Giovanni Cardone Novembre 2024
Fino al 3 Marzo 2025 si potrà ammirare Museo Collezione Peggy Guggenheim Venezia la mostra dedicata a Marina Apollonio Oltre il Cerchio a cura di Marianna Gelussi. Con un centinaio di opere provenienti dalla collezione dell'artista e da istituzioni museali nazionali e internazionali, Marina Apollonio. Oltre il cerchio è la più ampia retrospettiva mai realizzata in ambito museale in Italia dedicata a Marina Apollonio, tra le maggiori esponenti dell'Arte ottica (Op) e cinetica internazionale, sostenuta e collezionata da Peggy Guggenheim. Mettendo in evidenza il rigore della sua ricerca visiva, tra pittura, scultura e disegno, opere statiche, in movimento e ambientali, bianco e nero e ricerca cromatica, sperimentazioni tecniche e di materiali, questo dovuto omaggio ripercorre la carriera artistica di Apollonio, dal 1963 a oggi. Questo omaggio negli spazi della Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia, dove Apollonio si trasferisce da bambina e compie i primi passi d'artista, mette in luce il ruolo di Peggy Guggenheim, collezionista attenta e lungimirante. Nel 1968, dopo aver visitato la personale di Apollonio alla galleria Barozzi di Venezia, Guggenheim le commissiona Rilievo n. 505, tutt'oggi parte della collezione, riprova del suo sostegno alle giovani avanguardie italiane. La mostra si inserisce nella tradizione espositiva del museo, che, accanto ad esposizioni di respiro internazionale, ospita rassegne volte a celebrare i protagonisti della scena artistica nazionale del secondo dopoguerra, sostenuti dalla mecenate, quali Edmondo Bacci, a cui è stata dedicata la recente monografica, Tancredi Parmeggiani, e ora Marina Apollonio. In una mia ricerca storiografia e scientifica sulla figura di Mariana Apollonio e sull’Arte Ottica e Cinetica apro il mio saggio dicendo : Posso affermare che l’arte e la psicologia possono risultare due ambiti di studio separati e lontani tra loro, a partire dagli anni ‘60 del Novecento, però, queste due discipline vengono indagate simultaneamente riportando studi di ampio rilievo. Grande rilevanza, infatti, hanno gli studi di Ernst Gombrich che pubblica nel 1960 l’opera Arte e illusione; con questo testo, come storico e critico d'arte, pone le basi per un dibattito sulla rappresentazione pittorica condotto con strumenti non solo storico-artistici ma anche filosofici e psicologici. Tale studio gombrichiano resterà fondamentale e darà vita, con il passare del tempo, anche a ricerche in area filosofico-analitica. Rifacendosi a studi precedenti, Gombrich sostiene che fu George Berkeley, nel XVIII secolo, a fornire la base filosofica necessaria per una ritrovata concezione della visione e della rappresentazione. In particolare, Gombrich riportando gli studi condotti da Berkeley sostiene che: I sensi ci trasmettono sensazioni atomiche, di per sé prive di significato, le quali si aggregano perché prodotte da esperienze ripetute più volte o perché co-occorrenti e solo come aggregati vengono ad assumere significato. Successivamente anche Hermann von Helmholtz , medico, fisiologo e fisico tedesco, nel XIX secolo, parla di “inferenza inconscia” facendo riferimento a quelle conoscenze che si sono accumulate a livello preconscio a seguito di esperienze passate. Gombrich, inoltre, nella sua ricerca in Arte e illusione si basa anche sul pensiero filosofico di Karl Popper . In particolare, per la sua storiografia dell’arte, Gombrich ritiene fondamentale l’utilizzo di tre regole che Popper elabora per la metodologia sociologica nel 1957 in Miseria dello storicismo: non esiste l’arte, ma esistono solo gli artisti. Le immagini sono il prodotto di singoli artisti, sono dovute alle loro intenzioni individuali, dunque sono gli artisti a scegliere di quali mezzi stilistici avvalersi nella produzione della propria opera; la maggior parte delle opere d’arte è stata concepita nel contesto di una particolare occasione, che l’artista aveva in mente nel momento in cui produsse l’opera, perciò le scelte degli artisti, benché libere, sono parzialmente condizionate dal motivo che spinge alla produzione dell’opera; le opere sono tentativi di soluzione razionale ai problemi posti dagli artisti nel loro ambiente sociale. Ciò comporta che le scelte stilistiche siano ulteriormente condizionate dal contesto di produzione dell’opera, per esempio dai committenti. Inoltre, dal contesto dipende la gamma di scelte stilistiche, di abilità tecniche, di cui l’artista dispone . Si comprende, dunque, che i cambiamenti di stile sono una condizione direttamente proporzionale ai cambiamenti