Dal Carli Caravaggio lavorò replicando le teste ritratte, per la grande richiesta che c’era di dipinti che raffigurassero personaggi illustri. E Caravaggio lavorava veloce, facendone “tre al giorno”, per le quali guadagnava pochissimo: “un grosso l’una” (venti grossi = 1 scudo). Susinno ci informa che fu qui che incontrò
Mario Minniti, pittore di Siracusa, entrambi giornalieri a bottega, così confermando che non erano ospitati e che dovettero dormire sulle panche o sotto i banchi delle botteghe degli artigiani nel quartiere della Scrofa.
Questo era veramente il rango più basso della professione, mal pagato e senza i vantaggi di far parte dell’impresa
(2). Carli, comunque, pur amministrando una produzione di
souvenir "alla dozzina"
(3) era un personaggio di spicco nella comunità siciliana attorno la chiesa di S. Maria Odigitria, che era stata ricostruita da poco ad opera di un noto prete di Siracusa,
Matteo Catalano. I suoi legami con la SS. Trinità erano stretti, poiché quando morì nel 1614 la fondazione ne risulta erede, assieme a S. Girolamo della Carità
(4).
Il Carli viene riconosciuto nel “
pittore Siciliano, che di opere grossolane tenea bottega” di cui fa menzione
il Baglione, ed era oriundo di Naso, vicino Messina. Di recente si è venuto a sapere molto di più sulla sua attività: e possiamo capire perché
Federico Zuccari avrebbe dubitato delle possibilità inventive di questa produzione. Un altro contatto di Caravaggio era quel
Tarquinio a cui accenna Mancini nelle sue postille: questi non sarà stato il Tarquinio Ligustri che operò con Prospero Orsi in vari progetti negli anni ’90,
Palazzo Massimi alle Colonne e Palazzo Altemps, bensì un certo
Tarquinio di Milano che aveva almeno due osterie, una a Via della Scrofa al Monte di Brianza, l’altra in Via della Serena, sotto Trinità dei Monti
(5). La nota del Mancini così riferisce: “
andò con Tarquinio et alloca nelle botteghe”. Si tratta di un accenno importante, confermandoci che il primo alloggio di Caravaggio dovettero essere le panche degli artigiani, dove dormiva in condizioni di fortuna.

Si passa a
Bellori per apprendere che,
dopo Lorenzo Siciliano, egli si trasferì presso Antiveduto Gramatica: “
poi lavorò in casa di Antiveduto Gramatica mezze figure manco strapazzate”.
Gramatica, il cui studio dava verso la chiesa di S. Agostino, a due passi dalla Scrofa, non sembra aver mai dipinto veri ritratti originali, ma ne forniva parecchi di personaggi illustri (come ci racconta Baglione, 1642, pp. 292-293: “
che ebbe fama da gran cappocciante”), un’industria del tutto paragonabile con quella del Carli. L’abilità che Caravaggio manifestava per le repliche, e per copiare modelli e grotteschi, diedero un chiaro segnale delle virtù che egli possedeva.
All’inizio queste virtù si saranno manifestate proprio nella ritrattistica, e il primo ritratto di cui si ha conoscenza è
quello dell’oste Tarquinio, di cui parla
Mancini nella nota in cui cita anche i primi quadri originali di Caravaggio: il
Ragazzo che monda la frutta e "
il ritratto d’hoste dove si ricoverava". Questi appartengono al tempo del soggiorno con
Monsignor Pucci, lasciando intendere che il ritratto venne eseguito per riconoscere il prezzo del soggiorno presso l’osteria di Tarquinio.
Indubbiamente i primi quadri di sua invenzione saranno stati venduti attraverso il rigattiere di quadri vecchi
Costantino Spada(6), che gestiva una bottega davanti S. Luigi dei Francesi e figura già nel processo di luglio 1597 - per Baglione si trattava di ‘Maestro Valentino’
(7): e possiamo immaginare che sia stato attraverso la pratica di ripetere le fattezze di personaggi illustri che Caravaggio abbia compreso il suo talento per fissare il ritratto di persone vive.
Recentemente Laura Teza ha individuato
(8) il senso della scrittura di Mancini in una postilla per intendere il
Bacco Borghese, che era presso Spada prima di passare al Cesari, e così questa immagine avrà colpito l’Arpino come una cosa eccezionale, assolutamente da comprare per la cifra modesta che gli sarà stata richiesta.
L’idea di captare queste fattezze da quelle che si presentavano in una camera oscura è verosimilmente nata in quel momento. Abbiamo menzioni dell’epoca di oltre venti ritratti che egli avrebbe eseguito, quasi tutti ancora da individuare, mentre quello rappresentante
Maffeo Barberini nella collezione Corsini (fig. 2), recentemente presentato alla mostra
Caravaggio e Caravaggeschi a Palazzo Pitti (Firenze 2010, n. 1), sarà forse da intendere come una dimostrazione della nuova tecnica messa a punto dal vicino dell’Orsi in Palazzo Barberini ai Giubbonari
(9).

Il soggiorno nell’osteria di Tarquinio dovette certamente essere ricambiato col ritratto che Caravaggio gli fece, e quando il pittore venne ricoverato all’Ospedale della Consolatione (perché non aveva i soldi per pagare il dottore per la cura di una ferita) eseguì poi il ritratto del Priore e diversi altri quadri per lui, il quale più tardi “
se li portò in Sicilia sua patria”
(10).
Traspare la facilità con cui realizzava ritratti, come altronde anche
Ottavio Leoni(11), e ci sono menzioni di diversi altri che egli eseguì a persone della sua cerchia:
Onorio Longhi e la moglie Caterina Campana, Melchiorre e Virgilio Crescenzi, l’avvocato Prospero Farinacci, Bernardino Cesari, Pietro Vittrici, il poeta Marino, la cortigiana Fillide Melandroni (dipinto distrutto a Berlino durante la seconda guerra mondiale, fig. 3); e, come capitava, Giuseppe Cesari avrà ammirato l’autore, pur senza conoscerlo, del ritratto che Caravaggio aveva fatto a Luciano Bianchi, Priore alla Consolazione, quando venne esposto alla processione per le Rogazioni
(12), nella primavera del 1597.
Ho suggerito in altra sede
(13) che il
Ritratto di giovane di
Ottavio Leoni all’Ashmolean Museum di Oxford rappresenti le fattezze di Caravaggio al momento dl loro primo incontro, e la tecnica di Leoni ‘alla macchia’ avrà avuto qualcosa in comune con quella del collega. La fedeltà al modello e la tecnica personale di Caravaggio per cogliere le fattezze si resero evidenti in questo periodo, ma non era per nulla chiaro in che modo vi fosse arrivato.
