Giovanni Cardone Febbraio 2022
Fino al 27 Febbraio si potrà ammirare alla Galleria d’Arte Moderna di Roma la mostra Vinicio Berti Antagonista Continuo a cura Claudio Crescentini e Roberto Sottile, promossa promosso da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con la collaborazione del Comune di Rende, Museo del Presente (Rende/CS), del Centro Studi d’Arte - Archivio Vinicio Berti, della Galleria d’Arte Nozzoli di Empoli e di Roma Centro Mostre e da i Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Per il Centenario della Nascita del famoso astrattista Vinicio Berti e a trent’anni dalla sua scomparsa , la GAM ospiterà una mostra a lui dedicata tramite la quale si cercherà di ricostruire l’evoluzione pittorica del fondatore del gruppo dell’Astrattismo classico del 1950. Un gruppo rivoluzionario per il periodo sia per l’attività artistica sia per quella delle teorie estetiche che sfociarono indissolubilmente nel politico. Esplicito il Manifesto del gruppo stesso che propose,
come nuovo indirizzo per l’arte contemporanea, la fine della distruzione e l’inizio della costruzione, tanto da anticipare l’arte e le teorie degli altri gruppi astrattisti nazionali, dal MAC Movimento Arte Concreta a Forma I, con i quali Berti ha sempre mantenuto importanti rapporti. In
particolare con Gillo Dorfles, Achille Perilli e Piero Dorazio.
Scelta mantenuta coerentemente da Berti che nella pittura non scese mai in tentazioni con l’Informale, il neo-dadaismo o il concettuale, elaborando un’arte totalmente originale e fortemente politicizzata vissuta anche in parallelo con altri astrattisti del periodo, suoi amici fraterni, e in particolare con Emilio Vedova. In mostra una selezione di dipinti che ricostruiscono le fasi tematiche e iconografiche di Berti, a partire dalle prime prove realiste-espressioniste dei primi anni Quaranta, oltre a un’inedita documentazione d’archivio e fotografica sull’artista che comunque ha sempre considerato l’astrattismo come dominante, con l’uso del colore come atto politico. Del resto l’artista si muoveva in un ambiente marxista che si evidenzia sia nella sua azione pittorica così come dai suoi scritti. Per tale constatazione scientifica, alcuni dipinti di Berti saranno collocati fra le opere di artisti in collezione
della GAM Ercole Drei, Arturo Dazzi, Carlo Rivalta, Amleto Cataldi, e tanti altri in modo da creare un colloquio alternativo proprio con quegli stili classici e formali combattuti dall’“antagonista” Berti. Con in più un suggestivo “incontro” visivo fra due paesaggi del giovane Berti agli inizi degli anni Quaranta con quello che è considerato, per il suo arcaismo e le sperimentazioni materiche, fra gli artisti che hanno influenzato la nascita della nuova arte di Berti: Arturo Martini. Una sezione sarà invece dedicata al fumetto di Berti e ai suoi personaggi molto conosciuti nel mondo, grazie anche alla figura base di Pinocchio che lo ha, come lo stesso artista affermava, “perseguitato” per tutta la vita. Vinicio Berti è uno dei primi pittori italiani ad aderire all'astrattismo, oltre che a esserne al tempo stesso teorico. Impegnato anche come illustratore e autore di fumetti di grande diffusione europea, Berti proviene da studi tecnico-industriali e artistici. Da giovane compie varie esperienze pittoriche formative approdando a una rappresentazione dal
forte segno espressionista, su soggetti d'istanza realista. Sulla scia della pittura del giovane Van Gogh e dell'Espressionismo tedesco. Al 1942 il suo esordio con opere appunto di carattere realista-espressionista, mediante le quali avvia la sua partecipazione al movimento di rinnovamento dell'arte contemporanea italiana. Le sue prime opere importanti, in questo stile, sono realizzate proprio nel '42 a Banne, nei pressi di Trieste, località dove Berti presta servizio militare.

Si tratta di un periodo artistico che inizia nell’agosto di quell’anno ?no al luglio dell’anno successivo e che vede anche la sua partecipazione a una mostra per artisti in armi, organizzata a Trieste nel ridotto del Teatro Verdi, dove la critica de?nì la sua pittura, per la crudezza espressa nei disegni esposti, “Realismo di guerra”. Nel 1945 fonda con altri giovani artisti e intellettuali comunisti - Brunetti, Farulli, Nativi e il poeta Caverni - la rivista
Torrente.
