gli istituti e i soprintendenti che si occupano del “territorio”.

D:
Però molti vengono dall’estero e si fa notare non solo la difficoltà che ci sarà a raccordarsi con gli altri istituti di zona ma anche il fatto che i musei stranieri hanno un’organizzazione ed una struttura ben diversa dai nostri.
R: Beh no, vengono dall’estero solo quelli che dirigeranno i 20 istituti ed il resto non rimarrà certo senza tutela perché ci sono i soprintendenti normali; in sostanza, ora in vari casi, ad esempio quello di Bologna, Arezzo, o Siena soprintendenza e museo coincidono. Quello che accade adesso, insomma, è l’avanzamento della parte migliore della riforma, che è dovuto a me. Io da quando ero sottosegretario (senza riuscirci perché l’esperienza è durata poco) ho sostenuto sulla base della mia esperienza la bontà e la legittimità delle
“Soprintendenze miste”; cosa intendevo? Che bisognava rifarsi a certe esperienze com’erano state quelle di Venezia o Perugia, laddove il monumento veniva inteso come parte in cui architettura, scultura, opera d’arte coincidevano, cioè erano la stessa cosa; quando ad esempio ho fatto restaurare personalmente il dipinto di
Bellini di
Santa Corona (si tratta del Battesimo di Cristo, nella chiesa di Santa Corona a Vicenza, ndA) un restauro ha riguardato il dipinto, uno la cornice, ed era in carico alla sovrintendenza perché riguardava l’edificio, uno era in carico all’architetto e così via. Quindi è giusto secondo me realizzare la
Soprintendenza mista, in cui c’è un soprintendente che ha due vicari, uno per i beni artistici, uno per i beni architettonici, mentre il bene è uno solo; io ho voluto proporre questa scelta e il ministro mi ha ascoltato, per cui non ho titolarità sul tema dell’autonomia, non sono cosa egli abbia pensato in proposito, ho però quest’altra titolarità; tant’è che me l’ha detto :”Ho ascoltato la tua proposta, così riduciamo a metà i dirigenti”.
D:
Non si capisce bene però in cosa consista questa autonomia.
R: Questa è un’altra cosa, mi preme invece continuare sulle soprintendenze perché comunque riscontro un limite;
la mia idea infatti era che fossero guidate da storici dell’arte e non da architetti, mentre invece sono in gran parte guidate da questi ultimi, e questo certo è un limite. La mia idea di
Soprintendenza mista è quella realizzata quando fui vicario in Umbria; dopo che venne sostituito
Francesco Santi, che era uno storico dell’arte, fu chiamato alla direzione
Domenico Valentino, che è un architetto, ed io lo affiancai come storico dell’arte, intendendo che una volta l’architetto un’altra volta lo storico dell’arte erano il numero uno o il numero due e decidevano a seconda delle competenze; secondo me è una cosa che può funzionare. Seguendo la mia idea, il ministro ha fatto un’operazione simile che valeva per il Molise, accorpando alle soprintendenze quelle archeologiche, cosicché – come per Taranto, come per Napoli - queste sono diventate parte di un trittico di cui fanno parte i beni artistici, architettonici e archeologici, dove c’è un unico soprintendente che ha tre sostituti come accade nelle procure, uno per i beni artistici, uno per quelli architettonici, uno per quelli archeologici, e secondo me questo allargamento del modulo non è affatto sbagliato.
D:
Ma a tuo parere una ripartizione del genere a lungo andare può reggere?