Allo stesso modo in cui Della Porta dovette adoprare la parola lenticchia per lente, a causa della carenza di una precisa terminologia ottica, vediamo che c’erano difficoltà nel descrivere questa nuova tecnica.
Mancini non solo parla del “ritratto semplice... senza azione” per intendere il copiare direttamente dal soggetto (non necessariamente un ritratto), ma anche, parlando della tecnica “
con quel lume di una fenestra sola”, dell’ “
osservanza del vero” (termine di solito riferito esclusivamente alla stretta osservanza di alcuni ordini religiosi), in confronto con la fantasia creativa necessaria a dipingere quadri di storia, per esprimere la fedeltà oggettiva di questo modo di rappresentare
(14).
Bellori, in una nota molto esplicita nella sua copia delle
Vite del Baglione, sottolinea che Caravaggio non aveva rapporti con altri pittori: “
E’ degno di gran lode il Caravaggio che solo si mise ad imitar la natura contro l’uso di tutti gli altri che imitavano gli altri artefici”.

Dopo qualche tempo trascorso vivendo alla fortuna, Caravaggio fu ospitato "
alcuni mesi" presso
Monsignor Pucci e in quel periodo cominciò a realizzare dipinti che poteva vendere in proprio. Molto è stato detto intorno a questo soggiorno col mecenate che Caravaggio denominò "
Monsignor Insalata" (il Mancini è l’unica fonte a citare Pucci) e delle opportunità che il pittore avrebbe potuto godere dentro
il casato Peretti, con la partecipazione dello zio di questi, Lodovico, presente a Roma all’inizio degli anni ’90
(15). Ma che il Pucci avesse preso alcune delle “copie di devotione” che Caravaggio faceva mentre era impiegato presso Lorenzo Carli, riportandole a Recanati quando tornò alla sua città natale nel giugno 1600, è il solo Mancini a riferirlo, sottolineando quanto poco quello si interessasse all’arte sua. Era già stato maestro di casa per la sorella di Sisto V, Camilla Peretti, ma quell’impiego cessò nel 1591, e lontano dall’essere una fonte importante di mecenatismo, non ci sono affatto opere di Caravaggio che sono legate al nome di lui - perlomeno non prima del 1605 - e il
Pucci giunge a noi con la fama delle sue insalate e non delle opere nuove commissionate o acquistate al pittore.
La scena che s’impone è quella di un’anima estranea alla famiglia, che arrivava nella capitale povero, "
estremamente bisognoso et ignudo", come ce lo descrive Bellori, verso la fine del 1595. Non è fuori discussione che sia stato imprigionato prima di partire, o che fosse scappato, come poi sarebbe riuscito a fare dal Forte Sant’Angelo a Malta.
Ben lontano dall’avere rapporti con la famiglia, Caravaggio si fece strada malgrado gli svantaggi del suo carattere.
Il soggiorno presso Monsignor Pucci, e le "
copie di devotione" di cui parla Mancini, che il prelato avrebbe portato con se a Recanati, sono in linea con la produzione della sua prima annata a Roma, e anche con i legami del Pucci con la Trinità dei Pellegrini. Può darsi anche che il
Ragazzo che monda la frutta, e il
Ragazzo morso dal ramarro siano dipinti fatti per vendere, come ci dice Mancini, piuttosto che essergli stati richiesti dal Pucci. Secondo Mancini (
Considerazioni, I, p. 140) Caravaggio avrebbe venduto il primo per quindici giulii - vale a dire un scudo e mezzo. Fu questa vendita “
che fu causa che, vendutolo e preso animo da poter viver da se, si partì da quel suo scarso maestro e padrone”, come ci fa intendere lo stesso Mancini.

Benché non contribuisca a risolvere la questione di dove Caravaggio fosse nell’intervallo tra l’estate del 1592 e l’inverno del 1595/96, ciò rappresenta, per contro, un elemento di supporto alla considerazione che la tecnica da lui scoperta in quel primo anno romano fosse un avvenimento improvviso, una rottura con la tradizione e non una continuazione rispetto a quello che veniva prima. Invece di distribuire le opere ‘giovanili’ lungo gli otto anni precedenti alle tele della Cappella Contarelli, la fama dovette arrivargli insieme alla notorietà.
Le note del Mancini danno infatti più sostanza ai mesi successivi al primo arrivo, ma l’idea che questo accadeva quando egli era “
d’età incirca 20 anni” (da cui si ricava la data del 1592 circa) rappresenta una stima sbagliata - e Pietro Paolo Pellegrini nel 1597 fu più accurato quando lo giudicò
all’incirca di 28 anni. Ma fu comunque un momento cruciale per il fatto, sottolineato da Mancini, che a quel punto il pittore scoprì che poteva dipingere in modo indipendente e vendere i propri quadri.
L’assenza di commissioni da parte sia del Pucci
(16) sia del Petrignani fa capire che la loro ospitalità faceva parte dell’attività caritatevole per la SS. Trinità: un contributo più pratico che le donazioni pecuniarie di personaggi quali il Cardinal Benedetto Giustiniani, che forniva regolarmente contributi per sostenere l’ospitalità offerta ai pellegrini nell’Anno Santo del 1600
(17).
I confratelli erano abituati a trovare alloggi per tante persone - il genere di arrivi periodici delle folle di pellegrini lo richiedeva - e disponevano di una scelta di case a questo scopo, come quella donata da Elena Orsini alle Terme di Agrippa, tra il Pantheon e Largo Argentina. Può darsi benissimo che il lavoro giornaliero nella bottega di Lorenzo, e successivamente in quella vicina di Antiveduto Gramatica, sia stato intrapreso da Caravaggio quando era ospite dapprima del Pucci e poi del Petrignani, piuttosto che inferire che costoro erano direttamente coinvolti nelle sue invenzioni artistiche. Il soggiorno presso Monsignor Fantin Petrignani inizia, come abbiamo già indicato, col ritorno di questi da Forlì, tra marzo e aprile del 1597, dopo un’assenza dalla città di due anni
(18).
Le varie versioni del
Ragazzo che monda il frutto (fig. 1) sono da considerare per lo più come originali di Caravaggio; la maggior parte sono palesemente della stessa mano, con piccoli varianti come ci si deve aspettare da un copista professionale, e sono prove della sua nuova tecnica. Avendo stabilito che poteva creare facilmente un’immagine dipinta di una natura morta di frutta e di una figura osservata in posa, il successo dell’impresa fu tale da permettergli di ripeterla a più riprese (e infatti esistono almeno una dozzina di versioni di questa stessa figura).