Si tratta di un'esperienza esaurita dopo pochi numeri ma dalla quale si formano nuove intese e prospettive che, nel ’46, insieme ad un allargato gruppo di artisti, lo vedono al timone della nascita del movimento "Arte d’Oggi" che fonderà anche una propria rivista omonima. In particolare con Nativi, Bozzolini, Monnini, Brunetti e Lardera forma, proprio all’interno di
Arte d’Oggi, una sorta di ala oltranzista comunista sempre più sostenitrice delle istanze dell'astratto. Un passo che Berti compie nel 1947, dopo studi sulla pittura cubo-futurista e sul dinamismo boccioniano, applicato alla scomposizione picassiana, con la realizzazione di
Composizione verticale e
Simbolo, fra le prime opere non ?gurative nel panorama della nuova generazione artistica italiana post-bellica. Con Brunetti, Monnini e Nativi vengono reinterpretate le varie dialettiche ?gurative, di pari passo alla promozione di un’attività espositiva che porta l’astrattismo ?orentino – al quale si é poi convertito anche Nuti – al dialogo con le neo-avanguardie nazionali e alla formazione del gruppo
Astrattismo classico. Da qui l'artista inizia a costituire una solida rete di rapporti, amicizie e sodalizi artistici che
vanno da Mario De Micheli, Gillo Dor?es e gli artisti del MAC, Perilli e Dorazio di Forma 1 a Vedova, di cui Berti é amico e con?dente, e Soldati. Nel 1950, dopo una collettiva alla Galleria Vigna Nuova, viene pubblicato il
Manifesto dell’Astrattismo Classico che anticipa lo scioglimento del gruppo stesso. In questo periodo Berti decide di proseguire la sua ricerca verso un astrattismo di tipo costruttivo, guardando alle teorie di Malevi? e al Costruttivismo sovietico. Nel 1951 espone alla Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma. Nel 1955 é presente alla mostra
di Prato, curata da Ragghianti, altro critico sodale di Berti, intitolata Sessanta maestri del prossimo trentennio e nel ’57 alla Strozzina di Firenze con un’antologica di opere dal ‘40 al '47. Nel 1959 espone alla
VIII Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, e nel ’63 vince
Il Fiorino di Firenze, uno dei premi agli artisti più prestigiosi in Italia. Fra i punti di riferimento di Berti troviamo Fiamma Vigo della Galleria Numero, con la quale instaura un vero e proprio sodalizio intellettuale. Così come, in maniera più formale, con Palma Bucarelli tramite la quale entra, con una sua opera nella collezione delle neo-avanguardie del secondo Novecento della Galleria Nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma. Altro protagonista del consolidamento culturale di Berti é Toti Scialoja con il quale l'artista ha tenuto però rapporti discontinui ma profondi, anche grazie alla comune amicizia di Marcello Argilli, scrittore e sperimentatore di molteplici forme di narrativa per ragazzi, il quale insieme a Gianni Rodari, altro amico di Berti, redige il famoso settimanale per ragazzi
Il Pioniere, al quale Vinicio collaborò per lungo tempo. Dal punto di vista pittorico sono anni in cui nascono le tesi "d'ampliamento", come lo
stesso Berti le de?nisce, del suo astrattismo, con i cicli Espansione dell’Astrattismo classico e
Cittadelle ostili, dove il riferimento all’"ostilità" è verso, appunto, quella espressa dagli ambienti intellettuali e culturali nazionali rispetto all'evolversi della pittura astratta e del suo contesto politico che vede Berti su posizioni – decisamente avversate dal Partito Comunista Italiano di cui faceva attivamente parte – di anti-Realismo sociale e contro la pittura "emozionale". Si tratta di una teoria che Berti ha sempre ribadito durante la sua carriera artistica e che, per certi momenti, ha condiviso con altri artisti, come ad esempio Burri e Corpora, con i quali ha intrattenuto molti rapporti. Dopo la realizzazione dell'opera centrale per il Berti di questi anni,
Omaggio a Einstein (1954-55), sorta di viaggio nel relativismo spazio-temporale, l'artista passa ai cicli
Brecce nel tempo e, in particolare,
Avventuroso astrale che, dalla ?ne degli anni Sessanta si protrae alla metà degli anni Settanta, collegandosi con la nuova idea di spazio che in questo momento percorre l’umanità, soprattutto a seguito dell'ammaraggio dell'uomo sulla luna. Un’idea che influenzerà ampiamente Berti e che lo porterà anche a realizzare un video in super8 con la compagna Maria Pia Liberia Pini. Nel 1959 è presente nella grande collettiva della giovane arte italiana a New York,
The Parker Exhibition of the Contemporary Italian Painting. Notevole anche la sua attività gra?ca, per la quale nel ’68 sarà invitato alla
Biennale Internazionale dell’Incisione di Venezia. Nella pittura di Berti continuano a susseguirsi nuove serie teoriche oltre che di produzione pittorica, come nel caso di
Cittadelle della Resistenza e
Realtà antagonista, con la realizzazione di tele dove il concetto storico di "Resistenza" é abbinato a quello di "Antagonismo", contro le storture del capitalismo e lo sfruttamento mondiale del proletariato.