nelle necessità della società e che non dipendono da leggi di evoluzione della storia ma da scelte arbitrarie che lo storico dell’arte deve studiare per conoscere a fondo la ragione di tali cambiamenti. Lo stesso Gombrich risulta molto legato agli studi di Popper, infatti analizza i temi popperiani riguardanti: congettura e confutazione e il problema dell'induzione; ossia la messa alla prova delle nostre teorie dai fatti che le possono falsificare. Si evidenzia, dunque, come Gombrich, partendo dagli studi di Popper per lo sviluppo della conoscenza scientifica, proponga gli stessi per lo sviluppo degli stili di rappresentazione. Popper, infatti, come visto in precedenza, ritiene che la conoscenza derivi dalla formulazione di ipotesi che vanno confrontate con dati esperienziali che saranno in grado di confermarle o smentirle. Gombrich, pertanto, consapevole degli studi della Gestaltpsychologie e dell’influenza della teoria helmholtziana sulla rappresentazione della storia stilistica, ritiene che «una nuova teoria della rappresentazione avrebbe dovuto necessariamente fondarsi su una conoscenza più approfondita del funzionamento del cervello visivo». Fondamentale è ricordare che nonostante le teorie di Karl Popper siano state alla base degli studi condotti da Gombrich lui non ne rimane fedele. Popper, al contrario di Gombrich, ricorre all’innatismo, ossia la teoria psicologica secondo cui il comportamento non deriva dall'esperienza ma dal patrimonio genetico, e alla svalutazione del ruolo delle esperienze di osservazione diretta. Ulteriore fonte di rilevanza per Gombrich è The Elements of Drawing scritto nel 1857 da John Ruskin , scrittore, pittore, poeta e critico d'arte britannico. Ruskin sostiene che il proprio ideale di rappresentazione realistica sia raggiungibile solo rinunciando a tutto ciò che conosciamo del mondo visibile per ridurre il problema della pittura alla semplice resa del mondo tridimensionale su una superficie piana. Quest’idea esemplifica il pensiero di Gombrich sulla psicologia della rappresentazione pittorica, «una psicologia della percezione visiva fondata sulla credenza della possibilità di accesso diretto ai sense data, i dati sensoriali, costituenti primari della percezione». L’idea di Ruskin, però, si basa sulla tradizione artistica occidentale che considera l’arte come imitazione della realtà, si deduce quindi che ci debba essere una somiglianza tra immagini e realtà dipinta perché un’opera d’arte possa essere considerata accettabile. L’origine di questa teoria mimetica dell’arte si ritrova nei testi di Platone e Aristotele. In particolare, secondo Platone, filosofo dell’Antica Grecia, la rappresentazione pittorica imita ciò che è presente nella realtà riferendosi ad esempio ai colori presenti in natura. Platone, dunque, nella sua teoria mimetica della rappresentazione pittorica considera come elementi di somiglianza della realtà non la prospettiva o l’ombreggiatura ma gli elementi essenziali di un dato soggetto. Secondo il filosofo, quindi, ciò che è reale sono le idee che vengono considerate il modello da seguire per realizzare ogni rappresentazione della realtà. Per Platone, infatti, dal momento che non abbiamo accesso alla realtà delle cose non si può riprodurre un mondo esistente ma realizzare un’alternativa che non tenti di spacciarsi per quello reale. Gombrich, quindi, per un certo verso si avvicina all’idea di Platone e dall’altro si distacca dall’idea occidentale di somiglianza. Il critico d’arte, infatti, constata che gli artisti non possono trascrivere allo stesso modo ciò che è presente nella realtà anche sulla tela o in qualsiasi altro mezzo, altrimenti non ci sarebbe distinzione tra l’originale e il suo prototipo. Si deduce, perciò, che l’artista non può compiere una riproduzione effettiva della realtà ma la traduce o la evoca a seconda di ciò che da lui viene percepito. La vista risulta quindi un ambito che apre strade a diversi studi e considerazioni che si sono protratte dall’antichità ad oggi. Apparentemente il vedere può sembrare un’azione quotidiana alquanto scontata e semplice che permette non solo di orientarci ma anche di godere della realtà nelle sue forme più molteplici. Tale modo di operare del sistema visivo viene utilizzato in maniera ancora più precisa e dettagliata dalla capacità dell’artista di creare schemi che diano un’interpretazione dell’esperienza attraverso forme organizzate. Infine, analizzando le fonti di riferimento di Gombrich si comprende come, nel corso del tempo, si siano evolute le considerazioni della rappresentazione pittorica dall’antichità