I tentativi di leggere contenuti complessi in questa composizione non appaiono verosimili nel contesto della cultura del loro autore o della sua esperienza letteraria, considerato anche che le vendite si saranno verificate a terzi presso la bottega di Costantino Spada.
Il primo accenno risulta essere quella relativo alla versione di proprietà di
Cesare Crispolti, noto intellettuale perugino, frequentatore delle riunioni dell’
Accademia degli Insensati nel palazzo di
Maffeo Barberini in via dei Giubbonari. Se fosse stata una sua commissione potremo aspettarci un significato emblematico, ma esso viene descritto nell’inventario della collezione (datato 14 marzo 1608) che Laura Teza ha riscoperto come "
un putto in camicia".
Un altro elenco dell’agosto dello stesso anno
(19) lo descrive più minutamente: “
Quadretto di Michel Angelo Caravaggio vivo, cioè una figura d’un giovane dalla cintura in su che monda un persico, a olio”, indicando così che Caravaggio era ancora in vita. Per "persico" s’intende evidentemente una frutta di origine persiana, vale a dire la pesca (mentre la parola di solito lascia intendere il pesce persico).
La valutazione data nell’inventario del marzo 1608 è sempre abbastanza modesta, solo tre scudi, e lascia intendere che l’opera non fosse molto richiesta o apprezzata. Era il tipo di soggetto che Caravaggio poteva vendere attraverso la mediazione dello Spada, ma che poteva anche ripetere grazie alla propria esperienza di repliche e copie che aveva eseguito proprio nelle botteghe dello Spada e del Gramatica.
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Queste vendite portarono una certa indipendenza economica a Caravaggio, e piuttosto che cercarvi delle complesse invenzioni iconografiche dobbiamo considerarle nel contesto di una
nuova tecnica di riproduzione di un’immagine vera, un mosaico del naturale più volte ripetuto. I pochi soggetti con una figura singola - il
Ragazzo che monda il frutto (fig. 1), il
Ragazzo col vaso di frutta (fig. 6), il
Ragazzo morso dal ramarro (fig. 5), il
Bacco Borghese (fig. 3) - vanno visti nel contesto di una produzione speculativa del loro autore e non tanto come commissioni individuali. Per la loro natura decorativa essi non ebbero un incremento di valore paragonabile a quello che si verificò con le opere commissionate negli anni successivi.
Non è questa la sede per parlare di ciascun esempio separatamente, ma solo per considerarli nel contesto della produzione precedente all’evoluzione di Caravaggio sotto la protezione del Cardinal Del Monte, tanto per la tecnica innovatrice quanto per i nuovi soggetti.
Prima di essere ospitato da quest’ultimo, Caravaggio trovò rifugio per circa otto mesi nella relativa tranquillità dei fratelli Cesari
(20). Sembra più plausibile che questo soggiorno avvenisse presso la loro casa in Via dei Giubbonari, a quattro passi dalla SS. Trinità, e non presso lo studio alla Torretta. Mancini lo chiarisce, infatti, dicendo che Bernardino gli avrebbe dato un “
pagliericcio in un palchetto” e che poi era stato accolto “in casa”
(21). Mancini accenna che il Cesari si “atterrisce” per Caravaggio, ma dalla precedente descrizione sembra che questi fosse sempre in cenci, e che fosse stato messo fuori di casa. “
Fra tanto comparisce malvestito et andò con questo lo messer fuore”, così Bernardino gli offre un pagliericcio e Giuseppe lo mette a lavorare su copie (“vuol che ritratti”): e si direbbe che la parole successive facciano cenno alla voglia di Caravaggio di dipingere le figure: “
et fuga a non figure”.
Prospero Orsi era un collaboratore dei Cesari e sembra che dirigesse la parte decorativa delle loro commissioni. Risulta essere una
figura chiave nella promozione professionale di Caravaggio, cosa plausibile avendo soggiornato per diversi mesi nelle vicinanze della Scrofa, nei pressi di San Luigi dei Francesi (il suo quartiere successivo), e del Rione Regola, nei pressi della SS. Trinità dei Pellegrini.
In ogni caso fu a seguito della ferita prodotta dal calcio del cavallo di un palafreniere della famiglia Giustiniani, o Pinelli, che Caravaggio venne portato da un bottegaro siciliano amico alla Consolatione (Mancini, p. 227)
(22). Ciò dovette avvenire alla fine di 1596, in considerazione del fatto che Lorenzo Siciliano - ammettendo che sia stato lui a portarlo all’ospedale - fu malato due mesi prima di morire durante la Quaresima del 1597.
La ferita venne dapprima curata da Luca Benni, il barbiere per cui lavorava Pietro Paolo Pellegrini (e sarà stata la ferita di cui parla anche Mancini), ma poi si rese necessario che il bottegaro siciliano lo portasse alla Consolazione, perché Caravaggio era peggiorato per la mancanza di cure adeguate.
Sappiamo che il priore alla Consolazione era un altro siciliano,
Luciano Bianchi, messinese del pari di Lorenzo Carli, che aveva anche stretti rapporti con la parrocchia di Sant’Agostino, a due passi della bottega sua (e il Bianchi volle essere seppellito a S. Agostino).
Caravaggio aveva abbandonato Bernardino e Giuseppe Cesari, che non erano andati a trovarlo in ospedale, e
sappiamo che non si parlavano più all’epoca del processo Baglione nel 1603. Una nota di Mancini evidenzia che essi ritenevano che anche Orsi fosse inaffidabile: “... E così disser male Bernardino & Giuseppe che Prospero fusse un tristo”.

Al momento del suo più grande bisogno Caravaggio non fece ricorso né alla famiglia, né ai contatti lombardi, e di fatto non sembra mai aver cercato commissioni da questi, tanto private quanto istituzionali. I cenni ai primi momenti di Caravaggio a Roma sono congruenti con la situazione misera e derelitta di cui parlano Van Mander e Bellori, e rendono improbabile che lui abbia avuto l’ospitalità di Pucci sin dall’inizio nel 1592, precedendo il prolungato periodo presso i Cesari.
Gli “alcuni mesi” passati col Pucci di cui parla Mancini devono situarsi per forza nel 1596, seguiti da un soggiorno più lungo con i Cesari. Alla Consolazione, durante la convalescenza, ebbe il tempo di fare ‘molti dipinti’ per il Priore, che se li portò nella nativa Sicilia. Guercino ricordò a Malvasia che il ritratto del Priore (Luciano Bianchi) venne esposto dopo “sanato” (“
il suo ritratto il che sanato fece essendo poi questo esposto per le rogazioni fu venduto ...”), così informandoci che il soggiorno in ospedale si concluse verso Pasqua 1597, che cadde il 6 aprile
(23).