R: Certo, può essere; secondo me non è sbagliata, perché al posto del direttore regionale, un’abiezione della
legge Urbani (si tratta di Giuliano Urbani, ex ministro dei beni e delle attività culturali nel 2001, ndA) c’è un soprintendente che ha tre sostituti, quindi di fatto hanno eliminato un dirigente inutile, cioè quello che era il segretario regionale, per far diventare le soprintendenze dei corpi molto ampi su base regionale con tre segmenti autonomi. Tutto ciò è nato da poco per cui non possiamo sapere come funziona, ma comunque tutto sommato mi pare meglio piuttosto che avere un direttore, chiamato segretario regionale, e delle soprintendenze separate: in questo modo, c’è
un’unica soprintendenza ripartita in storico artistica, architettonica, archeologica, cosa che non elimina le soprintendenze ma riduce i dirigenti, così se uno è dirigente della soprintendenza di Bologna, per esempio, avrà un architetto, un archeologo ecc che dipendono da lui ma non prendono il suo posto, lui dovrà controllare il loro lavoro. Cosa accade invece senza una
Soprintendenza mista come la intendo io? Capita ad esempio che un’area vasta come la Puglia sia stata divisa in due zone, Nord e Sud, e all’interno di queste altre due ripartizioni, quella ai beni artistici e quella ai beni architettonici. Io invece
ho voluto immaginare una soprintendenza sola che unisse tutti e tre i beni e se uno aspetta un po’ credo che potrà funzionare –come accade in una realtà piccola come il Molise-; però non possiamo ancora dare giudizi perché la cosa è nata l’altro ieri; insomma in realtà sono solo i 20 istituti resi autonomi –tipo gli
Uffizi- che hanno perso il rapporto con il “territorio”, ammesso e non concesso che ce l’avessero avuto come poli museali.
D:
Vale per gli Uffizi, vale per Capodimonte …

R: Si, per queste strutture qui il discorso è valido, ma si tratta di 20 strutture, a fronte di mille altre sovrintendenze, tipo Veneto Orientale, Puglia, Arezzo ecc ecc dove invece non vale per niente.
D.
E’ stato piuttosto criticato anche il modo con il quale sono state fatte le nomine, anzi è accaduto che chi aveva un punteggio migliore sia stato scavalcato da chi stava dietro di lui, senza contare che ancora oggi in taluni casi non si è ancora preso possesso della carica e i dipendenti non sanno che fare.
R: La tua è una tesi un po’ tendenziosa e tuttavia i
o sono l’unico che veramente ha difeso l’amministrazione e i suoi interni; sono però anche l’unico che conosce la storia vera! La storia vera è in realtà un equivoco. La titolarità delle nomine è, per i 7 di Fascia A, del Ministro, li nomina lui punto; gli altri 13 spettano al Direttore Generale, che oggi è
Soragni (si tratta di Ugo Soragni, già direttore dei beni culturali del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, ndA), e cosa ha fatto il ministro
Franceschini ? Come per il caso dei
Bronzi di Riace, ha delegato ad una commissione ‘consultiva’ e quindi non decisionale, presieduta da
Paolo Baratta, persona brava e capace, con cui ho parlato a lungo, affiancato da
Nicholas Penny e altri, la facoltà non di scegliere ma di proporre tra una rosa di 1200 candidati (o forse qualcuno di meno) i 10 nomi papabili per la direzione di una struttura; una volta scelti quei 10 nomi, cioè quando la materia per così dire era stata semplificata e ridotta, il Ministro senza ancora scegliere tra quei 10 nomi, ha lasciato ancora alla Commissione il compito di indicarne 3, ma siccome la Commissione, essendo consultiva, non poteva decidere, i 3 sono stati presentati senza punteggi; questo vuol dire che non c’è stato un esame orale che integrasse il punteggio ma semplicemente che valutati i 10, questi 3 rimasti in ballo sono stati indicati senza numerazione.
Il caso emblematico, richiamato da molti, è quello degli Uffizi dove
Natali (si tratta di Antonio Natali, ex direttore degli Uffizi, ndA) pur essendo tra i 10 in lizza per la nuova gestione del Museo, in realtà non compariva tra i 3, cioè non era entrato nella terna; quindi
il Ministro non c’entra nulla, non ha avuto proprio il problema di non sceglierlo, dal momento che si era autolimitato affidando alla Commissione la scelta. Ma l
’errore che io ho indicato per primo è un altro, cioè che nella scelta si
dovesse seguire la regola di nominare 10 uomini e 10 donne e che la più parte avrebbero dovuto essere stranieri; non so perché, probabilmente per un criterio di ‘praticità’ visto che non tutti sono storici dell’arte e forse questa caratteristica è stata voluta dal Ministro, ed è stato un errore ma
a questo ne è seguito anche un altro, quello di aver nominato solo un ‘interno’ già in carica, che è
Anna Coliva alla
Galleria Borghese, di cui qui non si discutono i meriti ma certo la cosa può aver fatto nascere degli equivoci, per cui alla fine anche per lei è stato un danno.