fino a giungere all’epoca contemporanea. Penso che uno dei maggiori artisti italiani che emerse negli anni ‘60 durante il periodo dell’arte cinetica è stato senza dubbio Alberto Biasi, nasce a Padova il 2 giugno 1937. A causa della guerra si trasferisce dalla nonna paterna a Carrara San Giorgio, rimasto orfano di madre, alla fine del conflitto, ritorna a Padova dove frequenta le scuole elementari, medie e il Liceo Classico. La sua propensione verso le discipline artistiche emerge fin dalla scelta di conseguire un diploma di maturità artistica. Nel 1958 si iscrive all’Istituto di Architettura a Venezia e nel 1962 al Corso Superiore di Disegno Industriale. Diventa insegnante di Disegno e Storia dell’Arte presso la scuola pubblica e anche professore di Grafica Pubblicitaria all’Istituto Professionale di Padova. La sua carriera artistica però inizia già nel 1959 quando viene formato il famoso Gruppo N, un gruppo di studenti di Architettura con cui Biasi partecipa a diverse manifestazioni artistiche. Nel 1960 partecipa alle mostre della Galleria Azimut di Milano ed espone assieme a Manfredo Massironi, Piero Manzoni, Enrico Castellani e Heinz Mack (1931) nella mostra “La nuova concezione artistica”. Grazie ai molteplici viaggi a Milano, crocevia di numerosi artisti, Biasi matura assieme a Massironi l’idea di fondare il Gruppo N che, in breve tempo, diventa protagonista di molte esposizioni nazionali e internazionali riguardanti l’arte cinetica. La sede del Gruppo è a Padova ma espone anche a Zagabria, Venezia, Parigi entrando in contatto con altri sperimentatori europei. Biasi, assieme al Gruppo N, partecipa a diverse mostre di rilievo, come nel 1962 presso i Negozi Olivetti con Arte Programmata che si svolge non solo a Milano ma anche a Venezia, Roma e presso gallerie e musei londinesi e americani. Nel 1964 il Gruppo partecipa anche alla XXXII Biennale Internazionale di Venezia e nel 1965 alla famosa mostra del MoMA The Responsive Eye. La storia del gruppo si conclude nel 1966 ma Biasi, assieme a Landi e Massironi cerca di dare avvio al nuovo Gruppo N 65 senza ottenere grandi risultati. Al termine di tale esperienza Biasi prosegue le sue ricerche personali aggiornando i risultati raggiunti con nuove soluzioni espressive I suoi studi artistici si sono sempre rivolti «verso l’indagine percettiva, attraverso cicli di lavori che hanno indagato i problemi relativi alla percezione visiva e all’interazione con l’opera». Molte delle sue opere come Trame e Rilievi ottico-dinamici generano effetti ottico-cinetici che «solo con la partecipazione dello sguardo del fruitore queste opere sprigionano il loro dinamismo e la loro continua mutevolezza». Anche attraverso Torsioni e Ambienti Biasi cerca di provocare e stimolare l’occhio dell’osservatore. Durante gli anni ‘70, l’artista inizia ad elaborare un nuovo linguaggio personale attraverso altri ambienti come Eco o Io sono, tu sei, egli è in cui il pubblico è chiamato ad interagire direttamente con l’installazione. Negli anni 90, «abbina inserti pittorici a richiami figurali» e attorno al 2000, invece, coinvolge gli osservatori attraverso più tele “assemblate” tra loro che trovano l’equilibrio nel proprio “punto di rottura”, tali opere sono conosciute come il ciclo degli Assemblaggi. La ricerca di Biasi prosegue tutt’ora grazie anche alla rielaborazione di soluzioni formali che continuano ad offrire nuove chiavi di lettura della sua arte, «un’arte visiva che trasmette conoscenza e sapere attraverso gli occhi» . Per quanto riguarda le opere di maggiore interesse che Alberto Biasi realizza durante i suoi studi relativi all’arte cinetica si può innanzitutto individuare Strutturazione cinetica del 1964. Quest’opera viene realizzata da Biasi attraverso pittura acrilica su dischi in PVC che ruotano per effetto di elettromotori. Quest’opera è commissionata da parte dell’azienda italiana Magneti Marelli al Gruppo N in occasione della 42a Fiera Campionaria di Milano. Tale opera viene eseguita con l’intento di «mostrare la variazione cromatica nelle riprese con telecamera fissa a circuito chiuso a colori» . Nonostante l’opera porti la dicitura “Gruppo N” è noto che l’esecutore di tale lavoro è Alberto Biasi che progetta quest’opera cinetica «costituita da 19 dischi bicolori dipinti secondo il simbolo del Tao». Inizialmente, i dischi, disposti sulla tavola dipinta di bianco, erano realizzati in ottone, ma ben presto si nota che il materiale è troppo pesante per permettere un movimento costante e fluido. Per questo motivo, l’opera viene modificata sempre nel 1964 in occasione della XXXII Biennale