Caravaggio non poteva più tornare dai Cesari, che lo avevano ignorato quando era in ospedale, e in ogni caso si sentiva ormai pronto a lavorare per conto suo. A questo punto Mancini, in una postilla, dice che “si volse metter con Asdrubale”, e questo vuol dire che qualcuno, probabilmente Orsi, lo avrà proposto ad
Asdrubale Mattei(24), generoso sostenitore della SS. Trinità, per dargli ospitalità.
Prospero lavorava certamente con i Mattei nel 1600, ma già da tempo il fratello Iacopo fungeva da tesoriere della famiglia
(25). Costantino Spada, il rigattiere di quadri vecchi la cui bottega era accanto al Palazzo Madama, all’angolo di fronte a San Luigi dei Francesi, aveva già fornito quadri ad Asdrubale nel 1595
(26).
I Mattei erano fortemente legati a Fillippo Neri e al suo Ospedale, e in quel periodo, negli anni ’90, erano molto attivi nella ricostruzione dei palazzi di famiglia in Via delle Botteghe Oscure, nonché nella grande impresa di Villa Celimontana, che era seguita da Ciriaco. Ma risulta invece che fu Monsignor Fantin Petrignani “che gli dava commodità di una stanza” (Mancini, p. 227), molto probabilmente al suo ritorno da Forlì dopo Pasqua (successivamente a due anni di assenza, in cui era stato Governatore della Marca)
(27). In questo locale, tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate 1597, Caravaggio dipinse vari quadri, per lo più
per il cognato di Prospero Orsi,
Gerolamo Vittrici: fra questi la
Maddalena (fig. 7) e la
Fuga in Egitto della galleria Doria Pamphili di Roma (fig. 8), e la
Buona Ventura ora al Louvre (fig. 9), che erano tenuti dietro tende nella sua modesta abitazione (stando a inventari successivi).
Dopo qualche tempo presso Petrignani, Caravaggio venne all’attenzione del Cardinal Del Monte, probabilmente non molto prima della presenza in aula, l’11 luglio 1597, per rispondere a certe domande dal giudice dopo l’assalto a Angelo Tanconi.
Del Monte aveva acquistato
un dipinto con una caraffa di fiori, senza sapere chi l’avesse dipinto, e in seguito vide
I Bari, probabilmente nella bottega di Costantino Spada, all’angolo dietro Palazzo Madama. Fino a questo punto, a parte le mezze figure fatte ‘per vendere’, i soggetti più importanti avevano avuto come destinazione la famiglia dell’amico Prospero Orsi, visto che sua sorella Orinzia era andata sposa a Gerolamo Vittrici nel 1586. E ancorché la casa modesta di Gerolamo fosse dall’altra parte del fiume nelle vicinanze di San Spirito in Sassia, la coppia dimorò per un periodo prolungato nella casa del loro zio facoltoso Pietro Vittrici
(28), in Via dei Chiavari, una traversa di Via dei Giubbonari
(29).
Lothar Sickel ha suggerito
(30) che la
Buona ventura del Louvre sia una tela compagna dei
Bari di Fort Worth (fig. 10), che lo studioso collocherebbe nello stesso arco di tempo, così come Mancini ci indica; mentre la modella della
Maddalena Doria sembra essere la stessa della Madonna nella
Fuga in Egitto, in cui gli elementi della musica e della filosofia naturale indicano che potrebbe appartenere, o essere stata completata, durante il periodo Del Monte.
Il rapporto con i Vittrici ebbe un seguito, anche perché fu per la Cappella della Pietà nella Chiesa Nuova, di cui era titolare Pietro Vittrici, che Gerolamo si assicurò la
Deposizione di Caravaggio, in seguito alla morte dello zio avvenuta il 26 marzo 1600 alla veneranda età di 97 anni.
3) Un ‘cervello stravagantissimo’

Tutto considerato,
Caravaggio fece un progresso notevole in un intervallo di tempo breve e attraverso un numero ristretto di opere. Fu un successo tecnico poter creare delle immagini senza il procedimento del disegno e del progetto che tutti gli altri seguivano, ancora più arduo dell’impresa di creare una fotografia senza passare attraverso il negativo nell’epoca moderna.
C’erano ovviamente delle resistenze ad accettare nuove idee nell’attività delle botteghe, che sostanzialmente operavano ancora secondo le tradizionali modalità medievali. Per guadagnare una padronanza sempre più evoluta di questo genere di verosimiglianza, l’acquisizione di tali tecniche diventava sempre più lunga e impegnativa, cosicché l’apprendista doveva passare anni di preparazione prima di potersi applicare alla creazione di un dipinto originale. Ma fu questa l’epoca in cui si cominciarono a risolvere i problemi legati alla traduzione pittorica dell’ambiente, degli elementi e delle forze naturali.
Caravaggio non voleva aspettare il suo turno: la sua maestria nella resa dell’aspetto delle cose era già considerata fenomenale da coloro che avevano visto le sue opere, e una novità simile doveva per forza risultare fascinosa per un mecenate che si dedicava alla ricerca di talenti in grado colpire il suo sostenitore a Firenze, il Granduca Ferdinando de’ Medici.
Le note enigmatiche della copia della Biblioteca Marciana delle
Considerazioni sulla pittura di
Giulio Mancini (ed. Marucchi e Salerno, Roma 1957, I, pp. 223-27) non sono state esplorate fino in fondo, come abbiamo già visto:
esse costituiscono appunti stenografici di comunicazioni verbali da parte di persone che evidentemente conobbero il pittore quando arrivò in città.
L’episodio più dettagliato è composto di un’intera pagina dove Mancini ci parla del rifiuto da parte di Caravaggio di riconoscere, o dar segno di accorgersi del fratello - probabilmente Giovanni Battista Merisi, che risulta ancora a Roma nel 1599
(31) - che era venuto salutarlo quando stava in casa Del Monte.
Da questo comportamento, caratteristico del genere di relazioni che egli in tante circostanze stabilì a Roma, pare assai improbabile che avesse avuto un’attiva frequentazione con lo zio Ludovico, documentato a Roma nei primi anni ’90; né sembra, inoltre, che abbia avuto a che fare con persone di origine lombarda. Non ebbe rapporti con la comunità intorno la chiesa di S. Ambrogio dei Lombardi, il cui ospizio venne rinnovato e ingrandito durante il papato di Clemente VIII allo scopo di ricevere gente da quella zona della città (la chiesa venne poi radicalmente ristrutturata dopo che San Carlo Borromeo fu dichiarato Santo nel 1610, occasione colta per consacrare la chiesa col nome di quest’ultimo).