Temi che si vanno direttamente ad associare con le lotte e le rivendicazioni operaie e comuniste degli anni Settanta in Italia. Ancora una volta la realtà ritorna prepotente nello sviluppo artistico di Berti. In questo decennio l’artista introduce nella sua pittura il tema della "Visione verso l’alto" che, dalla seconda metà degli anni Settanta, avvia direttamente alla serie
Guardare in alto, con la quale Berti sottolinea una fervida speranza di riscatto che assorbe totalmente la sua pittura per tutti gli anni Ottanta, alle ultimissime opere del biennio 1990-91. In una mia ricerca storiografica e scientifica sull’astrattismo classico e sulla figura di Vinicio Berti che è divenuto convegno e modulo monografico universitario dato che questo grande artista ha lasciato una traccia indelebile nell’arte contemporanea il mio saggio si apre dicendo: Che negli anni dell'immediato dopoguerra e col risveglio di tutte le componenti della società italiana il dibattito sulle arti visive riprende con forza ed entrano prepotentemente in campo anche i nuovi orientamenti. Nel 1946 nasce la Nuova Secessione Artistica Italiana formata da artisti milanesi e veneti ribattezzato nel 1947 da Renato Guttuso in Fronte Nuovo delle Arti, dove convivono due anime, una figurativa che darà vita al Neorealismo socialista e l'altra trasgressivamente astratta. Nel 1948 nasce a Milano Il MAC -Movimento Arte Concreta con Gillo Dorfles, Antanasio Soldati e Bruno Munari il teorico del gruppo che elaborò la definizione di arte come "basata soltanto sulla realizzazione e sull'oggettivazione delle intuizioni dell'artista rese in
concrete immagini di forma-colore, lontane da ogni significato simbolico da ogni astrazione formale e mirante a cogliere solo quei ritmi, quelle cadenze, quegli accordi di cui è ricco il mondo dei colori". Il movimento si espande in varie città come Torino, Genova, Firenze e Napoli. Vi aderirono anche i giovani artisti romani come Carla Accardi, Piero Dorazio, Achille Perilli, Ugo Attardi e i napoltani Renato Barisani, Guido Tatafiore, , Renato De Fusco e Antonio Venditti , nel 1947 avevano pubblicato, sul primo numero della rivista
Forma1, che dette il nome al gruppo, un manifesto abbastanza trasgressivo dove si leggeva tra l'altro "noi ci dichiariamo formalisti e marxisti", si proclamava l'indipendenza e autonomia dell'artista proponendosi, come fine ultimo, di trasformare intimamente e totalmente l'individuo e la società. La necessità di mettere punti fermi e inequivocabili fa sì che i fiorentini, che già nel 1945 avevano fondato Arte d'Oggi, a seguito di intensi dibattiti nel 1950 firmarono il Manifesto dell'astrattismo classico che li distanziava sia dal MAC che da Forma 1 e in un certo senso ne decretarono il loro isolamento. L’etica dell’ Astrattismo Classico rifiuto l'invito alla Biennale di Venezia , gli astrattisti fiorentini divulgano nell'estate del 1950, redatto dal filosofo Ermanno Migliorini, il “Manifesto dell'Astrattismo Classico” a firma di Gualtiero Nativi, Vinicio Berti, Alvaro Monnini, Bruno Brunetti e Mario Nuti che da quel momento si aggiunse al gruppo. Nel 1951 il Gruppo era già sciolto, e tutti i firmatari iniziarono un percorso individuale pur restando in sostanza fedeli ai concetti che li aveva uniti. “Astrattismo Classico” fu un movimento che ebbe un effetto dirompente sulla cultura pittorica fiorentina, molti giovani tennero conto del loro esempio di rottura dagli schemi. Ne è prova quello che si indica come il secondo astrattismo fiorentino dai primi anni sessanta, dal raggruppamento “Segno Rosso”del 1964 tra i fondatori anche Vinicio Berti, alle verifiche di un gruppo di artisti che si riunirono presso lo “Studio d'Arte il Moro” del 1970, fino al manifesto di “Morfologia Costruttiva” del 1972. Il manifesto dell'Astrattismo classico è un documento fortemente ispirato alle istanze della sinistra e ipotizza un artista impegnato alla costruzione di una nuova società, che inciti i componenti di questa a mettersi in gioco in prima persona nella costruzione di un'etica diversa che ne tracci i principi fondanti. Vi si afferma inoltre: l'arte non è teoria ma prassi, il fruitore ne registra il fatto, l'artista interviene sulla realtà, la modifica ed è il responsabile di questo intervento. I più grandi movimenti artistici pittorici degli inizi del ventesimo secolo, riassume il manifesto, si sono sempre presentati in maniera interventista e attivista, connotati però da una vis distruttiva, distruzione dell'oggetto e della forma.

