Michelangelo_IgnudoCaravaggio_Battista CapitolinaLa Cappella Paolina racchiude gli ultimi capolavori pittorici di Michelangelo Buonarroti, eseguiti tra il 1542 e il 1550. Quando ultimò il suo impegno in quella che era la cappella personale di Papa Paolo III Farnese l’artista aveva compiuto 75 anni. Due le opere in affresco realizzate: la Conversione di Saulo, che prima di convertirsi all’apostolato con il nome di Paolo era stato un crudele persecutore di cristiani, del quale le sacre scritture ci tramandano che venne folgorato sulla via di Damasco e che, caduto a terra da cavallo, rimase accecato dalla luce divina; e il Martirio di San Pietro, apostolo di Cristo condannato a morte dai romani, il quale chiese di essere crocifisso a testa in giù non ritenendosi degno di morire come Gesù.


Nella prima delle due scene Michelangelo concepisce un turbinio di personaggi in movimento e sono soprattutto le espressioni dei loro volti a raccontare quanto sta accadendo. Nella seconda scena, meno drammatica, l’evento si consuma col santo che si volge verso lo spettatore.

FiginoCaravaggio_Madonna dei palafrenieri_Galleria BorgheseQuando Caravaggio arrivò a Roma, come tanti altri pittori prima di lui non resistette al fascino degli straordinari cicli di affreschi che Michelangelo aveva realizzato in Vaticano. Il materiale che essi offrivano dovette costituire una grande lezione iconografica e artistica alla quale attingere in una chiave più marcatamente naturalista. Ne ritroviamo una dimostrazione tangibile in vari dipinti, come già osservato da buona parte della critica caravaggesca, quali la Vocazione di San Matteo della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, messa in relazione con la Creazione di Adamo; il San Giovannino dei Musei Capitolini (1) e l’Amor vincitore del Museo di Berlino, con il Giovane nudo sopra la Sibilla Eritrea (figg. 1, 2), fino al Cristo discendente della Cappella Paolina con quello della Conversione di Saulo conservata nella collezione Odescalchi (2).

Caravaggio
non è nuovo nell’ispirazione delle sue opere all’utilizzo di modelli ammirati altrove. Fu proprio l’osservazione delle opere di altri pittori - che ebbe modo di apprezzare nella sua terra sin dagli esordi - a formare il suo primo retroterra culturale. Larga parte della critica caravaggesca è infattti concorde nel riconoscere l’influenza che su di lui esercitarono Leonardo, Moretto, Savoldo, Lomazzo, Figino, Campi, Tiziano, Lotto, Tintoretto, per citare solo i maestri maggiori.

Una bella mostra nel 2011, pur non del tutto esaustiva, curata da Vittorio Sgarbi e ospitata dal Museo Diocesano di Milano, “Gli occhi di Caravaggio. Gli anni della formazione tra Milano e Venezia”, ha posto l’accento sul periodo giovanile sottolineandone la matrice veneta (3), che in passato era stata messa in discussione da Roberto Longhi (4) nell’antica contrapposizione con Lionello Venturi, ma che ormai ha preso consistenza in buona parte della critica, seppur con prudenza per via della mancanza di documenti probanti eccettuato ciò che il Bellori sostenne nella sua biografia sul fatidico viaggio di Caravaggio a Venezia.

PeterzanoCaravaggio_DeposizioneDegli “occhi di Caravaggio” per le arti figurative dei pittori antichi o suoi contemporanei, Roberto Longhi con un’acutissima osservazione scriveva che: “il muto travaso che dagli occhi di un pittore passa nella mente e nella fantasia, formano con celerità indicibile una prima cultura di sentimenti, fissano preferenze e abbozzano propositi per l’avvenire(5). Caravaggio, in effetti, nelle sue opere naturaliste, si ricordò del suo maestro Simone Peterzano, di Fede Galizia, Ambrogio Figino e di tanti altri ancora. Del Figino ci limitiamo qui a ricordare la Madonna della serpe (fig. 3) ed il San Matteo e l’angelo, di Fede Galizia le nature morte, di Peterzano la Pietà del 1584 (fig. 5), anno in cui Caravaggio cominciò a fare l’apprendista nella sua bottega.
I suoi ricordi, legati soprattutto all’esperienza lombarda dove era avvenuto quel muto travaso dagli occhi alla mente, avevano preso corpo in alcune tele, quali la Deposizione oggi nella Pinacoteca Vaticana (fig. 6), la Madonna dei Palafrenieri della Galleria Borghese (fig. 4), il San Matteo e l’angelo già nella collezione Giustiniani e disperso in Germania durante l’ultimo conflitto mondiale.