di Venezia «con inserti in PVC su un supporto ligneo dipinto di nero, l’opera viene presentata con il titolo Struttura cinetica 2» . Nel 1983, infine, l’opera viene restaurata da Biasi stesso riportando il fondo all’originale colore bianco, come nella sua prima versione. Altra serie di opere che Biasi inizia ad indagare negli anni ‘60 del secolo scorso, ma che tutt’oggi prosegue, è Torsioni. Un esempio di tale serie di opere lo si può riscontrare in Dinamica triangolare bianca , opera che l’artista realizza tra il 1965 e il 1976. Le Torsioni sono la serie di opere che ha reso Biasi conosciuto e famoso, già dal nome si comprendere il suo «aspetto idealmente dinamico e fisicamente artigiano del manufatto». In particolare, nell’opera Dinamica triangolare bianca, che viene realizzata in acrilico e PVC su tavola di dimensioni 77 x 88 cm, anch’essa esposta alla mostra Tuffo nell’arcobaleno, si constata che è «necessario che il punto di vista dello spettatore - e quindi lo spettatore stesso materialmente si sposti per ottenere quell’effetto di pulsazione della superficie». In questo caso, il concetto che la superficie torcendosi diventa un rilievo pone in campo anche la questione relativa alla tridimensionalità e alla profondità, che da mimetica diventa reale, per ottenere un risultato di spiazzamento. In sostanza, quello che cerca di fare Biasi è di coinvolgere in termini emotivi, sensoriali, psicologici l’attività percettiva dello spettatore con cui l’artista intende tessere un dialogo serrato. La stessa volontà di affascinare e stupire lo spettatore la si riscontra anche in opere come Rilievo ottico dinamico  che fa parte di alcuni lavori ottico-cinetici realizzati a partire dal periodo del Gruppo N e proseguiti poi in tempi odierni. Quest’opera, esposta al Museo dell’Ara Pacis, ha dimensioni di 183 x 126 cm ed è realizzata a rilievo in PVC su tavola. Si può notare che dal punto di vista costruttivo si tratta di configurazioni lineari collocate su due piani sovrapposti, distanziati di pochi centimetri tra loro. Il piano sottostante è dedicato al tracciato compositivo che risulta lineare e cromatico, mentre quello a rilievo è costituito da una cascata di lamelle-fettucce in PVC capaci di produrre un inganno ottico che svia lo spettatore dalla forma originale. Quello che si percepisce è il fatto che le strutture sono ad un unico livello che si muove, mentre tale illusione è data dall’interferenza dei due piani. Tutto questo porta il fruitore all’individuazione e immaginazione di nuove realtà formali. L’idea di Biasi è quindi quella di ricondurre chi osserva ad una sorta di dipendenza ipnotica. Infatti, l’attrazione estetica che produce nell’osservatore a causa delle sue mille trasformazioni e soluzioni dinamiche porta l’opera, inevitabilmente, ad essere oggetto di fascino. Durante la sua ricerca ottico-cinetica Biasi realizza anche i primi Politipi che risalgono al 1965 e la cui indagine prosegue per oltre vent’anni. Un esempio di tali opere lo si può riscontrare in Politipo del 1969. Quest’opera, presentata alla mostra Tuffo nell’arcobaleno, è un rilievo in PVC su tavola che misura 60 x 60 cm. In tale serie di opere Biasi combina «gli elementi delle torsioni con le superfici piatte campite con colori timbrici». Marina Apollonio figura di spicco dell’Arte Cinetica e figlia del Critico d’Arte Umbro Apollonio. Nasce a Trieste nel 1940 ma da giovanissima si trasferisce con la famiglia a Venezia, dato che il padre viene chiamato a dirigere l’archivio storico della Biennale. Nel 1959, dopo la conclusione degli studi superiori, si iscrive ai corsi di pittura del professor Giuseppe Santomaso presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Si dedica, inoltre, anche alla progettazione d’interni, all’industrial e graphic design. A partire dal 1962, inizia le sue ricerche riguardo la comunicazione e percezione visiva da cui vengono realizzati i primi Rilievi metallici e Dinamiche circolari. Nel 1963 si reca a Parigi per lavorare come progettista presso uno studio di architettura. Quando, nel 1964, torna in Italia prosegue con la creazione delle sue opere, utilizzando materiali industriali moderni per creare strutture calcolate che all’osservatore appaiono come spazi dinamici e fluttuanti. Grazie alla conoscenza con Getulio Alviani espone per la prima volta alla mostra collettiva organizzata presso il Centro d’Arte Il Chiodo di Palermo, vincendo il primo premio. Nel 1965 stringe rapporti con i membri del Gruppo N, Gruppo T, con gli artisti del GRAV e molti altri aderendo anche al movimento internazionale Nuova Tendenza.