L'Astrattismo Classico rifiuta tutto questo, parlando di fine della volontà di distruzione dell'oggetto e ipotizzando un intervento “attivo e costruttivo”, impegnandosi a “chiarire per mezzo della vita alcuni problemi dell'arte, e non viceversa”. Forte è stato il desiderio di porre la loro fiorentinità sul piano europeo, che li impegnasse non più ad interpretare, ma ad intervenire nella realtà. Il manifesto continua, come aveva sostenuto Argan: l'arte, dall'impressionismo in poi, non è più manifestazione, ma fatto concreto. È merito infatti degli impressionisti avere attivato una frattura con il loro intervento contro l'oggetto. Il neorealismo, il cubismo, i fauves , l’espressionismo continua, non riescono a costituirsi linguaggi per l'esigenza stringente di dare un contenuto, ne scapita l'espressione, lasciando latente il problema pittorico. Fin dal 1947, ivi si dichiara infine, gli Astrattisti Classici si pongono su di una nuova strada: “esaurita l'esperienza distruttiva, dovevamo ricominciare da capo, tracciare di nuovo sinceramente una linea”. Il Manifesto dell’astrattismo classico condiviso nella Firenze del 1950 da Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Alvaro Monnini, Gualtiero Nativi, Mario Nuti diceva : 1. L’arte non è teoria, almeno alla sua origine per l’artista operante, ma pratica e dal punto di vista del lettore, dello spettatore non è rappresentazione, ma fatto. L’artista interviene nella realtà, la sua parola rivolta agli uomini tende a modificare quella realtà: di questa sua parola, di questo suo intervento egli è responsabile. 2. Invitiamo gli artisti a prendere coscienza della loro posizione nella società, a domandarsi per chi essi lavorano, quale uomo sia quello che le loro opere esprimono, di quali relazioni sia esso capace, quale sia insomma la loro intuizione. Li invitiamo a confessarsi, a lasciare gli studi, a scendere fra gli uomini vivi, fra quelli di cui è l’avvenire. Tutti i misteri che sviano l’arte verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nell’attività pratica umana e nella concezione di questa attività pratica. 3.I movimenti artistici validi degli ultimi cento anni e validi non solo in una storia sociologica dell’arte si sono presentati sempre con un programma attivistico, d’intervento. Dagli impressionisti che assunsero come strumento di conoscenza “la percezione, l’urto cieco e immediato contro l’oggetto”, ai cubisti che distrussero l’oggetto cercando di esaurirne la conoscenza in un paradosso trascendentale. 4. Bisogna notare tuttavia che se l’intuizione deve affondare le sue radici sul solido terreno dell’attività pratica, in una concreta realtà, l’espressione, il linguaggio, non possono essere casuali, ma impongono un lavoro centuplicato e un’acuta coscienza storica: l’esigenza morale e politica vale solo se trasportata sul piano concreto di una raggiunta espressione. 5.La logica conseguenza stilistica, maturatasi in una più chiara coscienza morale, dei movimenti interventistici dell’arte moderna è l’astrattismo classico. In esso si può cogliere la fine della volontà di distruzione dell’oggetto e l’inizio di un intervento attivo e costruttivo, di una integrazione del reale. Esso crea un mondo, e i rapporti morali che esso postula sono chiaramente leggibili, la sua funzionalità non è che la volontà di rendere chiari e dominabili i sentimenti, il suo impegno sociale è risolto nell’espressione. Il nostro impegno è stato ormai da molti anni di chiarire per mezzo della vita alcuni problemi d’arte e non viceversa com’è consuetudine. Questa situazione di fondamento ci ha posti indubbiamente in una condizione favorevole nei confronti di altri, in quanto ci ha permesso, attraverso l’esperienza politica collettiva, di eliminare quanto di irrisolto, di problematico, ci veniva
trasmesso come retaggio dalla cultura italiana, precisiamo, dall’arte italiana. Di fronte al quietismo politico di tanta nostra tradizione, al desiderio diffuso di solo interpretare un mondo, di descriverlo, presentando come scontati gli atteggiamenti definiti attivistici, era naturale la nostra posizione su un piano europeo e non più provinciale, sul piano di una moralità che c’impegnasse non più a interpretare e a descrivere ma a intervenire sulla realtà. E su questo piano (politico) ci sarà ormai agevole affermare che “tutto il movimento artistico che parte dall’Impressionismo ed arriva fino a Picasso si fonda, infatti, sulla persuasione che l’arte non sia rappresentazione ma fatto” come disse Giulio Carlo Argan e che è merito degli Impressionisti l’aver polemicamente effettuato una frattura intervenendo nella realtà, quale veniva intellettualisticamente concepita, con l’assumere come strumento di conoscenza “la percezione, l’urto cieco, immediato e violento contro l’oggetto” Il neorealismo non risolve il problema espressivo, egli elementi dei vari lessici, cubista, fauve, espressionista, tonale, non riescono a costituirsi in linguaggio; nella fretta di esprimere un contenuto
l’espressione stessa si dissecca, il problema genuinamente pittorico viene lasciato cadere. Per questo fin dal 1947, ci siamo posti su un’altra strada con sicurezza. Esaurita l’esperienza distruttiva, dovevamo ricominciare daccapo, tracciare di nuovo sinceramente una linea. Per dichiarare il modo del nostro intervento ci impegnammo a costruire forme nuove di un mondo nuovo. Una nuova realtà: più chiari sentimenti esprimevamo, semplificati dalle componenti irrazionali, e resi tipici, collettivi cioè universali. Fummo animati da spirito razionalista, parlammo con qualche eccesso e qualche ingenuità, di, funzionalismo, ma erano motivi per rinsaldare con idee massimamente concrete la nostra intuizione che venivamo via via approfondendo. E nel momento stesso in cui per noi alcune, pochissime opere raggiunsero una reale espressività, quando trovammo veramente un linguaggio, ci accorgemmo di avere ora attuato quell’intervento nella realtà che era stato il nostro programma, di avere ora costituito il nuovo mondo pittorico come un’arma, come una teoria. La nostra reale poetica non può essere dunque che nelle nostre opere stesse e all’opera in definitiva noi rimandiamo per il suo contenuto politico, per la realtà ch’essa nega, per la realtà ch’essa pone. Poiché la nostra pittura è stata definita come astratta, converrà dichiarare quanto la nostra posizione si distanzi dalle nostre opere che indiscriminatamente vengono sussunte allo stesso concetto di comodo.