Caravaggio venne arrestato per ben due volte nelle vicinanze, ma ciò non dimostra alcun campanilismo nel rapporto con quella comunità, forse per colpa delle circostanze movimentate della sua partenza, prima di arrivare a Roma. Il suo nome figura solo una volta nella documentazione parrocchiale degli stati delle anime, quando affittò la casa di Vicolo San Biagio nel 1605
(32), e tanto un matrimonio quanto persino l’amicizia sembrano essergli stati estranei.
Prospero Orsi ci appare come compagno d’armi, così per dire, sin dal primo arrivo a Roma di Caravaggio, sebbene fosse di una generazione anteriore, essendo nato nel 1558, e avesse già una lunga carriera come
specialista nell’ambito della pittura decorativa. Lui e
Onorio Longhi, figlio dell’ architetto Martino, appaiono regolarmente in compagnia di Caravaggio, e ne intesero sin dall’inizio le speciali qualità: e la fiducia mostrata nella circostanza del litigio con Giuseppe e Bernardino Cesari a proposito di Caravaggio palesa quanto fossero convinti dello straordinario talento che egli aveva già dimostrato. La prossimità di Prospero alla SS. Trinità avrà portato il suo amico bisognoso nell’ambito della fondazione, così come questa gli avrà dato diverse possibilità di lavoro tra i vari patroni che cercavano di figurarvi.
Vecchio scapolone, Prospero aveva fama di dare aiuto ai giovani: “E di costume et inclination a far piacere a tutti et in particolar ai giovani che venendo alla corte con qualche talento che non ha recapito, et per giovarli et aiutarli perde tempo et aggrava gl’amici come s’è visto in molti”, come Mancini ricorda nelle sue memorie di Prospero
(33).
Sarà stato di nuovo Orsi a far conoscere Monsignor Petrignani a Caravaggio, perché aveva già operato ad Amelia nel Palazzo Petrignani prima negli anni ’90, e più di recente a Roma nel suo palazzo di città.
I capolavori eseguiti per il cognato di Prospero, Gerolamo Vittrici, furono iniziati non prima della primavera del 1597, se è solo in quel momento che Petrignani tornò da Forlì, come ha dimostrato di recente M. Moretti
(34). L’introduzione presso il cognato, e forse maggiormente presso lo zio Pietro Vittrici, era di somma importanza per lo sviluppo da parte di Caravaggio di soggetti più ambiziosi. La protezione dell’Orsi risultò fondamentale nel contesto dei Mattei, perché attraverso questa conoscenza Caravaggio “intaccò molte centinaia di scudi” per le opere fornite a Ciriaco (Baglione,
Vite, p. 137).
La sua collaborazione fu preziosa, ed ebbe in concessione
(35) di eseguire versioni di numerosi quadri di Caravaggio (ad esempio per l’ambasciatore francese Philippe de Béthune), ma risulta anche essere stato in possesso di originali, quali una versione del
Ragazzo morso da ramarro e il
Suonatore di Liuto con una caraffa di fiori (fig. 11) che risultano elencati negli inventari del Duca Angelo d’Altemps del 1620
(36) e che furono verosimilmente comprati dall’Orsi nel 1611.

Fu Filippo Neri a dare il benvenuto a tanti artigiani alla SS. Trinità, avendo egli come propria missione questo impegno sociale, non solo perché vedeva nel lavoro con le mani un modo di avvicinarsi al Signore, ma anche perché era un sistema efficace per introdurre i nuovi arrivati nel tessuto della città.
Matteo Catalano, il prete responsabile della ristrutturazione della chiesa siciliana, lasciò il suo patrimonio quando morì nel 1614 alla SS. Trinità. Non è evidente se le virtù di Caravaggio fossero ancora conosciute da molti, per la ragione che non c’era una sede ove se ne potessero apprezzare i frutti, se anche il cognato di Prospero, Gerolamo Vittrice, teneva opere come la
Fuga in Egitto Doria nascoste dietro una tenda nella sua casa, auto-applicando un’istintiva censura nei confronti di queste pitture rivoluzionarie.
Nondimeno, pur in un momento in cui in tanti perseguivano il naturalismo nell’ambito delle rappresentazioni tradizionali, la nuova naturalezza di Caravaggio si situava evidentemente su un altro piano.
Karel Van Mander, le cui informazioni furono fornite da un corrispondente a Roma prima della fine dell’anno 1600, venne colpito non solo della meraviglia delle opere, ma anche dal fatto che il loro autore si fosse sollevato dalla miseria fino alla fama che già godeva.
Che ciò fosse avvenuto solo da poco è evidente dalle citazioni giudiziarie, ove Caravaggio non figura prima del 1597, ma trova conferma anche dal fatto che tutti i tentativi di ancorare le sue prime opere ad un periodo anteriore non hanno trovato alcuna conferma sicura. Nell’arco di un anno e mezzo Caravaggio aveva raggiunto una committenza che aveva inteso l’autentica eccezionalità del suo talento, ma anche il fatto che egli avesse un cervello stravagante.
La Roma di Caravaggio è quella del quartiere della Scrofa, poi della Trinità a Ponte Sisto, e poi di Campo Marzio: non ci sono indicazioni che fosse familiare presso il Vaticano e presso la casa di Monsignor Pucci al Borgo - anche la sua ospitalità sarà stata verosimilmente più vicina alla Trinità. Ma dal racconto del Mancini s’intravede come la sua indipendenza abbia avuto inizio già quando stava dal Pucci e dipinse il
Ragazzo morso dal ramarro: “che fu causa che, vendutolo, e preso animo da poter viver da se, si partì da quel suo scarso maestro e padrone”.
Dopo le cure ricevute all’Ospedale della Consolazione,
Caravaggio dovette sentirsi ancor più incoraggiato per il fatto che il Cardinal del Monte aveva comprato uno dei quadri che egli aveva dipinto "per vendere", molto probabilmente alla bottega di Costantino Spada - uno dei negozi illustrati nell’incisione del Falda del 1665 della facciata di San Luigi dei Francesi
(37); mentre solo più tardi avrebbe incontrato l’autore, come sappiamo dai racconti di Guercino al Malvasia
(38).
Dalle parole di Bellori a proposito dei
Bari sembrerebbe che questo dipinto venisse acquistato presso la bottega dello Spada e dietro consiglio di Prospero Orsi. E così nell’estate del 1597 il pittore era ospite del Cardinale, “servidore del cardinale Del Monte”, come Orsi dichiarava in tribunale il 12 luglio (Macioce 2003, p. 63): “
che io ho la parte dal cardinale per me et per il servitore et allogio in casa et so scritto al rolo”, nelle parole di Caravaggio stesso l’anno successivo (4 maggio 1598, vedi Macioce 2003, p. 71). Nel 1599, nella testimonianza
(39) di un contratto in casa del suo agente Costantino Spada, ci si rivolge a lui come “
magnifico domino Michelangelo Marisio de Caravaggio”, col rispetto che a quel punto aveva guadagnato: la celebrità lo stava aspettando.