Da questo momento in poi Marina Apollonio partecipa a diverse importanti esposizioni, come la rassegna Op-Pop alla Galleria D di Francoforte nel 1966 o la collettiva Public Eye di Amburgo nel 1968. Nel 1969 si trasferisce dal Lido di Venezia a Padova, dove tuttora vive. I suoi interessi si sviluppano nel corso del tempo. Infatti, dal 1975 realizza opere che si basano sul rapporto ortogonale di linee parallele colorate, verticali o orizzontali su fondo nero, mentre nel 1981 inizia a dedicarsi alla tessitura, esponendo al Laboratorio Artivisive di Foggia. Nel corso degli anni ha la possibilità di esporre vicino ad artisti di alto calibro dell’arte cinetica e Op Art come; Victor Vasarely, Bridget Riley, Julio Le Parc e François Morellet. Nel 2013 partecipa anche ad un'importante esposizione sull’arte cinetica internazionale presso il Grand Palais di Parigi. Ad oggi, Marina Apollonio continua a lavorare e vivere a Padova. Per poter apprezzare a pieno le opere che Marina Apollonio realizza durante la sua carriera è importante riportare le parole che Gillo Dorfles utilizza per spiegare il lavoro di Marina durante una sua mostra personale nel 1973: Quel filone dell’arte ottico-cinetica, che costruisce le opere basandole sopra la ottemperanza a precisi parametri percettivi, è stato abbracciato sin dalle sue prime esperienze da giovane artista triestina l’applicazione di leggi ottico-percettive ha permesso all’operatrice di realizzare una struttura dove lo spazio amorfo risulta attivato attraverso la messa in azione di proprietà percettive che sono, di solito nello spettatore, allo stato latente . Come spiegato in precedenza, Dinamiche circolari è una delle serie di opere maggiormente caratterizzanti la carriera dell’artista, che prende avvio nella seconda metà degli anni ‘60 e si rinnova poi nel corso del tempo. In particolare, grazie a queste, prende avvio una «“ricerca di attivazione visuale”, il cui scopo è esattamente quello d’instaurare con lo spettatore un rapporto di interrelazione mediato dalle leggi della percezione visiva estrinsecate in quattro modi differenti». Questi quattro diversi modi sono spiegati dalla stessa Apollonio in occasione della mostra personale tenuta alla Galleria Cenobio di Milano nel 1967. Essi servono per comprendere le caratteristiche e le suddivisioni che contraddistinguono i suoi lavori:   C’è unità circolari di attivazione spaziale interna. Attivazione ottenuta con tessiture bianche e nere: a strutture curvilinee e transassiali, a cerchi concentrici od eccentrici, ad archi di cerchio e loro organizzazione e trasformazione; proporzionalmente e inversamente graduali. La programmazione avviene all’interno e nel particolare: sottili variazioni tissurali danno diversità di sviluppo e di deformazione che interessano sia la forma a livello puramente strutturale che, e soprattutto, il rapporto tra questa e il suo risultato dinamico. La tessitura grafica ha in sé gli elementi per creare una percezione spaziale «attrattiva-espansiva» e «fluido-elastica».Unità circolari a possibile rotazione manuale. Forme circolari che pur essendo strutturalmente risolte nell’attivazione dello spazio interno come le precedenti, possono venire animate facendole ruotare manualmente su perni centrali di sostegno. Questa azione permette al fruitore di cogliere il comportamento dinamico dello spazio all’interno del cerchio. Il movimento ne accresce gli aspetti fenomenici e a seconda delle velocità impresse manualmente si hanno effetti di avvicinamento e allontanamento delle masse lineari, di concavità e convessità virtuali e sensazioni di fluidità pulsanti. Unità circolare creata esclusivamente per il movimento - rotosuperifcie. La superficie circolare è divisa diametralmente in due parti, l’una bianca e l’altra nera. Il movimento di rotazione prodotto da un motore elettrico a progressiva velocità determina la fusione totale dei due valori cromatici in modo da non permettere l’individuazione dei fattori costitutivi, se non attraverso la palpebrazione oculare del fruitore. La tensione dello spazio rotante permette di cogliere immagini spazio-temporali virtualmente organizzate. Unità circolari visivo cromatiche. Superficie ad attivazione strutturale interna dove il colore è elemento costitutivo. La programmazione cromatica si attua attraverso fasce uguali concentriche con variazioni alternate di 28 gradazioni progressive verso il bianco di blu e di verde che si compenetrano equivalentemente in un’opera e inversamente nell’altra, ne deriva un fenomeno di alterazione di ogni singolo valore cromatico in base all’accostamento dell’intensità di gradazione. Si ottengono valori virtuali rispetto alle unità cromatiche reali di base .