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Di fronte a quanto di irrisolto, di immediato, di romantico dunque si rivela nell’arte astratta e nelle sue poetiche, sentiamo il bisogno di definire la pertinace mediatezza della nostra opera, la sua pensosità, ma soprattutto la nostra volontà di una completa espressione, la nostra classicità. La dichiarazione di fiducia nell’attività pratica, il nostro lavoro che abbiamo definito funzionale, ma non in una gretta accezione, piuttosto diremo cosciente dei suoi legami, della rete di relazioni che con esso si stabilisce con gli altri uomini, ci pongono su un piano di concretezza da cui per forza ci si deve opporre alle forme d’arte agitate, nella loro rozzezza pratica, dal sentimento e dalla passione e che per compiacimento autobiografico si invischiano in uno spasimo che può essere denso di suggestioni ma cui è anche preclusa ogni visione di verità. La storia della compagine si intrecciò inizialmente con le vicende della complessa ricostruzione postbellica del capoluogo toscano e con la progressiva ripresa delle attività editoriali ed espositive nel territorio cittadino. Il nucleo originario del collettivo si era formato all’interno della redazione di “Torrente”, quindicinale di arte e cultura fondato nell’estate del 1945 da Vinicio Berti, Bruno Brunetti, Alberto Caverni e Aldo Manetti, ai quali si avvicinò presto anche Gualtiero Nativi. All’inizio del 1946, lo stesso anno in cui a Firenze furono organizzate, tra le altre, la collettiva di Amici di Rinascita e l’esposizione Pittura francese d’oggi , Berti e Brunetti inaugurarono la loro prima mostra ufficiale alla Galleria La Porta, spazio espositivo aperto nell’aprile 1945 su iniziativa di Silvano Bozzolini, Mario Calderai, Arrigo Dreoni e Angelo Maria Landi . Stando ai ricordi di Vinicio Berti, la doppia personale non venne accolta favorevolmente dalla critica e dal pubblico , ma contribuì a consolidare i legami tra il gruppo di “Torrente” e i fondatori della galleria, che nei mesi successivi iniziarono a incontrarsi regolarmente. Ad unirli era soprattutto la passione civile e politica, sulle cui basi sarebbe nata, alla fine dello stesso anno, la compagine Arte d’Oggi. Da un appunto di Vinicio Berti riguardante la cosiddetta «riunione di pre-fondazione del gruppo Arte d’Oggi», fissata per il 21 novembre 1946 alla presenza dell’assessore alle Belle Arti Pariso Votto, si apprende infatti come l’elemento di
coesione del gruppo consistesse proprio nell’appartenenza o nella vicinanza ai partiti di sinistra. La breve nota, affidata all’ultima pagina di un diario personale risalente alla fine del 1946 e comprendente anche una lista di persone da invitare all’incontro , si concludeva con l’affermazione «Forse per mostra ci finanziano perché hanno paura di noi»: un primo probabile riferimento alla Prima Mostra Arte d’Oggi. Contenuto e Forma di una Nuova Realtà, che sarebbe stata inaugurata il 3 maggio 1947 presso la Galleria Firenze con il contributo di “Toscana Nuova”, settimanale del P.C.I. locale , e della “Difesa”, organo di stampa del P.S.I. toscano.