D.
Tuttavia, considerati i mugugni, le proteste ecc non era possibile muoversi diversamente ?
R: Posso dirti cosa avevo proposto io, parlandone con
Renzi.
Io avevo proposto che fossero nominati 5 italiani e 5 stranieri e gli altri sulla base dei titoli; non è stato così e far restare in carica solo uno dei dirigenti è stata una specie di provocazione che ha mortificato funzionari di lungo corso; questo è vero! E
tuttavia aggiungo, per quello che ho potuto vedere e studiare fin qui, che
ci sono oggi in carica studiosi molto capaci; per esempio
Carmelo Malacrino a Reggio Calabria, o
Paolo Giulierini all’
Archeologico di Napoli, un bravissimo studioso a capo di un museo straordinario e prestigioso ma poco valutato, o come
Peter Aufreiter ad Urbino, un giovane capace senz’altro di immettere aria fresca in una realtà forse troppo prudente; insomma, nei
test che ho verificato, la scelta –non so se per caso- non è poi così negativa. Ovvio che dovremo stare a vedere poi nei fatti.
D:
Anche tu, se non mi sbaglio, fai notare che la scelta è caduta più sui ‘pratici’, sugli amministrativi, a scapito degli storici dell’arte: non ti pare che questo significhi che i criteri che hanno sovrinteso alle scelte siano stati più di carattere economico che non civile ed educativo? E questo non potrebbe rivelarsi rischioso ?
R: Questo è vero; tuttavia secondo me la vera questione è che i musei – che io vorrei
gratuiti- oggi come oggi sono in gran parte respingenti soprattutto verso le giovani generazioni; ne ho parlato a lungo con lo studioso in carica ad Urbino; quando ad Urbino c’ero io feci un editto –ed è proprio il caso di chiamarlo così- quasi da Principe che però aveva senso; tu sai ad esempio che chi è iscritto all’Università non va a visitare la pinacoteca della sua città, il
palazzo Ducale, perché “porta male” ?; e lo stesso vale per Padova o Pisa, dove gli universitari non salgono sulla
Torre perché “porta male”; vuol dire che esiste una cricca, che non sono neppure i goliardi, che ha determinato una specie di sortilegio che ratifica realmente una distanza fra cittadini e
palazzo Ducale, fra la città e il museo, cui si aggiunge il fatto che il sovrintendente sia visto come arroccato in una sorta di acropoli, incapace di dialogare con la città. Ecco, questo giovane studioso è animato dalla volontà di annullare questa distanza, vuole dialogare con l’amministrazione comunale e rendere il museo amico dei cittadini, non si presenta come uno dei soprintendenti di una volta, con quel tipico distacco da amministratore aristocratico. Devo dire che tra quelli più collaborativi, capaci di superare questi schemi c’è stato proprio
Nicola Spinosa, molto bravo a rompere l’incantesimo del castello distante dalla città, ma purtroppo di solito questi istituti sono come spazi che non dialogano. Dunque, se questi giovani che magari non sono specialisti di
Gentileschi o di
Gherardo delle Notti, però riescono a far entrare la gente nei musei, in sé mi pare un dato positivo. Voglio dire che seppure alcuni direttori non avranno tutta la competenza storico artistica e però mostreranno di sapersi muovere con l’agilità necessaria a far nascere confidenza ed amicizia nel cittadino verso il proprio museo, allora se ottengono questo certamente le cose cambieranno in meglio; si tratta di aspettare.
D:
D’accordo, si tratta di aspettare, ma tutto questo come si concilia con l’idea –che si sta traducendo in fatti reali- di far pagare il biglietto anche per entrare in siti tradizionalmente gratuiti come il Pantheon, ad esempio? Mi pare che la strada sia molto diversa da quella che tu hai delineato. Come si rilancia così il settore dei beni culturali?