Caravaggio_Le sette opere di misericordia(1)Un nuovo debito figurativo, si direbbe sino ad oggi mai notato, è rintracciabile nell’angelo che scende dal cielo nelle Sette opere di misericordia, dipinto eseguito da Caravaggio a Napoli per il Pio Monte della Misericordia tra la fine del 1606 e l’inizio del 1607 (fig. 7). L’opera racchiude entro un unico contesto spaziale una magnifica soluzione teatrale, forse ispirata scenograficamente dai luoghi dove insistono ancora oggi i quartieri spagnoli. All’epoca, per esigenze demografiche nella capitale del Viceregno vennero costruiti palazzi alti sino a sei piani nei quartieri Montecalvario e Avvocata. Progettati da architetti genovesi per contenere soldati spagnoli e cittadini che affollavano la città, erano notoriamente luoghi malfamati e regno della prostituzione. Non c’è da meravigliarsi se Caravaggio per rappresentare la realtà ambientò l’opera in quei luoghi che, replicando un luogo comune, si potrebbero definire di vita vissuta.

In questo dipinto Caravaggio, in maniera attenuata, ripete quella lezione di mirabile verità che aveva già sperimentato a Roma nella Morte della Vergine: con un atto di anticonformismo culturale, la Madonna ancora una volta è rappresentata da una popolana. Le sette opere di misericordia corporale, secondo la cultura cristiana, consistevano nel dare da bere agli assetati, vestire le persone prive di abiti, dare sepoltura ai morti, assistere i pellegrini, dar da mangiare agli affamati, assistere i malati, far visita ai carcerati. Nella scenografia che Caravaggio mette in atto Gesù bambino e la Madonna vengono rappresentati fuori dalle convenzioni pittoriche, mutuando la traduzione figurativa del soggetto religioso da quelle madri che realmente si affacciavano alla finestra per osservare il trambusto delle viuzze tipico dei quartieri spagnoli.

Caravaggio_Sette opere di Misericordia_part_Nella tela la Madonna prende il posto della mamma napoletana affacciata alla finestra e viene raffigurata con una espressione preoccupata, come una donna che assiste a una rissa o a un altro evento poco edificante. Allo stesso tempo Caravaggio riesce a restituirne l’accento misericordioso, mentre Gesù - appunto perché bambino, e quindi inconsapevole, come il bimbo che sta in braccio alla madre - è ritratto con uno sguardo attento e incuriosito a quello che succede nella via, ma anche lieto, accennando un sorriso a testimoniare la misericordia che viene annunciata dagli angeli che li precedono.

Porre gli angeli davanti a Gesù e alla Madonna rispecchia, in effetti, la tradizione delle Sacre Scritture in cui i cherubini come l’arcangelo Gabriele sono ambasciatori della parola di Dio. Dunque Caravaggio - che ben conosceva le Scritture, ma non amava idealizzarle - realizza nel dipinto una posa "fotografica", intrisa di realismo e naturalismo, che umanizza le due figure con un atto di evangelizzazione che dai sacri testi si proietta sull’arte figurativa. I due angeli in un volo rocambolesco, con una tunica sulle spalle che ricorda le lenzuola stese da un balcone all’altro nei vicoli di Napoli, testimoniano e preannunciano la presenza divina. Sotto di loro osserviamo i protagonisti delle sette opere, affaccendati nelle loro attività misericordiose.

Michelangelo_Paolina_SauloCaravaggio_Opere di Misericordia_piccolaLe braccia dell’angelo in volo che discende verso gli umani sottostanti sono una ripresa diretta del Cristo dipinto dal Buonarroti nella Cappella Paolina (figg. 8, 9), che scende dal cielo verso Saulo caduto da cavallo. Il braccio destro dell’angelo, spinto in avanti rispetto al corpo con la mano aperta come nel Cristo michelangiolesco, manifesta la protezione verso le persone intente ad eseguire e ricevere le loro prestazioni misericordiose. Il braccio sinistro spostato all’indietro è ripreso a sua volta dal Merisi dal modello vaticano e, come nell’opera michelangiolesca, serve a bilanciare il volo discendente.
Nella posa dell’angelo, come ricordava Longhi, ritroviamo una testimonianza di quel travaso muto che avviene con lo studio e l’osservazione delle opere dei pittori che Caravaggio ammirò, e che forse non gli passò solo dagli occhi alla mente in vista dei propositi futuri, come ricordava il grande storico dell’arte, ma anche all’anima, atteso che nelle sue opere i protagonisti e le scene vengono umanizzati con l’effetto di provocare un forte impatto realistico, avendo immortalato scene così prossime alla vita comune.
Renato Di Tomasi, 25/03/2014

Note:

1. Vedi B.W. Lindenmann, Caravaggio, 2010, pp. 140 e ss.
2. Cinotti-Dell’acqua, Caravaggio, 1983, p. 540; R. Papa, Caravaggio, le origini e i modelli, "Artedossier", 2010, pp. 37 e ss.
3. Mina Gregori, I ricordi di Caravaggio, in “Gli occhi di Caravaggio”, cat. della mostra, Milano 2011, pp.17 e ss.
4. Roberto Longhi, I preparatori del naturalismo, 1910-1911, Tesi di laurea, Torino.
5. Roberto Longhi, Caravaggio, Milano, 2013, p. 12.