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L’esigenza di rinnovamento alla base dell’impegno politico di Arte d’Oggi si rivela non solo in una fervida attività espositiva e di propaganda svolta tra il 1947 e il 1950, ma anche in una ricerca radicale sul medium pittorico che si sarebbe presto tradotta, da parte di alcuni esponenti del gruppo,
nell’elaborazione di un originale linguaggio aniconico. I primi confronti con le problematiche dell’astrazione risalgono probabilmente all’inizio degli anni quaranta, come si apprende dai diari di Vinicio Berti. Nel 1942 l’artista annotava infatti: Nuove tendenze astratte-irreali ma, e qui si entra nel vivo dell’astrattismo, comincia ora la nuova ricerca di superamenti di nuove formule ‘pittura metafisica’ i deformismi cubisti, gli astrattismi vari dopo questi ultimi episodi una vera e propria scuola non si è più avuta, se si eccettua quella degli astrattisti francesi che però non risulta una novità». È possibile, del resto, che già nel febbraio 1940 i futuri componenti di Arte d’Oggi avessero visitato la mostra sulla moderna arte italiana curata da Aniceto del Massa nella sede de “La Nazione”, in occasione della quale erano stati esposti, oltre ai lavori di Giorgio De Chirico, Achille Funi, Mauro Reggiani, Gino Ghiringhelli, Lucio Fontana, Gino Severini, anche alcuni dipinti astratto-geometrici di Osvaldo Licini. Solo nella tarda estate del 1947, tuttavia, Vinicio Berti abbandonerà la figurazione per rivolgersi alla creazione delle prime opere astratte , aprendo la strada alle ricerche condotte l’autunno successivo da Gualtiero Nativi e, tra la primavera e l’estate del 1948, da Bruno Brunetti e Alvaro Monnini . La svolta può essere forse ricondotta alle impressioni ricevute nel corso di un breve viaggio a Parigi compiuto dall’artista tra l’agosto e il settembre di quello stesso anno. Grazie ad un concorso promosso dal Partito Comunista toscano in occasione del Festival Nazionale della Gioventù di Firenze, Berti ebbe infatti l’opportunità di visitare, insieme al compagno Alvaro Monnini, «alcune gallerie», il «museo degli impressionisti», e il «museo dei modernissimi», in cui erano esposte opere di Picasso e di Pignon. Il mito della Parigi capitale internazionale dell’arte era alimentato anche dalle informazioni trasmesse da Berto Lardera, scultore vicino alla Galerie Denise René, il cui influsso sugli astrattisti fiorentini è spesso stato ricordato dalla critica. In contatto epistolare con Berti, l’artista, autore di articoli sull’arte moderna francese pubblicati su “Il Nuovo Corriere”, incoraggiava i giovani compagni ad abbandonare il post-cubismo per rivolgersi all’astrattismo, alla ricerca di ciò che definiva il «simbolo formale». Lo scultore li esortava a non curarsi delle «difficoltà derivanti dall’ambiente mediocre, dalla durezza della vita e dalle notizie inesatte» che potevano giungere da Parigi. Nonostante fosse «una cosa dura, difficile, per la quale occorreva avere una larga sensibilità, capace di accogliere nuovi e imprevisti rapporti formali e una volontà ferma», Lardera credeva che solo attraverso l’arte astratta si potesse «progredire e rappresentare le aspirazioni liriche di una nuova società». Alle suggestioni provenienti da Lardera si univano le riflessioni di Silvano Bozzolini, che restituiva ai compagni una personale analisi della recente produzione artistica francese. Mentre lo scultore si concentrava sul valore costruttivo e simbolico dell’immagine, intesa come equivalente geometrico dell’oggetto reale, Bozzolini, trasferitosi a Parigi alla fine del 1947, si mostrava maggiormente interessato alla valenza compositiva del disegno e del colore e proponeva un’articolata problematizzazione del
rapporto tra pittura figurativa e non figurativa. Entrambi gli artisti sembrano pertanto rappresentare dei punti di riferimento per gli astrattisti di Arte d’Oggi, i cui lavori si fondavano sulla relazione tra attenti accostamenti cromatici e una meditata struttura compositiva, sostanziata di elementi geometrici spesso in rapporti modulari tra loro. L’ambizione al rinnovamento dei codici visivi si scontrava tuttavia con le chiusure di un orizzonte culturale tendenzialmente ‘ostile’. Nonostante alcune aperture correlate alla naturale vivacità della ricostruzione post-bellica, la Firenze della fine degli anni quaranta appare infatti poco incline ad accogliere le sperimentazioni di
tipo astratto. In un ambiente segnato dal rinsaldarsi della fortuna critica di Ottone Rosai e del rosaismo e dall’affermazione di compagini come Nuovo Umanesimo e Pittori Moderni della Realtà, l’attività di Arte d’Oggi rappresentava una sorta di eccezione, assimilabile solamente all’azione di Fiamma Vigo.

Il capoluogo toscano, profondamente legato al proprio passato medievale e rinascimentale, sembra comunque giocare un ruolo fondamentale nella formulazione di un originale linguaggio astratto da parte dei componenti di Arte d’Oggi, per i quali la tradizione artistica e architettonica fiorentina non costituiva tout court l’espressione di una cultura passatista da rinnegare, presentandosi, di contro, quale imprescindibile elemento di paragone nel processo di rifondazione dei codici visivi su solide basi razionali. Nella stessa definizione di Astrattismo Classico è implicito il tentativo di conciliare la sperimentazione aniconica con il recupero di una chiarezza stilistica perduta. Mediante un processo costruttivo rigoroso, mai freddamente distaccato, i concretisti fiorentini elaborano superfici pittoriche in cui i segni elementari della linea e del colore puro si articolano ritmicamente, ricreando equilibri compositivi analoghi a quelli proposti dalle opere tardo-medievali e della classicità rinascimentale. Il rapporto con la tradizione, affrontato esplicitamente da Ermanno Migliorini nel Manifesto dell’Astrattismo Classico, verrà ricordato in seguito anche da Gualtiero Nativi, che affermerà: « al di là di tutto, giocava in noi fiorentini, rivoluzionari finché si vuole, la necessità della misura, del rigoroso razionalismo della linea. Questo per capire quanto fosse sempre presente in noi il senso della tradizione, da Giotto a Masaccio, da Beato Angelico a Piero della Francesca. E questa razionalità, in ogni sua connessione estetica, l’abbiamo sempre mantenuta».