R: Allora, partiamo dall’inizio. Ho avuto lunghe discussioni con
Matteo Renzi che mi ha detto molto direttamente “Dimmi cosa posso fare per i beni culturali che mi sia di vantaggio”; gli ho risposto “Fai così,
rendili gratuiti”. A quel punto abbiamo fatto i conti, c’era anche
Farinetti e qualche altro; sai cosa incassano i musei italiani complessivamente con i biglietti ? 109 milioni di euro ! che se consideriamo il bilancio dello stato sono una miseria (pensa che l’allargamento di Fiumicino costa 4 miliardi!). Quindi, se si pensa che per l’educazione dei cittadini si possano spendere 109 milioni di euro ne prendi atto; i musei magari non potranno arrivare a pareggiare i costi, ma tanto non ci arrivano mai, però a loro volta potranno rendersi amici, diciamo così, con i cittadini con un ristorante, una libreria … e poi perché un muso non dovrebbe rimanere aperto ad esempio fino a mezzanotte, come è per ristoranti, cinema … ?
D:
Ma il problema sono i controlli già oggi scarsini … per non dire degli ulteriori costi.
R: Certo, ma voglio semplicemente dire che ad un governo non così povero com’è il nostro
il biglietto non dà una gran rendita; diciamo che con un certo impegno l’entrata attraverso i biglietti potrebbe arrivare ai 200 milioni che però non sono una ragione sufficiente a limitare l’educazione dei cittadini, che molto spesso siccome pagano a visitare il museo non vanno. Se invece tu alla fine raddoppi i visitatori non ti resteranno magari nelle mani 200 milioni ma probabilmente 80 o 90 tramite
gadget o altro, però potrai organizzare il museo secondo una logica amicale, renderlo parte della tua esistenza. Per questo
credo che la nostra prospettiva (mia da tempo, oggi vedo anche di
Montanari ed altri)
debba essere questa, che coincide poi con la determinazione di ricatto di Sir
Denis Mahon che a suo tempo impose a Londra il
British e la
National Gallery gratuiti, e non credo proprio che quella scelta abbia reso improduttivi i musei inglesi; dunque il modello ce l’abbiamo. Vero è che nei grandi paesi stranieri i musei sono in numero molto limitato rispetto all’Italia, Londra ne ha tre o quattro, Parigi vuol dire soprattutto
Louvre, da noi sono assai più numerosi, con un numero impressionante anche di piccoli musei per i quali è ancora peggio, perché pagare gli addetti alla biglietteria vuol dire spendere più di quanto si ricava dalla vendita dei biglietti; ad Arezzo, per esempio, vanno circa 6 mila visitatori l’anno e l’addetto alla biglietteria costa più di quanto s’incassa coi biglietti in un anno.
D: E qui allora come bisognerebbe intervenire ? Chiudendo e basta ?
R: Bisogna inventarsi soluzioni; magari prendere ad esempio un piccolo meraviglioso museo di Bologna, il
Collegio Venturoli che apre su appuntamento, come altri che non dovrebbero essere aperti tutti i giorni; ad esempio, il
museo di Baranello (si tratta del Museo Civico Giuseppe Barone, ndA) un piccolo gioiello in Molise, è inutile tenerlo aperto tutti i giorni: si organizza un gruppo di visitatori, si telefona, e si entra su appuntamento, lo stesso vale per il
museo Bargellini (si tratta del Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, ndA) sempre di Bologna e per tante altre realtà minori ma pur sempre suggestive, come Budrio, come Imola ecc;
insomma, innanzitutto la gratuità e poi organizzare l’entrata per gruppi e su appuntamento, in una fascia mattutina o pomeridiana.
