Non poteva mancare nella nostra inchiesta sulla Giuditta ed Oloferne (ora visibile a Parigi su appuntamento) il parere di un esperto come
Nicola Spinosa

che -come ci dice- ha visionato più volte l'opera e la documentazione a corredo ricavandone la piena convinzione che si tratti proprio dell'originale di Caravaggio disperso da tempo. Ma le sue risposte svelano anche altre circostanze apparse poco chiare.

D: Professor Spinosa, lei ha certamente letto i vari pareri –piuttosto discordanti in verità- su questa versione della Giuditta e Oloferne ricomparsa in Francia e attribuita a Caravaggio; lei è tra coloro che la considera un originale del genio lombardo: ce ne può spiegare i motivi ?                    

R: Intanto premetto che per esprimere un parere sull’autenticità o meno di un’opera d’arte – si tratti o meno di un dipinto attribuito al Caravaggio come di un crocifisso ligneo ritenuto di Michelangelo, di un disegno riferito a Leonardo o a Raffaello come di una tela considerata di Picasso o di De Chirico – sarebbe sempre doveroso pronunciarsi dopo aver esaminato direttamente e più volte l’opera da vicino e successivamente averne considerato, insieme allo stato di conservazione, la eventuale presenza di una precisa, circostanziata e chiara documentazione d’archivio al riguardo. Mentre, invece, ancora una volta quanti finora interpellati sulla Giuditta presentata a Parigi - specialisti o meno dello specifico settore- e come già successo di recente proprio per un’altra opera riferita proprio al Caravaggio (la Maddalena, di cui si conoscono già almeno cinque o sei copie, comparsa in Germania e resa nota da una foto pubblicata su una pagina de La Repubblica su segnalazione della signorina Mina Gregori, ma finora mai esaminata direttamente, almeno in Italia), si sono pronunciati a favore o contro la sua appartenenza al grande pittore lombardo solo sulla base di una riproduzione fotografica, di qualità per lo più approssimativa, comparsa sulla stampa nazionale e internazionale. Il che è quanto meno indice, con la complicità degli stessi media, sempre alla ricerca della “notizia d’effetto”, di superficialità e poca professionalità, accompagnata dal desiderio di comunque “esserci e apparire”, anche quando in casi come questo, bisognerebbe essere quanto meno prudenti. Diversamente, senza ritenerlo un merito, io e pochi altri con una conoscenza diretta dell’opera del Caravaggio per averlo studiato anche attraverso la organizzazione di mostre sulla sua produzione o lavorando in musei dove sono esposti suoi dipinti di sicura attribuzione, abbiamo avuto la possibilità di esaminare la Giuditta in argomento direttamente e più volte, avvalendoci della documentazione relativa messa a disposizione di Mr. Turquin, che non è né il proprietario del dipinto, né un antiquario, ma svolge funzioni pubbliche di garante sull’autenticità di opere poi destinate al mercato francese, e del parere di restauratori che sono intervenuti su altre opere del Caravaggio. Ed è stato solo dopo l’esame diretto e continuo della Giuditta di cui si parla (nel mio caso almeno quattro o cinque volte, fin dalla metà del 2014) che mi sono convinto, sempre con un minimo di riserva giustificata dall’attuale stato di conservazione del dipinto, da sottoporre a un attento intervento di restauro perché si presenta con vernici ossidate ed estese tracce di umidità, in particolare sul suo lato sinistro (si vedono chiaramente quelle lasciate in passato da rivoli d’acqua che ne attraversarono la superfice), mi sono convinto dicevo, anche attraverso uno studio dettagliato di fonti e relativi documenti, oltre al confronto con altre opere del Caravaggio dipinte tra Roma, Palestrina, Zagarolo e Napoli, tra il 1605 e il 1606-1607, di trovarmi dinanzi alla tela che il maestro lombardo aveva lasciato in deposito, insieme alla Madonna del Rosario, quando era a Napoli e prima di partire per Malta, presso lo studio degli amici, anche loro pittori, Luis Finson e Abraham Vinck, conosciuti già a Roma, che dagli inizi del Settecento è a Vienna: queste due tele viste a Napoli nel 1607 presso lo studio dei due pittori di origine fiamminga, morto improvvisamente il Caravaggio nel 1610, erano ricomparse ad Amsterdam nel 1617, sempre presso Finson e Vinck. Ma mentre la Madonna del Rosario fu trasferita in una chiesa ad Anversa, per poi essere acquistata per le raccolte imperiali viennesi, della Giuditta si persero le tracce, anche se una tela con l’identico soggetto, entrata intorno al 1950 nelle raccolte dell’ex Banco di Napoli, poi Intesa Sanpaolo, e oggi esposta in Palazzo Zevallos veniva dalla critica considerata copia, di mano del Finson o, più probabilmente, di un pittore ancora anonimo, dell’originale del Caravaggio scomparso ad Amsterdam.