Comunisti e astrattisti, i membri di Arte d’Oggi furono osteggiati non solo da buona parte della critica e delle istituzioni culturali fiorentine, ma anche dai vertici del proprio partito. Forse anche per superare una condizione di sostanziale isolamento, tra il 1947 e il 1948 il gruppo cercò di intensificare i contatti con le formazioni più radicali attive a Torino, Venezia, Roma e Milano. Rilevanti punti di contatto, riconducibili alla comune ricerca di un linguaggio astratto improntata ad un forte impegno sociale, emergono soprattutto con la compagine romana Forma, la cui attività era nota negli ambienti fiorentini anche grazie a Silvano Bozzolini, che aveva avuto l’opportunità di incontrare alcuni membri del gruppo nella primavera del 1947, in occasione di una sua esposizione alla Galleria San Bernardo di Roma, e aveva dedicato un intervento al Manifesto di “Forma 1” sulla rivista “Posizioni” (aprile-maggio 1947). Nel corso del 1948, pur rifuggendo dalla formulazione di dichiarazioni programmatiche, i membri di Arte d’Oggi cercarono pertanto di definire con maggiore precisione i propri obiettivi e la propria struttura interna e, nel tentativo di dare un respiro internazionale alla propria azione, decisero di dare una diversa impronta alla Seconda Mostra di Arte d’Oggi, dall’eloquente sottotitolo Pittura e scultura italo-francese. L’esposizione, inaugurata il 20 marzo alla Galleria Firenze, si contraddistinse per la presentazione dei primi dipinti non figurativi di Berti e di Nativi, insieme ai lavori di Accardi, Turcato, Vedova, Consagra e Corpora, e degli artisti francesi Burtin, Dayez, Orazi e Pignon. Due lettere inviate da Parigi tra il febbraio e il marzo 1948 rivelano come i contatti con questi ultimi fossero stati curati sempre da Bozzolini, che, oltre ai nomi presenti in mostra, avrebbe cercato di coinvolgere anche Gischia e Fougeron. Nonostante le aperture al panorama artistico nazionale e internazionale e il sostegno di alcuni importanti esponenti della cultura cittadina si ricordano, in particolare, Giovanni Michelucci e Giusta Nicco Fasola, tra i membri del gruppo iniziò a serpeggiare un generale senso di sconforto. Ne resta chiara testimonianza anche nei cosiddetti ‘verbali delle riunioni’, appunti inediti redatti da Rodolfo Monnini (padre di Alvaro), che documentano l’attività collettiva del gruppo tra il 1948 e il 195030. Le riflessioni di carattere estetico si alternano ad accurati resoconti delle riunioni e degli episodi più rilevanti della storia della compagine, tra cui emergono i numerosi tentativi di esporre presso alcune gallerie romane. Particolarmente interessante, in tal senso, risulta essere la cronaca
dei contatti con Emilio Villa, che tra il 9 e il 17 gennaio 1949 si sarebbe recato a Firenze, su suggerimento di Corrado Cagli, per incontrare alcuni artisti del gruppo Arte d’Oggi. Il critico stava lavorando all’organizzazione di una mostra itinerante dedicata all’arte astratta per conto dello Studio d’Arte La Palma di Pier Maria Bardi e, per questo, avrebbe selezionato alcuni lavori di Bozzolini, Berti, Nativi, Brunetti e Monnini, prontamente inviati a Roma insieme alle relative riproduzioni fotografiche. Il progetto sarebbe tuttavia fallito, generando un diffuso malumore all’interno del gruppo. Nonostante le avversità, gli artisti decisero di continuare la propria battaglia per un’arte sociale e antiaccademica. Sulla scia del succès de scandale ottenuto con la mostra 4 pittori espongono, in occasione della quale Berti, Brunetti, Monnini e Nativi avevano presentato dodici dipinti astratti senza titolo né firma, contrassegnati solo da un numero, alla fine del 1948 erano iniziati i preparativi per la Terza Mostra Internazionale di Arte d’Oggi, inaugurata alla Strozzina nel giugno 1949 . Sebbene possa essere ricordata come il più importante evento espositivo organizzato dal gruppo, la mostra si concluse nel sostanziale silenzio della critica e contribuì ad alimentare i dissapori tra gli artisti di Arte d’Oggi. Nei mesi successivi il gruppo dovette affrontare, del resto, numerosi momenti di difficoltà, legati in parte all’esclusione dalla XXV Biennale di Venezia e dalla IV Mostra Annuale dell’Art Club, in parte ad altri tentativi non riusciti di esporre nella capitale. Si veda, a tale riguardo, il resoconto di Rodolfo Monnini relativo al soggiorno romano