La sua invenzione di una nuova tecnica di dipingere era il frutto di scoperte che egli aveva fatto a Roma: non è il caso di cercarne altre in opere precedenti a quei capolavori che egli creò pochi mesi dopo essere arrivato. Sono invece delle rivelazioni quasi incredibili di una nuova procedura, nella quale Caravaggio rovesciò l’ordine consueto nella produzione di una immagine.
Non c’era nulla che potesse fare più grande impressione che fissare l’immagine effimera che si poteva vedere in una camera oscura, affidandosi a questa testimonianza per ogni effetto di prospettiva. Solo chi non avesse seguito il buon senso comune poteva riuscire in questo rovesciamento del modo consueto di preparare l’immagine. E la maggioranza di coloro che vedevano per la prima volta un’immagine reale in una camera oscura s’immaginavano che assomigliasse agli oggetti dipinti dai pittori.
Questa immagine era comunque parziale, fugace e di difficile osservazione. La procedura di ritrarla - “
nello specchio ritratti”, per dirla con le parole usate da Baglione per descrivere quei primi tentativi di Caravaggio - era minuziosa e richiedeva che il pittore mettesse l’immagine insieme parte per parte, come in un mosaico. Era invece l’abbinamento di tutte quelle parti che a tratti rianimava l’insieme e colpiva l’osservatore con meraviglia. Niente lo preparava per questo inganno sconcertante.
Ma c’erano delle falle in questa conquista, e l’associazione con gente che il
Sandrart descrive più tardi come
nec spe nec metu (senza speranza né paura) già traspare nel racconto di Van Mander. Non era solo questa amicizia con buoni a nulla che lo qualifica agli occhi di Van Mander, anche se egli riconosce che questa era una maniera ottima per essere seguito dai giovani: era l’instabilità del suo carattere l’indizio per intendere il suo nuovo atteggiamento nella rappresentazione del vero.
Era arduo conoscerlo. Come ci ricorda Sandrart, “era assai difficile avere rapporti con lui, non soltanto perché non teneva in alcuna considerazione le opere degli altri maestri [benché egli non magnificasse pubblicamente le proprie] ma anche perché era molto litigioso e strambo, e spesso cercava lite”
(40).
La prima descrizione della sua persona a Roma è nel contesto di un agguato a un musico che stava andando a cantare alla basilica di Santa Maria Maggiore
(41). La narrazione è incompleta, e non si conosce l’esito della vicenda, ma evidentemente Caravaggio era tra i sospettati, e nella prospettiva degli avvenimenti successivi il carattere casuale della bastonata che si prese Angelo Tanconi nel luglio 1597 sembra caratteristico dei vari avvenimenti giudiziari che punteggiarono la sua vita artistica a Roma. Questa fu accompagnata anche dalla constatazione che
varie figure di potenti riconobbero in qualche modo che egli era un personaggio eccezionale, il cui contributo alla loro esperienza era tale da doverlo proteggere in tutti i modi.
In nessun punto ciò è più evidente che nell’appello indirizzato a Paolo V nel 1607 dalle autorità maltesi per
concedere la possibilità di conferire a questo individuo, sottoposto a bando capitale in Roma, il titolo di Cavaliere: “per non perderlo desideriamo in estremo di consolarlo con darli l’Abito di Cav[alie]re del Gran M[aest]ro”. “
Ora egli è infatti un misto di grano e di pulo; non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo di dietro, e gira da un gioco di palla all’ altro, molto incline a duellare e a far baruffe, cosicché è raro che lo si possa frequentare”
(42).
Caravaggio nutriva anche una antipatia eccentrica per certi colori, trovando che il rosso e l’azzurro erano ‘il veleno dei colori’
(43), al modo di qualcuno che vedendo quattro macchine rosse di seguito avesse il presentimento di un giornata storta.
La ricezione critica della
Risurrezione di Lazzaro a Messina, per cui doveva ricevere mille scudi, provocò una rabbia che gli fece sguainare “
il pugnale che in ogni tempo al portar soleva: gli diè tanti infuriati colpi che ne restò miseramente squarciata quell’ammirabile pittura”, promettendo poi entro poco di fornirne un’altra versione più consona al gusto dei suoi critici
(44).
L’imprevedibilità già menzionata da Van Mander faceva intrinsecamente parte di questo individuo fenomenale: le sue opere erano come una apparizione extra-terrestre, irrefrenabile ma di immenso fascino, oppure qualcosa come un’immagine fotografica, un ologramma, o un Ipad, che non era ancora conosciuto ma venne subito adottato da tutti, come riconosce il Mancini, all’inizio della sua biografia, che il colorito suo era entrato nell’uso comune: “
Deve molto questa nostra età a Michelangelo da Caravaggio, per il colorire che ha introdotto, seguito adesso assai comunemente” (
Considerazioni, p. 223).
(
continua)
La prima parte: https://news-art.it/news/caravaggio--bisognoso---parte-prima.htm
Note:
1. Su Carli (di Carlo) vedi particolarmente F. Curti, ‘Sugli esordi di Caravaggio a Roma, La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario’ in Caravaggio a Roma, Una vita dal vero, cat. della mostra, Roma, Archivio di Stato, 2011, pp. 65-76; L. Sickel, ‘Gli esordi di Caravaggio a Roma’, in Römisches Jahrbuch der Biblioteca Hertziana, 39, 2009/10 & preprint on line; e G. Mendola, Il Caravaggio di Palermo e l’Oratorio di San Lorenzo, Palermo, 2012, part. p. 76.
2. Vedi l’articolo di Renata Ago, ‘Artisti e ceti ‘industriosi’ nella Roma del Seicento’ in L’essercitio mio è di pittore, 2012, cit., pp. 299-309. Il fatto che la maggioranza dei ‘pittori’ a Roma fossero decoratori e doratori invece che pittori di soggetti sacri, viene sottolineato da P. Cavazzini, Painting as Business in Early Seventeenth Century Rome, Penn State, 2008, pp. 19ss.
3. Susinno del Minniti: ‘Accommodossi con un siciliano pittore, che vendeva quadri a dozzina, e nella stessa bottega strinse amistà col Caravaggio, ambi giornalieri di quel grossolano pittore’. Vite dei pittori messinesi, 1724, ed Le Monnier, 1960, p. 117.