Quanto spiegato da Marina Apollonio vale anche per Dinamica circolare 6 Z + H ø 100  realizzata nel 1968. Come detto in precedenza, anche in questo caso, le linee bianche e nere, matematicamente calcolate, servono per creare uno spazio programmato in grado di attivare una serie di fenomeni di restituzione ed espansione della forma. Il movimento del cerchio, con il raggiungimento di diverse velocità, permette di ampliare gli effetti ottici insiti nella forma stessa dell’opera, portando a sensazioni di concavità o convessità. Interessante è notare come, a seconda della direzione in cui viene ruotata l’opera, si ottiene un cambiamento di risultato. Proprio per questo, il fruitore diventa una figura fondamentale perché, attraverso il suo intervento diretto, entra in un rapporto più profondo con l’opera. Il lavoro della Apollonio risulta quindi in continuo divenire e lo spettatore, attivando le proprie percezioni mentali, ne coglie le diverse variazioni. Basandosi sempre sulle sue Dinamiche circolari Marina Apollonio nel 1967 realizza Spazio ad Attivazione Cinetica 6B. Questo adattamento in scala architettonica delle sue Dinamiche viene concepito dall’artista con un impianto rotante che possa sorreggere il fruitore. Nonostante ciò, l’opera viene concretizzata solo cinquant’anni dopo, in occasione della mostra di Francoforte Op Art alla Schirn Kunsthalle. Fino a quel momento era stata presentata solo sotto forma di maquette, come nel caso dell’esposizione alla Neue Galerie di Graz nel 1973 intitolata “Marina Apollonio, werke 1964- 1973”. Per comprendere il funzionamento dell’opera è importante sapere che il pavimento della rotonda della Schirn Kunsthalle è costituito da un disco di diametro di 10 metri. La Dinamica è posta sopra ad un’unità circolare ad attivazione interna, dove al di sopra vengono applicate strutture curvilinee con pattern bianchi e neri che, per la loro disposizione transassiale, fanno percepire al fruitore uno spazio che si espande e restringe in continuazione. Nel momento in cui il disco viene azionato meccanicamente crea un movimento centrifugo e dinamico centripeto, portando il fruitore a percepire effetti disequilibranti. Inoltre, se si osserva il disco dall’alto quello che si percepisce è una sorta di massa fluida che sprofonda e si innalza. Nelle esposizioni avvenute più di recente rispetto a quella del 2007, «l’opera è stata realizzata mediante l’installazione su pavimento di una superficie adesiva in vinile che genera, mediante un effetto ottico, la dinamica percettiva» . Altra opera facente parte del lavoro dell’artista è Gradazione 15 N Rosso Giallo su Blu. Tale opera fa parte della serie Gradazioni-espansioni cromatiche che Marina Apollonio realizza tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70. Attraverso lo studio delle gradazioni di colore, l’artista dipinge, su tela o masonite, delle corone circolari concentriche ed equidistanti secondo una precisa programmazione schematica. Ciò che deriva da tali lavori è un aspetto davvero particolare e interessante. Infatti, se si osserva per qualche istante l’opera non appare statica ma inizia a vibrare, portando a dei fenomeni di tridimensionalità. Questo si svolge perché, nella retina avviene un procedimento di fusione delle tinte, quindi, si percepiscono due toni adiacenti in modo diverso da come sono nella realtà. Tale alterazione concorre nel creare dei fenomeni di attivazione virtuale degli elementi di base. A questo periodo appartiene anche la serie Rilievi Circolari a Diffusione Cromatica, un ciclo di opere molto elegante, raffinato e dall’aspetto essenziale. Un esempio è Rilievo Circolare a Diffusione Cromatica n. 22 , in cui viene creata «un’interferenza tra la forma perfetta disegnata sul materiale plastico e il gioco ottico generato dai colori dipinti in modo alternato, sui bordi dei solchi incisi» . Spostandosi da destra verso sinistra si percepisce il colore e un alone, la cosiddetta “diffusione cromatica”, che sembra essere emanata dal cerchio dipinto. Essa è generata da «l’incidenza della luce e la mutevolezza