I musei in Italia oggi ammontano a 4.200, di questi 600 sono statali, gli altri comunali , diocesani ecc.; quali dovrebbero essere allora i primi atti di una burocrazia statale ? innanzitutto tenere i numeri, verificare i dati, stabilire delle regole; è ovvio che è inutile tenere aperto tutti i giorni il
Museo diocesano a Spoleto per quanto ne so io dai dati, ma si può stabilire l’apertura a seconda delle circostanze su appuntamento; il fatto è che in Italia non ci sono tre o cinque o dodici strutture ma 4200 delle quali
almeno 3.500 sono deserte, e qui con il meccanismo dell’appuntamento si potrebbero risolvere molte cose;
gli altri li tieni aperti ma senza far pagare il biglietto, bensì con una serie di strutture funzionali che consentano di ricavare qualcosa.

D:
E però a quanto pare quello cha sta accadendo è il contrario, se consideriamo le nuove norme.
R: E’ vero,
la legge insiste sugli ingressi a pagamento ed anzi sull’aumento dei prezzi, che potrà andar bene per gli
Uffizi, forse per
Brera, ma anche raddoppiando il costo del biglietto per tutti gli altri istituti museali le cose non andranno bene; occorre che le strutture divengano amicali, e se si perdono 200 milioni ipotetici di entrate si possono però avvicinare meglio i cittadini alla cultura e all’arte, e inoltre attraverso iniziative ed eventi vari poter almeno in parte far fronte alle perdite.
D:
A proposito di eventi, quello più importante dell’anno trascorso è stato certamente l’Expo di Milano, che ti ha visto protagonista come ambasciatore delle belle arti per la regione Lombardia.
R: Si, e sono assolutamente consapevole dei miei meriti e di aver realizzato la sola iniziativa culturale di
Expo che rimarrà nel bel catalogo che abbiamo prodotto; un’iniziativa fatta con un senso di sofisticata ricerca ma anche di cose assolutamente belle, e sottolineo quello che mi ha detto il responsabile del Comitato per le città dell’Expo, un portoghese, cioè che l’unica mostra che avesse un significato relativo a quello che è l’Italia, è stata la mia, peraltro con oltre 700 mila visitatori; al contrario, l’idea che si siano spesi 100 milioni solo per contenere un
Guttuso in un
padiglione Italia di deprimente bruttezza è un crimine contro il buonsenso. Credo purtroppo che l’Italia abbia mancato una grossa occasione tradendo la sua missione, e solo in parte si è potuta recuperare una identità con la mostra mia e di
Farinetti (“Il tesoro d’Italia” nel Padiglione Eataly, ndA); se non ci fossimo stati noi sarebbe stata una manifestazione depressiva del più bel paese del mondo.
D:
In effetti chi ha visitata la mostra, come è capitato a me, non può che essere d’accordo; ma vorrei mi dicessi qualcosa anche su quell’incidente che ha fatto notizia relativo al ritratto “La Bella Principessa” di Leonardo ; è vero? è di Leonardo? è un falso?
R: Quella è stata una delle tante idee che ho avuto, prima per rianimare il palazzo Ducale di Urbino, dove sono stati staccati il triplo dei biglietti oltre trentamila !, poi alla
Villa Reale di Monza tra gli eventi culturali collegati ad
Expo. Il ritratto devo dire è un’opera molto bella che peraltro ha avuto riscontri importanti e significativi, da parte di
Mina Gregori,
Martin Kemp ed altri ancora; personalmente, pur avendone tratto beneficio riguardo alla promozione dei luoghi, non ho mai citato il nome di Leonardo, ma ho sempre sostenuto che si tratta di un’opera vera, quindi non di un falso, realizzata da un “buon artista”, come avrebbe detto
Zeri. Questo signore che ha dichiarato di averla fatta lui (si tratta dell’inglese Shawn Greenhalgh, un falsario di professione, ndA), non è che abbia fornito delle prove, ma tanto è bastato a sputtanare un po’ l’opera; io ho risposto a
Cristina Acidini che mi chiedeva notizie, che un vero falsario dice anche cose false, non solo le fa; dopo di che se dice che l’opera l’ha fatta lui che lo dimostri! L’ho voluto sfidare mettendo a disposizione personalmente 30 mila euro più altri 10 da parte di
Silverman (Peter Silverman è l’attuale proprietario del dipinto, ndA) affinché ci rifacesse un’opera autentica, ma non ha accettato la sfida … Quindi, per me resta un’opera di grande fascino; la
Gregori è una delle più convinte della sua autenticità, come pure
Kemp, noto a tutti per essere tra i più grandi esperti di
Leonardo; io che
non sono uno studioso di Leonardo ho sempre detto che per me è buona ma non so dire se è di Leonardo; e tuttavia quello che è stato un incidente, o forse una provocazione, ha attirato un’attenzione ancora maggiore sul quadro, tanto che sono certo che sarà ancora più vasto il successo quando lo porteremo in esposizione a Tokio, proprio per il fatto che possa essere un’opera falsa.