4. L’altra metà alla Confraternita della Carità in San Girolamo di San Filippo Neri. Su Catalano vedi anche V. Abbate, ‘Il contesto familiare Mattei-De Torres e una riconsiderazione della copia palermitana dell’Emmaus di Londra’, in Da Caravaggio ai Caravaggeschi, a cura di M. Calvesi, A. Zuccari, Roma, 2009, pp. 272-273, 285. Vedi anche E. Mormina, Matteo Catalano e la Chiesa di S. Maria Odigitria, Iblon Social Press online.
5. Vedi R Bassani, F. Bellini, Caravaggio Assassino, Roma 1994, p. 25, basandosi su vari documenti all’Archivio di Stato a Roma tra 1592 e 1601. C’è il sospetto, da una lettura delle parole del Mancini, che Caravaggio soggiornò ben due volte nella taverna di Tarquinio, prima e dopo essere stato ospite del Pucci (v. M. Cinotti, Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Tutte le opere, Bergamo 1983, p. 210).
6. Sullo Spada, vedi F. Curti, ‘Costantino Spada ‘rigattiero di quadri vecchi’ e l’amicizia con Caravaggio’ in L’essercitio mio è di pittore... cit., p. 167-97. Lo Spada era nato a Roma da genitori modenesi; nel 1597 teneva bottega presso San Luigi dei Francesi da quattro anni.
7. Vite, 1642, p. 136. Lo Spada sembra essere stato il suo agente, ma vi era anche un certo Valentino Valentini che praticava lo stesso mestiere: vedi M C. Terzaghi, Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del Banco Herrera e Costa, Roma, 2007, p. 280, n 29. Caravaggio avrebbe forse avuto anche la possibilità di vendere le sue opere nella bottega del Carli.
8. Laura Teza, Caravaggio e il frutto della virtù, Milan, 2013, p.14, 83/84.
9. Sembra probabile che la taverna dell’ Orsi fosse ubicata lungo la Via dei Pettinari partendo dalla Piazza del Monte di Pietà (allora Piazza San Martinello), forse all’angolo dello sparito Vicolo di Capodiferro, oltre il Palazzo Barberini e davanti al cimitero della chiesa di San Salvatore in Campo.
10. L’idea che ha preso forza di recente è che l’Adorazione dei Pastori già a Palermo sia l’opera che Caravaggio pattuisce per ‘Fabio de Nutis’ il 5 aprile 1600: potrebbe essere un’altro legame colla Sicilia. Vedi G. Mendola, Il Caravaggio di Palermo e l’Oratorio di San Lorenzo, Palermo, Kalos 2012, e la recensione allo stesso di M. Cuppone, Burlington Magazine, 155, 2013, p. 709. In ogni caso il pagamento pattuito di 200 scudi dimostra il progresso compiuto dal pittore; il 4 luglio il pittore ricevette i 50 scudi finali (di 400 complessivi) per i quadri della Cappella Contarelli.
11. Vedi C. Whitfield, ‘Automatic Drawing’ in Valori Tattili, 1, 2011 pp. 34-45.
12. Vedi le note del Malvasia, L. Marzocchi, a cura di, Scritti originali del Conte Carlo Cesare Malvasia spettanti alla sua Felsina Pittrice, Bologna [1983], p. 388. Le Rogazioni vengono celebrate con una processione intorno ai campi alla fine di aprile per la stagione che segue: una seconda celebrazione per le Rogazioni minori’ si celebra quaranta giorni più tardi, verso la fine di maggio.
13. C. Whitfield, Caravaggio’s Eye, Paul Holberton Press, London, 2011, p. 89.
14. Parlando dei seguaci di Caravaggio dice che sono 'molto osservante del vero, che sempre lo tien davanti mentre ch'opera; fa bene una figura sola, ma nella compositione dell'historia et esplicar affetto, pendendo questo dall' immagination e non dall'osservanza della cosa, per ritrar il vero che tengon sempre avanti (Considerazioni, I , p. 109).
15. Sickel ha dimostrato che Ludovico era presente a Roma almeno dall’ottobre del 1591 sino al maggio del 1592, cosicché Caravaggio potrebbe averlo incontrato colà solo avendo fatto una prima visita a Roma, perché si sa che fu presente ancora a Milano il 1 luglio 1592. ‘Gli esordi di Caravaggio a Roma’, in Römisches Jahrbuch der Biblioteca Hertziana, 39, 2009/10 & preprint on line. La frequenza dei suoi “incontri” con la giustizia rende improbabile che una prima visita alla capitale, prima del 1591/92, potesse avvenire senza che egli fosse notato.
16. L’associazione del Pucci con la SS Trinità risale almeno al 1588, quando è documento un prestito da parte sua di una somma notevole. Vedi M. Pupillo, La SS Trinità dei Pellegrini di Roma, Roma 2001, p. 52.
17. Vedi M. Pupillo, op. cit, p. 57.
18. M. Moretti,’I Petrignani di Amelia nella Roma di Caravaggio, Mecenatismo e committenza’, in Roma al tempo di Caravaggio, a cura di R. Vodret, Milano 2012, pp. 3-21.
19. E. Fumagalli, ‘Precoci citazioni di opere del Caravaggio in alcuni documenti inediti, in Paragone, 1994, 535-537, pp. 113-114.
20. Una delle note del Mancini sembra indicare che lo tenevano nascosto, ‘dove non volevano che fosse visto’ (Considerazioni, I, p. 226).
21. Nel testo regolare (p. 224): ‘Doppo mi vien detto che stesse in casa del cavalier Giuseppe...’ e in una postilla (p. 226): “trattien Bernardino alla Torretta in falchetto (palchetto?) in un pagliericcio; con questa occasione è preso in casa e lo trattiene 8 mesi. Giuseppe vede e lo atterisce...”.
22. A proposito di questa ferita, vedi O. Baroncelli, ‘Di servitore se gli era dichiarato nemico, Caravaggio tra il Cavalier d’Arpino e il Priore Luciano Bianchi’, in L’essercitio mio è di pittore..., cit., 2011, pp. 199-212.
23. O. Baroncelli, cit., in L’essercitio mio è di pittore... cit., pp. 206/206.
24. Questa menzione è stato di solito ignorata, pensando forse che ci sarà stato un altro mecenate o artista di quel nome: ma le citazioni negli Stati d’anime e altrove non lasciano spazio a questa possibilità, ed evidentemente i Mattei erano sensibili a quel verismo che sperimentava Caravaggio. Non è che fino al giugno del 1601 che Caravaggio è documentato a Palazzo Mattei, nella residenza del fratello di Asdrubale, il Cardinal Gerolamo (Macioce 2003 p. 105), ma è Baglione che attesta l’introduzione (a Ciriaco Mattei) per mezzo di Prospero Orsi: ‘Anzi fe cadere anche il Signor Ciriaco Matthei...& intaccò quel Signore di molte centinaia di scudi’ (Vite, p. 137).