dell’angolo di visuale» che si crea tramite lo spostamento. Al contrario di quello che si può pensare, la realizzazione di tale ciclo di opere non è semplice, infatti: ogni parte della circonferenza disegnata dista da quella scavata la misura di un rapporto matematico calcolato in modo da innescare una perfetta relazione bivalente tra l’elemento fisso e quello variabile . Per tali lavori, l’artista preferisce alternare colori opposti quali il bianco e il nero, o l’utilizzo di tinte fluorescenti, «incastrando il cerchio di base con una o più circonferenze incise». Dai lavori di Marina Apollonio si percepisce, dunque, un attento studio ma anche una sorta di naturalezza con cui l’artista cerca di coinvolgere lo spettatore sia a livello percettivo che psicologico facendolo immergere completamente nelle sue opere.  All’interno del Gruppo N ulteriore personaggio di rilevanza è Manfredo Massironi . L’artista nasce a Padova nel 1937 e frequenta la Facoltà di Architettura e il Corso Superiore di Disegno Industriale a Venezia. Quando nel 1959 prende avvio a Padova il Gruppo N, Massironi viene da subito considerato il più autorevole interprete del rinnovamento del linguaggio artistico. In particolare: Questi sviluppò fin dai primi anni ‘60 un interesse particolare nei confronti degli studi sulla psicologia della forma soprattutto dopo la lettura dei testi di Rudolf Arnheim Arte e percezione visiva e di Wolfgang Köhler La psicologia della gestalt, usciti nella traduzione italiana nel 1962, che diedero conferma teorica alle sue opere già formalmente improntate alle ricerche gestaltiche svolta in ambito scientifico . Tali propensioni di Massironi si riscontrano quando nel 1959 partecipa al Premio San Fedele a Milano presso la sede dei Padri Gesuiti con l’opera Momento n.2, un cartone ondulato «di una essenzialità che potremmo definire per forma e materiale anticipatrice di modalità minimaliste». Tale opera scatena una polemica che coinvolge sia la stampa nazionale che i critici. Questa vicenda porta Piero Manzoni ad invitare Massironi all’attività espositiva della Galleria Azimut di Milano. Durante la sua presenza come fondatore e membro all’interno del Gruppo N, Massironi «si distingue per la coerenza teorica e sperimentale con la quale sviluppa le sue ricerche nel campo della percezione della forma» . Massironi, come referente del Gruppo N, già a partire dai primi anni 70, entra in contatto con diversi artisti, critici e specialisti di musei italiani e stranieri. Al termine di tale periodo, invece, «si dedica agli aspetti psicologici della percezione visiva e intraprende la carriera accademica, insegnando presso le Università di Bologna, di Roma e infine di Verona». Contemporaneamente all’attività accademica, Massironi prosegue con la sua ricerca artistica partecipando ad esposizioni in Italia e all’estero. Grazie a tali studi Massironi partecipa a conferenze internazionali e intesse stretti rapporti con figure di rilevanza come Gaetano Kanizsa e altri importanti studiosi della psicologia della Gestalt. Manfredo Massironi muore a Padova nel 2011 . Una delle prime opere di maggior interesse che riguarda l’operato di Massironi è senza dubbio Struttura poliriflessa o conosciuta anche come Cubo luminoso a struttura dinamica, realizzato nel 1961. Tale opera risulta «un invito diretto all’osservatore a verificare come muta la matrice delle riflessioni» . Struttura poliriflessa è caratterizzata «da una scatola cubica in legno con facce di vetro trasparente e sorgenti luminose disposte ai quattro angoli interni». Al suo interno, la scatola è composta da nove perni ognuno con tre specchi ad essi ancorati, disponibili alla rotazione. Tali quinte di specchio sono manovrabili liberamente dallo spettatore, riflettendo e combinando le luci provenienti dai quattro angoli all’interno della scatola e, allo stesso tempo, catturando l’immagine proveniente dall’ambiente circostante. In questo modo: La variabilità degli esiti dipende dalle reciproche inclinazioni delle superfici ma anche dalla posizione dell’osservatore e dell’ambiente