D: Coloro che si sono pronunciati su News Art senz’altro contro fanno riferimento a certi dettagli eccessivamente ‘caricati’ (ad esempio la testa della vecchia Abra) e al fatto che determinati piccoli aggiustamenti non possono essere giudicati veri ‘pentimenti’; in più si sostiene che il naturalismo di Caravaggio più che ricercato va interpretato, cosa che nel dipinto sub judice non appare; che ne pensa?                                       
R: Lasciamo stare queste disquisizioni sul naturalismo del Caravaggio da ricercare o interpretare, frutto prevalentemente e in particolare in occasione di questa vicenda di ‘finezze’ interpretative di chi ha studiato l’opera del Caravaggio più su foto e documenti che attraverso un esame diretto, attento, circostanziato e prudente (sì, anche prudente!) delle sue specifiche qualità in termini di traduzione visiva del soggetto rappresentato e di resa pittorica

D: Secondo lei questo dipinto diciamo così ‘francese’, corrisponde a quello visto a Napoli nello studio di Finson e Vinck, insieme alla Madonna del Rosario, sia dal pittore Franz Pourbus che da Ottavio Gentile, che  descrisse la Giuditta nella lettera –ormai diventata famosa- che il 25 settembre del 1607 spedì al duca di Mantova, per informarlo dei due dipinti di Caravaggio (” “un quadro mezzano da camera di mezze figure et è un Oliferno con Giuditta, et non lo dariano a manco 300 ducati”), suggerendone di entrambi l’acquisto, poi non verificatosi?
R: Certo, non ho alcun dubbio che si tratti proprio dello stesso dipinto, come ho già anticipato.

D: E che ne pensa dell’ipotesi –avanzata da qualcuno- che fossero stati proprio Finson e Winck –amici di Pourbos- a manipolare un possibile quadro magari solo ideato da Caravaggio per portarselo in Francia e spacciarlo per buono? E che quindi possa essere proprio il quadro ora riapparso?
R: Ogni ipotesi, in casi come questi che spesso si tingono di giallo, merita sempre considerazione e rispetto. Ma mi consenta anche una divertita divagazione al riguardo. Ricorda la favola di Esopo e poi di Fedro sulla "Volpe e l’uva"? Non è che, per l’identificazione da parte di pochi ‘privilegiati’ di questa Giuditta come possibile opera del Caravaggio, chi non ha finora avuto la possibilità di vederla (ma ora è visibile presso il Cabinet Turquin a Parigi, su richiesta, tutti i giorni e per ben sei mesi), preferisca spingersi, per questo suo limite conoscitivo, ad affermare che è una copia? Di Finson o di altri poco importa…

D: Si è anche molto discusso circa il recupero della tela in una casa di Tolosa: deve ammettere che la vicenda appare romanzesca: casualmente, durante i lavori in una soffitta per una perdita d’acqua, l’opera riappare per di più “in condizioni eccezionali”, come ha affermato il mercante Eric Turquin nell’intervista di presentazione alla stampa; Sgarbi ha affermato su News Art che in questi casi non è tanto importante sapere la provenienza ma leggere la bontà del dipinto: è d’accordo? Non trova invece che presentare il ritrovamento di un dipinto di questa importanza in modo –se me lo consente- piuttosto inverosimile induca di per sé al sospetto?
R: Certo la vicenda ha del ‘romanzesco’, se preferisce così definirla, come del resto lo è stato e lo sarà ancora ogni ritrovamento e recupero di opere di celebri maestri che a lungo si erano considerate o si considerano disperse e poi un giorno, improvvisamente e del tutto fortuitamente, ricompaiono nella soffitta abbandonata di una casa di campagna o, addirittura, come pure è successo, in un disordinato deposito di un museo. Ma ha ragione Sgarbi: non importa, fino a un certo punto, dove l’opera sia stata ritrovata, ma , una volta tornata ‘alla luce’, che se ne riscontri la qualità e la si riesca a identificare come autentica. Nel caso della Giuditta in argomento esiste e conosco la documentazione che ne attesta la ‘scoperta’ in un’antica residenza di campagna nei pressi di Tolosa. Mi viene solo da dire: fortunati i proprietari di questa residenza di campagna, che, costretti a intervenire per riparare una perdita d’acqua, hanno probabilmente trovato, con la ‘scoperta’ di questo dipinto, un ‘fiume d’oro’!

D: Per finire le chiedo perché, secondo lei, nella presentazione alla stampa il sig. Turquin non abbia ritenuto di dover chiarire che il dipinto era stato già visionato da lei e da altri studiosi già dal 2014? Egoismo? Dimenticanza ? o altro?

R:
Semplice. Eravamo tutti obbligati al silenzio fino a quando il dipinto non veniva sottoposto al parere della commissione statale sulla sua eventuale esportabilità. Una volta che la commissione si è espressa con il considerarlo un bene ‘tesoro’ dello Stato francese, si poteva presentare il dipinto al pubblico, come ha fatto Turquin, e dare il via a quest’altro ‘tormentone’ caravaggesco che, ne sono certo, ci accompagnerà a lungo, come in altri casi simili, e ci costringe a leggere o a sentire di tutto e di più, anche da parte di chi non lo ha mai visto direttamente o di chi, come spesso succede, si è fatto esperto d’arte e conoscitore del Caravaggio. Manca solo, ma per poco, il parere di un ministro o di un politico d’occasione, qualunque sia il suo orientamento: l’importante, anche in casi come questi, è, solo o soprattutto, “esserci e apparire”, Caravaggio o non Caravaggio