di Berti, Monnini, Brunetti, Nativi, Nuti e Migliorini del 28 e 29 dicembre 1949, finalizzato all’organizzazione di una mostra sull’arte astratta che si sarebbe dovuta idealmente contrapporre alla Biennale di Venezia. Il progetto, come si apprende dai verbali, non sarebbe mai stato realizzato, esattamente come l’ipotesi di allestire una mostra presso la Galleria Origine, diretta da Ettore Colla. Negli appunti del 3 giugno 1950 si legge, a tale proposito: «È sfumata una delle più ambite esposizioni che il gruppo poteva organizzare. C’è un destino maligno che perseguita il gruppo. Avvilimento generale. Bisogna fare qualcosa!». Durante l’estate del 1950 dopo accese
discussioni Berti e i compagni di programmare una ‘seconda fase’ della vita del movimento, improntata a un maggiore coinvolgimento dell’opinione pubblica nella propria attività. Tale stagione si aprì con un’esposizione allestita presso la Galleria Vigna Nuova, in occasione della quale gli artisti distribuirono il celebre Manifesto. Una poetica dell’astrattismo: un testo dal carattere provocatoriamente aprogrammatico e divulgativo, firmato da Ermanno Migliorini. Redatto a posteriori, il manifesto dimostra la coerenza delle tesi sostenute sin dai tempi di “Torrente”, quando il gruppo, proponendo un approccio alla pittura privo di dettami aprioristici, aveva rifiutato il carattere normativo, ritenuto restrittivo, dei manifesti, in nome di una stringente coincidenza tra arte e vita. Gli artisti di Astrattismo Classico vi enunciarono il proprio «programma morale e politico», illustrando il loro impegno «non più a interpretare e a descrivere ma a intervenire nella realtà». Ispirati ad un profondo anti-idealismo, i dipinti venivano descritti come lavori e non come capolavori; le opere, espressione di una nuova «arte di classe» intesa come «arte della classe operaia», venivano presentate come uno strumento utile alla formazione delle coscienze in una società da ricostruire. Intitolata Fine dell’Astrattismo, in aperta polemica con le critiche mosse da Adriano Seroni, la mostra della Vigna Nuova sancì la provocatoria nascita dell’Astrattismo Classico e decretò, al contempo, la conclusione dell’attività collettiva del gruppo, cui si era nel frattempo unito Mario Nuti. Nel catalogo si legge: «pubblichiamo un manifesto per difendere sul piano pubblicitario in sé i nostri quadri non hanno bisogno di difesa alcuna, si difendono bene da soli la pittura della scuola fiorentina, l’astrattismo classico . Questa è la nostra protesta contro i responsabili della nostra assenza alla Biennale; intitoliamo questa mostra ‘Fine dell’astrattismo’ per rispondere con la qualità delle nostre opere a chi quella fine ci augurava». Sebbene la mostra, nell’agosto 1950, venisse riproposta a Venezia presso la Galleria Bevilacqua la Masa, la collegialità dell’azione avrebbe presto ceduto il passo a ricerche di carattere individuale. L’inasprirsi delle incomprensioni e dei problemi interni al gruppo, il contrastato rapporto con il sistema della critica e del mercato dell’arte e l’amarezza – nonostante l’impegno nella costruzione di un’articolata rete di
relazioni per il limitato riconoscimento a livello nazionale e internazionale, avrebbero infatti portato, nel giro di pochi mesi, allo scioglimento della compagine.
Lo stesso Vinicio Berti annotava del resto, già alla fine di maggio del 1950: «Siamo giunti (o sono giunto) alla soluzione di un problema, e per fortuna mia, sono certo che ne appare, vigoroso, uno nuovo. Fine dell’astrattismo classico (così l’ho chiamato) fine dell’esperienza purista, diremo per intenderci». Una sezione della mostra è invece dedicata al fumetto di Berti e ai suoi personaggi molto conosciuti nel mondo, grazie anche alla figura base di Pinocchio che lo ha, come lo stesso artista affermava, “perseguitato” per tutta la vita. E’ stato recuperato per la mostra anche il documentario d’arte, recentemente ri-digitalizzato, Vinicio Berti 70 Anni di Pittura Conto del 2002 prodotto dall’Archivio Vinicio Berti - Firenze, dal Centro Internazionale Antinoo per l’Arte - Centro Documentazione Marguerite Yourcenar, con il rimixaggio di alcune importanti interviste dell’artista.
Galleria d’Arte Moderna di Roma
Vinicio Berti Antagonista Continuo
14 Ottobre 2021 al 27 Febbraio 2022
dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.30
Lunedì Chiuso