circostante che si offre alla riflessione e che si mette nella struttura, sia nei riflessi che negli spazi vuoti tra essi. Il risultato che si ottiene, quindi, è una sorta di trappola ipnotica che riesce ad inglobare e far rimbalzare la luce all’esterno. Ciò che si può dedurre è che «il tema fondamentale dell’opera è quindi quello di creare un continuo e costante dialogo con l’ambiente e l’osservatore». Inoltre, anche Fotoriflessione variabile è un ulteriore lavoro di Massironi che pone l’accento su «invarianze e variazioni legate al mondo della riflessione». A tal proposito, l’osservatore avvicinandosi all’opera spenta vede semplicemente una scatola di legno nero e uno specchio quadrato sulla parte frontale. Quando, però, l’opera viene messa in azione e l’interruttore acceso si vedono configurazioni di puntini luminosi in movimento partendo da nove punti apicali, tali punti rimangono l’unico elemento fermo di scie di punti che fluttuano verso l’alto, il basso, destra e sinistra. Lo spettatore non comprende da dove ha origine il movimento e la dislocazione dei riflessi perché non ha modo di notare la presenza di due specchi basculanti interni. L’osservatore può però utilizzare dei pulsanti da cui dipende la forma del movimento e questo lo stimola a cercare di capire come si produce il fenomeno. Questa “danza di punti luminosi” diventa dunque un meccanismo piuttosto intrigante per chi ne usufruisce. Il Trittico cerchi + quadrati è un'altra opera che Massironi realizza nel 1963. Tali composizioni hanno l’intento di creare «superfici vibranti dinamiche con margini di percezione instabili». Per la creazione di tale opera, sono utilizzati settori circolari e quadrati concentrici, suddivisi in elementi regolari e rimontati insieme alternativamente in tre diverse procedure: ad intarsio cuneiforme, a fasce parallele, a mosaico di quadrati. Tali opere coinvolgono e rapiscono lo sguardo dell’osservatore che cerca di destreggiarsi nell’effetto ipnotico delle diverse linee e forme che si intersecano insieme. Per proseguire la ricerca nella fenomenologia della visione e creare opere d’arte con l’intento di studiare gli effetti visivi, Massironi realizza Struttura a quadrati rotati  nel 1964. Tale struttura in cartone è formata da una serie di quadrati concentrici di differenti dimensioni e progressivamente ruotati secondo un angolo costante. Si constata simmetria sia nei singoli elementi che a livello più generale. Dal momento che l’angolo di rotazione risulta piccolo i lati di quadrati diversi si organizzano secondo la loro buona continuazione. L’osservatore è perciò portato a compiere uno sforzo per individuare i quadrati, tale sforzo però comporta un'interazione conoscitiva tra l’opera e lo spettatore. Si nota inoltre come la presenza di contorni continui renda impossibile l’individuazione di un’altra struttura, per quanto sia nota la sua esistenza .La mostra dialoga idealmente con gli spazi di Palazzo Venier dei Leoni, dove una sala è dedicata esclusivamente ai lavori dei maggiori rappresentanti dell'Arte ottica e cinetica che Guggenheim collezionò ed espose nel corso degli anni '60, tra cui Alberto Biasi, Martha Boto, Franco Costalonga, Heinz Mack, Manfredo Massironi, Francisco Sobrino, Victor Vasarely, insieme naturalmente ad Apollonio, tutti esposti, per l'occasione, in questa sala che diventa omaggio al movimento cinetico. Marina Apollonio. Oltre il cerchio è accompagnata da un ricco catalogo illustrato, edito da Marsilio Arte, con testi della curatrice Marianna Gelussi, Arnauld Pierre, storico dell'arte, Max Hollein, storico dell'arte e direttore del Metropolitan Museum of Art di New York, e un'intervista all'artista di Cecilia Alemani, curatrice e storica dell'arte.
 
Museo Collezione Peggy Guggenheim Venezia
Marina Apollonio Oltre il Cerchio
dal 12 Ottobre 2024 al 3 Marzo 2025
dal Lunedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Martedì Chiuso 
Marina Apollonio. Oltre il cerchio / Marina Apollonio: Beyond the Circle
Peggy Guggenheim Collection
12.10.2024 – 03.03.2025
 
© Photo Matteo De Fina