D:
Si, è molto probabile; ma per tornare agli eventi del 2015, quello è stato anche un anno tragico per l’arte e per gli amanti della cultura, è stato anche l’anno di Palmira …
R: E’ vero, i problemi che riguardano lo scenario internazionale sono agghiaccianti, tutto però comincia con un errore dell’Occidente, in particolare del mio amico
Bernard Henri Levy che fece l’esaltazione delle ‘primavere arabe’; io le ho sempre trovate sospette, ed infatti … Ero in Egitto quando governava
Morsi e la gente non ce la faceva più, infatti è stato destituito, poi c’è stata la caduta di
Geddafi con conseguenze tragiche; la miopia degli americani, che credono di poter esportare la democrazia tra l’altro con le bombe, sta provocando effetti catastrofici; quando era al potere,
Saddam Hussein era come un argine contro il fondamentalismo e credo lo sarebbe stato ancora. Non abbiamo immaginato né studiato quali potevano essere e come avrebbero potuto evolvere certe situazioni locali senza quei dittatori che in qualche modo costituivano una specie di garanzia. Tra gli errori del governo
Berlusconi ci fu quello di aver abolito (su iniziativa di
Tremonti a dire il vero) , l’
Istituto per lo studio dell’Oriente e dell’Africa che avrebbe potuto interpretare lo sviluppo degli eventi che poi hanno prodotto l
’Isis. Palmira è una tragica testimonianza; quando ci andai,un Natale di alcuni anni fa con un amico siriano, era un luogo meraviglioso dove tutto era tranquillo, nel pieno rispetto di tutti, ebrei, cristiani ecc. sembrava di essere in Occidente; oggi Palmira è un inferno.
D:
Però c’è anche qualcosa di ulteriore; tu hai fatto una disamina di tipo politico ma anche da un punto di vista più strettamente artistico è sconcertante ed allarmante la distruzione di testimonianze di culture ritenute incompatibili dal cosiddetto stato islamico.
R: Certo, ma qui non parliamo di religione, perché una religione che promette una specie di postribolo nell’aldilà sacrificando la propria vita fa ribrezzo; ma aldilà delle polemiche abbiamo di fronte un mondo che agisce in nome di un dio che vuole la morte, questo è un dato di fatto su cui certo si rischia di estremizzare, e la
Fallaci a mio parere ha estremizzato, e però è vero che il musulmano vero è quello laico, mentre quello credente – e non so dire quanti siano, ma su un miliardo e mezzo non saranno pochi- agisce spinto da una credulità per la quale in nome di dio compie delle cose orrende; l’immagine più turpe che io abbia visto è stata quella di Palmira, dove nei sotterranei del Teatro 25 uomini incappucciati hanno fatto mettere in ginocchio 25 loro compagni di scuola anch’essi musulmani, uccidendoli; non perché fossero cristiani, che sarebbe stato altrettanto riprovevole ma in qualche modo spiegabile, ma perché non erano abbastanza musulmani. Insomma un mondo di pazzi, e
che distruggano i monumenti è una deriva che inizia esattamente con la distruzione del Buddah di Bamiyan, un crimine assolutamente gratuito: è accertato che non c’è in tutto l’Afghanistan un solo buddhista. Tutto quindi comincia da lì, ma il problema è che nella difesa che noi facciamo generalmente delle testimonianze artistiche di una civiltà s’inserisce la loro visione di distruzione fondata su un’interpretazione in buona fede di certi valori. Dico spesso che
la mala fede è tollerabile ma la buona fede no, perché quelli in buona fede fanno qualsiasi cosa credendo sia legittima; ci sono due cose che caratterizzano una civiltà moderna e democratica, la difesa del patrimonio culturale ed artistico e il rispetto dei prigionieri, cioè esattamente il contrario di quanto accade nel califfato. Mi viene spesso da pensare che quello che accade a Palmira è lo spettro di quanto potrebbe accadere a Roma, nel senso che chi distrugge Palmira e come se mettesse una bomba al
