
Fatta questa premessa, nel presente studio, che vede il
Bellori coprotagonista, ci si asterrà dall’entrare nel particolare di tutte le omissioni e distorsioni che questi fece riguardo la figura artistica e umana del Caravaggio, e si prenderà in considerazione solo un piccolissimo brano della parte iniziale della biografia, dove il Bellori narra della nascita della passione per la pittura del Merisi: “
Si esercitò giovane nell’arte di murare, e portò lo schifo della calce nelle fabbriche; poiché impegnandosi Michele in Milano col Padre, che era muratore, s’incontrò à far le colle ad alcuni Pittori, che dipingevano à fresco, e tirato dalla voglia di usare i colori accompagnandosi con loro, applicandosi tutto alla pittura”
(1).
Quindi, secondo Giovan Pietro Bellori la passione per la pittura del Caravaggio bambino si manifestò seguendo il padre muratore, sporcandosi le mani con lo schifo della calce, facendo la conoscenza di pittori e collaborando con loro a far colle mentre affrescavano. Il Bellori chiaramente si basò su quanto aveva scritto il Baglione, che nella biografia stesa qualche anno prima, con meno fantasia, affermava pressoché le stesse cose: “
figliuolo di un Maestro che murava gli edifici, assai bene, di casa Amerigi. Diedesi ad imparare la dipintura, e non havendo in Caravaggio, chi a suo modo gl’insegnasse, andò egli a Milano”
(2).

I numerosi documenti pubblicati riguardanti la città di Caravaggio, la famiglia di Fermo Merisi, padre di Michelangelo, e quella degli Aratori cui apparteneva la madre, il marchese Francesco Sforza e la moglie Costanza Colonna, ad opera soprattutto di
Giacomo Berra, ma anche di
Stefania Macioce, hanno diradato molte delle nebbie che in passato avevano condizionato gli studiosi del Merisi, inducendoli spesso a tracciarne un profilo distorto. La filologia caravaggesca, infatti, è stata condizionata dai fantasiosi biografi del Seicento e del Settecento, i quali si sono dimostrati spesso inattendibili, ad eccezione del
Van Mander e per alcuni versi del
Mancini. Ed a proposito degli esordi del Merisi nella pittura, contrariamente a quanto affermava il Bellori nella biografia del pittore, appare interessante notare che da un’attenta disamina degli oggetti lasciati in eredità da Fermo Merisi nell’inventario del 18 febbraio 1578, stilato quattro mesi dopo la morte avvenuta in Caravaggio il 20 ottobre 1577, emerge tra gli oggetti una piccola collezione di dipinti: “
Un quadro de noce et un picolo de Albara...”, e ancora, più avanti nella descrizione, “
E più quadri da camera n.°4”
(3).
Negli studi che si sono susseguiti per ricostruire le origini del pittore lombardo, per individuare il mestiere di Fermo Merisi ci si è concentrati più che altro sugli attrezzi da muratore. Il dato di fatto che nell’inventario
post mortem figuravano un quadro di noce ed uno di Albara, che in dialetto veneto significa pioppo, conferma che si trattava di dipinti su supporto ligneo. Al contrario, per gli altri quattro dipinti si utilizza il termine “da camera”, facendo supporre che si trattasse di dipinti di formato medio, tra i 60 e 100 cm. Tanto ci autorizza a dedurre che il padre di Caravaggio, nonostante le condizioni sociali non elevate, le circostanze storiche di tempo e di luogo, detenesse in casa una sia pur piccola collezione di arti figurative. Michelangelo Merisi nel febbraio del 1578, quando venne stilato l’inventario, aveva poco più di sei anni.

A questo punto viene da chiedersi come mai questi dipinti si trovassero in casa di Fermo Merisi, di professione capomastro muratore. Le ipotesi da mettere in campo, a rigor di logica, sono diverse. La prima potrebbe essere quella che si trattasse di un bene dotale della prima o della seconda moglie. Ma sembra doversi escludere questa possibilità per la prima moglie, non essendo di censo adeguato per prestare tale dote. La seconda moglie, madre del Caravaggio, pur essendo di buona famiglia (il padre Giovan Giacomo Aratori, agrimensore, era un personaggio pubblico e istruito) non portò in dote alcun dipinto, come risulta dai beni dotali in occasione del matrimonio.
Quale provenienza potrebbero quindi avere tali dipinti? Cominciamo col considerare i regali che tradizionalmente si è soliti fare ai nubendi in occasione delle nozze. Al matrimonio tra Fermo Merisi e Lucia Aratori compare quale testimone
il marchese Francesco Sforza che, data la sua ricchezza, poteva certamente permettersi tali doni. Anche in questo caso, però, il buon senso suggerisce che come regalo di nozze è ammissibile
un dipinto:
sei appaiono troppi. Un’altra soluzione, sempre a rigor di logica, potrebbe essere quella della
datio in solutum, ovvero della
prestazione in luogo dell’adempimento, cioè un pagamento ricevuto in natura per l’attività edilizia da parte di un committente che, a lavori eseguiti, non abbia più potuto pagare in denaro. Ma anche tale soluzione appare poco probabile avendo Fermo Merisi dipendenti da dover retribuire (due abitavano con lui a Milano). Un’ulteriore possibilità potrebbe essere, attese le modeste condizioni economiche di Fermo Merisi,
che le sei opere fossero frutto di una sua passione per le arti figurative, dilettandosi in casa a dipingere.
Chiaramente queste sono tutte ipotesi, ognuno scelga o aggiunga quella che gli appare più credibile; io propendo per l’ultima, che mi appare la più sensata. L’unica certezza di questo studio, che smentisce palesemente il biografo Bellori, è che
Michelangelo Merisi da Caravaggio ebbe il primo approccio con l’arte figurativa in casa propria, a causa dell’eredità lasciata dal padre.
Renato Di Tomasi, 23/01/2014
Note:
1. Vite di Caravaggio, a cura di F. Valdinoci, Padova, Casa dei libri, 2010, p. 81.
2. Id., p. 61.
3. DOC 183 (allegato in ASMi, Notarile, Gerolamo Massarola,12697, 18 febbraio 1578,CC. 107r/108V), in S. Macioce, Documenti, fonti ed inventari 1513/1875, Roma, Ugo Bozzi Editore, 2010, p. 34.