25. Jacopo Orsi era dispansario (tesoriere) alla famiglia Mattei, e abitava dietro Piazza Mattei: cf L. Sickel, ‘Remarks on the Patronage of Caravaggio’s ‘Entombment of Christ’ in The Burlington Magazine, Vol 146, 2001, p.427, e anche P. Cavazzini, Painting as Business in Early Seventeenth Century Rome, Penn State, 2008, p. 108, 163, Appendix 16. Morì nel 1625 lasciando erede il fratello Prospero.
26. F. Cappelletti - L. Testa, Il trattenimento dei virtuosi: le collezioni seicentesche di quadri nei Palazzi Mattei di Roma, Roma, 1994, p. 148.
27. M. Moretti, ‘I Petrignani di Amelia nella Roma di Caravaggio, Mecenatismo e committenza’, in Roma al Tempo di Caravaggio 1600-1630, a cura di R. Vodret, Roma 2012, p.120.
28. Pietro era il personaggio più importante della famiglia: era guardarobba a Gregorio XIII, mentre il suo nipote Gerolamo gli era sottoguardarobba. Più tardi questi teneva i quadri dietro una tenda nella sua casa. Possedeva pure una Lucrezia, un San Girolamo, e il ritratto dello suo zio Pietro Vittrici. L. Sickel, Caravaggios Rom, Berlin 2003, pp. 28-61, 80-81, 223-228.
29. L. Sickel, Caravaggios Rom, Berlin 2003, p. 60. Questa era la strada dove avevano casa i Cesari, a qualche passo dalla abitazione di Prospero Orsi presso la SS Trinità. La figlia di Gerolamo e Orinzia, Faustina, venne seppelita nella parocchia di San Salvatore in Campo nel 1597, cosa che testimonia che il mecenate di Caravaggio abitava a quel tempo in quella zona.
30. L. Sickel, Caravaggios Rom, Berlin, 2003, p. 62
31. Avendo studiato presso i Gesuiti al Collegio Romano almeno dal 1596, tornò in Lombardia nell’aprile 1600 e venne ordinato a Novara nel maggio di quell’anno: vedi M Cinotti, G.A. Dell’ Acqua, Caravaggio, Bergamo, 1983, p. 215. Sembra probabile che sia stato Giovanni Battista a cercare il fratello, ma è pure possibile che si tratti di un altro fratello, perché Mancini dice che era venuto da lontano per salutarlo.
32. Nella parrocchia di San Nicola dei Prefetti, Alla ricerca di ‘Ghiongrat’. Studi sui libri parocchiali romani (1600-1630), a cura di R. Vodret, Roma, 2011, p. 439. La mancanza dell’indicazione “C” dietro il nome indica che Caravaggio non era comunicato.
33. Considerazioni, I, p. 252: ‘E di costume et inclination a far piacere a tutti et in particolar ai giovani che venendo alla corte con qualche talento che non ha recapito, et per giovarli et aiutarli perde tempo et aggrava gl’amici come s’è visto in molti’.
34. ‘Caravaggio e Fantin Petrignani committente e protettore di artisti’, in Da Caravaggio ai caravaggeschi, a cura di M. Calvesi e F. Zuccari, Roma 2009, pp. 69-121; vedi anche dello stesso ‘I Petrignani di Amelia nella Roma di Caravaggio’, in Roma al tempo di Caravaggio. Saggi, a cura di R. Vodret, 2012, pp. 117-136.
35. Vedi academia.edu, e Id. ‘Prospero Orsi, interprète du Caravage’, in Revue de l’Art, 2007 CLIV, pp. 9-19.
36. Pubblicato da L. Spezzaferro, ‘Caravaggio accettato. Dal rifiuto al mercato’, in Caravaggio e l”Europa, Atti del convegno internazionale di studi [Milano, 2006], Silvana, Cinisello Balsamo (MI) 2009, pp. 23-50; vedi anche S. Macioce, 2003, 2° ed. 2010, pp. 364-65. I valori di 18 1 60 scudi attribuiti a queste opere nel 1620 attestano la loro autografia, mentre nel 1611 sembrano coincidere con i due quadri di Caravaggio acquistati in un gruppo di quattro opere per 155 scudi.
37. Citato così dalla F Curti nel suo articolo ‘Costantino Spada “Regattiero de quadri vecchi” e l’amicizia con Caravaggio’, in L’essercitio mio è di pittore, cit. 2011, pp. 169 ss., e non il sito alla Scrofa più lontano indicato dalla O. Verdi, “So’ cascato per queste strade”, La città del Caravaggio’ in Caravaggio a Roma, una vita dal vero, 2011, p. 39..
38. Nelle sue note in preparazione per la Felsina Pittrice, pubblicate da L. Marucchi, Scritti originali del Conte Carlo Cesare Malvasia spettanti alla sua Felsina Pittrice, Bologna [1983] p. 388. Questo era verosimilmente la ‘caraffa naturalissima con dentro fiori’, probabilmente poi quello stesso che è descritto nella vendita ‘all’ incanto’ dei quadri Del Monte a Palazzo Avogradro nel 1628.
39. F. Curti, ‘Costantino Spada...', cit., p. 188.
40. Joachim von Sandrart, L’Academia tedesca, 1683 pp. 180-181, in Macioce 2003, pp. 321-322
41. A. Pampalone, ‘Caravaggio ‘Virtuoso’, una leggenda?‘ in Caravaggio a Roma, Una vita dal vero, catalogo della mostra all’ Archivio di Stato, Rome, 2011, ha stabiito che la supposizione che Caravaggio sia stato presente, in compagnia di Prospero Orsi a una celebrazione per San Luca nel 1595 sia sbagliata (H. Waga, Vita nota e ignota dei Virtuosi al Pantheon, Contributi alla storia della Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon, Rome 1992, p. 220-21) l’avvenimento era accaduto, in effetti, nel 1597.
42. Het Schilder-Boeck, 1603, in Macioce 2003 p. 309.
43. Vite, 1672, p. 212: “Non si trova però che egli usasse cinabri né azzurri nelle sue figure, e se pure tal volta li avesse adoperati, li ammorzava, dicendo ch'erano il veleno delle tinte; non dirò dell'aria turchina e chiara, che egli non colorì mai nell' istorie, anzi usò sempre il campo e 'l fondo nero, e 'l nero nelle carni, restringendo in poche parti la forza del lume”.
44. Susinno, 1724, in Macioce 2003 pp. 334-335.