Pantheon, lo stesso disprezzo, la stessa ignominia. Il fatto è che per fortuna noi non abbiamo grande visibilità internazionale, e d’altra parte se gli americani o gli inglesi bombardano noi diamo “risposte non radicali”. E’ quello che disse
Berlusconi quando ci parlai a proposito della guerra contro
Geddafi , quando cioè
Sarkozy decise di bombardare la Libia. Lo chiamo e gli dico
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“Guarda che c’è un problema, a parte la vostra personale amicizia … -Ah si, mi interrompe- io sono un amico di Geddafi- Aspetta, riprendo a dirgli, io sono sindaco di Salemi, il mio aeroporto è Birgi, presso Trapani, vi fanno scalo un milione e mezzo di persone con Ryanair per vedere Segesta e Selinunte, se tu lo trasformi in base militare per dare supporto a
Sarkozy non ci viene più nessuno!”. “D’accordo, mi dice, hai ragione, hai ragione”. Va al Consiglio di sicurezza dove però, sputtanato dalla nota vicenda di quelle quattro ragazze che frequentava, non lo ascolta nessuno, cosicché quando ha cercato di negare la concessione delle basi essendo d’accordo con me, ha dovuto alla fine dare l’assenso, con le conseguenze che oggi stiamo tutti vedendo.
D:
E’ vero, purtroppo; ti ringrazio per la lunga conversazione, però prima di terminare e per stemperare un po’ l’atmosfera consentimi una domanda curiosa, che comunque ha a che fare con l’arte contemporanea. Ti chiedo: se un domani, metti tra cinquecento anni, gli storici dell’arte del futuro si trovassero di fronte ad una statua magari rovinata del Bernini, che so? il ratto di Proserpina, certamente la riconoscerebbero come opera da museo; se invece gli capitasse di fronte il ‘cane’ di Jeff Koons, secondo te cosa penserebbero ? dove credi che penseranno che si trovasse?
R: Mah sai, la verità del nostro tempo è l’avanzamento senza limiti della tecnologia; oggi entri su internet e trovi di tutto, ogni tipo di documentazione. Quindi cosa accadrà tra 500 anni ? faranno così, cliccheranno sulla tastiera
Jeff Koons e gli apparirà sullo schermo tutto quanto concerne; non credo, insomma, a meno di cataclismi epocali tipo diluvi universali che si perderà la memoria. D’altra parte, se c’è una cosa meravigliosa della vita e della storia, sono gli archivi; noi siamo diversi dagli animali perché produciamo civiltà, ed ora nel creare siamo arrivati tanto avanti che figurati quello che ancora capiterà, e non esiste la possibilità che superata una civiltà si possa perdere nozione e memoria di quanto accaduto; quella che fino ad oggi è stata un’archiviazione reale di testi e documenti, da qui in avanti sarà immateriale ma sempre riproducibile; per cui non ci potrà essere nessun dubbio che il ‘400 è stata l’epoca di
Botticelli e non di
Raffaello e che il 2000 era l’epoca di
Koons, non credo proprio che si tornerà indietro, anzi al contrario: il dramma dei nostri tempi sta proprio in questo accrescimento spasmodico della memoria, dobbiamo ricordare troppo, questo è il problema! Sembra che la nostra memoria possa raccogliere in sé il contenuto di 4 miliardi e 500 milioni di libri ! ti accorgi che non sai dove buttare lo sguardo; se uno volesse ad esempio studiare tutto quello che è stato scritto su
Van Gogh ci passerebbe una vita. Significa che sei sempre indietro, e questo è il dramma del nostro tempo.